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Note

Le Sezioni Unite e la nullità di protezione ex art. 127 TUB

3 Febbraio 2015

Ugo Malvagna

Si pubblica, qui di seguito, un estratto della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242 (le medesime argomentazioni della quale sono versate anche nella sentenza «gemella» n. 26243).

Nell’affrontare la questione «relativa alla individuazione delle condizioni per la formazione e l’estensione dell’efficacia del c.d. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità» (tale è il compito affidato alle Sezioni Unite dall’ordinanza di rimessione), il Supremo Collegio viene a svolgere un ampio obiter avente per oggetto la sussistenza, o meno, del potere/dovere del giudice di rilevare ex officio le nullità c.d. di protezione.

Sul punto, l’arresto in parola afferma – in contrasto con il principio espresso, sempre in obiter, dalla sentenza delle Sezioni Unite, 4 settembre 2012, n. 14828 – che l’indagine intorno alla sussistenza di un profilo di nullità rientra nell’attività officiosa dell’organo giudiziale, anche quando si versi in un caso di nullità protettiva.

Un simile esito interpretativo è raggiunto sulla scorta del rilievo dell’«unità funzionale» del vizio di nullità, come volto alla tutela d’interessi di matrice superindividuale: che si identificano, nelle ipotesi di nullità protettiva, in un principio di «ordine pubblico di protezione», espressivo di «valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli». In altri termini, i principi costituzionali coinvolti dalle discipline di protezione (solidarietà, efficienza del mercato, tutela del risparmio, etc.) fanno salire la protezione del contraente (come esponente di un determinata categoria o serie: cliente, consumatore, impresa subfornitrice, etc.) a parametro oggettivo – e a rilevanza pubblicistica – di valutazione della validità dell’atto.

Dall’unità funzionale così delineata discende, sul piano disciplinare, la riconducibilità dello statuto codicistico del contratto nullo a ciascuna ipotesi di nullità. Per l’effetto, la regola del rilievo officioso deve intendersi come applicabile altresì alle nullità «di protezione virtuale» (i.e., fattispecie legali di nullità con funzione protettiva e a legittimazione ristretta, in cui non vi sia la menzione espressa della rilevabilità).

In questa prospettiva, il Collegio aggiunge – a precisazione dell’assunto esposto – che l’esclusione della legittimazione del professionista si pone in un rapporto di perfetta coerenza con il rilievo d’ufficio del vizio: ché, altrimenti, «la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole».

In definitiva, l’opzione ricostruttiva accolta dalle Sezione Unite viene a segnare il definitivo distacco delle nullità di protezione da forme di annullabilità «renforcée», in favore di una piena confluenza nella nullità negoziale codicistica (in termini tanto di fattispecie, quanto di disciplina).

Confluenza che – può a tal riguardo chiosarsi – coesiste con un tratto di specificità proprio di questa forma di nullità, consistente nel suo operare «a vantaggio» del contraente protetto. E pone così un problema di coordinamento tra nullità protettiva e non protettiva, la cui soluzione può astrattamente impostarsi in maniera duplice: o costruendo la variante «di protezione» come sottosistema interno alla nullità ex art. 1418 c.c.; ovvero intendendola come struttura rimediale disciplinarmente autonoma, e attingente alla nullità contrattuale tout court solo per taluni profili, sistematicamente generali (come quello qui in discorso). Com’è chiaro, si tratta di questione sistematica d’importanza centrale, rimasta però estranea alle linee argomentative della pronuncia.

* * *

Ciò detto, non è forse inutile segnalare che l’argomentare del Supremo Collegio fa mostra – in specie, nell’incipit dello stralcio qui riportato – di concepire le nullità ex art. 127 t.u.b. in una prospettiva che pone al proprio centro l’atto negoziale (o, se si vuole, la valida formazione della fattispecie-contratto). Così esprimendo una tendenza alla sovrapposizione e all’identificazione della violazione della norma presidiata da una nullità protettiva, con un vizio di natura strutturale.

