Il presente contributo analizza l’evoluzione del pegno su titoli a partire dalle norme del Codice civile fino a quelle del nuovo Decreto Fintech.
Dal pegno del codice civile alla dematerializzazione
Come noto, il pegno e l’ipoteca sono le garanzie reali maggiormente in uso nel nostro ordinamento (artt. 2784 e ss. c.c.).
Il pegno, in particolare, può avere ad oggetto beni mobili non registrati, universalità di beni mobili e crediti. Secondo la disciplina codicistica, qualora il pegno abbia ad oggetto un bene mobile, lo stesso si costituisce con lo spossessamento dello stesso da parte del debitore, mentre nel caso in cui abbia ad oggetto un diritto di credito, la costituzione avviene con la consegna al creditore del documento che ne attesta l’esistenza.
Una particolarità dell’Istituto, come integrato dalle nuove discipline in materia finanziaria, è stata certamente quella della costituzione in pegno di strumenti finanziari dematerializzati, proprio per l’impossibilità di procedere ad uno spossessamento da parte del datore del pegno del titolo dematerializzato; in tal caso la registrazione nell’apposito conto dell’intermediario del vincolo pignoratizio è l’unica via per la costituzione della garanzia sugli strumenti dematerializzati.
Già da molti anni, infatti, esigenze connesse alla più agevole e sicura circolazione degli strumenti finanziari hanno determinato una progressiva ma costante tendenza alla loro dematerializzazione, ossia la perdita di rilevanza della “fisicità” che, quindi, determina la loro esistenza solo quali scritture contabili.
In proposito, ricordiamo che il percorso normativo iniziato con la L. 19 giugno 1986, n. 289 (Istitutiva della Monte Titoli S.p.a., Società di gestione accentrata degli strumenti finanziari, che ha permesso un accentramento delle operazioni di trasferimento dei titoli in essa registrati) è proseguito, in maniera più incisiva con il successivo D.lgs. 24 giugno 1998, n. 213 che ha imposto la dematerializzazione degli strumenti finanziari negoziati nei mercati regolamentati determinando (per il futuro) la tendenziale eliminazione di qualunque supporto cartolare in relazione alle nuove emissioni di titoli.
È comunque sempre opportuno tenere presente che, anche in costanza di tale regime di dematerializzazione, permanevano ipotesi nelle quali risultava possibile l’emissione di strumenti finanziari in formato cartolare e, con essi, la necessità di continuare ad individuare una puntuale disciplina della gestione accentrata di strumenti finanziari cartolari.
Un percorso che, però, ha prodotto a cascata necessari adattamenti alle disposizioni che ruotavano intorno alla dematerializzazione finanziari e che diventavano inapplicabili proprio per effetto della stessa.
Con riferimento alle modalità tramite cui costituire il pegno su titoli dematerializzati, va notata l’apparente inconciliabilità con la regola generale emergente dal combinato disposto degli artt. 1997 e 2786 cod. civ. secondo la quale, ai fini della costituzione del vincolo, è necessaria l’annotazione materiale sul titolo e lo spossessamento della cosa, incompatibile con il regime di dematerializzazione che, al fine di costituire la garanzia reale in esame, richiede unicamente le registrazioni in apposito conto tenuto dall’intermediario. Ne deriva che gli intermediari devono tenere distinti gli strumenti “liberi” da quelli “vincolati”, aprendo così più conti a nome dello stesso cliente titolare di strumenti dematerializzati vincolati e non (le regole relative alla procedura di costituzione dei vincoli, su indicazione dall’art. 34 Dlgs 213/1998 così come modificato dal Dlgs 27 gennaio 2010 n. 27) erano dettate inizialmente dal Regolamenti Consob n. 11768/98 sono state recepite in ultimo dal Provvedimento Unico sul post trading della Consob e Banca D’Italia del 2018 modificato nel 2022).
L’impossibilità di una costituzione del pegno su titoli dematerializzati “alternativa” alla registrazione del vincolo nel conto dell’intermediario, non potendo lo strumento finanziario essere cartolarizzato in un documento cartaceo, ha quindi condotto ad affermare che la nuova disciplina non avesse istituito e disciplinato una fattispecie di pegno anomalo, ma avesse introdotto nel nostro ordinamento un nuovo tipo di pegno.
Inoltre, in base alla normativa vigente, posto che il vincolo si costituisce unicamente con le registrazioni in conto, alla luce della disciplina codicistica del pegno, diviene inapplicabile, in punto di costituzione della garanzia pignoratizia, l’art. 2787, comma 3, c.c.; pertanto, qualora oggetto del pegno siano strumenti finanziari dematerializzati, la “scrittura con data certa, la quale contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa” perché abbia luogo la prelazione, non è più requisito necessario, sostituendosi ad essa appunto la registrazione nel conto dell’intermediario.
