1. Ormai da tempo, il legislatore sia europeo, sia nazionale, è impegnato nello sviluppo di nuovi strumenti volti a facilitare l’afflusso di capitali a beneficio delle piccole e medie imprese, e di quelle in fase di crescita: crowdfunding, nuove regole per organismi di investimento collettivo (EuVeCa; EuSeF; ELTIF; OICR sotto-soglia); minibond; despecializzazione dell’attività creditizia; creazione di sistemi di negoziazione ad hoc; Piani Individuali di Risparmio (PIR); ecc. Forse non si può ancora parlare di un compiuto sottosistema speciale della c.d. capital market regulation pensato per le PMI, ma è indubbio che vi sono vari segnali che vanno in questa direzione. Se si pone, ad esempio, a confronto il Testo Unico della Finanza (TUF) nella versione oggi vigente con il testo originario, o anche soltanto con la versione risalente a una decina di anni fa, si può svolgere un confronto (anche meramente visivo) eloquente: nel corpo del TUF di allora non si faceva menzione delle PMI; il fenomeno era del tutto sconosciuto. Ora, invece, quel fenomeno entra a più livelli e connota, tra gli altri, il mondo degli organismi di investimento collettivo (OICR), che si è modificato, subendo vere e proprie alterazioni “genetiche” in funzione del perseguimento di obiettivi di politica legislativa o economica a favore, o a sostegno delle PMI.
In particolare, proprio lo schema dell’OICR ha mostrato la sua capacità di evolversi e di adattarsi, per raggiungere finalità che, oggi, sembrano lontane da quelle che ne giustificarono l’introduzione negli Stati Membri dell’Unione partire dagli anni ‘60-’70 del secolo scorso e che, successivamente, furono poste alla base della prima direttiva comunitaria in materia (la c.d. “UCITS”, risalente, nella sua prima versione, al 1985, e oramai giunta alla sua quinta edizione). Nella prima formulazione di quella direttiva (così come nella prima legge italiana in materia, la legge n. 77/1983) gli OICR erano concepiti come strumenti di investimento di massa, destinati alla raccolta presso il pubblico di grandi capitali, da investire essenzialmente in emittenti quotati o in titoli liquidi. Lo schema di riferimento era l’OICR aperto, rivolto alla platea indistinta del pubblico di risparmiatori. Quel modello si è ampiamente diversificato nel tempo, fino a giungere all’elaborazione di schemi nuovi, che modificano sia il profilo originario dell’OICR, sia il rapporto tra l’OICR e l’impresa oggetto di investimento, rompendo – per tale via – alcuni dei più classici “tabù” della disciplina di questa materia, come, ad esempio, quello per il quale un OICR non potrebbe, né dovrebbe, mai detenere il controllo di un’impresa target. Siffatta impostazione, infatti, è ormai venuta meno, giacché, nel campo di cui ci occupiamo, gli OICR investono, controllano e si ingeriscono direttamente nelle imprese target, con l’obiettivo di generare valore per i loro investitori.
E’ proprio in questo solco che si inserisce – ma con notevoli, e spiccate peculiarità – il nuovissimo istituto delle cosiddette “società di investimento semplice “ (“SIS”), che emerge dallo schema di decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 2 aprile 2019 (c.d. Decreto Crescita): un testo, peraltro, ancora non definitivo, stante la necessità di affinare le numerose novità dallo stesso introdotte, tra le quali quella di cui si discute.
2. In base a quanto risulta dal testo dell’art. 28 dello schema del Decreto Crescita (e dalle modifiche che tale articolo introdurrà al Testo Unico della Finanze) le SIS si configurano come società aventi quale oggetto sociale esclusivo “l’investimento collettivo raccolto in PMI non quotate su mercati regolamentati di cui all’art. 2, par. 1, lett. f) del regolamento (UE) n. 2017/1129 del 14 giugno 2017 che si trovino nella fase di sperimentazione, di costruzione e di avvio dell’attività.” Lo scopo è dunque chiaro, e pienamente allineato alle altre iniziative già evocate: supportare PMI e imprese in fase di crescita, con uno strumento ad hoc, che faciliti la raccolta dei relativi capitali.
