1. Premessa
Il presente intervento mira ad inquadrare la sorte delle anticipazioni bancarie in caso di accesso della società beneficiaria alla procedura di concordato preventivo, ovvero più precisamente ad analizzare lo specifico problema della compensabilità delle somme incamerate (successivamente all’ingresso in procedura) dalla banca in esecuzione di un mandato all’incasso in rem propriam, con quanto anticipato dalla medesima prima dell’apertura della procedura concorsuale.
La questione, già oggetto di ampio dibattito prima dell’introduzione della disciplina relativa ai contratti “in corso di esecuzione” (rectius: “pendenti”), ha assunto una portata ancor più diffusa alla luce dell’introduzione dell’art. 169 bis L.F. (e della sua successiva modifica a seguito della riforma di cui al D.L. 83/2015). Il problema si pone, evidentemente, soltanto con riferimento alle linee autoliquidanti assistite dall’attribuzione di un mandato all’incasso e non anche alle ipotesi di cessioni di credito perfezionatesi anteriormente all’ingresso in procedura, posto che in tal caso (e fatte salve eventuali contestazioni formali sull’esistenza di data certa o sulla bontà[1] della notifica al debitore ceduto) non potrebbe residuare alcun legittimo dubbio in ordine alla titolarità del credito in capo alla banca, la quale ben potrebbe disporne a proprio piacimento.
Per quanto concerne invece le anticipazioni di credito assistite da mero mandato all’incasso in rem propriam, oggetto della presente indagine, il parametro normativo cui tradizionalmente ci si riferiva per esaminare la problematica era l’art. 56 L.F., così come richiamato dall’art. 169 L.F. in tema di concordato preventivo, e cioè la norma che disciplina la compensazione dei crediti nell’ambito del fallimento a condizione che gli stessi abbiano causa genetica anteriore alla dichiarazione di insolvenza (id est: al deposito della domanda di concordato preventivo). Il tradizionale orientamento della Suprema Corte, a tal proposito, negava la facoltà per la banca di trattenere le somme incamerate successivamente alla data di ingresso in procedura, ritenendo viceversa sussistente un obbligo di retrocessione delle suddette somme al debitore (o alla “massa”), traendo le mosse dalla considerazione che mentre l’anticipazione avrebbe fonte anteriore all’ingresso in concordato, l’obbligo del mandatario alla restituzione delle somme introitate in nome e per conto del cliente sorgerebbe soltanto al momento dell’incasso, con la conseguenza che non sarebbe stato in tale ipotesi possibile ravvisare quella preesistenza del momento genetico dei rispettivi crediti che costituirebbe presupposto per l’applicabilità dell’art. 56 L.F.[2].
2. Il cambiamento di orientamento della Suprema Corte a seguito della sentenza n. 17999 del 1 settembre 2011 ed i presupposti di ammissibilità della compensazione
Il consolidato orientamento sopra citato è stato oggetto di revirement da parte della Cassazione con la sentenza n. 17999 del 1 settembre 2011, resa in tema di amministrazione controllata, in virtù della quale è stato aperto uno spiraglio all’ipotesi di compensazione tra il credito da anticipazione vantato dalla banca ed il debito da restituzione di quanto incamerato dalla stessa in forza di mandato all’incasso.
In tale sentenza, la Suprema Corte ha ritenuto che non potesse invocarsi il principio di c.d. “cristallizzazione dei crediti” nell’ipotesi in cui il contratto di anticipazione bancaria assistito da mandato all’incasso contemplasse altresì un pactum de compensando, ovvero una specifica clausola contrattuale di c.d. “annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto”. In caso di sussistenza di una simile clausola, infatti, la Cassazione ha giudicato compensabili le menzionate posizioni creditorie e debitorie della banca.
Per quanto detta pronuncia fosse, invero, assai sinteticamente argomentata, la stessa ha comunque riscontrato un significativo seguito nella giurisprudenza di merito, la quale ha nel tempo elaborato talune precisazioni al fine di effettuare una specifica verifica di sussistenza dei presupposti idonei a legittimare la compensazione.
In particolare, sono stati esaminati alcuni dati specifici: (i) le caratteristiche della clausola di annotazione ed elisione e (ii) le modalità di prosecuzione del rapporto tra le parti.
