Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi su un tema che ha diviso dottrina e giurisprudenza penalistiche, ovvero sulla rilevanza penale delle false valutazioni ai sensi della fattispecie di reato di cui all’art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali), così come modificata dalla L. 27 maggio 2015, n. 69.
La Corte ha formulato il seguente principio di diritto: “Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione” se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.
Richiamando per sommi capi la questione, si ricorda come la citata novella abbia rimodellato il fatto tipico di cui all’art. 2621 c.c. da “ […] espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge […]” in “[…] consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge […]”.
Ai sensi di un primo indirizzo giurisprudenziale, rappresentato dalle sentenze “Crespi” (Cass. n. 33774/2015) e “Banca Popolare dell’Alto Adige” (Cass. n. 6916/2016), vi sarebbe stata una parziale abrogazione della precedente disposizione incriminatrice. Infatti, l’eliminazione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” nonché di ogni riferimento alle “informazioni”, con la residua rilevanza entro il fatto tipico dei soli “fatti”, in uno con l’aggiunta dell’aggettivazione “rilevanti”, rappresenterebbero l’intenzione del Legislatore di abrogare la rilevanza penale delle false valutazioni (sempre che si tratti di valutazioni di una realtà materialmente esistente).
Secondo un diverso e opposto orientamento non ci sarebbe stato invece, nella legge di riforma, alcun effetto abrogativo. Con le sentenze “Giovagnoli” (Cass., n. 890/2016) e “Beccari” (Cass., n. 12793/2016), infatti, la medesima Sezione V della Corte, ma in diversa composizione, affermava come l’eliminazione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” non avesse alcun effetto quanto alla portata della norma posto che la proposizione “ancorché” avrebbe mero effetto concessivo e non selettivo. Inoltre, “materiali” e “rilevanti” non sarebbero riferiti ad un necessario carattere di “oggettività” del dato di bilancio ma si tratterebbe piuttosto di termini del linguaggio contabile di matrice anglosassone ed europea, per cui “materiali” starebbe per materials, cioè importanti – essenziali, e “rilevanti” (di cui all’art. 2, punto 16 della Direttiva 2013/34/UE) indicherebbe la capacità dei dati (falsi) di condizionare le scelte dei destinatari delle comunicazioni sociali. Secondo una visione sistematica, poi, eliminare la rilevanza della false valutazioni significherebbe, di fatto, abrogare il reato di false comunicazioni sociali: la novella di cui alla L. n. 69/2015 si inserisce in un’azione di politica criminale “anticorruzione”, e questa finalità sarebbe incompatibile con la depenalizzazione di uno dei principali reati-spia della corruzione, cioè proprio del falso in bilancio.
Il 4 marzo 2016 la questione veniva sottoposta alle Sezioni Unite le quali, con una tempistica record, all’udienza del 31 marzo 2016 si pronunciavano nel senso di confermare la rilevanza penale delle false valutazioni, entro il perimetro di tipicità del delitto di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c., aderendo sostanzialmente, pur con argomenti non del tutto coincidenti, all’interpretazione delle sentenze “Giovagnoli” e “Beccari”.
Rileva anzitutto il Collegio come le valutazioni apposte in bilancio siano (o debbano essere) elaborate secondo criteri e regole, di diversa provenienza: la legge (ad. es. artt. 2423 ss. c.c.), la normativa europea, ovvero attraverso l’elaborazione dottrinaria poi ufficializzata da soggetti “certificatori” (quali sono ad esempio gli International Financial Reporting Standard). Si tratta di un metodo di valutazione convenzionale e quindi ricostruibile e accertabile quale “giusto” o “sbagliato”, trattandosi essenzialmente di una discrezionalità tecnica. Il prodotto di tale attività valutativa, pertanto, potrà ben essere “falso” o “genuino”, a seconda che si accerti che il compilatore del bilancio si sia attenuto o meno, nella propria attività discrezionale-tecnica, ai parametri e ai vincoli del caso. Non si tratta, in sostanza, di valutazioni libere, ma vincolate normativamente e/o tecnicamente.
Si tratta della categoria del “falso valutativo”, già nota ad altri settori dell’ordinamento penale, dalla falsa perizia ex art. 373 c.p. al campo della “falsità medica” (così come ricostruita, tra l’altro, da Cass., n. 15773/2007). La responsabilità penale conseguirà quindi, anche per quanto riguarda il falso in bilancio ex art. 2621 c.c., all’accertamento dell’avere il compilatore (dolosamente) violato le norme che ne avrebbero dovuto guidare le attività valutative, senza darne adeguata evidenza o informazione giustificativa.
Il Giudice conferma poi l’impostazione della sentenza “Giovagnoli” quanto alla definizione del carattere di “rilevanza” dei fatti materiali, introdotto con la riforma del 2015. Si tratta in buona sostanza della efficacia decettiva o fuorviante dell’informazione falsa (o omessa), che deve essere tale da alterare in misura apprezzabile il quadro d’insieme e da influire sulle determinazioni dei soci, dei creditori e del pubblico. Si conferma quindi il carattere di reato di pericolo (concreto) del nuovo falso in bilancio: la falsa valutazione, perché rilevi penalmente, deve essere tale da generare l’effettivo pericolo di condizionare in maniera fuorviante i destinatari della comunicazione, e tale idoneità della falsificazione, eliminate ora dalla fattispecie le soglie di punibilità, dovrà essere accertata dal Giudice, con riferimento al caso di specie e attraverso un giudizio prognostico ex ante.