1. La legge di bilancio per il 2018 (l. 27 dicembre 2017, n. 205) ha modificato, sotto più profili, la disciplina degli utili provenienti da soggetti a regime fiscale privilegiato, che, a differenza di quelli prodotti da società residenti e non residenti in regime ordinario, sono imponibili in misura piena in mano al socio[1]. Essi non beneficiano, infatti, né della participation exemption, applicabile ai soggetti Ires o Irpef in regime d’impresa, né dei prelievi sostitutivi, previsti per i soggetti Irpef che percepiscono gli utili non in relazione all’attività d’impresa[2].
La modifica più rilevante è contenuta nel comma 1009 dell’art. 1, che introduce un’esclusione del cinquanta per cento, in luogo dell’imponibilità integrale, dell’ammontare degli utili provenienti da soggetti a regime fiscale privilegiato[3]. E’ previsto che l’esclusione spetti solo per gli utili prodotti da soggetti controllati (secondo la definizione di cui all’art. 2359 c.c.) e solo se questi svolgano, nel territorio d’insediamento, un’effettiva attività commerciale o industriale. Resta invariata la previsione sul credito d’imposta indiretto, pari alle imposte assolte dalla controllata sull’utile prodotto, che spetta al socio residente in tali casi. Si prevede, però, che il credito spetti in proporzione alla quota imponibile degli utili (come, peraltro, già prevede l’art. 165, comma 10, Tuir, sul credito per le imposte estere).
A decorrere dal 1° gennaio 2018, gli utili di fonte estera sono, pertanto, tassati in tre modi diversi, a seconda del regime fiscale e dell’attività svolta dal soggetto che li ha prodotti:
(a) esclusione del 95 per cento degli utili prodotti da soggetti che non beneficiano di regimi fiscali privilegiati, ai sensi dell’art. 167, comma 4, Tuir (cioè utili che, alla produzione o durante il rimpatrio, hanno scontato una tassazione almeno pari alla metà di quella italiana);
(b) esclusione del 50 per cento e credito d’imposta indiretto, per gli utili prodotti da soggetti controllati che, pur beneficiando di regimi fiscali privilegiati, nel senso inteso sopra, svolgono un’effettiva attività commerciale o industriale;
(c) piena imponibilità, senza credito d’imposta, per gli utili prodotti da soggetti che beneficiano di regimi fiscali privilegiati e non svolgono un’effettiva attività commerciale o industriale.
La modifica portata dal comma 1009 intende ridurre il disincentivo – rappresentato, appunto, dall’imponibilità integrale – al rimpatrio di utili prodotti da attività d’impresa effettivamente svolte all’estero (disincentivo, peraltro, poco compatibile con il principio della libera circolazione dei capitali, che si applica anche verso i Paesi terzi). La misura rischia, però, di tradursi in un’agevolazione rispetto agli omologhi investimenti domestici (anche se, al netto del credito d’imposta indiretto, la tassazione sul solo socio si avvicina molto, e rimane superiore, a quella gravante sugli utili di fonte interna, che beneficiano dell’ordinaria esclusione del 95 per cento[4]). Sorprende, quindi, che non sia stata estesa anche ai soci-soggetti Irpef, che detengono le partecipazioni in regime d’impresa (ai quali continua oggi ad applicarsi la participation exemption).
Inoltre, la stessa esclusione del 50 per cento non è stata prevista per le plusvalenze realizzate sulle partecipazioni nei soggetti sub (c), determinando un’asimmetria che appare contraria alla ratio della participation exemption (che è fondata sull’equivalenza economica e di trattamento fiscale tra plusvalenze e dividendi[5]).
2. Nuove, importanti norme sono contenute anche nel comma 1007, che disciplina il caso in cui la società non residente, che non si considerava soggetta a regimi fiscali privilegiati nell’anno di produzione dell’utile, è però tale nell’anno di percezione (dell’utile) da parte del socio residente (situazione occasionata dalle modifiche che, tra il 2014 e il 2015, hanno interessato il criterio di individuazione dei soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata, ex art. 167, comma 4, Tuir[6]).
E’ previsto che gli utili percepiti dal socio, formati con utili prodotti nei periodi durante i quali la società beneficiava di regimi fiscali privilegiati, non si considerano «provenienti da soggetti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato». Il primo periodo del comma 1007 riguarda gli utili prodotti fino al periodo d’imposta 2014 e distribuiti dal periodo d’imposta 2015; il secondo periodo, gli utili prodotti dal periodo di imposta 2015 in poi.