Il pegno rotativo
La necessità di rendere più sicuri, rapidi ed agevoli gli scambi su beni che, per esprimere in maniera piena tutto il proprio “valore” economico, devono essere messi nella condizione di poter circolare rapidamente, ha reso il pegno su strumenti dematerializzati terreno fertile per sperimentare una delle prime forme legali di rotatività di tale garanzia.
Il pegno rotativo è infatti quel tipo di garanzia pignoratizia che permette la sostituzione del bene oggetto della stessa senza che si generino effetti novativi.
Tale figura si è sviluppata proprio in relazione a tutti quei beni mobili che, al fine di conservare inalterato il proprio valore economico, devono necessariamente circolare e per i quali, di converso, la rigidità tipica del vincolo pignoratizio si risolverebbe in una irragionevole compressione tanto delle facoltà del debitore – che non potrebbe utilizzare il “valore” espresso da quei beni per garantire i propri debiti – quanto per il creditore pignoratizio che, per effetto del “congelamento” del bene oggetto di pegno, non vedrebbe pienamente conservato il valore dello stesso.
La sostituzione del bene, cioè, mantiene intatto il vincolo preesistente, che decorrerà dal momento della sua originaria costituzione pur se insistente, su un bene diverso rispetto a quello originariamente costituito in pegno.
La natura reale del pegno non mette in dubbio il fatto che il creditore sia interessato non tanto alla res su cui insiste quel diritto di garanzia ma, piuttosto, sul valore che la stessa esprime e, dunque, sulla sua utilità reale.
La circostanza che il patto di rotatività derivi dall’autonomia privata non ha impedito al legislatore di disciplinare specifici meccanismi di garanzia rotativa (art. 83 octies, comma 2, TUF) al fine di consentire l’accensione di specifici conti per permettere l’apposizione di vincoli sull’insieme degli strumenti finanziari in essi registrati, responsabilizzando l’intermediario in relazione alla conservazione del valore di tali strumenti e dell’esercizio dei diritti portati dagli stessi.
Tale disposizione è stata poi integrata dall’art. 57 del citato Regolamento sul Post-trading che, dopo aver individuato gli elementi che devono risultare da tali conti, specifica che “per gli strumenti finanziari registrati in conto in sostituzione o integrazione di altri strumenti finanziari registrati nel medesimo conto, a parità di valore, la data di costituzione del vincolo è identica a quella degli strumenti finanziari sostituiti o integrati”.
Ciò che si ricava dalle disposizioni da ultimo menzionate è l’espressa possibilità di sostituire con efficacia retroattiva gli strumenti finanziari originariamente avvinti ad un vincolo pignoratizio con altri, rispettando il valore dei beni che originariamente erano gravati dal vincolo. Tale disposizione, dunque, apre la strada alla costituzione di garanzie rotative aventi ad oggetto strumenti finanziari dematerializzati, emergendo quindi, la concezione di un pegno che, pur avendo ad oggetto un insieme di res, rileva per il valore intrinseco che tali beni posseggono.
La rotatività della garanzia, quindi, riesce a salvaguardare tanto l’interesse del debitore di disporre degli strumenti registrati in conto senza, però, frustrare le ragioni del creditore garantito alla conservazione e mantenimento delle proprie prerogative sul valore degli strumenti.
Sotto tale profilo, per tornare alle specificità della materia trattata, non deve dimenticarsi che tali modalità tramite cui, in concreto, si articola il patto di rotatività, devono essere portate a conoscenza dell’intermediario che, ai sensi dell’art. 83 octies, comma 2, TUF, è “responsabile dell’osservanza delle istruzioni ricevute all’atto di costituzione del vincolo in ordine alla conservazione dell’integrità del valore del vincolo ed all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari”.
L’intermediario, quindi, sarà chiamato a conservare il valore della garanzia nel rispetto delle volontà espresse dalle parti ed a lui comunicate.
Cenni sul pegno non possessorio
Nel rapporto della Banca Mondiale “Doing business 2016”, la relazione annuale che monitora la facilità nel fare impresa in 189 Paesi, l’Italia aveva conquistato il poco invidiabile primato fra i paesi OCSE di essere il sistema giuridico in cui i diritti legali dei creditori sono più deboli.
Perciò il pegno non possessorio è una delle iniziative introdotte dal D.lgs. 3 maggio 2016 n. 59 per recuperare questo ritardo e rendere la nostra economia più attrattiva per gli investitori ed è un tipico istituto “da codice di commercio”, chiaro esempio del fenomeno c.d. di “ri-commercializzazione del diritto commerciale”.
