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Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000

20 Ottobre 2014

Vincenzo Farina, Professore Associato di Diritto Privato presso l’Università del Salento

1- Dall’anatocismo consuetudinario in deroga al divieto di cui all’art. 1283 c.c. all’anatocismo legale di cui art. 120 T.U.B.. La delega al CICR ed i problemi applicativi della delibera 9 febbraio 2000. 2- Gli effetti della nuova disciplina sulla delibera 9 febbraio 2000 del CCR. 3- La uguale periodicità del conteggio degli interessi sia debitori che creditori nelle “operazioni in conto corrente”. 4- La “capitalizzazione” degli interessi “ulteriori” e l’imputazione dei pagamenti.

 

1- L’art. 120 del TUB ha subito nell’arco di un decennio ben 6 modifiche sostanziali, di cui 4 riguardanti il problema dell’anatocismo. Nella sua versione iniziale, in vigore dal 1 gennaio 1994 al 18 ottobre 1999, si limitava a prevedere in uno solo comma che “gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento”. Nessun accenno vi era al fenomeno della produzione degli interessi sugli interessi in deroga al generale divieto di cui all’art. 1283 c.c.

Dall’art. 25, comma 2, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, veniva aggiunto, a seguito del rèvirement della S.C. di cui si è detto, il secondo comma dell’art. 120 TUB che, procedendo ad attribuire all’anatocismo bancario una fonte legale e non più consuetudinaria, così statuiva: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.

Detta previsione poneva fine manu militari ed a tutto favore delle banche, alla querelle in ordine alla formazione di un uso normativo in deroga alla disposizione di cui all’art. 1283 c.c., istituendo un anatocismo “legale” da fonte anch’esso speciale rispetto a tale divieto.

Faceva seguito l’intervento regolamentare del CICR, che a mezzo della nota deliberazione 9 febbraio 2000 forniva (si fa per dire) “le modalità e i criteri” per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria. Invero, l’attività del CICR di specificazione del contenuto normativo della disposizione, di cui si è detto, fu improntata ad una logica a dir poco riduttiva. Nella sostanza, tradendo lo spirito della legge, che aveva conferito a detto organo un così grande potere anche al fine di regolamentare il costo del credito in un contesto caratterizzato da continui contrasti tra il ceto bancario nella sua posizione di dominanza e la clientela per antonomasia “debole”, il CICR riconobbe all’anatocismo legittimazione piena, addirittura in misura pari se non maggiore rispetto al riconoscimento attribuitogli nel passato dai (pretesi quanto censurati) usi di banca.

Per le operazioni in conto corrente (e quindi per la quasi totalità delle operazioni bancarie) il CICR ebbe ad affidare alla “libera” contrattazione tra le parti (art. 2 comma primo della delibera) la periodicità dell’accredito e dell’addebito degli interessi, riconoscendo senza limiti di sorta e, “secondo le medesime modalità”, l’anatocismo sul saldo periodico. Al terzo comma consentì, “se contrattualmente stabilito”, che l’importo risultante dal saldo di chiusura, composto ovviamente anche dagli interessi già portati a capitale nel corso del rapporto, producesse a sua volta ulteriori interessi sugli interessi già conteggiati. L’unico limite apposto fu quello del cd. anatocismo triplice: venne imposto l’inutile divieto dell’anatocismo sugli interessi sul saldo di chiusura successivi alla prima capitalizzazione. Si legge, invero, testualmente che “il saldo risultante dalla chiusura definitiva del conto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.

L’inutilità della previsione riveniva da una duplice circostanza. Da un canto il conto passivo “chiuso” (con conseguente revoca dell’affidamento ed esigibilità del saldo) era suscettibile di immediata azione giudiziaria monitoria da parte della banca ed in quella sede già il vetusto art. 1283 c.c. consentiva dall’avvento del codice civile l’anatocismo giudiziale per gli interessi scaduti da almeno sei mesi[1].

D’altro canto una volta chiuso il conto e cessato dai suoi effetti il contratto procedere in sempiterno, come pure era accaduto, al saldo trimestrale periodico a fini anatocistici era un’assurdità, di cui avevano a lungo abusato le banche ai danni del cliente, non più immaginabile nella nuova temperie culturale.