2.1 Sulle caratteristiche del “pactum de compensando”
In primo luogo è stato espressamente chiarito che la compensazione non può essere legittimata ex post dalla richiesta di applicazione dell’art. 56 L.F., ma deve derivare dall’applicazione di una specifica clausola contrattuale che preveda espressamente la facoltà di compensazione tra il credito vantato dalla banca in forza dell’anticipazione erogata e gli incassi provenienti da terzi ricevuti in virtù del mandato all’incasso.
La questione non è così banale come apparentemente potrebbe sembrare, poiché non sempre nella prassi tali clausole sono redatte con adeguata specificità, limitandosi viceversa ad una mera riproposizione dell’art. 1853 cod. civ., spesso considerata tuttavia inidonea allo scopo dalla giurisprudenza. In particolare, poiché la clausola costituisce un’espressa deroga alla disciplina ordinaria dell’art. 56 L.F., essa deve essere frutto di un accordo effettivo tra le parti, dovendo pertanto prevedere un’espressa facoltà della banca di trattenere le somme incassate a fronte del mandato all’incasso e di compensarle con i crediti derivanti dallo stesso o da altro rapporto contrattuale[3].
Per le medesime ragioni non può tendenzialmente essere considerata idonea allo scopo la classica, ma assai poco circostanziata, clausola di compensazione sovente riportata nelle condizioni generali di contratto, occorrendo viceversa una specifica pattuizione derogatoria sul punto.
Da un punto di vista strettamente processuale va notato, peraltro, che l’onere della prova in ordine alla sussistenza ed all’idoneità di una clausola siffatta grava pacificamente in capo alla banca. La compensazione si configura, infatti, quale eccezione processuale in senso tecnico, trattandosi di elemento estintivo del diritto di ripetizione in tesi dedotto in giudizio dalla società in concordato, la cui sussistenza deve pertanto essere dedotta nei termini di cui all’art. 168 cod. proc. civ.-
2.2 Sulle modalità di prosecuzione del rapporto contrattuale
In secondo luogo occorre precisare che, poiché la clausola di annotazione ed elisione accede evidentemente ad un più articolato rapporto contrattuale, essa potrà essere ritenuta applicabile soltanto in caso di prosecuzione del rapporto nel suo complesso. Diversamente opinando si obbligherebbe la banca a proseguire nell’adempimento delle prestazioni dedotte nel contratto, ma a condizioni diverse da quelle originariamente negoziate ed alle quali, ragionevolmente, non avrebbe stipulato il contratto[4].
Lo stesso concetto di “prosecuzione” del contratto, soluzione peraltro considerata fisiologica dal legislatore nell’ambito del concordato preventivo, implica una concettuale continuazione dell’integrale assetto di interessi convenuto a suo tempo dalle parti. Risulta viceversa inimmaginabile un intervento settoriale sul sinallagma tale da determinare un forzoso obbligo dell’istituto di credito a contrarre (rectius: proseguire nel rapporto) a condizioni eterodeterminate[5].
In caso di coesistenza delle due suddette condizioni, pertanto, la giurisprudenza ha ritenuto di poter considerare legittima la compensazione operata dalla banca, ritenendo non operante nel caso di specie il principio di c.d. “cristallizzazione della massa passiva” e la conseguente ipotetica violazione del disposto di cui all’art. 56 L.F.[6].
A tal proposito vale la pena di segnalare che, mentre la prima condizione è affrontata con una certa precisione dalla giurisprudenza che, sebbene non sempre si interroghi con particolare specificità sulla corretta formulazione della clausola, si pone comunque quanto meno il problema di valutarne l’esistenza, la seconda condizione è spesso approcciata con una certa superficialità, ovvero senza che venga effettuato nel caso concreto un esame approfondito (e talvolta nemmeno tranchant) sulle modalità di prosecuzione del rapporto e sull’effettivo adempimento della banca rispetto agli obblighi derivanti dal contratto.
La questione, di fondamentale importanza ad avviso di chi scrive, verrà ripresa infra in sede di conclusioni.