La destinazione imprenditoriale dello strumento è stata ribadita più volte dalla legge.
Ed invero, il pegno mobiliare non possessorio è un diritto reale di garanzia dei crediti commerciali che può avere ad oggetto beni mobili, beni materiali o immateriali non registrati, esistenti o futuri, destinati o derivanti dall’esercizio dell’impresa, determinati o determinabili anche mediante il riferimento a una delle categorie merceologiche che li includono o ad un valore complessivo, crediti derivanti o inerenti all’attività imprenditoriale.
La garanzia reale mobiliare sui crediti di impresa è stata introdotta con il D.L. 3 maggio 2016 n. 59, convertito con modifiche in L. 30 giugno 2016 n. 119 che prevede al comma 1 dell’art. 1 che gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti (concessi a loro o a terzi), presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa.
L’istituto è stato introdotto nel 2016 con lo scopo di conformare al sistema della garanzie reali tipiche tutti i beni mobili materiali e immateriali che rappresentano un valore patrimoniale dell’impresa, ha avuto una lunga gestazione proseguita con l’emanazione del decreto del MEF n. 114 del 25 maggio 2021, contenente il “regolamento riguardante il Registro dei pegni mobiliari non possessori”, nel quale sono state disciplinate le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione e gli obblighi a carico di chi effettua tali operazioni ed era stato demandato al direttore dell’Agenzia delle entrate la definizione della nomenclatura delle categorie merceologiche a cui appartengono i beni sui quali può essere costituito il pegno mobiliare.
Con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 ottobre 2021 sono state individuate le 25 categorie merceologiche dei beni mobili, materiali, immateriali e finanziari, assoggettabili al vincolo e con quello dell’aprile 2023 vi è stata l’emanazione delle specifiche tecniche per la redazione degli atti costitutivi della garanzia da iscrivere nel “registro informatico”.
L’impossibilità dello spossessamento dell’oggetto del pegno e la natura immateriale di parte dei beni individuati nelle categorie merceologiche ha indotto a prevedere che la costituzione della garanzia debba avvenire, a pena di nullità, mediante atto pubblico, scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente, contratto sottoscritto digitalmente ai sensi dell’articolo 24 del D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 o provvedimento giudiziario e che la opponibilità ai terzi derivi dalla pubblicità dichiarativa[2], che si consegue all’iscrizione nel “registro pegni” che avviene mediante un procedimento simile a quello previsto per le garanzie reali immobiliari.
Oltre al requisito della forma scritta a pena di nullità ed al contenuto minimo dell’atto istitutivo, nel quale deve essere determinato o determinabile il credito e l’oggetto della garanzia, che distinguono il pegno non possessorio dal pegno civile, le altre differenze tra gli istituti derivano dalla “destinazione dello strumento”, rivolto esclusivamente all’imprenditore iscritto nel registro delle imprese, dalla natura “commerciale” del credito garantito e dalla qualità dei beni da vincolare che, a condizione di validità della garanzia, devono essere direttamente o indirettamente “destinati all’esercizio dell’impresa”, così come i crediti devono essere “inerenti all’esercizio dell’impresa”.
Prevedendo che il pegno non possessorio sia volto a garantire crediti “inerenti all’esercizio dell’impresa” e abbia ad oggetto beni “strumentalmente necessari o utili alla prosecuzione o attivazione dell’impresa”, il legislatore ha fissato i requisiti oggettivi del credito e della garanzia che devono coesistere con quello soggettivo della qualità di imprenditore del debitore e del terzo datore la cui assenza influenza la causa contrattuale e produce la nullità della garanzia.
Allo stesso modo prevedendo a pena di nullità che la costituzione debba avvenire mediante un atto formale con l’indicazione del credito e dell’oggetto del pegno da iscrivere nel “registro speciale”, ha determinato una condizione di specialità dell’Istituto, che impone di applicare la nuova disciplina a tutti i pegni che garantiscono finanziamenti concessi all’impresa mediante i beni dell’impresa, quando non siano previste forme diverse di costituzione e di pubblicità del vincolo.
La nuova disciplina del pegno non possessorio si pone, dunque, sia come normativa speciale che di chiusura, perché tende ad includere e regolare anche tutti i pegni commerciali c.d. anomali, creati dalla prassi commerciale e tende a superare le problematiche relative allo spossessamento e alla circolazione dei beni oggetto della garanzia.
È opportuno poi sottolineare come il comma 2 del d.l. 59/2016 prevedeva come “normale” la rotatività del pegno, a condizione che “non sia diversamente previsto nel contratto”, lasciando intendere la necessità dell’inserimento di una clausola esplicita nel caso in cui si voglia escludere il funzionamento di tale meccanismo.