Per i “finanziamenti con piani di rimborso rateale”, il CICR, dedicò appositamente l’articolo 3 per (non) individuare “i criteri e le modalità”, alla cui formazione era stato specificamente delegato seguendo la stessa logica riduttiva. Accadde così che il tanto discusso concetto di inscindibilità della rata[2], destinato in sé a consentire l’anatocismo anche al pur minimo ed insignificante ritardo, venne de plano riconosciuto dal CICR al primo comma con buona pace del contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità[3].

Ebbe così a statuire che: “Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”.

Previde poi, per dare un apparente tono di equanimità al suo intervento, al secondo comma che su questi interessi non era consentita capitalizzazione periodica, del tutto dimenticando, che l’anatocismo, proprio in virtù di quanto stabilito al primo comma della stessa disposizione, sarebbe maturato comunque sino alla data del pagamento e, una volta intervenuto quest’ultimo, il divieto di capitalizzazione non aveva alcun senso.

Infine riconobbe al terzo comma dello stesso articolo che l’anatocismo bancario avesse ragion d’essere, “se contrattualmente stabilito” anche in ipotesi di risoluzione del contratto di finanziamento, con lo stesso inutile limite sul totale della somma prevista per le operazioni con conto corrente dall’art. 2.

In buona sostanza gli interessi, a seguito della delibera 9 febbraio 2000 del CICR, se contrattualmente pattuiti (il che ovviamente accade sempre), vanno ad incidere anche su quella quota di rata scaduta, che è comprensiva di interessi corrispettivi, configurando già perciò stesso anatocismo con durata “dalla scadenza al pagamento”. Con riguardo invece alla diversa ipotesi della risoluzione del contratto di mutuo, ove sia stata in precedenza prevista la capitalizzazione a scadenza di rata, si evita soltanto l’anatocismo triplice, essendo stata dichiarata legittima sia la capitalizzazione degli interessi sulla rata scaduta comprensiva, a sua volta di interessi, sia di quelli previsti sulla somma complessivamente dovuta al momento della risoluzione. Ma tale anatocismo, decorsi sei mesi, in sede giudiziale è consentito ex art. 1283 c.c.

E’ di chiara evidenza, che il CICR non abbia dato esecuzione all’incarico attribuitogli dalla norma primaria che gli imponeva l’obbligo di individuare “le modalità e i criteri” per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria. Il Comitato non ha fatto altro che subordinare l’ammissibilità della produzione d’interessi su interessi ad libitum alla circostanza che questa produzione sia stata oggetto d’espressa previsione negoziale[4].

Si è limitato in buona sostanza il CICR a ribadire, legittimandola, quella che era la censurata prassi corrente nell’ambito della contrattazione standardizzata in ambito bancario sapientemente creata dall’ associazione di categoria per essere convertita in uso in deroga con il ruolo compiacente delle Camere di Commercio.

Il che, sotto alcuni profili, ha peggiorato la situazione esistente, da un canto legittimando la prassi anatocistica non solo per le banche, ma per gli altri intermediari finanziari[5], per i quali non vi era prima alcuna (pur fasulla) raccolta delle Camere di Commercio che le legittimasse, d’altro canto consentendo una capitalizzazione sui conti debitori anche con una frequenza inferiore a quella trimestrale sino a quel momento normalmente non riconosciuta dagli “usi” di banca.

Questo singolare atteggiamento era pacificamente destinato a favorire le banche, a nulla rilevando in contrario il simulacro frapposto dall’identica periodicità di capitalizzazione: il sistema bancario italiano era – ed è noto – per praticare un’amplissima forbice tra tassi attivi e passivi per la banca, sicchè l’effetto capitalizzazione è ben diverso se a patirlo è la banca o il cliente.

Del tutto ignorato è stato ulteriore problema degli effetti della domiciliazione su conto corrente dei finanziamenti con piani di rimborso rateale. Il CICR non ha neppure tentato di definire i rapporti tra le due operazioni e di limitare gli effetti anatocistici plurimi che una simile domiciliazione comportava: alla capitalizzazione degli interessi, corrispettivi e (eventualmente) di mora con riguarda alla singola rata, si sarebbe aggiunta la capitalizzazione trimestrale su conto corrente raddoppiando l’incidenza negativa per il cliente.

Non è stato invero un caso se parte della dottrina proprio con riferimento a tale delibera si è posto già a suo tempo il problema di annullabilità dell’atto regolamentare o di sua disapplicazione ai sensi dell’art. 5 RD 2248\1865[6]. Gli spunti della dottrina sono stati prontamente recepiti dalla giurisprudenza di merito che con specifico riferimento all’art. 7 della stessa delibera ha ritenuto di disapplicare la citata delibera [7].