La forma giuridica delle SIS è previsto che sia quella della società per azioni di diritto comune, con alcune peculiarità: innanzitutto, la SIS può avere un “capitale” massimo di 25 milioni di Euro, da raccogliersi presso “investitori professionali e/o business angel”, mediante l’offerta di “azioni e di altri strumenti finanziari partecipativi”. In secondo luogo, la SIS deve avere sede legale e direzione generale in Italia, e può essere “gestita da uno o più soggetti in possesso dei requisiti di onorabilità ai sensi dell’art. 13, co. 2 e 5 del TUF”. In terzo luogo, si dispone che le SIS non possano emettere obbligazioni, e che ad esse non si applichino gli artt. 2349, 2350, co. 2 e 3, 2353, 2447 e 2447-decies del codice civile.
La sintetica definizione così introdotta dall’art. 28 dello schema di Decreto nel corpo del TUF insiste, pertanto, su due ambi: il primo, è quello della natura giuridica della società, e dei suoi tratti caratterizzanti; il secondo, è quello del suo rapporto con la disciplina del mercato dei capitali e, quindi, del TUF.
Quanto al primo ambito, lo schema di base della società per azioni presenta, in relazione alle SIS, tre elementi peculiari: un oggetto sociale specifico, ed esclusivo; un limite massimo di raccolta di capitale; la disapplicazione di alcune regole proprie della società per azioni di diritto comune (impossibilità di emettere obbligazioni, e non applicabiltà delle disposizioni già richiamate). In questo senso, lo schema della SIS riflette – mutatis mutandis – un’impostazione non dissimile da quella che connota gli altri schemi di investimento collettivo, aventi forma societaria (tipicamente, le SICAV e le SICAF), con riguardo ai quali le regole generali della società per azioni vengono in parte rimodulate, o disapplicate. L’imprecisa tecnica normativa solleva tuttavia varie questioni interpretative, risolvibili in parte alla luce di una corretta lettura sistematica: ad esempio, la disposizione prevede che il “capitale” della SIS possa essere raccolto tramite azioni e strumenti finanziari partecipativi, e non possa eccedere l’importo di 25 milioni di euro. Orbene, a parte il fatto che la raccolta tramite strumenti finanziari non è imputabile al capitale sociale della società, pare evidente che la congiunzione “e” debba leggersi come e/o, e ciò nel senso che la raccolta potrà avvenire tramite l’uno, e/o l’altro, degli strumenti indicati. Nulla si dice, poi, con riguardo all’eventuale trattamento del sovrapprezzo, sebbene evidenti ragioni conducano a ritenere che, nel computo del limite dei 25 milioni di euro, debba conteggiarsi anche il sovrapprezzo. Quanto alle obbligazioni, la disposizione ne preclude l’emissione alle SIS (analogamente al regime applicabile alle SICAF e alle SICAV), con ciò dovendosi intendere che risulti preclusa l’emissione anche di strumenti finanziari assimilabili alle obbligazioni. Nulla si dice, infine, per quanto attiene alla possibilità per le SIS di raccogliere finanziamenti da soci, o da terzi, ed alla computabilità o meno di tali importi nel limite complessivo dei già ricordati 25 milioni di euro: nel silenzio della legge, non sembrerebbero sussistere preclusioni a riguardo, ma si tratta di un aspetto (tra gli altri e al pari del già richiamato tema del “sovrapprezzo”) che meriterebbe un chiariemento da parte dello stesso Legislatore, per gli evidenti impatti che una limitazione della specie potrebbe avere sullo sviluppo di iniziative della specie. Infine, l’art. 28 fa riferimento ai “gestori” della SIS, così evocando impropriamente lo schema degli OICR statutari eterogestiti, là dove, di contro, sembra che con tale espressione debbano essenzialmente intendersi gli amministratori della società di investimento, i quali devono essere in possesso dei requisiti ivi previsti.
Quanto, invece, ai rapporti con la disciplina del TUF, la SIS viene espressamente espunta, e dunque esentata, dall’intero corpo di regole che si applicano alla gestione collettiva del risparmio: pur avendo, infatti, la SIS ad oggetto “l’investimento collettivo del capitale raccolto” nelle imprese ivi individuate, l’art. 28 dello schema di Decreto introduce una specifica lettera g-bis all’art. 32-quater, comma 2, TUF, con la conseguenza di rendere alle inapplicabile alle SIS l’intera disciplina degli OICR. In sostanza, le SIS sono sì, organismi di investimento collettivo, ma integralmente sottratte dalla relativa disciplina: l’esercizio dell’attività non richiede, dunque, alcuna autorizzazione preventiva, né la SIS risulta a vigilanza da parte delle Autorità che, tipicamente, vigilano sul comparto della gestione collettiva (Banca d’Italia e Consob, per i profili di rispettiva competenza).