Una prospettiva siffatta si differenzia, in questo rispetto, da una recente pronuncia di merito (Trib. Torino, 31 ottobre 2014, anch’essa rinvenibile su dirittobancario.it), il cui interesse è dato dal fatto che la stessa attribuisce un significato spiccatamente funzionale alla regola ex art. 127 t.u.b., che concepisce in termini di criterio-guida di lettura e di «gestione» dinamica del rapporto banca-cliente. In particolare, la fattispecie emergente da quella pronuncia verteva su un contratto bancario in cui era formalizzata l’eventualità di uno sconfinamento, e non si faceva menzione di alcuna apertura di credito. Il giudicante ha ammesso il cliente a provare per presunzioni (e quindi senza i limiti probatori previsti dall’art. 2725 c.c. per i contratti richiedenti forma scritta ad substantiam, tra i quali rientrano i contratti tra banca e cliente ex art. 117 t.u.b.) che l’operazione in essere, per come emergente dagli scalari di conto, fosse riconducibile a un fido di fatto, e ha per l’effetto condannato la banca a continuare ad applicare le condizioni economiche desumibili da quegli scalari. Applicare la disposizione dell’art. 2725 c.c. avrebbe comportato una interpretazione della regola ex art. 117, co. 1, t.u.b. in danno del cliente, e quindi in contrasto con l’art. 127 t.u.b. Per un simile percorso argomentativo, v. Cass., 25 luglio 2013, n. 18079.

* * *

I principi fissati dalla Corte di Cassazione sembrano portatori di due ulteriori ordini di conseguenze disciplinari, che non hanno trovato espressa esplicitazione nella pronuncia in parola.

Da un lato, dalla ricostruzione della nullità di protezione in termini di «vera» nullità dovrebbe pure conseguire l’inapplicabilità alla stessa dell’art. 1444 c.c., in quanto tratto disciplinare proprio di un vizio – l’annullabilità – la cui natura fa sì che il divieto di venire contra factum prevalga sull’interesse dell’ordinamento alla negazione degli effetti dell’atto invalido; interesse che, trattandosi di nullità, costituisce invece «irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell’organizzazione sociale» (p. 22 della sentenza). In questo senso, v. già Cass., 22 marzo 2013, 7283.

Dall’altro, il ragionamento del Supremo Collegio viene a rendere la questione del novero dei legittimati all’azione di nullità meno scontata di quanto tradizionalmente non la s’intenda (e cioè come nullità «relativa» in senso tecnico). Poiché se il «senso» della nullità di protezione non è quello di un rimedio ad attivazione di parte, bensì quello di un rimedio a rilievo officioso, purché non contrastante con l’utile del cliente, allora non sussistono limiti dogmatici all’estensione della legittimazione anche a soggetti terzi, portatori di un interesse (come predica in termini generali l’art. 1421 c.c.): il problema diventando, semmai, quello dell’individuazione degli strumenti tecnici che, al tempo stesso, garantiscano il più ampio rilievo del vizio ed evitino ogni pregiudizio al soggetto protetto.

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Riferimenti bibliografici.

Per l’inquadramento sistematico della «regola di protezione» fissata dall’art. 127 t.u.b., e un’indicazione delle sue possibile applicazioni, si veda Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, 39 ss. Sul rilievo pubblicistico della trasparenza, per come in particolare conformante l’attività di Vigilanza della Banca d’Italia, si veda Carriero, Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti, in Scritti per Franco Belli, II. Studi, Pisa, 2014, 543 ss.

Sul tema del coordinamento sistematico tra nullità «classica» e nullità di protezione, v. gli studi classici di: Polidori, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001; Scalisi, Contratto e regolamento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, 459 ss.; Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. del contratto, diretto da Roppo, IV, a cura di Gentili, Milano, 2006, 37; Gentili, La «nullità di protezione», in Eur. dir. priv., 2011, I, 77 ss.; Pagliantini, La nullità di protezione tra rilevabilità d’ufficio e convalida: lettere da Parigi e dalla Corte di Giustizia, in Riv. dir. priv., 2009, 139 ss.

Sulla questione dell’ammissibilità di una convalida nelle nullità protettive, v., in termini negativi, Dolmetta, Trasparenza, cit., 302, nonché – in senso parzialmente difforme – Girolami, Le nullità dell’art. 127 t.u.b., di prossima pubblicazione su Banca, borsa, tit. cred., 2015, I; Ead., Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della moderna nullità relativa, Padova, 2008, 429 ss.

In relazione al profilo della legittimazione all’azione di nullità di protezione, v. di recente Malvagna, Credito fondiario, nullità «a vantaggio del cliente» e legittimazione di altri, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, 139 ss., nel senso dell’estendibilità della legittimazione all’azione di nullità protettiva di un mutuo fondiario anche ai creditori chirografari del cliente, e della operatività del rilievo del vizio ai soli fini dell’efficacia della prelazione, impregiudicato il rapporto tra banca e cliente.