2- Il secondo comma dell’art. 120 TUB, fonte primaria delegante della delibera CICR 9 febbraio 2000, di cui si è detto, non patirà modifiche dalla successiva novella di cui all’art. 4, comma 2, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 3, comma 3, D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218. La sostituzione del secondo comma dell’art. 120 TUB è stata invece operata dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014, così provvedendo: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Successivamente il legislatore è riuscito a superare sé medesimo in fatto di mutamento di umore normativo. E’ accaduto così che, forse a causa della calura estiva, approfittando dell’emanazione del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea” (c.d. Misure per la crescita economica), vi ha inserito proditoriamente l’art. 31, che ha addotto l’ennesima modifica del martoriato articolo 120 T.u.b.

Ivi ha previsto nella sostanza un reinserimento dell’abrogato anatocismo.[8]

La singolare iniziativa, a furor di popolo, ha patito prematura fine prima che gli effetti della sua nascita si fossero consolidati nel tempo. Invero in sede di legge di conversione dell’11 agosto 2014, n. 116 la modifica è stata abrogata e si è ritornato al testo originario, con il ripristino della situazione normativa ex quo ante. Allo stato la delibera del CICR prevista non è ancora intervenuta.

Sorge immediato il problema di diritto intertemporale non di poco conto dell’attuale vigenza delle disposizioni di cui alla delibera del 9 febbraio 2000: se l’anatocismo “legale” (de)regolamentato in base a quell’atto di alta amministrazione possa continuare a trovare applicazione nelle more dell’avvento della nuova disciplina delegata. Per avere un’ idea della rilevanza della questione basti pensare alle prossime ed imminenti chiusure dei conti correnti ed alle conseguenti capitalizzazioni, all’obbligo di segnalazione trimestrale del costo del credito ai fini della rilevazione del tasso soglia, su cui il fenomeno anatocistico incide significativamente, alla determinazione del saldaconto da allegare alle richieste in sede monitoria.

Qualsivoglia discettazione sul punto impone all’interprete di rivolgere in primo luogo la sua attenzione alla norma primaria che legittimava e legittima, diversamente ora, l’intervento del CICR, stabilendone modalità e limiti. Di poi ci si potrà porre il problema di un’eventuale ultrattività della delibera CICR 9 febbraio 2000.

Il comma 629 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha previsto la sostituzione immediata del secondo comma del TUB con la disciplina in esso contenuta. Il comma 729 di poi della stessa legge ha stabilito l’entrata in vigore per tutte le disposizioni, senza eccezione alcuna, a far data dal 1 gennaio 2014. Non è revocabile in dubbio dunque che la vecchia previsione introdotta dall’art. 25, comma 2, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 è stata espressamente abrogata ai sensi dell’art. 15 delle preleggi e non è più pertanto in vigore. E’ cessata, dunque, la possibilità per il CICR di stabilire per il futuro “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”.

Venuta meno la fonte primaria, che legittimava in via di specialità l’anatocismo bancario in deroga al generale divieto di cui all’art. 1283 c.c., riprende immediato vigore, sia pur con efficacia ex nunc, con riguardo ai rapporti in corso la disciplina imperativa dettata dalla norma generale, che vieta la produzione degli interessi sugli interessi. Trattasi nella concreta fattispecie quasi sempre di contratti di durata (si pensi all’apertura di credito, allo sconto, al finanziamento con piano di rimborso rateale), i cui effetti sono destinati a prodursi nel tempo e, per la parte in cui ricadono nel periodo successivo all’abrogazione della norma primaria, non possono non essere oggetto di attenta valutazione da parte dell’interprete.

La materia, come già accennato, è stata ed è tutt’ora oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza con riguardo alla sorte dell’art. 7 della stessa delibera CICR a seguito della dichiarazione di incostituzionalità[9] del terzo comma dell’art. 25 del d.lgs n. 242\1999, che faceva salve le vecchie clausole anatocistiche. In quel contesto si è avuto modo puntualmente di rilevare come la disciplina delegata, posta malamente in essere con la citata delibera CICR, sia divenuta improvvisamente orfana della norma sub-delegante[10], perdendo nello stesso momento di quella dipartita “la forza necessaria per derogare alla superiore fonte di natura legislativa”[11].