Tale soluzione ermeneutica, tuttavia, sebbene inizialmente recepita piuttosto nettamente dalla giurisprudenza di merito maggioritaria, non è stata comunque del tutto esente da critiche soprattutto da parte di osservatori che hanno evidenziato come il precedente orientamento della Suprema Corte fosse invero molto più rispettoso dell’art. 56 L.F. e, più in generale, del principio di cristallizzazione del passivo a beneficio della massa[7]. A tal proposito, è stato precisato che la banca non potrebbe comunque contabilizzare l’incasso a decurtazione del saldo passivo di conto corrente, ovvero ritenere l’incasso invocando la compensazione, poiché in tal modo essa si avvantaggerebbe di un pagamento non consentito dopo l’apertura della procedura concorsuale, posto che mancherebbe il presupposto della coesistenza del rapporto di debito / credito anteriormente alla procedura concorsuale. In tal senso, è stato addirittura evidenziato come “se si avallasse la soluzione apparentemente affermata da tale orientamento giurisprudenziale, si perverrebbe alla conclusione irragionevole che il patto di compensazione consentirebbe di aggirare il divieto di azioni esecutive previsto dall’art. 168 L.F. e di ottenere un risultato che non si può ottenere neanche con un’ipoteca giudiziale iscritta nei novanta giorni antecedenti alla proposizione del concordato”[8].
Sin da subito, pertanto, taluni interpreti si sono interrogati sulla correttezza della soluzione assunta dalla Suprema Corte con il revirement del 2011, gettando le fondamenta per una nuova revisione dell’orientamento giurisprudenziale che, come si vedrà infra, sta nuovamente evolvendosi nelle più recenti pronunce giurisprudenziali.
3. L’introduzione dell’art. 169 bis in ordine alla sospensione ed allo scioglimento dei contratti pendenti (cenni)
Con il D.L. 83/2012, come noto, è stata introdotta una specifica disciplina in tema di contratti in corso di esecuzione (rectius: “pendenti”, a seguito della modifica del D.L. 83/2015) evidentemente al fine di temperare la regola dell’ordinaria prosecuzione dei contratti pendenti nell’ambito del concordato preventivo. Si è dunque posto un problema di applicabilità della suddetta disciplina derogatoria alla specifica ipotesi dei contratti di anticipazione bancaria su crediti del debitore successivamente ammesso al concordato preventivo.
L’originaria formulazione dell’art. 169 bis L.F. ha subito posto agli interpreti numerosi dubbi, tra cui anzitutto quello in ordine alla estensione della portata della norma, stante la formulazione differenziata rispetto alla disciplina dei contratti pendenti di cui all’art. 72 L.F.- La questione è stata superata dallo stesso legislatore il quale, con un intervento modificativo avente evidentemente natura interpretativa, ha modificato l’art. 169 bis L.F. uniformandolo alla disciplina dei contratti pendenti nel fallimento.
3.1 Sussumibilità dell’anticipazione bancaria nell’ambito della disciplina di cui all’art. 169 bis L.F.
Al momento dell’introduzione della nuova disciplina di cui all’art. 169 bis L.F., si è anzitutto posto un problema ermeneutico inerente la possibilità di qualificare il contratto di anticipazione bancaria come “non compiutamente eseguito da entrambe le parti”. Il meccanismo stesso di operatività del contratto di anticipazione bancaria in un contesto di linea autoliquidante, ha suscitato dubbi circa l’esistenza di una residua prestazione inadempiuta a carico dell’istituto di credito con conseguente impossibilità di procedere alla sospensione o allo scioglimento del contratto.
L’opinione maggioritaria[9] è nel senso di ritenere che l’art. 169 bis L.F. si applichi anche ai contratti bancari autoliquidanti, destinati pertanto a proseguire fino a quando non ne venga autorizzata la sospensione o lo scioglimento, con la conseguenza che, in assenza di tale richiesta, il principio dovrà essere quello della prosecuzione integrale del contratto; ne discende che, data la prosecuzione del contratto, in relazione agli anticipi effettuati successivamente all’ingresso in procedura viene a configurarsi un debito prededucibile[10].
La “ratio” della norma è stata individuata nella volontà del legislatore di “contemperare le esigenzedella procedura di interruzione dei rapporti ritenuti pregiudizievoli o, quantomeno, privi di funzionalità per il miglior soddisfacimento dei creditori, con la tutela dell’affidamento del contraente in bonis, cui è riconosciuto un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento”[11].
3.2 Applicabilità della sospensione all’ipotesi di concordato con riserva
Un ulteriore problema applicativo si è posto con riferimento alla possibilità di ottenere un provvedimento definitivo irreversibile di scioglimento anche nell’ambito di un concordato con riserva, procedimento che, per definizione, ha carattere provvisorio. Sul punto la giurisprudenza si è divisa tra chi ha sostenuto che nel silenzio della norma l’art. 169 bis L.F. debba ritenersi applicabile anche al concordato in bianco[12] e chi viceversa ha sostenuto l’incompatibilità ontologica tra un provvedimento definitivo di scioglimento e gli effetti reversibili della proposizione di un concordato con riserva[13].