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Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242. Estratto della sentenza.

(…Omissis…)

3.7. La sistematica della patologia del contratto che individua la ratio della nullità nella tutela di interessi generali dell’ordinamento è certamente coerente con la nullità per contrarietà a norme imperative ovvero a principi fondamentali dell’organizzazione sociale, come nel caso di negozio contrario al buon costume, all’ordine pubblico o a causa illecita. L’obiezione secondo cui non sarebbe corretto attribuire in toto al rilievo officioso della nullità “la funzione di elidere il disvalore regolamentare espresso dal contratto nullo”, per la non pertinenza di tale aspetto funzionale rispetto alle ipotesi di cd. nullità strutturali, non è del tutto convincente. Si assume, infatti, che tali ipotesi di nullità presuppongono il difetto di un elemento essenziale del contratto, come la forma o l’accordo, mentre altre sono poste a tutela di un interesse privato, o si connotano come meramente prescrittive di un onere che resta inadempiuto: rispetto ad esse – si afferma – l’ordinamento non manifesta un giudizio di disvalore o di immeritevolezza, quanto, piuttosto, di inutilità. A tale argomento sembra potersi replicare – salvo quanto si dirà tra poco in tema di nullità di protezione – che, in tali ipotesi, insieme con il particolare, si tutela comunque un interesse generale, seppur in via indiretta: l’interesse “proprio dell’ordinamento giuridico a che l’esercizio dell’autonomia privata sia corretto, ordinato e ragionevole”. In altri termini, è come se il legislatore, predisposta una struttura normativa “significante”, destinata espressamente alla tutela del singolo soggetto, abbia poi voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore e diverso “significato”, non espresso (ma non per questo meno manifesto), costituito, appunto, dall’interesse dell’ordinamento a che certi suoi principi-cardine (tra gli altri, la buona fede, la tutela del contraente debole, la parità di condizioni quantomeno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati.

Il carattere di specialità della nullità non elide l’essenza della categoria della nullità stessa, coniugandosi entrambe in un sinolo di tutela di interessi eterogenei – in guisa da evitare la eccessiva frammentazione tipica dell’esperienza francese, di tal che quella funzione di tutela di un interesse generale non appare più “fantomatica”, come una autorevole dottrina ha proposto di considerare, poichè quello stesso interesse, ben definito, a che non si dia attuazione a un contratto nullo per via giudiziale forma pur sempre (anche) oggetto di un interesse “generale”.

Le nullità speciali, pertanto, non hanno “fatto implodere il sistema originario delineato dal legislatore del 1942”. Se è vero che i fenomeni economico-sociali non si lasciano imprigionare in schematismi troppo rigidi, è altrettanto vero che una equilibrata soluzione che ricostruisca le diverse vicende di nullità negoziale in termini e in rapporti di genus a species appare del tutto predicabile ancor oggi, così come solidamente confortata dalla stessa giurisprudenza comunitaria.

3.8. La chiave interpretativa prescelta appare, del resto, in sintonia con la storia stessa dell’istituto, che, come si ricorderà, solo con il codice del 1942 approdò per via normativa a una diversificazione della nullità dalla fattispecie dell’annullabilità, creando un sistema affatto speculare sulla scorta dell’esperienza (non più solo francese, ma anche) tedesca, cristallizzata nel BGB (testo normativo che, nel distinguere tra Nichtigkeit e Anfechtbarkeit, avrebbe peraltro conservato la figura normativa del Rechtsgeschaeft, apparentemente accantonato dal codice italiano: vale la pena rammentare, in proposito, come non esista nel nostro ordinamento una norma corrispondente al p. 143 del BGB, secondo la quale l’effetto di annullamento è ricollegato all’atto di parte anzichè a quello del giudice, anche se, al di fuori del processo, l’effetto sostanziale di tale atto si manifesta solo dopo l’emanazione del provvedimento del giudice, onde, di quest’ultimo, la innegabile natura di elemento costitutivo della fattispecie che produce quell’effetto sul piano sostanziale).