Questa norma riflette il principio per cui le disposizioni sull’imponibilità integrale (artt. 89, comma 3, e 47, comma 4, Tuir), che sono norme “difensive”, non possono applicarsi quando l’utile percetto dal socio ha già scontato un’imposizione congrua[7] – all’estero – nell’annodi produzione, a nulla rilevando che la partecipata benefici di un regime fiscale agevolato nell’anno di percezione. Questo è coerente con la ratio della participation exemption, che raccorda la tassazione sul socio, per l’utile distribuito, a quella subita dallo stesso utile alla produzione (presso la società). La norma che dispone l’integrale imponibilità degli utili di fonte estera deroga alla participation exemption, sul presupposto – appunto – che l’utile sociale non abbia scontato (abbastanza) imposte estere alla produzione ed opera proprio per evitare che esso pervenga al socio del tutto o in parte detassato[8].
Si può quindi ritenere superata l’interpretazione dell’Amministrazione, secondo la quale si dovevano considerare integralmente imponibili anche gli utili distribuiti da società che non avevano beneficiato di regimi fiscali privilegiati nell’anno di produzione dell’utile, ma nel solo anno di distribuzione[9].
La disposizione del comma 1007 si applica sia agli utili percepiti da soggetti Ires (commerciali e non commerciali) sia a quelli percepiti da soggetti Irpef (in relazione o meno all’attività d’impresa).
3. Infine, il comma 1008 stabilisce che, quando cambia il regime fiscale della partecipata estera (sempre da non privilegiato a privilegiato), si presumono prioritariamente distribuiti gli utili che si considerano non provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato, ossia gli utili che, secondo la definizione data dal comma 1007, sono stati prodotti quando la partecipata era soggetta a tassazione ordinaria. La norma serve a coordinare la tassazione dell’utile alla distribuzione (sul socio) con quella scontata alla produzione (dalla società), evitandone la duplice imposizione (economica).
Considerata la loro ratio, queste previsioni dovrebbero applicarsi anche al caso opposto, non disciplinato, di passaggio da regime fiscale privilegiato a non privilegiato. In quest’ipotesi, dovranno considerarsi provenienti da soggetti a regime fiscale privilegiato, e distribuiti per primi, gli utili prodotti nei periodi d’imposta in cui il soggetto non residente beneficiava di regimi fiscali privilegiati.
4. Le norme di cui ai commi 1007 e 1008 si applicano solo ai dividendi. Le plusvalenze relative a partecipazioni in società non residenti, che abbiano beneficiato di regimi fiscali privilegiati anche in un solo anno dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione, restano pienamente imponibili in mano al socio – anche se, negli altri periodi, la partecipata ha sempre scontato una tassazione congrua rispetto a quella che avrebbe subito in Italia (art. 87, lett. c), Tuir).
Si crea, anche in questo caso, un “doppio binario” fiscale, contrario alla ratio della pex, per redditi che, dal punto di vista economico, possono considerarsi equivalenti[10]. La soluzione scelta per i dividendi potrebbe allora essere estesa alle plusvalenze, per limitarne l’esenzione a quelle che riflettono utili (non distribuiti) già tassati – o che saranno tassati – in misura congrua presso la società non residente; oppure – il che dovrebbe, in teoria, essere lo stesso – prevedere l’imponibilità della sola plusvalenza corrispondente agli utili prodotti in periodi durante i quali la partecipata beneficiava di regimi fiscali privilegiati (in entrambi i casi, andrebbe però precluso il credito d’imposta indiretto, oggi previsto dagli articoli 86, comma 4-bis, Tuir, per le plusvalenze realizzate da soggetti Ires, e 68, comma 4-bis, Tuir, per quelle realizzate da soggetti Irpef).
Questa seconda soluzione è oggi praticabile, perché l’ultimo periodo del comma 1007 prevede che, in caso di cessione della partecipazione, la preesistente stratificazione delle riserve di utili (presso la partecipata) si trasferisca al cessionario. Costui è, di fatto, obbligato a ottenere evidenza, dalla società, dei diversi periodi di formazione degli utili compresi nella plusvalenza ed è in grado di individuare quelli prodotti quando la partecipata beneficiava di regimi fiscali privilegiati (operazione che potrebbe risultare, tuttavia, non facile per un investitore di minoranza).
