Queste note seguono la recente pubblicazione dell’articolo “Le modifiche unilaterali dei contratti bancari fra recenti riforme e decisioni dell’arbitro bancario finanziario” a firma del Collega avv. Valerio Sangiovanni, che ha affrontato in modo organico il tema delle più recenti modifiche apportate all’art. 118 Testo Unico Bancario (di seguito “TUB”), in uno con l’esame di talune decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario (di seguito “ABF”).
In particolare, l’Autore ha messo in luce:
- la modifica dell’art. 118, comma 1, TUB, ai sensi dell’art. 4, comma 2, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che recita: “Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo”;
- l’introduzione del comma 2-bis dell’art. 118 cit., ai sensi della Legge n. 106/2011, che recita: “Se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa come definita dall’art. 1, comma 1, lett. t), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto”.
Fermo questo quadro innovativo, vogliamo ora concentrarci su tutti quei contratti di mutuo per acquisto di un immobile che le famiglie (e cioè i consumatori) hanno stipulato anteriormente alla data di entrata in vigore delle suddette modifiche; contratti per i quali si sono indebitate migliaia di famiglie in un periodo nel quale il mercato immobiliare sembrava non conoscere crisi ed in cui le banche – ahimè – concedevano questi finanziamenti con (troppo) sommarie valutazioni del merito creditizio. Vero è che con nota esplicativa del 21 febbraio 2007, n. 5574, il Ministero dello Sviluppo Economico affermava che i mutui non rientrerebbero nell’art. 118 TUB, in quanto dovrebbero essere esclusi dalla nozione di “contratti di durata”, perché lo svolgimento del rapporto in un arco temporale concordato tra le parti costituisce un elemento essenziale, a tutela degli interessi di entrambi i contraenti, ed altresì considerato che il contratto di mutuo gode di una sua speciale disciplina (leggasi mutuo fondiario). Ma è altrettanto vero che la suddetta interpretazione non è stata unanimemente condivisa dalla dottrina e – ciò che più conta – le banche hanno continuato ad inserire nelle minute dei contratti di mutuo la clausola sulla facoltà di modifica unilaterale delle condizioni economiche, in virtù del combinato disposto degli artt. 117, comma 5, TUB e 118, comma 1, TUB.
Qual è, dunque, il destino di queste clausole alla luce delle recenti riforme? Partiamo da alcuni principi generali. L’art. 1372, comma 1, cod. civ., recita: “Il contratto ha forza di legge tra le parti” e l’art. 11, comma 1, delle Preleggi recita: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Nell’introdurre le suddette modifiche all’art. 118 cit., il Legislatore non ha dettato alcuna disciplina transitoria per i contratti di mutuo immobiliari in corso alla data della loro entrata in vigore, ingenerando dubbi sulla validità delle clausole all’epoca vigenti. A tale riguardo, va richiamato che il precedente comma 1 dell’art. 118 cit. recitava: “Nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1341, secondo comma, del codice civile”, e che la clausola-tipo (che si riporta di seguti) inserita dalle banche nei contratti di mutuo abbracciava tale ampia formulazione: “La Banca si riserva la facoltà di modificare le condizioni economiche applicate al […] finanziamento, rispettando, in caso di variazioni sfavorevoli alla parte mutuataria, quanto previsto dall’articolo 118 T.U.B.”.
Ora, un formale (quanto sterile) rispetto del principio di irretroattività della legge imporrebbe di escludere che la nuova previsione dell’art. 118 cit. possa applicarsi alle clausole inserite nei contratti di mutuo in corso alla data della sua entrata in vigore. Vero è, invece, che la giurisprudenza di legittimità si è già confrontata con fattispecie analoghe, vale a dire con un contratto di durata, nel corso del quale intervenga una nuova disposizione di legge, e questa disposizione limiti il possibile raggio d’azione della volontà delle parti. Si trattava di un atto di fideiussione per obbligazione futura e, nello specifico, del rapporto tra la vigente regolamentazione convenzionale e l’aggiunta del secondo comma dell’art. 1956 cod. civ., sulla preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione per concessione abusiva del credito al debitore principale. Ebbene, il Supremo Collegio, prendendo le mosse dalla disciplina dell’art. 1339 cod. civ. (Inserzione automatica di clausola), e qualificando il sopravvenuto intervento legislativo come norma imperativa, così concludeva:
“[…] relativamente ad un rapporto contrattuale di durata, l’intervento nel corso di essa [della clausola difforme], di una nuova disposizione di legge diretta a porre, rispetto al possibile contenuto del regolamento contrattuale, una nuova norma imperativa condizionante l’autonomia contrattuale delle parti nel regolamento del contratto, in assenza di una norma transitoria che preveda l’ultrattività della previgente disciplina normativa non contenente la norma imperativa nuova, comporta che la contrarietà a quest’ultima del regolamento contrattuale non consente più alla clausola di operare, nel senso di giustificare effetti del regolamento contrattuale che non si siano già prodotti, in quanto, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., il contratto, per quanto concerne la sua efficacia normativa successiva all’entrata in vigore della norma nuova, deve ritenersi assoggettato all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, la quale sostituisce o integra per l’avvenire (cioè per la residua durata del contratto) la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto” (Cass. civ. 26-01-2006, n. 1689).
