Premessa
La nuova disciplina relativa ai mercati degli strumenti finanziari, costituita da una Direttiva – la Direttiva 15 maggio 2014, n. 2014/65/UE (la cd. “Markets in Financial Instruments Directive II”, di seguito “MiFID II”) – e da un Regolamento self executing – il Regolamento 15 maggio 2014, n. 600 (il cd. “Markets in Financial Instruments Regulation”, di seguito “MiFIR”) – innoverà significativamente il mondo degli intermediari e dei mercati finanziari negli anni a venire[1]. I principali elementi di novità saranno rappresentati dall’introduzione di una trading obligation per le azioni – ovvero l’obbligo di concludere nei mercati regolamentati, nei sistemi multilaterali di negoziazione, tramite internalizzatori sistematici o nelle trading venue di Paesi terzi riconosciuti le transazioni (in conto proprio o per conto dei clienti) su azioni quotate (rectius ammesse alla negoziazione su di un mercato regolamentato o su altra sede di negoziazione), salva l’esistenza di ragioni legittime[2] che giustifichino il mancato rispetto di tale obbligo – nonché l’introduzione, per la prima volta, di un principio di trasparenza per i prodotti non equity (e.g. obbligazioni, derivati, etc.), il rafforzamento dei poteri di vigilanza ed un’armonizzazione del regime di limite di posizione per i derivati su merce. Ulteriori importanti novità riguarderanno il miglioramento delle condizioni della negoziazione e del regolamento degli strumenti finanziari, anche con la previsione di una nuova piattaforma di negoziazione (l’Organised Trading Facility – OTF – di cui si dirà meglio infra), di una nuova definizione di internalizzatore sistematico, l’introduzione di controlli sulle attività di negoziazione algoritmica, una maggiore protezione per l’investitore (attraverso l’introduzione di migliori requisiti organizzativi tra i quali meccanismi di protezione degli assets del cliente e di governance del prodotto, nonché il rafforzamento dell’esistente regime sanzionatorio che garantisca punizioni effettive e armonizzate a livello europeo) ed, infine, un regime europeo armonizzato per l’accesso nel mercato europeo ad imprese di Paesi terzi basato sul giudizio di equivalenza della Commissione europea[3].
La revisione del perimetro delle sedi di negoziazione: il nuovo approccio per gli internalizzatori sistematici
Gli internalizzatori sistematici nell’ambito della disciplina MiFID
Una delle innovazioni più importanti del plesso MiFID II – MiFIR è, come già ricordato, la revisione del concetto di internalizzazione sistematica. L’internalizzatore sistematico è una figura attualmente già prevista e disciplinata dalla disciplina europea ora vigente, ovvero dalla Direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/39/CE (la cd. “Markets in Financial Instruments Directive”, di seguito “MiFID”)[4], collocata nel novero delle sedi di negoziazione (come tertium genus accanto ai mercati regolamentati ed ai sistemi multilaterali di negoziazione): trattasi di un’impresa di investimento che, in modo organizzato, frequente e sistematico, negozia per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di una delle trading venues[5]. Rispetto alle altre sedi di negoziazione i confini di questa figura si sono rivelati più incerti, avendo il legislatore comunitario del 2004 (seguito da quello nazionale in fase di recepimento) optato per una formula definitoria “aperta”, tale per cui l’attività in parola doveva avere i caratteri dell’organizzazione, della frequenza e della sistematicità. La normativa (sempre europea ma di secondo livello[6]) individuava tre elementi di specificazione della figura in parola, ovvero il fatto che l’attività dovesse rivestire un ruolo commerciale importante ed essere condotta in base a regole e procedure non discrezionali (primo criterio), dovesse essere svolta da personale o mediante un sistema automatizzato (secondo criterio) destinato a tale attività (indipendentemente dal fatto che il personale o il sistema in questione fossero utilizzati esclusivamente a tale scopo) ed, infine, essere accessibile ai clienti su base regolare e continua (terzo criterio)[7]. Gli intermediari che intendessero intraprendere l’attività di internalizzatore sistematico avrebbero poi dovuto fornire, almeno quindici giorni dall’avvio dell’operatività, ogni documento utile dal quale emergesse con chiarezza la sussistenza dei sopraccitati requisiti.
Malgrado anche tali ulteriori specificazioni l’ambito di applicazione rimaneva ancora troppo incerto, trovando spazio diverse interpretazioni tra gli operatori di settore[8]. Con riferimento alla nozione di “ruolo commerciale importante” alcuni facevano, ad esempio, riferimento all’importanza della propria sede di negoziazione in relazione agli ulteriori canali disponibili per lo stesso strumento finanziario, altri consideravano i propri volumi di operatività (numero eseguiti e controvalore) per singolo strumento finanziario, in rapporto all’attività di esecuzione di ordini per conto dei clienti nelle diverse sedi di negoziazione o in rapporto all’attività di internalizzazione degli stessi; altri ancora invece valorizzavano – sotto un profilo qualitativo – il rapporto di complementarietà dell’attività di internalizzazione in genere rispetto agli altri servizi di investimento, in particolare come strumento per assicurare la best execution nei confronti della propria clientela (entrando la propria sede di negoziazione nella strategia di esecuzione) ovvero, infine, ottimizzavano l’importanza dell’attività sotto il profilo della redditività. Anche la lettura in merito alla “presenza di regole e procedure non discrezionali” non era univoca: infatti taluni ritenevano che tale condizione potesse essere soddisfatta dalla mera esistenza di una procedimentalizzazione dell’attività, altri invece si premuravano di specificare anche il contenuto di tali regole; la disciplina dell’attività veniva poi raggruppata in documenti che, in base agli intermediari considerati, aveva una struttura diversa (ovvero un unico regolamento piuttosto che un insieme di procedure).
Il criterio dell’ “attività svolta da personale o da sistemi automatizzati destinati all’attività di internalizzazione sistematica” vedeva, tra gli operatori, un approccio maggiormente uniforme attraverso la predisposizione di specifici sistemi di negoziazione automatizzati per la quotazione, ricezione degli ordini, matching, diffusione dell’informativa e procedure di recovering, nonché anche la previsione di personale in funzione di controllo (con la creazione di comitati ad hoc o con l’utilizzo di strutture già esistenti).
Con riferimento all’ “attività accessibile ai clienti su base regolare e continuativa” le soluzioni adottate erano le più svariate, pur avendo tutti gli operatori previsto formalmente “un accesso alla clientela regolare e continuativo”, tanto con riferimento alle giornate di operatività (e.g. giorni lavorativi, giorni di apertura dei mercati di riferimento o giorni di apertura al pubblico delle filiali) quanto agli orari effettivi di negoziazione (e.g. 9-18, 8.30-17.30 o stessi orari di negoziazione dei mercati di riferimento).