Al fine di limitare rischi di abusi nell’impiego di uno schema che si colloca così nettamente al di fuori della riserva di attività della gestione collettiva del risparmio, si prevede, infine, che i soci fondatori di una o più SIS ed i soggetti a questi legati da un rapporto di controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c., possono procedere alla costituzione di una o più SIS soltanto successivamente alla data di deliberazione che approva la messa in liquidazione di una o più delle predette SIS. Si vuole così impedire, o quantomeno disincentivare, il ricorso “seriale” alle SIS, mediante schemi che frazionino progetti di dimensioni rilevanti in più organismi. Il divieto in parola è, tuttavia, formulato in modo tale da non disciplinare numerosi altre ipotesi che potrebbero dar luogo ad effetti del tutto analoghi a quelli che si vorrebbero evitare. Ad esempio limitandosi a contemplare i soci fondatori, e i soggetti controllati e collegati ai sensi dell’art. 2359 c.c., si dimenticano ipotesi di rilievo quali, ad esempio, quelle che attengono a soggetti che agiscono di concerto, alle parti correlate, ecc.
3. Sebbene sia molto apprezzabile l’intendimento sotteso all’introduzione, nell’ordinamento italiano, delle SIS, la formulazione dell’art. 28 dello schema di Decreto presenta anche profili problematici che toccano, per così dire, il vertice del sistema, e la sua coerenza interna.
Come già detto, la novità di maggior rilievo delle SIS consiste nell’esenzione delle dall’applicazione dell’intero corpus normativo in materia di gestione collettiva del risparmio, e dalla relativa vigilanza.
Questo regime di esenzione integrale delle SIS dalla disciplina degli OICR si colloca soltanto in parte nel solco del regime derogatorio già previsto dalla legislazione comunitaria per i gestori collettivi che intendono gestire FIA riservati. Infatti, a seguito del recepimento della AIFMD (Direttiva 2011/61/EU), qualora i gestori gestiscano FIA riservati con un patrimonio al di sotto delle soglie individuate dalla Direttiva[1], ad essi si applicano regole meno onerose di quelle altrimenti richiesti ai gestori che non rientrano in tale sotto-categoria (ad esempio, il capitale minimo richiesto è, in tal caso, ridotto a soli euro 50.000). Tuttavia, quanto disposto dallo schema di Decreto va ben oltre il regime applicabile ai cc.dd. gestori “sotto soglia”: per questi ultimi, infatti, la Direttiva AIFM prevede, infatti, che essi siano perlomeno “soggetti a registrazione presso le autorità competenti del loro stato membro d’origine” (art. 3). Ciò significa che gli stessi, pur essendo esenti dal regime autorizzativo previsto per i soggetti “sopra soglia”, sono ugualmente sottoposti al regime di vigilanza previsto per l’attività di gestione collettiva del risparmio.
A suo tempo, in occasione del recepimento in Italia della Direttiva AIFM, il regime comunitario agevolato per i gestori “sotto soglia” è stato, in vero, applicato in modo troppo restrittivo dal legislatore: il TUF contempla, sì, la figura del gestore sottosoglia (rif art. 35-undecies del TUF), ma ad essa è riservato un regime che, in concreto, non si differenzia moltissimo da quello applicabile agli altri gestori: in particolare, i gestori sotto soglia sono comunque soggetti a preventiva autorizzazione da parte della Banca d’Italia (e non ad una mera forma di notifica/registrazione) e, per i profili di competenza, alla vigilanza sia della Banca d’Italia, sia della Consob. E’ poi ben vero che per tali gestori sono previste alcune semplificazioni sul piano della struttura organizzativa, dell’articolazione del sistema dei controlli interni, e della governance, ma, nella sostanza, lo “scalino” che li separa dai gestori collettivi ordinari non è elevatissimo. In questo senso, la scelta compiuta dal legislatore italiano in fase di recepimento della Direttiva AIFM non corrisponde ai regimi introdotti in altri Paesi, più attenti a “dosare” la proporzionalità delle misure comunitarie come, ad esempio, in Lussemburgo, Francia, Irlanda.