4. Nuovi orizzonti normativi ed interpretativi della problematica inerente l’obbligo di retrocessione delle somme incamerate in forza di mandato all’incasso
Nonostante la perdurante rilevanza applicativa della problematica dell’onere di retrocessione delle somme incamerate dalla banca in forza del mandato all’incasso, il legislatore della riforma organica attualmente in via di definitiva approvazione (c.d. “Riforma Rordorf”) sembra abbia ritenuto di non introdurre alcuna modifica specifica in materia di sospensione o anticipazione delle somme derivanti da mandati all’incasso. In questo contesto immutato di normativa, pertanto, è necessario domandarsi quale sia l’orientamento più recente della giurisprudenza, che rimane pur sempre il più valido indicatore prospettico di ciò che è legittimo attendersi.
Gli scenari ipotizzabili per il debitore ammesso al concordato sono quelli già descritti, vale a dire da un lato la possibilità di presentare un’istanza di sospensione / scioglimento del contratto e dall’altro l’opzione, contraria, di prosecuzione del rapporto contrattuale.
Per quanto attiene alla prima ipotesi, la giurisprudenza più recente si sta atteggiando in modo sempre più rigoroso nei confronti della concessione dello scioglimento del contratto, in ragione del fatto che tale soluzione sarebbe comunque uno “strumento eccezionale, cui non può riconoscersi la capacità di distorcere completamente il sinallagma contrattuale originario”[14]. A tal proposito occorre peraltro distinguere tra la posizione di coloro[15] che ritengono che l’eventuale scioglimento vada fatto decorrere dal momento della comunicazione del provvedimento al creditore con la conseguente dichiarazione di inefficacia degli incassi intervenuti successivamente a tale data e la diversa posizione di coloro[16] che invece ritengono che tale scioglimento non possa operare per le anticipazioni già effettuate, posto che con riferimento alla singola erogazione di anticipazione già eseguita non si configurerebbe alcuna facoltà di scioglimento in quanto l’operazione sarebbe da considerarsi esaurita.
La seconda strada percorribile da parte del soggetto che accede ad un concordato, peraltro teoricamente fisiologica in virtù del carattere derogatorio dell’art. 169 bis L.F., è quella della prosecuzione del contratto, soluzione particolarmente funzionale nell’ipotesi di concordato in continuità.
Questa opzione, tuttavia, presenta serissimi problemi applicativi poiché espone il debitore concordatario adempiente, che non chiede la retrocessione delle somme incamerate dalla banca in virtù della scelta di proseguire il rapporto contrattuale, al rischio concreto che la banca da un lato incameri le somme canalizzate relative ad anticipazioni anteriori all’accesso in concordato, ma dall’altro si rifiuti di concedere nuove anticipazioni. Questa problematica è, come accennato in precedenza, costantemente sottovalutata dalla giurisprudenza la quale dovrebbe invece spingersi ad un rigoroso accertamento in concreto sul contegno tenuto dalla banca successivamente all’accesso in procedura e, forse, anche nel periodo immediatamente precedente. Se è infatti vero che disconoscere l’applicabilità della clausola di annotazione ed elisione di partite di segno opposto porterebbe ad un risultato iniquo nei confronti della banca, allora occorre riconoscere che contropartita di tale ragionamento è che ugualmente non può derogarsi al principio di cristallizzazione in virtù di una clausola accedente ad un contratto rispetto al quale la banca si è dimostrata inadempiente.
Come noto, talvolta accade che l’approccio delle banche nei confronti di soggetti che accedono alle procedure concorsuali minori, sia quello di una stretta sugli affidamenti; in tale prospettiva, non è infrequente che a seguito del deposito della domanda, e spesso anche molto prima di tale momento, la banca si rifiuti di concedere l’utilizzo delle linee autoliquidanti, che vengono surrettiziamente mantenute in vita al solo scopo di legittimare la canalizzazione degli incassi oggetto del mandato “in rem propriam” concesso alla stessa banca. In simili fattispecie pare potersi ravvisare un inadempimento dell’istituto di credito, poiché la natura stessa delle linee autoliquidanti presuppone che l’incasso canalizzato vada da un lato ad estinguere il debito della relativa anticipazione, ma dall’altro consenta una pari riespansione dell’ammontare delle somme anticipabili.