Gli internalizzatori sistematici nell’ambito della disciplina MiFID II/MiFIR
La MiFID II e la MiFIR innovano la figura in parola tanto sotto l’aspetto definitorio quando alla vera e propria impostazione concettuale della figura. Riguardo a quest’ultimo aspetto, come già anticipato, l’internalizzatore sistematico esce dal novero delle sedi di negoziazione. Tale soggetto infatti, a differenza di quanto previsto per i mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione piuttosto che per gli OTF, effettua le operazioni del cliente, su base bilaterale ed impegnando capitale proprio, non potendo quindi combinare gli interessi di acquisto o vendita in modo funzionale come le sopraccitate venues. Ne discende che le negoziazioni per conto proprio effettuate dall’internalizzatore (intermediario) saranno da considerarsi effettuate – pur nel rispetto di una serie di requisiti di trasparenza, di regole di comportamento e di best execution – over the counter. Rispetto a quanto previsto dalla MiFID poi, nuove regole di trasparenza (pre e post trading) vengono introdotte con riferimento anche alle negoziazioni di prodotti diversi dalle azioni, ovvero obbligazioni, ETF, prodotti finanziari strutturati (cd. “prodotti equity like”), certificati di emissione e strumenti derivati (cd. “prodotti non equity”) negoziati in una sede di negoziazione e per i quali vi è un mercato liquido.
L’attuale definizione[9] di internalizzatore sistematico viene invece integrata con la previsione di indicatori quantitativi, ponendo, in particolare, l’accento sulla natura “frequente e sistematica” e sulla “base sostanziale” dell’attività. Tale approccio è stato adottato per rispondere alle difficoltà, sorte nel vigore dell’attuale disciplina, dal ricorso a criteri di natura qualitativa. Anche in sede europea[10] è stato rilevato tale aspetto tanto da suggerire – appunto – l’introduzione di appropriate soglie quantitative. L’art. 4, paragrafo 1, punto 20) della MiFID II, come appena visto, coglie tale indicazione introducendo infatti una definizione di internalizzazione sistematica che è basata, si ripete, su tali criteri[11], ovvero la frequenza, la sistematicità e sostanzialità.
Il modo frequente e sistematico verrà valutato in base alle transazioni effettuate dall’impresa di investimento (in conto proprio) su di un determinato strumento finanziario; per la base sostanziale, invece, si potranno prendere in considerazione due criteri, tra loro alternativi, uno parametrato sull’intermediario (importanza/dimensione delle operazioni svolte dall’impresa di investimento eseguite in contropartita diretta come “internalizzatore” rispetto al totale delle negoziazioni dalla stessa effettuate su quello stesso strumento finanziario) e l’altro utilizzando invece un criterio maggiormente oggettivo (ovvero rapportando l’operatività dall’impresa su un determinato strumento rispetto alle contrattazioni totali effettuate sul medesimo all’intero dell’Unione Europea). È stata poi prevista una clausola “di chiusura” in base alla quale un’impresa, anche qualora non dovesse soddisfare le condizioni di cui sopra, potrebbe decidere di sottoporsi volontariamente alla normativa in parola (in materia di internalizzazione sistematica).
La disciplina di primo livello ha poi demandato alle fonti di secondo livello l’emanazione di criteri specifici[12]. L’Autorità europea dei mercati finanziari, negli scorsi mesi, ha – di conseguenza – elaborato (a seguito di un processo di consultazione[13]) una proposta contenente l’individuazione, in concreto, del concetto di “frequenza e sistematicità” nonché di “base sostanziale”.
I chiarimenti dell’ESMA
Nel proprio documento di consultazione l’ESMA fa una macro distinzione tra intermediari che negoziano in strumenti equity ed equity-like piuttosto di quelli che trattano strumenti non-equity: in entrambi i casi propone di prendere in considerazione, come base di calcolo, i valori dell’ultimo trimestre.
Per i prodotti equity o equity-like l’Autorità europea introduce dei parametri quantitativi diversi, per la valutazione della sistematicità, a seconda che l’impresa operi (per conto proprio) su strumenti finanziari per i quali vi sia un mercato liquido piuttosto che non vi sia. Nel primo caso (mercato liquido) l’ESMA ipotizza, per l’impresa di investimento (internalizzatore), un’operatività in misura almeno pari ad una certa percentuale (viene proposto un range tra lo 0,25 e lo 0,5%) rispetto al numero totale di transazioni su quello specifico strumento finanziario, effettuate in tutta Unione Europea durante il periodo considerato. Per i prodotti illiquidi viene invece proposta un’operatività media giornaliera (per la negoziazione su quel determinato titolo). Con riferimento ai due criteri alternativi per la determinazione della base sostanziale l’Autorità europea propone, in merito al primo, una dimensione delle negoziazioni pari o superiore ad una certa percentuale (tra il 15 ed il 25%) rispetto volume globale delle transazioni effettuate dall’impresa di investimento sullo strumento finanziario considerato e, con riguardo al secondo, una data percentuale delle negoziazioni globali su quello strumento in tutta l’Unione (pari o superiore ad un valore compreso tra lo 0,25 e lo 0,5% del totale degli scambi su quello strumento in Europa).
Con riguardo agli strumenti non equity vengono proposte, oltre alle stesse partizioni previste per i prodotti equity ed equity-like (distinzione liquidi/illiquidi e possibilità alternative per stabilire la base sostanziale), soglie diverse in base al tipo di strumento trattato: obbligazioni, prodotti finanziari strutturati e derivati[14]. Sulle quote di emissione invece, l’ESMA non si esprime.