Il codice civile del 1865, difatti, non disciplinava espressamente la fattispecie dell’annullabilità e trattava unitariamente quelle della nullità e della rescissione (artt. 1300 e 1311), accomunate da una medesima dimensione morfologica (quella della patologia genetica dell’atto), e funzionale (le relative azioni “duravano 5 anni”, ferma la imprescrittibilità delle relative eccezioni). Il regime dettato per la nullità era, nei fatti, non dissimile da quello oggi vigente per l’annullabilità, tanto che le cause di nullità contrattuale si estendevano dalla carenza dei requisiti formali all’errore, alla violenza e al dolo incidenti (art. 1111 c.c.1865).

Il novum del codice del A42, ossia la ponderata discriminazione tra le due forme d’invalidità, venne tendenzialmente riportato, nelle riflessioni consolidate della dottrina dell’epoca, al piano “quantitativo” della maggiore o minore gravità del vizio: la nullità rappresentava l’esito di un giudizio di radicale disvalore dell’ordinamento, sanzionando un contratto che, per ragioni strutturali, non era meritevole di tutela, come tale inidoneo a produrre gli effetti voluti dalle parti, anche se non mancò chi, ebbe a discorrere, assai autorevolmente, addirittura di un fenomeno di inqualificazione giuridica, anzichè di semplice qualificazione negativa dell’atto da parte dell’ordinamento.

3.9. Le ricostruzioni più vicine nel tempo impronteranno, come già accennato, la comprensione delle differenze di regime alle diverse finalità perseguite dal legislatore: mentre l’annullabilità tutela interessi qualificati ma particolari, la nullità è volta alla protezione di interessi prettamente generali dell’ordinamento, afferenti a valori ritenuti fondamentali per l’organizzazione sociale, piuttosto che per i singoli (non a caso, e proprio per questo, si è parlato incisivamente di nullità “politiche” rimarcandone la valenza pubblicistica e rammentandosi, nel contempo, come tanto in ordinamenti a noi vicini – quale quello francese e tedesco – quanto in seno al diritto anglosassone la rilevabilità d’ufficio della nullità sia pacificamente ammessa; in Inghilterra e negli Stati Uniti, in particolare, tutte le volte in cui il contratto risulti illegale).

Di qui la diversa valutazione giuridica della nullità in chiave di inefficacia originaria e non “precaria”, come per l’annullabilità; e, soprattutto, di qui il potere officioso di rilievo giudiziale, non previsto dal codice del 1865.

3.10. Queste considerazioni possono ancora mantenere immutati valore e sostanza – anche se, giova ribadirlo, agli specifici fini della valutazione e dell’interpretazione dell’art. 1421 c.c. – pur alla luce della innegabile trasformazione dell’istituto della nullità in uno specifico presidio di specifici soggetti, attraverso la sempre più frequente introduzione di figure di invalidità cd. relative.

Parte della dottrina osserva criticamente che le recenti fattispecie di nullità negoziale mutano la vocazione generale di tale categoria, offrendo protezione a interessi particolari e seriali, facenti capo a soggetti singoli e/o gruppi specifici.

Ma è stato incisivamente fatto notare, in senso opposto, che queste nullità cd. di protezione sono anch’esse volte a tutelare interessi generali, quali il complessivo equilibrio contrattuale (in un’ottica di microanalisi economica), ovvero le stesse regole di mercato ritenute corrette (in ottica di macroanalisi), secondo quanto chiaramente mostrato dalla disciplina delle nullità emergenti dalla disciplina consumeristica, specie di derivazione comunitaria, per le quali si discorre sempre più spesso, e non a torto, di “ordine pubblico di protezione”.

Non è questa nè la sede per aderire, sul più generale piano dei principi, all’una o all’altra teoria, entrambe sostenute, in dottrina, con dovizia e solidità di argomenti.

Tuttavia, per quel che qui interessa – la rilevabilità officiosa della nullità -, la tesi dell’interesse generale va riaffermata.

L’analisi prende le mosse, traendo linfa argomentativa, dalla legittimità di una ricostruzione del rilievo officioso della nullità in funzione della tutela di interessi superindividuali alla luce della sua asserita inattualità, avuto riguardo all’ampio numero di nullità cd. speciali poste funzionalmente a tutela della parte debole del contratto.