Il pegno nel decreto Fintech
Con il recente Decreto Fintech (il decreto-legge n. 25 del 17 marzo 2023, convertito con modificazioni dalla legge 10 maggio 2023, n. 52) sono state definitivamente introdotte nell’ordinamento italiano rilevanti novità in materia di mercati finanziari, nonché misure di semplificazione della sperimentazione fintech, che disciplina l’emissione di strumenti finanziari digitali (tokenizzati) su tecnologie a registro distribuito (c.d. DLT, i.e. Distributed Ledger Technologies).
Il decreto-legge attua le disposizioni contenute nel Regolamento UE n. 858/2022 del 30 maggio 2022 che stabiliscono un regime pilota (“Pilot Regime”) per le infrastrutture di mercato basate sulla DLT – (tecnologia a registro distribuito) in materia di emissioni e circolazione di strumenti finanziari digitalizzati, finalizzato a permettere che la legislazione degli stati dell’Unione in materia di servizi finanziari si adeguasse all’era digitale e consentisse alla nostra economia di affrontare le sfide attuali, anche nell’ottica di esplorare l’utilizzo di tecnologie innovative che si affacciano all’orizzonte, nell’interesse del benessere e dello sviluppo dell’Unione.
Si è così dato seguito al primo approccio normativo, in ambito nazionale, di apertura del settore finanziario all’offerta e negoziazione di token rappresentativi di asset class tradizionali, come azioni, obbligazioni, diritti, obblighi e loro derivati, ovvero asset class alternativi (si parla, ad esempio, di “tokenizzare” gli NPL che potranno essere commercializzati anche tra i consumatori come forma di investimento).
L’obiettivo di questa normativa è permettere agli operatori del settore di operare in un ambiente digitale controllato, c.d. a registro distribuito, e di garantire un elevato standard di affidabilità e tutela di risparmiatori e investitori.
Riprendendo quanto disposto dal Regolamento UE, l’art. 1 del decreto-legge italiano definisce come strumenti finanziari a «forma digitale» quegli strumenti che consistono esclusivamente in scritturazioni all’interno di un registro per la circolazione digitale.
Il nuovo regime di derivazione europea intende dunque derogare alle attuali norme sulla gestione accentrata degli strumenti finanziari in capo ad un unico depositario, mediante un meccanismo di circolazione e gestione degli strumenti finanziari “distribuito” tra più soggetti appartenenti alla medesima rete, tipico della blockchain.
In particolare, l’emissione di strumenti finanziari viene effettuata tramite «scritturazioni» su un registro per la circolazione digitale tenuto da un responsabile del registro e tutte le informazioni riguardanti ciascun titolo devono essere disponibili in un formato elettronico accessibile e consultabile in ogni momento da remoto.
Va poi sottolineato che il registro è destinato ad assolvere anche una funzione pubblicitaria, considerato che i vincoli sugli strumenti finanziari digitali si costituiscono unicamente mediante scritturazione nello stesso.
Dispone, infatti, l’art. 9 del Decreto Fintech che “Qualsiasi vincolo sugli strumenti finanziari digitali si costituisce unicamente mediante scritturazione nel registro”.
L’emissione di strumenti finanziari digitali è consentita solo su registri tenuti da responsabili iscritti nell’apposito elenco e ogni emissione di valori è iscritta su un solo registro per la circolazione digitale, così come a ciascun registro è associato un unico responsabile.
L’iscrizione nell’elenco avviene a seguito della valutazione dell’idoneità dei soggetti richiedenti da parte della Consob.
L’entrata in vigore del Decreto-legge Fintech in Italia costituisce senz’altro un passo importante per gli operatori finanziari del nostro paese, per gli investitori e i risparmiatori. La regolamentazione della tecnologia DLT per l’emissione di strumenti finanziari comporta rilevanti benefici, innanzitutto a livello di sicurezza e attendibilità, così come di maggiore facilità di circolazione di tali strumenti e di potenziale incremento del relativo mercato.
Il progetto europeo che prende così forma anche nel nostro ordinamento è, infatti, rivolto alla regolamentazione dei modelli di c.d. tecno-finanza (da cui fintech) e dei mercati finanziari basati sulla tecnologia a registro distribuito che, negli ultimi anni, ha dato vita a un ampio e variegato fenomeno di distribuzione di valori digitali, fuori da un’effettiva vigilanza e con poche regole normative.
L’auspicio è che ora inizi ad essere favorito uno sviluppo dell’utilizzo degli strumenti finanziari attraverso canali e mercati innovativi, con la tutela della vigilanza e della regolamentazione garantita dalle autorità istituzionali.