L’argomentazione appare pienamente sostenibile anche con riguardo al caso che ci occupa: le diposizioni di cui agli art. 2 e 3 della delibera CICR 9 febbraio 2000 non hanno più alcuna valenza normativa. Il relativo atto amministrativo, in cui la delibera si concreta, privo dell’originaria norma delegante, oramai abrogata e in contrasto con la generale previsione di cui all’art. 1283 c.c., è da ritenersi affetto da illegittimità, sia pur sopravvenuta[12], dovendosi registrare allo stato l’assenza di qualsivoglia disciplina transitoria.

Invero non risulterà più conforme, a seguito della citata abrogazione di una norma a tutti gli effetti da ritenersi speciale, alla vigente disciplina generale dettata dall’art. 1283 c.c. Il G.O. ben potrà accertare incidentalmente tale illegittimità e disapplicare le disposizioni della delibera in parola, secondo le ordinarie previsioni dell’art. 5 L. n. 2248/all. E/1865[13], decidendo il caso in virtù del divieto di anatocismo.

Peraltro, sotto diverso profilo, ben può sostenersi che la previsione dettata dal novellato art. 120 TUB faccia automaticamente perdere rilievo alla normativa delegata dalla norma abrogata, patendo essa stessa un’abrogazione implicita e consequenziale. La disciplina delegata in uno con l’originaria norma delegante costituisce a tutti gli effetti legge “speciale”[14] rispetto alla regola generale di cui all’art. 1283 c.c. Sé così è, l’abrogazione della norma di carattere speciale comporta con effetto immediato, l’applicazione della regola generale[15] .

Le conseguenze appaiono immediate per tutte quelle operazioni bancarie, sorte sotto il vigore della vecchia disciplina, ma i cui effetti si protraggono, in ragione della loro durata, dopo la sua abrogazione. Del resto il principio proprio in ambito bancario ha trovato applicazione, con riguardo al noto problema della usurarietà sopravvenuta, su cui di recente è ritornata più volte la S.C. Si è affermato, appunto, che in ipotesi di rapporti non esauriti al momento dell’entrata in vigore della legge n. 108/1996, trovi applicazione l’art. 1 di detta legge che ha previsto la fissazione di tassi soglia. In questi casi la giurisprudenza di legittimità non ha esitato a statuire che, ove vengano superate le misure consentite, gli interessi corrispettivi e moratori “ulteriormente maturati” vanno considerati usurari[16].

Nel nostro caso, ove l’operazione in conto corrente o il finanziamento con piano di rimborso rateale non siano esauriti alla data di entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 120 TUB, comma 2, il problema si pone in termini analoghi trattandosi appunto di rapporti non esauriti, anche se nel caso di specie non vi è un divieto di anatocismo propriamente “sopravvenuto”, stante la storica ed antecedente previsione di cui all’art. 1283 c.c.

3- Passando ora ad una specifica disamina della novella ed in particolare del secondo comma dell’art. 120 TUB occorre sin da subito rilevare che la norma, in chiara contrapposizione con la disciplina abrogata, non fa riferimento più alla “produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”, ma soltanto alla “produzione di interessi” semplici. Resta sempre affidato negli stessi termini di prima al CICR il compito di stabilire “modalità e criteri” con l’unico solito striminzito limite di eguale periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

Invero da questa parte della secondo comma dovrebbe trarsi il convincimento che non si tratta più di “periodicità di interessi capitalizzati ma di periodicità della liquidazione degli interessi”. In ciò consisterebbe la novità della nuova disciplina, destinata a garantire in tutte le operazione di dare e avere solo la coincidenza temporale della liquidazione degli interessi, non già, come in precedenza, con la stessa scadenza, l’anatocismo cd. bancario.

Peraltro, ove il CICR dovesse individuare come criterio e modalità solo l’espressa previsione negoziale, affidata alla “libera” trattativa tra le parti, come già fatto in occasione della precedente delega, non parrebbe escluso il rischio che il decremento del costo del credito conseguito all’abrogazione dell’anatocismo, possa essere in parte compensato, con una liquidazione a scadenze più brevi di quelle trimestrali, solitamente previste dalla clausole predisposte dalla banca.