Successivamente, al termine della consultazione, l’ESMA riceve una serie di riscontri – da parte degli operatori di settore – che la portano, nella fase di elaborazione della Consulenza Tecnica[15] alla Commissione Europea[16], a modificare, in parte qua, i sopraccitati parametri. In particolare viene recepita l’indicazione in merito all’eccessiva brevità di tre mesi come periodo da prendere in considerazione per la verifica dei requisiti, non riuscendo un lasso temporale così corto a cogliere adeguatamente la stagionalità di taluni strumenti (in particolar modo quelli non equity)[17]: nel proprio Technical Advice l’ESMA infatti decide di prendere in considerazione (come tempo di osservazione dell’operatività dell’intermediario) l’ultimo semestre, mantenendo comunque una verifica trimestrale – da effettuarsi il primo giorno lavorativo dei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre – in merito alla sussistenza delle condizioni specificate. Non vengono invece recepite le indicazioni riguardanti la previsione di tempistiche diverse di compliance per quelle imprese che si dovessero qualificare per la prima volta come internalizzatori. Con riferimento agli strumenti non equity, nella nozione di base sostanziale l’ESMA non coglie il suggerimento di usare numeri assoluti e non percentuali[18] raccomandando l’utilizzo del criterio delle due soglie alternative anche se, su suggerimento degli operatori di settore, sostituisce, come parametro di riferimento, il criterio degli scambi con quello del valore nozionale per i prodotti finanziari strutturati ed i derivati[19]. Per i prodotti equity ed equity-like liquidi stabilisce che la frequenza e sistematicità sia data dall’aver eseguito, su base giornaliera, transazioni pari o superiori allo 0,4% delle negoziazioni globali su quello strumento finanziario. Nel caso il mercato non sia liquido ritiene sufficiente un’operatività giornaliera (su quel determinato strumento finanziario). Nel medesimo documento l’ESMA stabilisce la sussistenza della base sostanziale se le negoziazioni, nel corso dell’ultimo semestre, dovessero essere pari o superiori al 15% degli scambi totali – su quello strumento finanziario – effettuati dall’impresa di investimento ovvero allo 0,4% degli scambi globali (effettuati su quello strumento finanziario) all’interno dell’Unione. Per i prodotti non equity l’ESMA determina la frequenza e sistematicità in base ad una percentuale (2-3% per le obbligazioni ed i derivati, 3-5% per i prodotti finanziari strutturati ed i certificati di emissione del numero totale di transazioni eseguite sul relativo strumento all’interno dell’Unione) di transazioni effettuate dall’impresa di investimento su base settimanale. In caso di strumenti illiquidi l’ESMA prende in considerazione una frequenza, almeno settimanale, delle transazioni. Affinché ricorra la base sostanziale la dimensione delle negoziazioni effettuate dovrà essere pari o superiore ad un certo numero di strumenti scambiati dall’intermediario da calcolare sulla base della propria operatività o di quella sullo stesso strumento in tutti i mercati dell’Unione Europea.
Per i calcoli di cui sopra i dati storici dovranno coprire un periodo di almeno sei settimane.
Le sedi di negoziazione: i mercati regolamentati, i sistemi multilaterali di negoziazione ed i sistemi organizzati di negoziazione
Un po’ di storia
Nel vigore della disciplina ante MiFID (Direttiva 10 maggio 1993, n. 93/22/CE, la cd. Investment Service Directive, o anche “ISD”) le negoziazioni in Italia (ma anche in buona parte dell’Europa) si concentravano principalmente nel mercato regolamentato di Borsa[20]. Accanto ad esso convivevano altre realtà, ovvero i cd. “sistemi di scambio organizzato”, privi di una specifica definizione a livello di normativa primaria ma la cui nozione era stata codificata da Consob[21] che li considerava come un insieme di regole e di strutture, anche automatizzate, che consentiva, in via continuativa o periodica, di raccogliere e diffondere proposte di negoziazione di strumenti finanziari e di dare esecuzione a tali proposte con le modalità previste dal sistema. Data la concentrazione degli scambi sul mercato ufficiale, queste strutture avevano però un’importanza residuale: tale situazione non era tanto imposta direttamente ex lege, ma era assicurata, de facto, dalla strutturazione degli obblighi di best execution gravanti nei confronti degli intermediari: infatti si presumeva che una transazione fosse eseguita alle migliori condizioni per il cliente per il solo fatto che fosse trattata all’interno di un mercato regolamentato durante l’orario ufficiale di negoziazione. I sistemi di scambio organizzati venivano quindi in rilievo solo per le contrattazioni cd. “after hours”, ovvero quelle effettuate al di fuori degli orari ufficiali di negoziazione: la concorrenza tra le sedi di negoziazione, nel sistema ante MiFID, era quindi relegata al termine delle contrattazioni ufficiali di Borsa.
La ratio di tale impostazione non si rinveniva tanto in un atteggiamento protezionistico o poco incline alla concorrenza, bensì dalla convinzione che la frammentazioni degli scambi favorisse l’opacità e la scarsa efficienza dei mercati, mentre la concentrazione andasse nella direzione opposta di trasparenza e buon funzionamento del mercato[22].
La Direttiva 21 aprile 2004, n. 2004/39/CE (la cd. “Markets in Financial Instruments Directive”, di seguito “MiFID”) abbandonava invece tale logica. Venivano infatti previste tre principali tipologie di trading venues, ovvero i mercati regolamentati, i sistemi multilaterali di negoziazione (multilateral trading facilities, di seguito anche “MTF”) e gli internalizzatori sistematici. Per tali soggetti era previsto un regime organico che disciplinava l’esecuzione delle operazioni su strumenti finanziari, indipendentemente dalla sede di esecuzione utilizzata, così da garantire (o almeno cercare di farlo) l’efficienza complessiva del sistema finanziario. Ai previgenti sistemi di scambio organizzato veniva permesso il passaggio a trading venue (in particolare nella forma dell’internalizzatore sistematico) o la possibilità di svolgere il servizio di negoziazione in conto proprio.
Cambiava poi la nozione di mercato regolamentato che era definito quale sistema multilaterale, amministrato e/o gestito dal gestore del mercato e che consentiva ovvero facilitava l’incontro – al suo interno e sulla base delle regole proprie non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dar luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione conformemente alle regole e/o ai suoi sistemi. Veniva poi introdotto il concetto di sistema multilaterale di negoziazione, per vero molto simile a quello di mercato regolamentato (essendo anch’esso un sistema che consentiva l’incontro – al proprio interno e sulla base di regole non discrezionali – di interessi multipli[23] di acquisto e vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti) ma che poteva anche essere gestito, oltre che da una società di gestione dei mercati, da un’impresa di investimento. In virtù di tale ultima previsione, la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione diventava quindi un servizio di investimento[24].
La MiFID, mentre da un lato favoriva la concorrenza e, quindi, determinava la conseguente frammentazione degli scambi tra le sedi di negoziazione, dall’altro, per evitare che tale effetto andasse a detrimento della correttezza e del buon funzionamento dei mercati, imponeva stringenti obblighi di trasparenza pre e post negoziazione (obbligatori per le azioni e gli strumenti analoghi, facoltativo per gli altri strumenti ammessi alle contrattazioni). Tale impostazione aveva un duplice obiettivo: da un lato la tutela degli investitori, i quali dovevano poter avere informazioni appropriate per poter assumere le proprie decisioni di investimento/disinvestimento, dall’altro l’integrazione delle sedi di negoziazione ed il rafforzamento del processo di price discovery degli strumenti finanziari.