In altri termini, la prosecuzione del rapporto (e dunque la legittima applicazione dell’accessorio “pactum de compensando”) potrà essere ritenuta effettiva soltanto qualora la banca acconsenta a mantenere inalterate le condizioni contrattuali, e dunque prosegua in buona fede ad anticipare i crediti del debitore in concordato alle condizioni ed alle modalità precedenti, senza attuare un “blocco delle anticipazioni” di fatto, spesso peraltro accompagnato da una graduale formale riduzione dell’ammontare concesso alla linea autoliquidante, corrispondente al rientro “medio tempore” ottenuto.
In conclusione, pertanto, si ritiene che l’approccio degli operatori di settore prima, e dei giudici dopo, debba essere quello di una valutazione rigorosa dell’andamento del rapporto autoliquidante nel caso concreto, così da consentire lo scioglimento qualora effettivamente funzionale alla miglior soddisfazione dei creditori, e di valutare viceversa, nel caso in cui lo scioglimento non sia richiesto, la legittimità dell’incameramento delle somme canalizzate soltanto nel caso in cui l’operazione sia effettuata nell’ambito di un contratto che non solo lo preveda sulla base di un patto espresso di compensazione, ma anche qualora in concreto sia possibile accertare che la banca abbia effettivamente adempiuto diligentemente ai propri obblighi ed abbia quindi consentito la prosecuzione contrattuale alle condizioni pregresse.
[1] In termini di efficacia ed opponibilità.
[2] In questo senso si era espressa, da ultimo, Cass. 7 maggio 2009, n. 10548 in www.dejure.it la quale espressamente chiarisce che: “Il mandato all’incasso (…) non comporta a favore della banca, a differenza della cessione, alcun trasferimento del credito di cui rimane titolare il mandante. Di conseguenza, solo al momento in cui viene incassata la somma da parte del mandatario sorge nei confronti di quest’ultimo l’obbligo di restituire quanto riscosso. E’ evidente pertanto che il momento genetico di una tale obbligazione del mandatario è da individuare con riferimento, non già al conferimento del mandato, ma all’atto della riscossione del debito del terzo in quanto è da tale momento che sorge l’obbligo di restituzione della relativa somma al mandante”.
[3] Si vedano sull’argomento: Cass. 15 aprile 2011, n. 8752 in www.dejure.it e Tavormina, “Contratti bancari e preconcordato”, relazione al convegno “Crisi d’impresa e primi orientamenti dopo il decreto sviluppo”, Milano, 29-30 dicembre 2012, pubblicato in www.judicium.it.
[4] In questi termini si è espresso Trib. Bergamo, 21 novembre 2011, n. 2606 in www.dejure.it, il quale reputa giuridicamente inaccettabile la prosecuzione del rapporto contrattuale sterilizzato del “pactum de compensando”, posto che in tale ipotesi “si arriverebbe alla conseguenza giuridicamente inaccettabile che il rapporto contrattuale continuerebbe con la banca tenuta a curare l’incasso del portafoglio presentato mantenendo l’apertura di credito in favore del correntista – come di fatto è avvenuto – con esclusione del patto di compensazione contrattualmente previsto quale elemento essenziale del sinallagma contrattuale”. La stessa sentenza è stata commentata anche da G. Tarzia, Operatività del patto di compensazione nel concordato preventivo, in Il Fall. 2012, 586.
[5] Sul punto si è pronunciato anche Trib. Milano, 9 gennaio 2015, in www.ilfallimentarista.it, evidenziando che: “la ratio posta a fondamento di tale indirizzo discende necessariamente dal fatto che, proseguendo il contratto – rimasto valido ed efficace a seguito dell’ammissione della società alla procedura di concordato, la quale non prevede né la sospensione automatica né lo scioglimento dei rapporti pendenti – la prosecuzione medesima attiene al rapporto nella sua interezza e, dunque, si estende a tutte le clausole pattizie che lo regolano, ivi compresa quella di compensazione o di elisione. Il patto, infatti, è essenzialmente interdipendente al negozio di apertura di credito nel senso che, attenendo esso alla regolamentazione delle modalità di soddisfazione del credito della banca, in sua carenza l’operazione non sarebbe stata posta in essere, sicchè negozio e patto non possono che rimanere inscindibilmente connessi”.
[6] In questo senso si veda in particolare: Cass. 19 febbraio 2016, n. 3336, la quale ha chiarito che in caso di sussistenza del patto di compensazione non rileva: “che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della “cristallizzazione dei crediti” con la conseguenza che né l’imprenditore durante l’amministrazione controllata, né il curatore fallimentare – ove alla prima procedura sia conseguito il fallimento – hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse”.
