1. La legge di bilancio per il 2018 (art. 1, comma 87, lett. a), l. 27 dicembre 2017, n. 205) ha modificato la disposizione che disciplina l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione, per l’applicazione dell’imposta di registro.
L’art. 20, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (t.u. registro), nel testo novellato, continua a prevedere che l’imposta va applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il nome o la forma apparente. Si specifica, però, con una sostituzione, che oggetto di interpretazione è solo l’atto registrato (non più gli atti, al plurale); e, con un’aggiunta, che non possono essere considerati elementi extratestuali o rinvenibili in altri atti, collegati all’atto registrato perché parte di un disegno unitario[1].
2. La modifica è importante, perché intende por fine a molte controversie pratiche – tra contribuenti e Amministrazione – e discussioni teoriche – tra giurisprudenza e dottrina – sull’applicazione dell’imposta di registro a più atti, contenenti negozi collegati che, considerati singolarmente, scontano una tassazione più mite rispetto a quella cui è soggetto il negozio che realizza direttamente lo stesso effetto finale.
Secondo Amministrazione e giurisprudenza, l’art. 20 legittimerebbe la riqualificazione, e l’applicazione della corrispondente imposta di registro, degli atti di conferimento di beni o aziende, seguiti dalla cessione delle partecipazioni ai soci della conferitaria (o a terzi), in cessioni dirette dell’azienda; oppure la riqualificazione degli atti di conferimento d’immobile, gravato da mutuo ipotecario, e successiva cessione delle partecipazioni, in cessioni dirette dell’immobile[2]; o, ancora, degli atti di vendita di singoli beni di un complesso aziendale, fatte al medesimo soggetto e in un breve intervallo di tempo, in cessioni di azienda.
Secondo la contraria tesi della dottrina, l’art. 20 non consente di considerare elementi e criteri d’interpretazione extratestuali (come la comune intenzione dei contraenti) o eventi successivi alla stipulazione dell’atto (come, appunto, la conclusione di altri negozi, collegati al primo)[3].
Pur recependo la tesi della dottrina, il legislatore ha stabilito che l’Amministrazione possa sempre esercitare i poteri conferitile dalla norma generale antielusiva, di cui all’art. 10-bis, l. 27 luglio 2000, n. 212 (art. 53-bis, comma 1, t.u. registro, integrato dall’art. 1, comma 87, lett. b), legge di bilancio). Pertanto, dal 1° gennaio 2018, gli atti collegati potranno essere tassati, ai fini del registro, come atti unitari – di cessione di azienda, d’immobile, a seconda dei casi – se danno luogo a fattispecie elusive, ai sensi dell’art. 10-bis, l. 212/00.
3. La disposizione dell’art. 1, comma 87, lett. a), legge di bilancio, pone diversi problemi, riguardanti la sua efficacia temporale e i rapporti con la norma generale antielusiva, di cui all’art. 10-bis, l. 212/2000.
La prima questione è se l’art. 20, nella versione novellata, si applichi solo a fatti verificatisi dopo la sua entrata in vigore (1° gennaio 2018) o se, come norma interpretativa, debba valere anche per l’accertamento di (e i giudizi in corso su) fattispecie verificatesi prima.
La Corte di Cassazione ha affermato che la disposizione della legge di bilancio contiene una norma innovativa, non interpretativa; per tanto, essa si applica alle sole fattispecie verificatesi dal 1° gennaio 2018[4]. In senso critico, si è invece rilevato che essa avrebbe natura interpretativa; per questo, andrebbe applicata anche alle fattispecie verificatesi prima della suddetta data[5].
Sul punto, va ricordato che, sotto il profilo sostanziale, le norme interpretative (retroattive) si distinguono da quelle innovative (non retroattive) perché: (a) eliminano un contrasto sul significato di una certa disposizione o un’interpretazione giurisprudenziale contraria alla linea di diritto perseguita; (b) impongono, tra le più possibili, una determinata interpretazione di quella disposizione, che si fa quindi norma, eliminando le altre; (c) si affiancano alla disposizione interpretata, senza sostituirsi ad essa; restano pertanto in vigore entrambe le disposizioni – l’interpretata e l’interpretante – ma una sola norma, quella espressa dalla disposizione interpretativa; (d) hanno per oggetto un’altra norma – quella interpretata – non direttamente la fattispecie che questa disciplina[6].
Vanno quindi considerate norme con valore interpretativo quelle che, per esprimere in modo più chiaro un precetto, modificano il testo di una disposizione preesistente, regolando direttamente la fattispecie ivi disciplinata (come appunto, la norma contenuta nell’art. 1, comma 87, lett. a), legge di bilancio). Ma le norme con valore interpretativo, così come quelle modificative, non sono norme interpretative in senso proprio, bensì norme innovative. Sono, perciò, da applicare solo per l’avvenire.
4. Circa i rapporti tra art. 20 e norma generale antielusiva, ci si è chiesti se gli Uffici possano oggi tassare in modo unitario più atti collegati, in applicazione dell’art. 10-bis, l. 212/00, anche se non sono integrati tutti gli elementi della fattispecie abusiva (ivi definita come «una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti»)[7].
Poiché le due norme – l’art. 20, t.u. registro, e l’art. 10-bis, l. 212/00 – hanno contenuto e funzione diversi, esse vanno tenute distinte e applicate ognuna in base ai propri presupposti e secondo la propria natura. Sembra, quindi, che l’art. 10-bis, l. 212/2000, possa applicarsi, con le relative garanzie per il contribuente, solo quando ricorrono tutti gli elementi della fattispecie di elusione (p. es., le operazioni “circolari”, all’esito delle quali la totalità delle partecipazioni nella conferitaria finisce nelle mani di un unico socio[8]).
[1] Si riporta il testo novellato dell’art. 20,t.u. registro. Le parti sostituite e aggiunte sono sottolineate: «1. L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».
[2] Nella determinazione della base imponibile in caso di conferimento, è possibile dedurre le passività e gli oneri accollati alla conferitaria; non, invece, nella cessione diretta dell’immobile (art. 50, t.u. registro). V., in ultimo, Cass.,sez. trib., 26 gennaio 2018, n. 2007 (reperibile su http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).
[3] Per riferimenti, v. G. Tabet, L’applicazione dell'art. 20 t.u. registro come norma di interpretazione e/o antielusiva, inRass. trib., 2016, 913.
[4] Cass.,sez. trib., 26 gennaio 2018, n. 2007.
[5] G. Fransoni, La Cassazione e l’art. 20 del Testo Unico dell’Imposta di Registro: fra contorsioni argomentative, moniti e scelte di campo, inRiv. dir. trib. – Supplemento online, 30 gennaio 2018.
[6] Cfr. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, XII ed., Milanofiori Assago-Torino, 2016, 52-54. Quanto al profilo formale, le norme interpretative devono auto qualificarsi come tali e possono essere adottate solo con legge ordinaria (art. 1, l. 212/00).
[7] G. Fransoni, op. cit.
[8] V. D. Canè, Brevi note sullo stato della giurisprudenza intorno all'art. 20 del t.u. registro, in Rass. trib., 2016, 667.