Indubbiamente anche in questo caso si porrebbe nuovamente il problema se l’affidamento alla libera regolamentazione pattizia della periodicità della liquidazione degli interessi non violi il precetto della norma delegante, non configurandosi tale affido come una individuazione di un “criterio” o di una “modalità” prevista obbligatoriamente dalla legge. Potrebbe, invero, a giusta ragione opinarsi che la funzione regolatrice del mercato del credito affidata al CICR, costituente la ratio della normativa in questione, risulterebbe frustrata ab imis nel perseguimento dei suoi scopi dall’ abdicazione dalla funzione medesima posta in essere in questi termini dall’Autorità all’uopo delegata.

Verrebbe in tal caso meno quel ruolo eteronomia assegnato al CICR, nella misura in cui l’organo lungi dal dettare, come parrebbe suo dovere, dei criteri e delle modalità destinati ad incidere dall’esterno sul regolamento pattizio affidi alle parti, in chiara situazione di asimmetria di potere contrattuale e a tutto sfavore del cliente, la funzione di individuare i medesimi in esplicazione della loro autonomia.

Anche in questo caso la soluzione andrebbe forse rinvenuta nella disapplicazione dell’atto amministrativo regolamentare ai sensi dell’art. 5 della legge 2248\1865, in termini analoghi di quello che ha attinto la disciplina dettata dalla vecchia delibera CICR del 9 febbraio 2000[17].

4- Lascia sinceramente perplessi la previsione di cui alla lettera b) del secondo comma dell’art. 120 novellato, nella parte in cui, dopo avere negato nella parte introduttiva e alla lettera a) la possibilità per il CICR di stabilire criteri e modalità nella “produzione degli interessi sugli interessi”, fa inopinatamente riferimento a “interessi periodicamente capitalizzati”, sia pur per affermare che tali interessi “non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.

Un’esegesi letterale potrebbe portare alla conclusione che quantomeno un anatocismo per così dire “primigenio” sarebbe dal legislatore consentito, mentre sarebbe sicuramente vietato un anatocismo “ulteriore”, a computarsi sulla prima capitalizzazione. Non pare di contro si possa esorcizzare il problema ermeneutico sostenendo con una certa nonchalance, che si sia trattato di un svista da parte del legislatore, di cui non si debba tenere conto[18].

Secondo l’opinione di primi commentatori in rete[19] gli interessi creditori e debitori, una volta calcolati con la stessa periodicità confluirebbero in conteggio a parte, non dando luogo ad alcuna capitalizzazione. In concreto si verrebbe a creare un monte interessi da liquidazione periodica, che non si capitalizza e che, dunque, non va assolutamente mescolato con il capitale, il quale ha la sua sola origine nell’erogazione della banca, a diverso titolo, legittimamente produttiva di frutti (art. 821 c.c.) liquidabili periodicamente, una sola volta. La creazione di un apposito monte interessi sarebbe destinato a confluire nel saldo del conto in uno con la sorte capitale .

Mentre la creazione di un apposto monte interessi, distinto dal capitale, con scadenza periodica determinata in virtù dei criteri e delle modalità individuate dal CICR pare una conclusione scontata, il convincimento che sia esclusa ogni forma di capitalizzazione, sia pur in una fase meramente iniziale, non ci pare proprio, in base alla lettera della legge, egualmente pacifico.

La ricerca fatta con riguardo ai lavori preparatori, per quel che possano rilevare[20], non è di grande aiuto: da un canto conferma l’assunto che l’intento del legislatore fosse proprio quello imporre il divieto di anatocismo dall’altro anche in quella sede si fa riferimento «interessi periodicamente capitalizzati», i quali «nelle successive operazioni di capitalizzazione, andranno calcolati esclusivamente sulla quota capitale».

Il problema ermeneutico non sembra ad un primo approccio di facile soluzione e, di sicuro, l’interpretazione autentica della norma delegante non potrà intervenire ad opera della norma delegata emanata dal CICR, anche se questo organo non pare alieno, all’uopo sollecitato dai pareri della Banca d’Italia, ad iniziative autonome debordanti dai confini apposti dalle deleghe[21].

Una cosa però allo stato pare certa: non può essere revocato in dubbio che dalla lettera e dalla ratio della normativa in questione emerga la volontà di impedire che gli interessi per la prima volta capitalizzati, possano produrre interessi “ulteriori” nelle operazioni di capitalizzazione successive alla prima. Pertanto al più potrebbe essere consentita una prima capitalizzazione su debito scaduto, ma non le ulteriori.