[7] Si veda in particolare: Trib. Lucca, 21 maggio 2013, r.g. 1398/2013, in www.ilcaso.it, secondo cui: “Tale orientamento favorevole alla compensazione di tali somme con quelle dalla banca anticipate, rappresenta un orientamento isolato, contrario ad altro ben più radicato e meditato, dal quale ultimo il Tribunale non intende discostarsi, in quanto massimamente rispettoso del principio generale enunciato dall’art. 56 L.Fall. e della ratio ad esso sottesa (cioè quella della necessaria cristallizzazione del passivo concorsuale per il massimo soddisfacimento dei crediti concorsuali”. Nello stesso senso e sulla base dei medesimi presupposti, si è espresso anche il Trib. Prato, 23 settembre 2015, in www.dejure.it il quale ha rilevato che “con riferimento all’ipotesi di anticipazione con conferimento alla banca di mandato irrevocabile all’incasso e patto di compensazione, in conseguenza della cristallizzazione che si produce con la domanda di concordato con gli effetti di cui agli artt. 168 e 169 L.Fall. (che richiama tra gli altri gli artt. 45 e 56), le somme versate dai terzi dopo la domanda, non possono più essere incamerate dalla banca a compensazione di quanto anticipato (il credito della banca ha carattere concorsuale), e che tale effetto si produce automaticamente dal deposito della domanda di concordato e dalla sua pubblicazione presso il registro delle imprese”.
[8] In questi termini si veda: Trib. Verona, 31 agosto 2015, in www.ilcaso.it. Nel senso di ritenere preclusa qualunque azione satisfattiva in corso di procedura, ricomprendendo tra esse anche quella derivante da compensazione pattizia si veda anche Trib. Ravenna, 14 novembre 2014, in www.ilcaso.it che chiarisce appunto come diversamente opinando si giungerebbe a consentire al creditore concorsuale di ottenere tramite un meccanismo convenzionale ciò che non è concesso nemmeno mediante un’esecuzione forzata.
[9] Nel 2016 il 70,8% dei giudici intervistati per l’elaborazione del questionario OCI ha dichiarato di ritenere che l’art. 169 bis L.F. si applichi anche alle linee autoliquidanti, riflettendo un dato che emerge piuttosto chiaramente anche dalle pronunce giurisprudenziali. Tra le più recenti si vedano: Trib. Perugia, 12 luglio 2018; Trib. Massa, 17 aprile 2018; Trib. Udine, 12 gennaio 2018; Trib. Trento, 6 luglio 2017 e Trib. Milano, 2 marzo 2017, tutte disponibili in www.ilcaso.it.
[10] In verità esiste un’opinione minoritaria in ragione della quale l’art. 182 quinques, comma III, L.F. sarebbe da intendersi come derogatorio rispetto all’art. 169 bis L.F. e dunque secondo tale interpretazione le linee autoliquidanti non proseguirebbero automaticamente in corso di concordato ma necessiterebbero di un’autorizzazione ex art. 182 quinques L.F. per il loro mantenimento. Sul punto si veda in particolare R. Brogi, Rapporti pendenti e contratti bancari, in Il Fall. 2018, 1124.
[11] In questi termini si veda D. Carbone – R. Corciulo, “Le novità della riforma estiva in tema di rapporti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari”, in www.ilfallimentarista.it.
[12] Si vedano, ex multis: Corte d’Appello Genova, 10 febbraio 2014; Trib. Cassino, 29 ottobre 2014; Trib. Rovigo, 17 febbraio 2014.
[13] In questo senso, ex multis: Trib. Pavia 24 novembre 2014; Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014; Trib. Milano, 11 settembre 2014.
[14] In questi termini si veda Trib. Milano, 2 marzo 2017, presidente relatore dott.ssa A. Paluchowski, in www.ilcaso.it.
[15] Si veda, tra le più recenti: Trib. Udine, 12 gennaio 2018, in www.ilcaso.it.
[16] Si veda in particolare Trib. Milano, 2 marzo 2017, già citata, secondo la quale “consentire al debitore di operare inertizzando la garanzia, dopo avere pacificamente goduto dell’erogazione, equivarrebbe ad ampliare surrettiziamente le ipotesi di inefficacia di cui alla legge (art. 168 L.F.) ed a consentire operazioni al limite della frode ove organizzate”.