[1] Cfr. art. 89, comma 3, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir). La norma si applica in caso di:(a) partecipazione diretta, anche non di controllo, nel soggetto non residente beneficiario di un regime fiscale privilegiato; e (b) partecipazione di controllo, diretto o indiretto, in soggetti non residenti che detengono una partecipazione, anche non di controllo, nel soggetto a regime fiscale privilegiato (ossia, solo se A, residente, detiene una partecipazione di controllo in B, a sua volta socio, anche non di controllo, di C, soggetto a regime fiscale privilegiato). Gli utili relativi a partecipazioni indirette beneficiano comunque dell’ordinaria esclusione del 95 per cento, se la partecipazione nella società intermedia non è di controllo (arg. ex art. 89, comma 3, 5° per., Tuir).
[2] V. la segnalazione sulla riforma della tassazione dei redditi finanziari conseguiti da persone fisiche non nell’attività d’impresa.
[3] L’art. 89, comma 3, Tuir, fa invero riferimento agli utili provenienti da «soggetti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato». La definizione di tali soggetti, contenuta nell’art. 167, comma 4, Tuir, rimanda, però, al regime fiscale proprio del soggetto non residente. Per questo, si può abbreviare l’espressione come fatto nel testo, senza perdere in precisione.
[4] Su utili distribuiti di 100, che hanno scontato un’imposta estera alla produzione di 11,5, l’Ires sul socio, al netto del credito d’imposta indiretto, sarebbe 6,25 [(50 * 0,24) – [11,5 * 0,5]); non di molto superiore a quella che grava sull’utile di fonte domestica e su quello di fonte estera, prodotto da soggetti non a regime fiscale privilegiato (pari a 1,2, calcolata moltiplicando l’aliquota Ires, del 24 per cento, per la parte imponibile dell’utile, cioè 5). Potrebbe quindi accettarsi che la modifica abbia, in una certa misura, carattere strutturale, non agevolativo (così, P. Arginelli, R. Michelutti, Dividendi black list, regime da rivedere, Il Sole 24 Ore, 27 gennaio 2018). Tuttavia, se si considera la tassazione aggregata società/socio, l’esclusione del 50 per cento, combinata con il credito d’imposta indiretto, può determinare un carico fiscale anche inferiore a quello gravante sugli utili di fonte domestica (sempre considerando la tassazione Ires sulla società e sul socio). Questa agevolazione aumenta, poi, man mano che la tassazione estera diminuisce, perché, pur diminuendo il credito d’imposta indiretto che spetta al socio, diminuisce anche l’imposta estera (mentre l’Ires sul 50 per cento dell’utile percetto dal socio non supererebbe mai il 12, per un utile, per ipotesi, di 100). Questo potrebbe confermare la natura sostanzialmente agevolativa dell’esclusione de qua.
[5] A. Viotto, Il regime tributario delle plusvalenze da partecipazioni, Torino, 2013.
[6] E che sarà comunque più frequente che in passato, dato il criterio “mobile” oggi previsto dall’art. 167, comma 4, Tuir, per individuare i soggetti che si considerano residenti in Stati a regime fiscale privilegiato. Cfr. E.M. Bagarotto, La disciplina in materia di Controlled Foreign Companiesalla luce delle modifiche apportate dalla legge di Stabilità 2016 e nell’attesa dell’attuazione della “Direttiva Anti-BEPS”, in Dir. prat. trib., 2017, I, 961.
[7] Ossia, una tassazione effettiva almeno pari alla metà di quella italiana.
[8] V. G. Zizzo, Participation exemptione riorganizzazioni societarie, in il fisco, 2002, 4428.
[9] Ag. Entrate, circolare 4 agosto 2016, n. 35/E, 62 s. Per applicare la participation exemption, il socio avrebbe dovuto verificare che, dal primo esercizio di possesso della partecipazione, l’utile prodotto dalla partecipata fosse stato sempre tassato in misura congrua alla produzione – anche nell’ipotesi in cui avesse percepito l’utile prodotto in un anno in cui la partecipata non beneficiava di regimi fiscali privilegiati (utile, perciò, già tassato in misura congrua all’estero, che non era necessario ritassare in Italia).
[10] Cfr. G. Arachi, T. Di Tanno, G. Ferranti, D. Stevanato, R. Lupi, Quali riforme per la participation exemption?, in Dial. dir. trib., 2006, 1211.