A seguito della riforma, l’operatività dell’imputazione dei pagamenti ad interessi prima che a capitale prevista dall’art. 1194 c.c. consentirà, in difetto di capitalizzazione quantomeno ulteriore, una chiara visibilità della diminuzione del conto interessi. L’identicità del computo dei medesimi e l’unicità del monte conteggiato a parte dovrebbe rendere piena contezza al cliente delle automatiche compensazioni[22], che interverranno tra interessi attivi e passivi confluiti in un unico “monte”.

 

[1] Sull’anatocismo giudiziale: A. Fedele, Appunti in tema di anatocismo giudiziale, in Riv. dir. civ., 1952, I, p. 30 ss.; V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991, p. 767 ss.

[2] Lo stesso concetto di anatocismo postula l’applicazione dell’interesse sugli interessi e non sul capitale e comporta il riconoscimento della preesistenza all’interno della rata di un’autonoma quota imputata ad interessi prodotti dal capitale. In argomentoin dottrina A. Bregoli, Mutuo in ammortamento, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, p. 55.

[3] In argomento in tema di scindibilità nell’ambito della rata tra capitale ed interessi Cass., 29 agosto 1998, n. 8657, in Fallimento, 1999, p. 777 ss.. Negli stessi termini Cass., 20 marzo 1998, n. 2925, in Fallimento, 1999, p. 370; Cass., 2 marzo 1988, n. 2196, in Fallimento, 1988, p. 557 ss., ove testualmente si reputa «priva di consistenza la tesi dell’unicità della rata o semestralità di mutuo» alla luce, tra l’altro, della considerazione che lo stesso art. 55 del vecchio t.u. del 1905 «distingue tra capitale, accessori e spese». In senso conforme Cass., 17 settembre 1999, n. 10070, in Fallimento, 2000, p. 1233; Trib. Genova, 9 maggio 2007, in Infoutet, 2007. Sull’autonomia degli interessi compresi nella rata di mutuo ai fini della violazione del divieto di cui all’art. 1283 c.c. Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593, in Dir. e prat. soc., 2003, p. 62 con nota di Vaccaro Belluscio, Divieto di anatocismo esteso ai contratti di mutuo.

[4] G. Romagnoli, Anatocismo, banche, clienti e consumatori: oltre Cass., sez. un., n. 21095/2004, in Nuova giur. civ. comm., 2005, p. 72; Majello, Sub art. 120, in Aa.Vv., Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento ed altri, II, Bologna, 2004, p. 1968.

[5] La giurisprudenza aveva da tempo escluso la ricorrenza di un uso normativo in deroga all’art. 1283 c.c. con riguardo alle società finanziarie: Cass. 12 aprile 1980, in Giur. it., 1982, I, 1, c. 237 con nota di P. D’Amico, Osservazioni in tema di usi e loro estensione soggettiva: materia bancaria, società finanziaria ed anatocismo; Pret. Bologna, 26 ottobre 1998, in Foro it., 1999, I, c. 1680.

[6] Marcelli, L’anatocismo dopo la delibera CICR del 9 febbraio 2000: fatta la pentola, il diavolo ci è cascato dentro, in Il Caso.it.; S. Ambrosini e P.G. Demarchi, Banche, consumatori e tutela del risparmio: servizi di investimento, market abuse e rapporti bancari, Milano, 2009, p. 421. In dottrina in argomento in generale, sulla disapplicazione dell’atto amministrativo, v.: Roselli, La disapplicazione dell’atto amministrativo nella giurisprudenza della Cassazione civile, in Giur. it., 1986, I, p. 703 ss.

[7] In termini: Trib. Venezia, 22 Gennaio 2007; Trib. Torino, 5 ottobre 2007; Trib. Benevento, 18 febbraio 2008; Trib. Mondovì, 10 febbraio 2009, tutte riportate in R. Marcelli, L’anatocismo dopo la delibera CICR del 9 febbraio 2000: fatta la pentola, il diavolo ci è cascato dentro, cit. Di recente v. Trib. Treviso, sez dist. Montebelluna, 10 giugno 2013, n. 110, in Dirittobancario.it , 2013 con nota critica di F.M. De Stefano Grigis, Anatocismo e applicabilità della delibera CICR 09 febbraio 2000 ai contratti di conto corrente anteriori. Costante in giurisprudenza – sempre in termini generali – è l’affermazione secondo cui il G.O., possa accertare incidentalmente illegittimità e disapplicare l’atto amministrativo (Cass., Sez. Un., 1 luglio 2002, n. 9555, in Ced Cassazione, 2002; Cass. Sez. Un., ord. 19 ottobre 2011, n. 21578, ivi; Cass. Sez. Un. 5 settembre 2013, n. 20354, ivi.) in forza della previsione dell’art. 5 L. n. 2248/all. E/1865.