Di contro, la nuova disciplina per le SIS introdurrà un’esenzione assoluta da tutti i richiamati obblighi, risultando disapplicato, con riguardo alle SIS, l’intero Titolo III del TUF. L’impostazione adottata dallo schema di Decreto, pur apprezzabile negli intendimenti di dar vita ad un soggetto connotato da snellezza e semplicità operativa (se confrontato con i gestori collettivi soggetti a vigilanza), non è, tuttavia, agevole da valutare con riguardo proprio alla sua compatibilità con la disciplina europea. Poiché la SIS è – dichiaratamente – un soggetto che svolge l’attività di “gestione collettiva” – essa rientrerebbe, a tutti gli effetti, nel campo di applicazione della disciplina UE e, in particolare, della Direttiva AIFM: pur tenendo conto delle sue ridotte dimensioni (largamente inferiori anche a quelle, già richiamate, previste per i gestori “sotto soglia), la SIS dovrebbe dunque, in teoria, essere sottoposta al regime di mera registrazione/notifica derivante dalla Direttiva AIFMD. Il silenzio dello schema di Decreto e della relazione accompagnatoria su questo punto non consente di risolvere la questione in modo agevole.
L’antinomia non pare, peraltro, colmabile sul piano interpretativo o sistematico, stante la secca esenzione prevista per le SIS dall’art. 28 dello schema di Decreto (ad esempio, là dove si ritenga che il regime di mera registrazione, introdotto dalla Direttiva AIFM possa “recuperarsi”, e dunque applicarsi, alle SIS in via di mera interpretazione”) Ne deriva, salvi eventuali chiarimenti, o modifiche al testo, un profilo di possibile contrasto tra la nuova disciplina, e quella europea, con potenziali effetti sulla “tenuta” del nuovo istituto.
Nella prospettiva di cui sopra, l’impostazione seguita dallo schema di Decreto non si giustifica neppure alla luce del fatto che la SIS risulta riservata a due particolari categorie di investitori: quelli professionali e i cc.dd. “business angel”. Infatti, il sistema sia europeo, sia nazionale, già conoscono schemi di OICR “riservati”, ai quali tuttavia resta applicabile – eventualmente con graduazioni e semplificazioni anche di un certo rilievo – la disciplina della gestione collettiva, e la relativa vigilanza. Tuttavia, le SIS sono accessibili anche a soggetti diversi dagli investitori professionali: i (misteriosi) “business angel”, per l’appunto, di cui, peraltro, lo schema di Decreto non si preoccupa di fornire una definizione. Se, con riguardo a quest’ultima questione si può (forse) ritenere che i “business angel” siano da identificare con quelli di cui tratta l’art. 1, co. 1, lett. m-undecies.1) del nuovo testo dalla legge di Bilancio per il 2019 (“investitori a supporto dell’innovazione che hanno investito in maniera diretta o indiretta una somma pari ad almeno euro 40.000 nell’ultimo triennio”), è chiaro che essi sono comunque diversi dagli investitori professionali, e anche diversi dagli investitori non professionali che pur possono investire negli OICR riservati, in base alle regole attualmente applicabili, purché l’importo dell’investimento risulti almeno pari a 500.000 Euro.
Al di là dell’eventuale rinvio alla legge di Bilancio per il 2019, nulla di più, inoltre, è dato sapere in merito alle caratteristiche e al profilo di tali “busines angels”, i quali potrebbero, invece, ben rientrare nel novero degli investitori retail, non necessariamente dotati di risorse finanziarie ingenti, o di un profilo di rischio allineato a quello della SIS.
In sostanza, sembra allora che l’impostazione adottata dallo schema di Decreto punti a semplificare tutte queste questioni alla luce di una constatazione meramente fattuale: posto che la SIS è un veicolo di investimento relativamente “piccolo” (ossia, per massimi 25 milioni di euro), il sistema può tollerare la sottrazione della stessa da qualsivoglia forma di controllo o vigilanza, nonostante i vincoli comunitari e l’incoerenza di sistema che tale impostazione potrebbe comportare. Che tale impostazione sia sufficiente a sorreggere l’impianto di questo nuovo istituto sarà da verificare nel corso del tempo.