3.12. Sebbene non si rinvengano disposizioni normative che espressamente escludano la rilevabilità d’ufficio di casi nullità, non pochi autori hanno sostenuto che le nuove fattispecie di nullità cd. protettive, poste al confine fra le due categorie della nullità e dell’annullabilità, sarebbero incompatibili con la rilevabilità d’ufficio e porrebbero un limite di carattere sostanziale ad una tale rilevabilità. E la scelta legislativa di rendere una delle parti arbitra della sorte del contratto parrebbe prima facie porsi in insanabile contrasto logico con l’attribuzione al giudice del potere di sostituirsi ad essa nella valutazione circa la caducazione o la conservazione del vincolo. Ammettere una soluzione diversa creerebbe, dunque, un’insanabile antinomia: da un lato, frusterebbe la ratio della nullità relativa di riservare alla parte protetta la scelta tra conservazione e invalidazione del contratto, dall’altro, porrebbe seri problemi in relazione al principio della disponibilità delle prove. Sarebbe quindi insuperabile la difficoltà di contemperare la ferma preclusione per il giudice di acquisire d’ufficio fatti rilevanti per la dichiarazione di nullità con le nuove nullità di atti che non sono di per sè invalidi, ma (esemplificando) solo se non negoziati, se hanno l’effetto di restringere la concorrenza, se attribuiscono il controllo di una concentrazione o se sfruttano una dipendenza economica.

3.12.1. La tesi che esclude la compatibilità tra poteri officiosi e la disciplina delle nullità protettive, pur nella sua indiscutibile suggestione, non è, peraltro, immune da alcune fragilità argomentative, tanto da essere efficacemente contrastata da altra dottrina, favorevole a estendere l’ambito di applicazione dell’art. 1421 cod. civ. anche a quelle nuove invalidità sancite per la violazione di norme poste a tutela di soggetti ritenuti dalla legge economicamente più deboli, di fronte a situazioni di squilibro contrattuale, sulla scorta del piano quanto efficace rilievo che la legittimazione ad agire ristretta ai soli soggetti indicati dalla norma non si riverbera ipso facto in una consequenziale esclusione del potere di rilievo officioso delle nullità in questione ex art. 1421 c.c..

Si è detto “indiscutibile” lo scopo della nullità relativa volto anche alla protezione di un interesse generale tipico della società di massa, così che la legittimazione ristretta non comporterebbe alcuna riqualificazione in termini soltanto privatistici e personalistici dell’interesse (pubblicistico) tutelato dalla norma attraverso la previsione della invalidità. Il potere del giudice di rilevare la nullità, anche in tali casi, è essenziale al perseguimento di interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti, quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza quantomeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.: si pensi alla disciplina antitrust, alle norme sulla subfornitura che sanzionano con la nullità i contratti stipulati con abuso di dipendenza economica, alle disposizioni sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, che stabiliscono la nullità di ogni accordo sulla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del creditore, ex D.Lgs. n. 231 del 2002), poichè lo squilibrio contrattuale tra le parti altera non soltanto i presupposti dell’autonomia negoziale, ma anche le dinamiche concorrenziali tra imprese. La pretesa contraddizione fra legittimazione riservata e rilevabilità d’ufficio risulta soltanto apparente, se l’analisi resta circoscritta al profilo della rilevazione della causa di nullità.

Non può, infatti, tralasciarsi di considerare che il legislatore contemporaneo codifica fattispecie di nullità nelle quali convivono la legittimazione riservata e la rilevabilità d’ufficio (ex aliis, quelle di cui all’art. 36, comma 3 e art. 134, comma 1, Cod. Consumo;

quella prevista dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 127, comma 2; e la nullità di cui al D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 7). E il potere del giudice, in questi ambiti, rafforza l’intensità della tutela accordata alla parte che, in ragione della propria posizione di strutturale minor difesa, potrebbe non essere in grado di cogliere le opportunità di tutela ad essa accordata.

Va pertanto rivista e precisata in parte qua l’affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietato al giudice l’indagine in ordine a una nullità protettiva.

Tale affermata esclusione, che ha prestato il fianco alle critiche di chi, in dottrina, lamenta che sostenere l’inammissibilità del rilievo officioso di una nullità speciale, in difetto di una espressa disposizione legislativa in tal senso, condurrebbe a conseguenze incongrue (come, ad esempio, nel caso del preliminare di un acquisto di immobile da costruire nullo perchè carente della fideiussione prevista dalla legge a pena di nullità, D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122, ex art. 2, comma 1), merita, peraltro, una ulteriore precisazione.