Tale impostazione aveva però lasciato delle “falle” nel sistema, tanto da permettere che intere famiglie di prodotti potessero essere scambiate al di fuori dei mercati ufficiali e dei sistemi multilaterali (quindi over the counter, di seguito anche “OTC”), in modo assolutamente opaco e con evidenti rischi sistemici. La crisi finanziaria del 2007/2008, determinata dallo scoppio della bolla speculativa dei mutui subprime,ha dimostrato che le scarse informazioni sulle negoziazioni over the counter relative ai prodotti strutturati o derivati collegati a tali mutui, ha contribuito a generare le note difficoltà nel raggiungere prezzi certi e fair. Il fenomeno degenerativo legato a tali finanziamenti ed il relativo crollo dei titoli che incorporavano questi assets, nonché la mancanza di un mercato efficiente e trasparente, hanno causato una forte crisi di fiducia tra investitori professionali e intermediari. Questa situazione ha, di conseguenza, determinato un aumento del costo di finanziamento delle banche, una quasi totale illiquidità dei mercati OTC dove venivano scambiati i titoli cartolarizzati e, da ultimo, evidenti tensioni sul mercato interbancario: la crisi di liquidità fuori da mercati regolamentati si è quindi tradotta in crisi di liquidità bancaria a causa della mancanza di fiducia e del potenziale rischio di controparte.
Le singole sedi di negoziazione nella MiFID II
Per prevenire ed evitare, nel futuro, il verificarsi tali rischi, il legislatore europeo è intervenuto a disciplinare, in primo luogo, gli strumenti derivati non standardizzati (trattati OTC)[25] e, successivamente, con un intervento di più ampio “respiro” a modificare le regole di negoziazione degli strumenti “quotati”. Con riferimento a questo secondo aspetto sono state introdotte, per l’appunto, la MiFID II e la MiFIR, i cui scopi sono stati quelli di garantire che tutte le negoziazioni organizzate avvenissero in sedi regolamentate di negoziazione, che, per l’occasione, sarebbero state integrate (oltre alle due già precedentemente “conosciute” di “mercati regolamentati” e “sistemi multilaterali di negoziazione”) da una terza nuova categoria, quella dei sistemi organizzati di negoziazione (di seguito anche “OTF”, acronimo di Organised Trading Facility). A tutte queste sedi vengono applicati requisiti uniformi di trasparenza pre e post negoziazione: questi ultimi variano quindi non in base alla trading venue prescelta, piuttosto che in base al tipo di strumento negoziato; in particolare vi è una macro distinzione tra quelli rappresentativi di capitale[26] (azioni, certificati di deposito, fondi indicizzati quotati, certificati ed altri strumenti finanziari analoghi) e quelli non rappresentativi di capitale[27] (obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati), ovvero per il tipo di negoziazione prescelto, impostato sugli ordini o sulle quotazioni[28]; allo stesso modo i requisiti che riguardano gli aspetti organizzativi e la vigilanza del mercato applicabili a tutti e tre le sopraccitate sedi sono quasi identici. In tal modo è stata garantita la parità di condizioni laddove esistano attività simili dal punto di vista funzionale che riuniscono gli interessi di negoziazione di terzi: caratteristica comune è la neutralità della piattaforma. I mercati regolamentati e gli MTF presentano invece il maggior grado di affinità rimanendo caratterizzati dall’esecuzione non discrezionale delle transazioni al loro interno, ovvero dal fatto che le operazioni si svolgano secondo norme predefinite. Al contrario, il gestore di un sistema organizzato di negoziazione ha maggiori margini di discrezionalità.
Nel sistema introdotto dalla MiFID (tutt’ora in vigore) sfuggivano infatti ad una piena regolamentazione tali ultimi attori (gli OTF) in quanto sistemi di negoziazione che, pur dotati della multilateralità, non incrociavano gli ordini secondo regole di matching oggettive e predeterminate, ma in modo discrezionale, ovvero in base all’intervento del relativo gestore che decideva, di volta in volta, come abbinare le proposte di vendita con quelle di acquisto. Il sistema organizzato di negoziazione infatti, pur mantenendo le peculiarità di un sistema multilaterale (in quanto, come già detto, consente l’incontro di interessi di acquisto e vendita), diverso comunque da un mercato regolamentato o da un MTF, permette l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita su una serie di prodotti non equity (ovvero obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati)[29].
Il margine di discrezionalità (sul modo di eseguire l’operazione) introdotto (dalla MIFID II) per i gestori di OTF viene, d’altra parte, temperato da una serie di strumenti di protezione dell’investitore sull’esercizio dell’attività e sulla migliore esecuzione nei confronti dei soggetti che si avvalgono di questo tipo di piattaforma[30]. Pertanto, per quanto sia necessario che le norme in materia di metodologia di accesso ed esecuzione di un sistema organizzato di negoziazione siano chiare e trasparenti, esse consentono al gestore di prestare ai clienti un servizio qualitativamente e funzionalmente diverso dai servizi offerti nei mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione ai rispettivi membri e partecipanti. Per garantire la neutralità del gestore di un OTF in relazione a qualsiasi transazione effettuata ed evitare che i doveri nei confronti dei clienti vengano compromessi dalla possibilità di ricavare profitti a loro discapito, è stato vietato al gestore di impiegare capitale proprio nelle negoziazioni[31].
Motivi per cui gli OTF sono stati introdotti tra le sedi di negoziazione
L’obiettivo centrale del legislatore comunitario è stato quello di garantire che tutte le negoziazioni organizzate venissero condotte in una delle trading venues (mercati regolamentati, MTF o OTF) così da applicare requisiti – omogenei per tipo di strumento trattato – di trasparenza pre e post negoziazione[32]. Similmente sono stabilite pressoché identiche condizioni afferenti gli aspetti organizzativi e la sorveglianza del mercato in ciascuna delle tre sedi di cui supra.
Con l’introduzione degli OTF il legislatore comunitario colma quella lacuna informativa presente nella disciplina precedente. La frammentazione delle sedi di negoziazione unitamente alla possibilità di operare al di fuori delle trading venues ufficiali nel vigore della MiFID infatti non garantiva (rectius non garantisce essendo tutt’ora vigente) quella corretta formazione del prezzo degli strumenti finanziari auspicata da più parti con riferimento al mondo non equity (obbligazioni, prodotti di finanza strutturata, quote di emissione e derivati). All’interno degli OFT sono, appunto, negoziati tali strumenti attraverso il matching dei molteplici interessi di acquisto e vendita, sulla base di un approccio discrezionale in merito alle modalità di esecuzione delle transazioni. I gestori di tali sistemi non possono mai operare in conto proprio, fatta salva l’operatività sul debito sovrano.
Una soluzione così congegnata mira a garantire delle condizioni di parità in presenza di attività analoghe dal punto di vista funzionale, in grado di far incontrare gli interessi di negoziazione di terzi. È tuttavia importante ribadire che i requisiti di trasparenza sono stati calibrati in base alle molteplici tipologie di strumenti quali azioni, obbligazioni, derivati e alle diverse tipologie di negoziazioni, tra cui portafoglio ordini e sistemi basati sulla quotazione.