4. Nella prospettiva di cui sopra, è forse però sfuggito al legislatore il problema dell’eventuale applicazione della disciplina del prospetto informativo alle SIS. Si è già detto che la soglia massima di capitale che le SIS possono raccogliere è pari a 25 milioni di euro. Tale soglia è superiore a quella di esenzione contemplata dalla disciplina del prospetto informativo (come recentemente novellata dalla Delibera 20686/2018 della Consob e prevista anche dalla più recente disciplina comunitaria), nell’ambito della quale essa risulta pari a 8 milioni di Euro, da calcolarsi su di un periodo di 12 mesi. Stanti gli elevati oneri connessi con la predisposizione del prospetto, le SIS dovranno, pertanto, valutare di scaglionare nel tempo la raccolta dei capitali, al fine di non superare la soglia di 8 milioni di euro in un arco di 12 mesi, salvo avvalersi di altre ipotesi di esenzione previste dalla disciplina (cfr. l’art. 34-ter del Regolamento emittenti Consob, come da ultimo novellato): ad esempio, quella che si applicherebbe là dove la partecipazione alla SIS fosse riservata ai soli investitori professionali – ma con esclusione, allora, dei business angel diversi da questi ultimi, il che priverebbe le SIS del contributo di investitori potenzialmente importanti – o qualora l’importo minimo della sottoscrizione fosse almeno pari a 50.000 Euro.
5. Suscettibili, quantomeno, di ulteriori chiarimenti (se non proprio di interventi definitori) sono anche i profili che riguardano l’oggetto dell’investimento delle SIS.
Se, da un lato sussistono pochi dubbi circa la definizione di PMI, ben tracciata nei suoi requisiti del Regolamento UE 2017/1129 (rispetto di almeno due dei seguenti criteri: meno di 250 dipendenti; totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro; fatturato annuale non superiore a 50 milioni di euro), dall’altro non è affatto chiara l’identificazione delle PMI che si trovino nella “fase di sperimentazione, di costruzione e di avvio dell’attività”. Tale espressione sembra identificare ilperiodo iniziale di attività, funzionale al perfezionamento dei meccanismi di produzione e del loro output. Non è dato da intendere, tuttavia, quanto dovrebbe durare tale periodo, né come debba computarsi, mentre è indispensabile che, per una chiara identificazione della fattispecie, tali elementi vengano chiariti e ben individuati.
Si osservi, infatti, a riguardo, che qualora una società di investimento investisse in imprese target che non rientrano chiaramente tracciato dalla relativa norma definitoria, essa sarebbe, a tutti gli effetti, un OICR, sottoposto alla relativa disciplina sia di tipo autorizzativo, sia di vigilanza. L’identificazione esatta del confine è, allora, essenziale, stante le conseguenze che, altrimenti, ne deriverebbero.
6. L’espulsione delle SIS dalla normativa in materia di gestione collettiva ha una portata innovativa certamente rilevante, e va indubbiamente incontro alle istanze del mercato e degli operatori per la strutturazione di strutture e forme più snelle per far affluire capitale alle PMI in fase di sviluppo e di crescita. Evidenti sono anche i benefici che ne potrebbero derivare sul piano dello sviluppo e della ripresa economica: d’altro canto, non è un caso che, come già ricordato, le PMI siano da tempo all’attenzione del legislatore, anche europeo. Le misure annunciate dallo schema di Decreto crescita per le SIS vanno in queste direzioni, ma richiedono di essere ulteriormente affinate e precisate. Il confine tra attività riservate e non; l’esatta identificazione dei tratti della SIS; la sua compatibilità con la disciplina europea; il rapporto tra SIS e disciplina del prospetto sono soltanto alcuni dei nodi che andranno sciolti.
Resta, inoltre, un grande assente: la fiscalità del nuovo strumento. Appare, infatti, imprescindibile, l’esigenza di accompagnare l’introduzione di questa nuova disciplina con i dovuti chiarimenti sul piano fiscale, in quanto, allo stato, non viene chiariuto se alle SIS debba essere riconosciuto il regime tipico dei veicoli di investimento collettivo, alla stregia delle SICAV e SICAF; tanto meno constano indicazioni su quali potranno essere in concreto i benefici riconosciuti ad incentivazione di queste iniziative.
[1] Il FIA si considera sotto soglia se le sue attività, comprese quelle acquisite mediante la leva finanziaria, non superano in totale la soglia di 100 milioni di euro, oppure la soglia di 500 milioni, a condizione tuttavia – in questo secondo caso – che il FIA non ricorra alla leva finanziaria e preveda che il diritto dei partecipanti al rimborso delle quote o azioni non sia esercitabile per un periodo di almeno cinque anni a decorrere dalla data di investimento iniziale in ciascun FIA.