[8] Si legge testualmente: «Il comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è sostituito dal seguente: “2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre.

2. Fino all’entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, continua ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000, recante “Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2, del Testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99)”, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 del presente articolo.

3. La periodicità di cui al comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli conclusi nei due mesi successivi sono adeguati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’introduzione di clausole conformi alla predetta periodicità, ai sensi dell’articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385».

[9] Corte cost. (Ord.), 17 ottobre 2000, n. 425, in Giur.it., 2001, p. 83.

[10] Trib. Mondovì, 10 febbraio 2009, cit.

[11] Trib. Mondovì, 10 febbraio 2009, cit.

[12] L’invalidità sopravvenuta dell’atto amministrativo, secondo autorevole dottrina, interverrebbe quando per cause posteriori alla sua formazione l’atto stesso appare come mancante di un suo elemento essenziale, oppure viziato e per tale motivo suscettibile di essere considerato nullo oppure di essere annullato. Così S. Romano, Scritti minori, II, Osservazioni sulla invalidità successiva degli atti amministrativi, Milano, 1990 (rist.), p. 40 ss.. L’efficacia riflessa delle pronunce di incostituzionalità sugli atti amministrativi è oramai riconosciuta pacificamente dalla giurisprudenza amministrativa. Ex plurimis, Cons. Stato, 11 gennaio 2013, n. 110, in Diritto amministrativo.it., 2013 con nota di V. Sicari, L’invalidità sopravvenuta o incostituzionalità riflessa dell’atto amministrativo.

[13] Cass. Sez. Un. 5-09-2013 n. 20354, cit.

[14] Cass. civ. Sez. lavoro, 15/12/2011, n. 27041, in Infoutet 2011, secondo cui «Le norme speciali sono norme dettate per specifici settori o per specifiche materie, che derogano alla normativa generale per esigenze legate alla natura stessa dell’ambito disciplinato ed obbediscono all’esigenza legislativa di trattare in modo eguale situazioni eguali e in modo diverso situazioni diverse. Le norme eccezionali, invece, sono definite dall’art. 14 preleggi come norme contrarie a regole generali. E’ ovvio che tanto le norme speciali quanto le norme eccezionali si pongano in termini di deroga rispetto a regole generali, perchè finalizzate o a “calibrare” certi istituti alle particolarità specifiche di un determinato settore o perchè sono gli stessi presupposti di fatto che impongono un intervento legislativo derogatorio delle regole vigenti. Ne consegue che in nessun caso ne è ammessa l’applicazione analogica, altrimenti frustrandosi la natura speciale o eccezionale che le caratterizzano».

[15] Vedi in argomento tra le altre Cass., 7 luglio 2006, n. 15563, in CED Cassazione, 2006.

[16] Cass. 11 gennaio 2013, n. 602, cit.

[17] In questi termini G. Romagnoli, Anatocismo, banche, clienti e consumatori, cit. p. 71.

[18] Così si orientano alcuni commentatori sui siti reperiti in rete. Sembra propendere per l’eliminazione dell’anatocismo bancario a seguito dell’avvento della novella: App. Genova, ord., 17 marzo 2014, in Dirittobancario.it.

[19] Quasi assente la lettura scientifica sull’argomento. Si segnala, per quanto ci risulta, l’approfondita riflessione di F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in questa Rivista, 7, 2014, p. 1 ss.

[20] V . Dossier di documentazione Servizio Studi, AC N. 1865-A/XVII AC N. 1865/XVII, Progetti di legge Numero: 95; Progressivo: 2.

[21] Vedi ad esempio proprio la delibera 9 febbraio 2000.

[22] In questi sensi Trib. Genova, 9 maggio 2007, cit. Secondo Cass., 12 maggio 2006, n. 11030, in CED Cassazione, 2006: «In realtà dovrebbe parlarsi di imputazione piuttosto che di compensazione in senso tecnico-giuridico, in quanto l’applicabilità delle disposizioni degli art. 1241 ss. cod. civ. postula l’autonomia dei rapporti dai quali nascono i contrapposti crediti delle parti, mentre quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, e a ciò il giudice può procederesenza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione di una domanda».


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