Alcuni (brevi) spunti sui sistemi organizzati di negoziazione
Differenza tra gestore di OTF e internalizzatore sistematico
A questo punto pare quindi agevole individuare le principali differenze tra i gestori di OTF e gli internalizzatori sistematci. I primi gestiscono una sede di negoziazione che, pur potendo contemplare al proprio interno – al contrario delle altre trading venues – una certa discrezionalità, permette l’incontro delle proposte di acquisto/vendita su base non discriminatoria. L’internalizzatore sistematico invece, come più volte ripetuto, esce dal novero delle sedi di negoziazione. Da ciò discende che il gestore di OTF (in virtù della neutralità che caratterizza il suo operato) non può impegnare risorse proprie per l’esecuzione delle transazioni al suo interno (ad eccezione dell’operatività matched principal e di quella sui titoli di stato per i quali non esiste un mercato liquido) mentre, invece, l’attività propria dell’internalizzatore sistematico è, per l’appunto, quella di eseguire l’operazione di acquisto/vendita come controparte, impiegando risorse proprie.
OTF e l’operatività cd. Matched Principal Trading
La negoziazione matched principal è espressamente definita nella MiFID II (nello specifico nell’art. 4, par. 1, punto 38) come un tipo di una transazione nella quale l’intermediario si interpone tra l’acquirente e il venditore in modo da non essere mai esposto al rischio di mercato durante l’intera esecuzione dell’operazione eseguendo, appunto, un incrocio (un matching) simultaneo di ordini sui medesimi strumenti finanziari ma con segno opposto (da un lato comprare e, dall’altro, vendere). In questo modo le uniche utilità percepite dall’intermediario sono rappresentate delle commissioni, onorari o dalle spese di transazione[33]. Vi sono quindi tre elementi che devono sussistere congiuntamente:
– l’intermediario (“facilitatore”) che si interpone tra compratore e venditore non è esposto al rischio di mercato dato dall’esecuzione della transazione (assenza di rischio controparte);
– entrambe le parti eseguono l’ordine in contemporanea (elemento temporale);
– la transazione è conclusa ad un prezzo per cui l’intermediario non percepisce né utili né perdite diverse dalle proprie commissioni di intermediazione o da altre utilità previamente concordate e di cui le parti sono state edotte (componente della struttura remunerativa).
Questa operatività viene espressamente consentita a quegli intermediari finanziari che prestano il servizio di investimento di negoziazione in conto proprio[34]. Infatti se un negoziatore in conto proprio impiega di default le proprie disponibilità per l’acquisto di strumenti finanziari sul mercato va da sé che, a maggior ragione, potrà ben disporre il semplice incrocio degli ordini senza l’utilizzo di risorse proprie.
Discorso in parte diverso va fatto per i gestori delle trading venues (o, almeno, nei confronti di alcune di esse). Caratteristica comune di tali soggetti è, come già ripetuto, la “neutralità” rispetto agli scambi che avvengono nei loro sistemi e, quindi, non poter negoziare ordini con risorse proprietarie. Tale neutralità ed assenza di discrezionalità, che deve guidare l’operato dei gestori dei mercati regolamentati e degli MTF, ha spinto il legislatore comunitario a vietare a tali soggetti anche l’operatività matched principal[35]. I gestori di OTF, potendo gestire le negoziazioni su base discrezionale, potranno invece operare matched principal[36]ma solo per i prodotti non equity (obbligazioni, prodotti finanziari strutturati, quote di emissione e derivati) e nei casi nei quali il cliente abbia acconsentito al processo[37]. In tali situazioni il gestore di un OTF dovrà fornire alla propria Autorità competente informazioni relative al modo in cui viene effettuata la negoziazione matched principal[38].
Non potranno in ogni caso essere sottoposti a tale tipo di operatività gli ordini in strumenti finanziari derivati soggetti all’obbligo di compensazione ai sensi dell’EMIR.
I Broker Crossing Networks
I sistemi di broker crossing possono essere descritti come sistemi elettronici interni, alternativi ai sistemi di negoziazione ordinari, di messa a confronto, utilizzati da imprese di investimento che eseguono gli ordini dei clienti a fronte di ordini di altri clienti. In particolare tali sistemi permettono l’incrocio automatico degli ordini di acquisto e vendita per l’esecuzione, senza indirizzarli verso un mercato regolamentato o un MTF. Questi broker/dealer impiegano sistemi computerizzati per incrociare gli acquirenti ed i venditori di grandi quantità di titoli: il vantaggio dei crossing networks è la capacità di eseguire un grande quantitativo di ordini senza incidere sul prezzo ufficiale. Tali sistemi tendono ad essere utilizzati per i titoli ad elevata liquidità; offrono inoltre commissioni molto basse, l’anonimato nelle compravendite nonché un’incidenza (quasi) nulla sul mercato delle operazioni eseguite.
Questa categoria comprende altresì sistemi per la negoziazione di derivati sufficientemente liquidi e ammessi alla compensazione. Non include invece sistemi in cui non abbia luogo un’autentica esecuzione o organizzazione della negoziazione, quali bacheche elettroniche usate per pubblicizzare interessi di acquisto e di vendita, altre entità che riuniscono o raggruppano potenziali interessi di acquisto e di vendita o servizi elettronici di conferma post negoziazione.
La MiFID II/MiFIR interviene anche in tale area prevedendo una disciplina anche per tali soggetti, obbligandoli a essere trattati come una trading venue (per la precisione un OTF) ovvero come un internalizzatore sistematico. Da ciò derivano due importanti conseguenze: da un lato i sistemi in commento dovranno essere soggetti ad un regime autorizzatorio previsto dalla disciplina di settore, dall’altro dovranno sottostare alle medesime regole di trasparenza pre e post negoziazione stabilite per tutte le trading venues piuttosto che per gli internalizzatori sistematici[39].
[1] Infatti gran parte della sopraccitata disciplina si applicherà (la MiFIR) o dovrà essere implementata (la MiFID II) a partire da (o entro il) 3 gennaio 2017.
[2] Sono da considerarsi ragioni legittime la natura non sistematica, ad hoc, irregolare ed infrequente delle transazioni over the counter (ovvero eseguite al di fuori delle sedi di negoziazione), ovvero situazione nelle quali le transazioni sono effettuate tra eligible or professional counterparties e npn contribuiscono al processo di formazione dei prezzi.
[3] Per una panoramica sulle principali novità della MiFID II e MiFIR si vedano, inter alia, European Commission – Banking and Finance, Markets in Financial Instruments Directive (MiFID II): Frequently Asked Questions, 15 aprile 2014, rinvenibile al seguente link ipertestuale http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-305_en.htm?locale=en e Bonante, Gallicchio, MiFID II e MiFIR, recenti sviluppi, febbraio 2014, in Diritto Bancario (approfondimenti) e Tarola, Leoni, Gilberti, Rizzo, Mosco, Pace, Ciccaglioni, Tempestini, Amato, Giammarile, Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia, Position Paper, Roma, giugno 2014.
