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Attualità

Le Sezioni Unite sull’azione di nullità del lodo per violazione delle regole di diritto relative al merito: rilevanza del principio e note minime in tema di redazione di clausole arbitrali

16 Maggio 2016

Avv. Vittorio Pisapia, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Cassazione Civile, Sez. Unite, 09 maggio 2016, n. 9341, n. 9284, n. 9285

Di cosa si parla in questo articolo

1. – Con sentenze n. 9341, 9284 e 9285 del 9 maggio 2016 le Sezioni Unite risolvono un’importante questione in tema d’impugnazione del lodo rituale per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia.

Va ricordato che il lodo può essere impugnato, di regola, per motivi di natura procedurale o anche sotto il profilo della sua conformità alle regole di diritto sostanziale; in quest’ultimo caso, però, solo a date condizioni, di cui ora diremo.

In concreto, il lodo potrebbe essere ineccepibile proceduralmente, ma errato dal punto di vista (del diritto) sostanziale. Ad esempio, il lodo ha violato la regola (sostanziale) dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) e ha respinto una domanda di condanna al pagamento di una somma dovuta a titolo di restituzione di mutuo, addossando al creditore (che pur abbia dato dimostrazione del mutuo e della relativa erogazione) l’onere (spettante, invece, al mutuatario) di provare la (mancata) restituzione della somma mutuata.

Se questa decisione fosse emessa da un giudice statuale, il creditore potrebbe chiederne la riforma deducendo che, ex art. 2697 c.c., sarebbe stato onere del convenuto provare la restituzione, e, che, in mancanza di tale prova, la domanda avrebbe dovuto essere accolta.

2. – In ambito arbitrale la soluzione (oggi) è diversa: infatti, ex art. 829, c. 3 c.p.c., come riformulato dall’art. 24 d.lgs n. 40/2006, l’impugnabilità del lodo per violazione di regole di diritto relative al merito presuppone che nella convenzione arbitrale le parti abbiano previsto tale facoltà; diversamente il lodo, pur manifestamente errato, non sarà, di regola, impugnabile sotto questo profilo.

Ma, com’è noto, non è stata sempre questa la regola: fino alla riforma dell’arbitrato del 2006, il principio era l’opposto, ossia, nel silenzio della convenzione, il lodo era impugnabile anche per violazione di regole sostanziali, salva diversa volontà delle parti.

Tuttavia l’art. 27 d.lgs n. 40/2006 ha previsto che l’art. 829, c. 3 c.p.c., come riformulato dall’art. 24, si applichi “ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto” (2 marzo 2006). Da qui la questione: il nuovo art. 829, c. 3. c.p.c. è applicabile o no ad arbitrati promossi dopo il 2 marzo 2006, basati però, su convenzione anteriore al 2 marzo 2006? La risposta positiva è sembrata, a molti, ingiusta perché comportante un mutamento, a partita già iniziata, delle regole del gioco. La giurisprudenza, in parte, ha però ritenuto dirimente il dato letterale della norma (art. 27), la quale stabilirebbe l’applicabilità dell’art. 829, c. 3, c.p.c. senza distinguere se la convenzione arbitrale sia anteriore o posteriore all’entrata in vigore del decreto (cfr. Cass., 17 settembre 2013, n. 21205).

3. – In questo contesto interviene ora la Cassazione, la quale – a sezioni unite – ha risolto il conflitto giurisprudenziale e ha affermato il seguente principio: “l’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge – cui l’art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato”.

Dunque, se la convenzione è anteriore al 2 marzo 2006, ossia all’entrata in vigore del d.lgs n. 40/2006, e le parti nulla hanno previsto in essa, il lodo sarà impugnabile anche per violazione di regole di diritto sostanziale.

Infatti – dice la Cassazione – “non è possibile che una norma sopravvenuta ascriva al silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il futuro in termini diversi da quelli definiti dalla legge vigente al momento della conclusione del contratto”.