Venendo al caso di specie, ne discende che, per i contratti di mutuo in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della suddetta modifica dell’art. 118 TUB, benché le parti avessero previsto la facoltà della banca di modificare unilateralmente, tra le varie condizioni, anche i tassi, tale facoltà ed il suo esercizio sono ormai incompatibili con la vigente norma imperativa e, per l’effetto, la clausola contrattuale difforme è integrata/sostituita, per l’avvenire, dalla nuova clausola, nel senso che la facoltà di modifica unilaterale a suo tempo accordata dal cliente alla banca vale per tutte le clausole del contratto di mutuo per cui essa sia già prevista, ma con la tassativa ed irrimediabile esclusione di quelle (clausole) aventi ad oggetto i tassi di interesse, e, beninteso, sempre che sussista un giustificato motivo.
L’interpretazione qui offerta non è stata confortata – ma neppure contraddetta – da una decisione dell’ABF di Milano, assunta nella seduta 15 marzo 2011, che qui si allega, con le stesse modalità dell’ABF. Si trattava della controversia tra un consumatore ed una banca. Il consumatore lamentava l’illegittimità della variazione unilaterale dello spread, con decorrenza dall’anno 2010, in relazione ad un contratto di mutuo stipulato nell’anno 2006, mentre la banca aveva addotto, quale “giustificato motivo”, l’eccezionale abbassamento dei valori dei parametri di riferimento dei mutui, non compensato da una riduzione del costo della raccolta a medio termine (vale a dire dai prestiti obbligazionari della stessa banca), che, per ovvie ragioni, non aveva potuto recepire detto abbassamento.
L’ABF, pur essendosi pronunciato nel mese di marzo 2011 – vale a dire posteriormente alla modifica dell’art. 118, comma 1, cit., avvenuta ai sensi dell’art. 4, comma 2, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 – non faceva alcuna questione in termini di applicabilità della predetta modifica ai contratti già in essere, ma si concentrava appena sul se e come potesse dirsi integrato il “giustificato motivo”.
Si riporta, in ogni modo, l’interessante ragionamento svolto dall’ABF, che trancia le troppo generiche motivazioni addotte dagli istituti di credito per giustificare la variazione delle condizioni economiche. In particolare, rilevava che la banca avrebbe dovuto quantomeno provare: la misura dei principali tassi di riferimento per il mercato bancario al tempo della conclusione del contratto, la misura dei tassi delle operazioni di raccolta, così da poter apprezzare quale rapporto vi fosse stato tra queste due serie di tassi ed il tasso previsto per il contratto di mutuo, nonché la misura in cui quei principali tassi sarebbero diminuiti nell’anno della proposta unilaterale di modifica. L’aumento dello spread – sostiene l’ABF – si sarebbe potuto legittimare soltanto nella misura necessaria a riprodurre la stessa proporzione che era corsa tra il tasso d’interesse del mutuo, quelli della raccolta e quelli di riferimento al tempo della stipula del contratto, in un’ottica di mantenimento dell’equilibrio sinallagmatico.
Purtroppo, non è raro il caso in cui le banche, ben lungi dal seguire l’articolato ragionamento dell’ABF, tentino soltanto di addurre l’andamento economico generale per condurre operazioni di recupero di redditività, a danno della clientela contrattualmente più debole. In quest’ottica si evidenzia che, nel caso suaccennato, l’ABF riconosceva anche il diritto del consumatore ad esigere il parziale rimborso delle spese legali sostenute, stante la complessità della materia trattata.
Da ultimo, vale la pena ribadire che la sanzione apprestata per ogni eventuale illegittima variazione dei tassi è quella della inefficacia, con ovvia decorrenza ex tunc, e cioè retroattivamente dalla data di applicazione della stessa variazione.