[4] Disciplina che, come abbiamo visto, verrà sostituita dalla MiFID II e dalla MiFIR.
[5] Così l’art. 4, par. 1, n. 7 MiFID così come trasposto in Italia nell’art. 1, comma 5-ter del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il “Testo Unico della Finanza”, di seguito “TUF”).
[6] Trattasi del Regolamento della Comunità Europea 10 agosto 2006, n. 1287.
[7] Tali criteri vengono poi ripresi pedissequamente dall’art. 21 della Delibera Consob 29 ottobre 2007, n. 16191 (il cd. “Regolamento Mercati”).
[8] Per una panoramica delle diverse soluzioni adottate dagli operatori di settore si veda Tarola, Leoni, Gilberti, Rizzo, Mosco, Pace, Ciccaglioni, Tempestini, Amato, Giammarile, Mappatura delle infrastrutture di negoziazione in Italia, Position Paper, Roma, giugno 2014, 9-11.
[9] Si veda l’art. 4 (definizioni), punto 20 della MiFID II:
“20) «internalizzatore sistematico»: un’impresa di investimento che in modo organizzato, frequente, sistematico e sostanziale negozia per conto proprio eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di negoziazione senza gestire un sistema multilaterale.
Il modo frequente e sistematico si misura per numero di negoziazioni fuori listino (OTC) su strumenti finanziari effettuate dall’impresa di investimento per conto proprio mediante esecuzione degli ordini dei clienti. Il modo sostanziale si misura sia per dimensioni delle negoziazioni OTC effettuate dall’impresa di investimento in relazione al totale delle negoziazioni dell’impresa di investimento sullo strumento finanziario specifico, oppure per dimensioni delle negoziazioni OTC svolta dall’impresa di investimento sullo strumento finanziario specifico. La definizione di internalizzatore sistematico si applica solamente quando sono superati i limiti prefissati in relazione al modo frequente e sistematico e al modo sostanziale o quando un’impresa di investimento sceglie di partecipare al regime degli internalizzatori sistematici”.
[10] Si veda CESR (ora diventato European Securities and Markets Authority, d’ora innanzi “ESMA”), Tecnical Asvice to the European Commission in the Context of the MiFID Review – Equity Markets (CESR/10-802).
[11] L’ESMA ha chiarito, nel proprio documento di consultazione sulla MiFID II/MiFIR del 22 maggio 2014, che “[…] understands that the purpose of introducing quantitative criteria is to establish a clearer legal framework which will assist investments firms in assessing whether they are a systematic internaliser un a particular financial instrument and need to comply with the relevant pre-trade transparency obligations and other requirements for systematic internalisers”. Così ESMA, Consultation Paper – MiFID II/MiFIR 22 maggio 2014, n. ESMA/2014/549, punto 5, 192.
[12] Tali criteri devono essere stabiliti dall’ESMA con un Technical Advice alla Commissione Europea la quale elaborerà, sulla base di tale documento, gli atti delegati.
[13] Trattasi del Consultation Paper ESMA/2014/549, 191 ss..
[14] Affinché si possa configurare frequenza e sistematicità vengono proposte le seguenti percentuali:
· in caso di strumenti liquidi:
– obbligazioni: un numero di negoziazioni pari o superiore al (2-3%) del totale delle transazioni eseguite sullo stesso strumento finanziario nell’Unione;
– prodotti finanziari strutturati: un numero di negoziazioni pari o superiore al (3-5%) del totale delle transazioni eseguite sullo stesso strumento finanziario nell’Unione;
– strumenti derivati: un numero di negoziazioni pari o superiore al (2-4%) del totale delle transazioni eseguite sullo stesso strumento finanziario nell’Unione;
· in caso di strumenti illiquidi:
– per tutti gli strumenti: frequenza minima di negoziazione pari ad almeno una volta a settimana.
La base sostanziale è invece determinata dalla dimensione media delle transazioni su di un determinato strumento (trattato dall’internalizzatore) che deve essere pari o superiore:
· obbligazioni:
– al 25% del totale delle transazioni sullo stesso strumento finanziario eseguite dall’impresa di investimento ovvero;
– allo (0,5-1,5%) del totale delle transazioni sullo stesso strumento finanziario all’interno dell’Unione;
· prodotti finanziari strutturati: i due criteri alternativi sono, rispettivamente, 30% e (1,5-3)%;
· derivati: i due criteri alternativi sono, rispettivamente, 25% e (1,5-3)%;
[15] Si veda ESMA, Final Report – ESMA’s Technical Advice to the Commission on MiFID II and MiFIR del 19 dicembre 2014, n. ESMA/2014/1569, par. 3.3, 220 ss..
[16] Alla data in cui viene redatto tale contributo la Commissione Europea non ha ancora emanato atti delegati sul punto.
[17] Così ESMA, Final Report, cit., 222.
[18] Alcuni operatori, in sede di consultazione, hanno infatti rilevato come, con riferimento a taluni strumenti a reddito fisso, potrebbe esserci anche una sola impresa di investimento attiva che concentra il 100% dell’ammontare nominale negoziato in tutta l’Unione.
[19] Così ESMA, Final Report, cit., 229, n. 55: “With regard to the substantial criterion, responses suggest to use the thresholds based on notional volume rather than turnover. Respondents emphatises that the market value would otherwise introduce volatility into calculation. They also stressed that market valuation is currently based on methodologies which are not standardized and, thus, difficult to compute. ESMA agrees with those comments and recommends using the nominal amount for bonds and SFPs [prodotti finanziari strutturati] and the notional amount for derivatives”.
[20] Per approfondimenti sul tema si veda, ex multis, Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, VI ed., 2012, 281 ss..
[21] Si veda comunicazione Consob, 24 dicembre 1998, n. 98097747.
[22] Così anche Felici, Ippolito, I sistemi multilaterali di negoziazione, in La MiFID in Italia, Zitiello (a cura di), Torino, 2009, 766.
[23] Il legislatore della MiFID aveva avuto modo di chiarire come non rientrassero nella definizione di sistemi multilaterali di negoziazione i sistemi bilaterali dove un’impresa di investimento intraprendeva ogni operazione per proprio conto e non come controparte interposta tra l’acquirente ed il venditore senza l’assunzione di rischi.
[24] Per vero la gestione di un MTF, pur compresa nell’elenco dei servizi di investimento, manteneva elementi di prossimità con l’area dei mercati regolamentati. Infatti le regole di condotta e organizzazione di un gestore di MTF erano (lo sono tutt’ora) molto più simili rispetto a quelle di un gestore di mercato regolamentato rispetto che di un fornitore di un servizio di investimento, tanto con riferimento al regime di trasparenza (pre e post negoziazione), che con la presenza di regole di funzionamento chiare e trasparenti per consentire una negoziazione corretta e ordinata, nonché per regolare l’ammissione di strumenti finanziari e l’accesso degli operatori ai mercati, per effettuare attività di controllo (così prevenire comportamenti anomali e abusi di mercato) ed, infine, per predisporre dispositivi/procedure efficaci per verificare il rispetto delle regole da parte degli operatori.