3.13. Difatti, la quaestio nullitatis, intesa nella sua più generale portata, si presta a differenti valutazioni a seconda che di essa ci si limiti alla semplice rilevazione, ovvero si proceda alla sua dichiarazione a seguito di accertamento giudiziale (senza affrontare, al momento, la questione dell’idoneità all’effetto di giudicato).

3.13.1. Limitando l’indagine alla sola rilevazione d’ufficio, la stessa sentenza 14828 del 2012 non manca di osservare come la giurisprudenza comunitaria sia univocamente orientata nel senso della sua necessità (e ciò è a dirsi del tutto a prescindere dalla questione se, sul piano del diritto interno, il carattere di rilevabilità officiosa delle nullità speciali sia o meno predicabile sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 36 del codice del consumo, inteso come norma a carattere generale del sistema delle nullità di matrice consumeristica).

D’altronde, non va dimenticato che queste Sezioni Unite non erano state illo tempore chiamate a pronunciarsi su di una generale reimpostazione del sistema delle nullità speciali (sistema che, comunque, sembrerebbe più adatto ad una valutazione caso per caso, attesa la molteplicità delle ipotesi di nullità relativa offerte dal dato normativo, in relazione al diverso aspetto funzionale di ciascuna norma).

3.13.2. Le indicazioni provenienti dalla stessa Corte di Giustizia in tema di rilievo officioso (nella specie, delle clausole abusive nei contratti relativi alle ipotesi di cd. commercio business-to- consumer) consentono di desumere un chiaro rafforzamento del potere- dovere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità, (nella sentenza Pannon del 4 giugno 2009, in causa C-243/08, la Corte ha stabilito che il giudice deve esaminare di ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga, qualificando, in buona sostanza, in termini di dovere l’accertamento officioso del giudice circa il carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in siffatti contratti, sia pure con il limite, ostativo alla disapplicazione, dell’opposizione del consumatore). E proprio in conseguenza degli interventi della Corte di giustizia sembra destinata a restare definitivamente sullo sfondo, senza assumere il rilievo che parte della dottrina ha cercato di attribuirvi, la nozione di nullità relativa intesa come realizzazione di una forma di annullabilità rafforzata (di cui è traccia nel non condivisibile decisum di questa Corte, nella sentenza 9263/2011) anzichè come species del più ampio genus rappresentato dalla nullità negoziale.

Nullità che non a torto è stata definita, all’esito del sopravvento del diritto europeo, ad assetto variabile, e di tipo funzionale, in quanto calibrata sull’assetto di interessi concreto, con finalità essenzialmente conformativa del regolamento contrattuale, ma non per questo meno tesa alla tutela di interessi e di valori fondamentali, che trascendono quelli del singolo. Si è così osservato che, se le nullità di protezione si caratterizzano per una precipua natura ancipite, siccome funzionali nel contempo alla tutela di un interesse tanto generale (l’integrità e l’efficienza del mercato, secondo l’insegnamento della giurisprudenza europea) quanto particolare/seriale (quello di cui risulta esponenziale la classe dei consumatori o dei clienti), la omessa rilevazione officiosa della nullità finirebbe per ridurre la tutela di quel bene primario consistente nella deterrenza di ogni abuso in danno del contraente debole.

3.13.3. La rilevabilità officiosa, pertanto, sembra costituire il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate “di protezione virtuale”.

Il potere del giudice di rilevarle tout court appare essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti – quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l’unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela.

3.13.4. Senza dire, poi, come le nuove species di nullità esemplifichino casi totalmente ignoti al legislatore del 1942, onde l’interrogativo sul quanto sia (poco) razionale invocare la nominatività dell’incipit dell’art. 1421 al fine di escludere un non certo irragionevole ricorso al procedimento di integrazione analogica.

La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità – lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico – consente di riaffermare a più forte ragione l’esigenza di conferire al rilievo d’ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell’organizzazione sociale.

La soluzione della rilevabilità officiosa tout court apparirà ulteriormente confermata dalla considerazioni che si andranno di qui a poco a svolgere, alle quali va sin d’ora premesso che il mantenimento dell’unità funzionale della categoria e la conferma della sua ratio super-individuale determinano ricadute non marginali sulle successive scelte dell’interprete quanto agli effetti della rilevazione ex officio iudicis.

(…Omissis…)

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