4. – Le pronunce delle S.U., al di là della loro oggettiva rilevanza giuridica, richiamano l’attenzione su un tema – di tecnica redazionale – a volte trascurato in sede di stipula di una clausola compromissoria: anche dopo la riforma del 2006 diverse clausole hanno continuato a essere stipulate senza prevedere alcunché quanto all’impugnazione per violazione di regole di diritto relative al merito della controversia. Talora è stata una scelta consapevole, volta a ottenere un lodo più stabile (in quanto più difficilmente impugnabile) rispetto a una sentenza; talora no, con il risultato che il cliente, di fronte a un lodo manifestamente erroneo dal punto di vista sostanziale, ha dovuto scoprire, solo a giochi fatti, che quella decisione, per lui ingiusta, non era – in sostanza – impugnabile (e – per di più – ha dovuto – verosimilmente – farsi carico, in base al principio della soccombenza, pure delle spese legali – proprie e della controparte – e di quelle di funzionamento dell’organo arbitrale).

Queste pronunce offrono, quindi, anche lo spunto per meditare sulla necessità – soprattutto oggi, alla luce del principio del favor per l’arbitrato – di una maggiore diffusione della cultura arbitrale, e ciò nell’ottica di una scelta consapevole sia della via arbitrale che del contenuto della clausola compromissoria.

Non è questa la sede per affrontare in modo approfondito le principali tematiche in tema di tecniche di redazione delle clausole arbitrali. Ciò che tuttavia vale la pena qui evidenziare, a conclusione di queste note, è che, ai fini di una corretta ed efficace redazione di una (valida) clausola arbitrale, è fondamentale aver presenti alcuni principi, i quali fungono da linee guida per valutare anzitutto se stipulare una clausola arbitrale e, nel caso, come redigerla. Tra essi vengono in rilievo: a) il principio dell’interpretazione della convenzione arbitrale secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.; b) il principio del carattere, di regola, dispositivo, delle norme codicistiche in materia di arbitrato; c) il principio del favor per l’arbitrato rituale rispetto all’arbitrato irrituale; d) il principio per cui solo il lodo rituale è idoneo di per sé a fondare l’esecuzione forzata (in quanto munito di exequatur); e) il principio della necessità della forma scritta della convenzione arbitrale; f) il principio per cui la sede dell’arbitrato – la quale rappresenta una finzione giuridica – è essenziale anzitutto per individuare quale sia la legge arbitrale applicabile nonché, per l’arbitrato domestico, quale sia il giudice a svolgere le diverse funzioni di ausilio in relazione al procedimento arbitrale (ad esempio, in tema di nomina o ricusazione degli arbitri) ovvero il giudice competente, tra l’altro, per l’impugnazione del lodo; g) il principio per cui l’impugnazione per nullità del lodo è ammessa solo per i motivi di cui all’art. 829 c.p.c., esclusa la violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia – salvo – appunto – che sia“espressamente disposta dalle parti o dalla legge” (è ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico; il quarto comma prevede poi che tale impugnazione è sempre ammessa : 1) nelle controversie di cui all’art. 409 c.p.c.; 2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questioni pregiudiziali su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato). Al riguardo occorre peraltro considerare che, “ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c. (nel testo, applicabile “ratione temporis”, novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006), gli “errores in iudicando” possono essere fatti valere, quale causa di nullità del lodo, solo laddove tale possibilità sia espressamente prevista dalla legge ovvero contemplata dalle parti, in maniera chiara ed inequivocabile, nella clausola compromissoria o in altri atti anteriori all’instaurazione del procedimento arbitrale, non potendosi ritenere sufficiente la mera previsione, ivi contenuta, di una decisione secondo diritto, sostanzialmente riproduttiva dell’art. 822 c.p.c. ed astrattamente riconducibile, pertanto, alla volontà di escludere il potere degli arbitri di decidere secondo equità” (Cass., 25 settembre 2015, n. 19075).

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