[25] Il legislatore comunitario è intervenuto con il Regolamento europeo 4 luglio 2012, n. 648 (cd. “EMIR”). In linea generale, l’EMIR introduce, per le controparti finanziarie e non finanziarie, tre principali obblighi:
· ricorrere a “controparti centrali” (cd. “CCP”) per la compensazione dei derivati OTC;
· adottare tecniche di mitigazione del rischio per i derivati OTC non oggetto di compensazione;
· segnalare ai “repertori di dati” (cd. “Trade Repositories”) le informazioni relative ad ogni contratto derivato stipulato e ogni modifica o cessazione dello stesso.
Per un approfondimento sul tema si vedano, ex multis, Gaudiello, La Malfa, Pontesilli, Il 15 marzo 2013 l’EMIR entra in vigore: problematiche ancora aperte e primi suggerimenti operativi in Dirittobancario.it, marzo 2013; Zaghini, L’obbligo di compensazione dei derivati OTC nel Regolamento EMIR. Il Discussion Paper dell’ESMA, in Dirittobancario.it, luglio 2013; Fogliata, L’impatto del regolamento Emir sui contratti derivati in corso e futuri: considerazioni di un tecnico dall’evidenza empirica in Dirittobancario.it,Febbraio 2014, La Malfa, EMIR e Basilea 3: obblighi e convenienza del clearing presso CCP delle operazioni in derivati, in Dirittobancario.it, maggio 2014 e Lucantoni,Osservatorio: L’organizzazione della funzione di post-negoziazione nella regolamentazione EMIR sugli strumenti finanziari derivati OTC in Banca Borsa, V, 2014, 642 ss..
[26] Si veda Titolo II (Trasparenza delle sedi di negoziazione), Capo 1 (Trasparenza degli strumenti rappresentativi di capitale) della MiFIR (artt. 3-7).
[27] Si veda Titolo II (Trasparenza delle sedi di negoziazione), Capo 2 (Trasparenza degli strumenti non rappresentativi di capitale) della MiFIR (artt. 8-11).
[28] Il Considerando (16) della MiFIR recita che: “Per garantire condizioni uniformi tra le sedi di negoziazione è necessario applicare i medesimi requisiti di trasparenza pre-negoziazione e post negoziazione alle diverse tipologie di sedi. È opportuno che i requisiti di trasparenza siano calibrati in base alle diverse tipologie di strumenti finanziari, ivi comprese azioni, obbligazioni e strumenti derivati, tenendo in conto gli interessi degli investitori e degli emittenti, tra cui gli emittenti di titoli di Stato, e la liquidità di mercato. I requisiti dovrebbero essere calibrati in base alle diverse tipologie di negoziazione, ivi compresi i sistemi orden driven e quote-driven, quali ad esempio i sistemi per la richiesta di quotazioni, come pure i sistemi ibridi e voice broking, e tenere conto della dimensione dell’operazione, compreso il volume d’affari, e altri criteri pertinenti”.
[29] L’art. 4, par. 1, n. 23) della MiFID definisce il sistema organizzato di negoziazione quale “un sistema multilaterale diverso da un mercato regolamentato o sistema multilaterale di negoziazione che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi ad obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati, in modo da dare luogo a contratti conformemente al titolo II della presente direttiva”.
[30] Ai sensi del Considerando (9) della MiFIR: “La nuova categoria OTF andrà a integrare i tipi esistenti di sedi di negoziazione. Mentre i mercati regolamentati e i sistemi multilaterali di negoziazione sono caratterizzati da norme non discrezionali per l’esecuzione delle operazioni, il gestore di un OTF dovrebbe effettuare l’esecuzione degli ordini su base discrezionale fatti salvi, qualora applicabili, i requisiti di trasparenza pre-negoziazione e l’obbligo di esecuzione alle condizioni migliori. Di conseguenza, le norme di comportamento e gli obblighi relativi all’esecuzione alle migliori condizioni e alla gestione degli ordini dei clienti dovrebbero applicarsi alle operazioni concluse in un sistema organizzato di negoziazione gestito da un’impresa di investimento o un gestore del mercato. Inoltre, i gestori del mercato autorizzati a gestire un OTF dovrebbero garantire l’osservanza del capo 1 della direttiva 2014/65/UE concernenti le condizioni e le procedure per l’autorizzazione delle imprese di investimento. L’impresa di investimento o il gestore del mercato che gestisce un OTF dovrebbe poter esercitare il potere discrezionale a due livelli diversi: in primo luogo nella decisione di inserire un ordine in un OTF o di ritirarlo una volta inserito e in secondo luogo nella decisione di non abbinare uno specifico ordine con gli ordini disponibili nel sistema in un dato momento, sempre che siano rispettate le istruzioni specifiche ricevute dai clienti e l’obbligo di esecuzione alle condizioni migliori.
Per il sistema che incrocia gli ordini dei clienti, il gestore dovrebbe poter decidere se, quando e in che misura desidera abbinare due o più ordini all’interno del sistema. Conformemente all’articolo 20, paragrafi 1, 2, 4 e 5, della direttiva 2014/65/UE e fatto salvo l’articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2014/65/UE l’impresa dovrebbe poter facilitare la negoziazione tra clienti in modo da far incontrare due o più interessi di negoziazione potenzialmente compatibili in una transazione. A entrambi i livelli discrezionali il gestore dell’OTF deve rispettare gli obblighi di cui agli articoli 18 e 27 della direttiva 2014/65/UE. Il gestore del mercato o l’impresa d’investimento che gestisce un OTF dovrebbe chiarire agli utenti della sede in che modo eserciterà il potere discrezionale. Poiché un OTF costituisce una vera e propria piattaforma di negoziazione, il gestore della piattaforma dovrebbe essere neutrale. Pertanto, l’impresa di investimento o il gestore del mercato che gestisce l’OTF dovrebbero essere soggetti ai requisiti relativi all’esecuzione non discriminatoria e né all’impresa di investimento né al gestore del mercato che gestisce l’OTF né a qualsiasi altra entità che faccia parte dello stesso gruppo societario e/o persona giuridica dell’impresa di investimento o del gestore del mercato dovrebbe essere consentita l’esecuzione di ordini di clienti in conto proprio all’interno di un OTF”.
[31] Il soggetto che effettua le operazioni dei clienti impiegando capitale proprio è, come visto, l’intermediario che svolge il servizio di negoziazione per conto proprio nella forma dell’internalizzazione sistematica e del market making. Tuttavia quest’ultimo non è in grado di consentire l’incontro di interessi di acquisto e di vendita di terzo allo stesso modo di un mercato regolamentato, MTF e OTF e, pertanto, non è una trading venues. Vengono però applicate le norme relative all’esecuzione alle migliori condizioni e le regole di comportamento, in modo tale che il cliente sappia sempre con chiarezza quando effettua negoziazioni con l’impresa di investimento e quando con terzi. Ai negoziatori-internalizzatori vengono altresì applicati i requisiti di trasparenza pre-negoziazione e di accesso. Anche in questo caso, i requisiti di trasparenza sono calibrati in base alle molteplici tipologie di strumenti, quali azioni, obbligazioni e derivati. Qualsiasi negoziazione per conto proprio effettuata da imprese di investimento con i rispettivi clienti, ivi comprese altre imprese di investimento, viene pertanto considerata fuori listino (OTC). L’attività di negoziazione OTC che non rientra nella nuova definizione dell’attività di internalizzatore sistematico può quindi essere solo non sistematica, ad hoc e irregolare.
[32] Relativamente ai mercati regolamentati, i requisiti di trasparenza vengono estesi alle obbligazioni, agli strumenti finanziari strutturati, alle quote di emissione e agli strumenti derivati ammessi alla negoziazione. Per i sistemi multilaterali e organizzati di negoziazione si estenderanno alle obbligazioni e agli strumenti finanziari strutturati ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato o per i quali è stato pubblicato un prospetto, nonché alle quote di emissione e agli strumenti derivati negoziati sui sistemi multilaterali e organizzati di negoziazione.
[33] Art. 4, par. 1, punto 38 della MiFID II: “negoziazione «matched principal»: una negoziazione in cui l’intermediario si interpone nella transazione tra l’acquirente e il venditore in modo da non essere mai esposto al rischio di mercato durante l’intera esecuzione della transazione, con le due parti della transazione eseguite simultaneamente, e la transazione è conclusa ad un prezzo al quale l’intermediario non realizza né utili né perdite, fatta eccezione per le commissioni, gli onorari o le spese della transazione comunicati precedentemente”.
[34] Si veda il considerando 24 della MiFID II: “La negoziazione per conto proprio in sede di esecuzione degli ordini dei clienti dovrebbe comprendere le imprese che eseguono gli ordini di diversi clienti incrociandoli su base matched principal (eseguendo cioè per proprio conto operazioni a compensazione di quelle dei clienti con la cosiddetta tecnica del back to back trading); tali imprese dovrebbero essere considerate come debitori principali e dovrebbero essere soggette alle disposizioni della presente direttiva concernenti sia l’esecuzione di ordini per conto dei clienti che la negoziazione per conto proprio”.
[35] Per i gestori di MTF si veda l’art. 19, par. 5 della MiFID II: “Gli Stati membri non autorizzano le imprese di investimento o i gestori del mercato che gestiscono un sistema multilaterale di negoziazione ad eseguire ordini dei clienti impegnando capitale proprio né ad effettuare negoziazioni «matched principal»”. Per i gestori dei mercati regolamentati si veda l’art. 47, par. 2 della MiFID II: “Gli Stati membri non autorizzano i gestori del mercato ad eseguire ordini dei clienti impegnando capitale proprio né ad effettuare negoziazioni «matched principal» in nessuno dei mercati regolamentati gestiti”.
[36] I gestori di OTF potranno anche effettuare negoziazioni in conto proprio diverse dal matched principal trading in relazione a titoli di debito sovrano in relazione ai quali non esiste un mercato liquido.
[37] Così l’art. 20 par. 2 e 3 della MiFID II:
“2. Gli Stati membri autorizzano le imprese di investimento e i gestori del mercato che gestiscono un sistema organizzato di negoziazione ad effettuare matched principal trading per obbligazioni, prodotti finanziari strutturati, quote di emissione e taluni derivati, esclusivamente nei casi in cui il cliente abbia acconsentito al processo.
L’impresa di investimento o il gestore del mercato che gestisce un sistema organizzato di negoziazione non effettua negoziazioni matched principal per eseguire ordini dei clienti in un sistema organizzato di negoziazione in strumenti derivati appartenenti a una categoria di derivati dichiarata soggetta all’obbligo di compensazione in conformità dell’articolo 5 del regolamento (UE) n. 648/2012.
L’impresa di investimento o il gestore del mercato che gestisce un sistema organizzato di negoziazione stabilisce dispositivi intesi a garantire la conformità della definizione di «matched principal trading» di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 38).
3. Gli Stati membri autorizzano le imprese di investimento o i gestori del mercato che gestiscono un sistema organizzato di negoziazione ad effettuare negoziazione per conto proprio diversa dal matched principal trading solo in relazione a titoli di debito sovrano per i quali non esiste un mercato liquido”.
[38] Così l’art. 20, par. 7 della MiFID II.
[39] Così il cosiderando n. 6 della MiFIR: “È importante garantire che la negoziazione di strumenti finanziari avvenga per quanto possibile in sedi organizzate e che tutte queste sedi siano regolamentate in modo adeguato. A norma della direttiva 2004/39/CE si sono sviluppati alcuni sistemi di negoziazione che non erano stati opportunamente inseriti nel regime di regolamentazione. Qualsiasi sistema di negoziazione di strumenti finanziari, quali ad esempio le entità attualmente note come reti di broker crossing, dovrebbe essere adeguatamente regolamentato ed essere autorizzato nell’ambito di una delle tipologie di sedi multilaterali di negoziazione o quale internalizzatore sistematico alle condizioni stabilite nel presente regolamento e nella direttiva 2014/65/UE”. Così anche il considerando 11 della MiFIR che contempla una sorta di clausola “anti elusiva”: “Per garantire che un maggior numero di negoziazioni abbia luogo in sedi di negoziazione regolamentate e su internalizzatori sistematici, nel presente regolamento dovrebbe essere introdotto per le imprese di investimento un obbligo di negoziazione per le azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato o negoziate in una sede di negoziazione. Le imprese di investimento devono pertanto effettuare tutte le transazioni, comprese quelle effettuate per conto proprio e quelle in esecuzione degli ordini dei clienti, in un mercato regolamentato, in un sistema multilaterale di negoziazione su un internalizzatore sistematico o negoziazioni equivalenti di paesi terzi. È tuttavia opportuno prevedere una deroga dal suddetto obbligo di negoziazione se esiste una motivazione legittima. Le motivazioni legittime riguardano i casi in cui le negoziazioni sono non sistematiche, ad hoc, irregolari e saltuarie, oppure sono tecniche, come le transazioni give-up che non contribuiscono al processo di formazione del prezzo. La deroga da tale obbligo di negoziazione non dovrebbe essere usata per eludere le restrizioni introdotte riguardo all’utilizzo della deroga basata sul prezzo di riferimento e di quella basata su operazioni negoziate, oppure per gestire una rete di broker crossing o altri sistemi di crossing […]”.