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Editoriali

Legge sulla concorrenza, il meccanismo va ripensato

5 Giugno 2017

Antonio Catricalà

Professore e avvocato; già magistrato, presidente Antitrust e componente tecnico di due Governi

Di cosa si parla in questo articolo

L’iter parlamentare del Ddl concorrenza, di recente approdato alla Camera dei Deputati, impone, al di là del merito dei contenuti, un ripensamento dell’approccio legislativo al tema dell’apertura dei mercati.

Due numeri ‘lampeggiano’ sullo sfondo della necessaria riflessione: 2870 e 832, vale a dire i giorni trascorsi da quando, rispettivamente, è stata approvata la legge 23 luglio 2009, n. 99, che ha istituito il Ddl concorrenza, e quelli passati dal varo del primo disegno di legge in materia (il 20 febbraio 2015).

Le difficoltà che incontrano le istanze a favore di un’economia più aperta e competitiva impongono dunque un ripensamento sullo strumento della legge annuale per la concorrenza.

È un tema che si sta facendo strada anche all’interno dell’attuale compagine governativa, tant’è che il Def, (Documento di economia e finanza), recentemente varato dal Governo, definisce “l’approvazione della Legge annuale per la concorrenza in tempi rapidi un obiettivo imprescindibile, insieme all’immediata definizione di un appropriato strumento legislativo a cui affidare i prossimi passi in materia di liberalizzazioni”.

Ancora più esplicito è stato il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda: “meglio procedere per settori, cioè individuare i comparti che necessitano di interventi – ha affermato – e valutare il ricorso allo strumento del decreto legge: servirà ovviamente il placet del Quirinale, ma c’è un precedente risalente al governo Monti”, facendo riferimento al c.d decreto Cresci-Italia.

Di certo occorre prendere atto che il meccanismo previsto per il Ddl concorrenza, benché sulla carta ottimale, rappresenta un’occasione sprecata. Non sono serviti il timing serrato previsto dall’articolo 47 della legge n. 99 (presentazione del Ddl governativo entro 60 giorni dalla relazione annuale dell’Antitrust), né l’aggancio europeo attraverso l’analisi dello stato di conformità dell’ordinamento interno ai princìpi comunitari in materia di concorrenza. Le pressioni dei gruppi di interesse (che fanno legittimamente il loro mestiere) hanno di fatto bloccato il meccanismo, ed edulcorato strada facendo, secondo la recentissima analisi del presidente Antitrust Giovanni Pitruzzella, i contenuti del primo, e probabilmente ultimo, Ddl concorrenza.

Occorre tuttavia chiedersi se la strada del decreto legge indicata dal ministro sia praticabile. Se cioè sia davvero compatibile con il quadro costituzionale una decretazione d’urgenza per l’introduzione di riforme strutturali delle quali si discute da anni. Né soccorre del tutto il richiamo al c.d decreto CresciItalia. Occorre infatti ricordare che a cavallo del 2011 e il 2012 il nostro Paese era sull’orlo del baratro finanziario, ai limiti del ‘commissariamento’ da parte di Commissione Europea e del Fondo Monetario. Oggi per fortuna, o per merito dei governi che si sono succeduti in questi anni, il nostro Paese è fuori dalla zona di rischio.

Occorre dunque ragionare su soluzioni alternative. E qui, oggettivamente, lo scenario si complica giacché si finisce inevitabilmente con lo sconfinare nel terreno minato dei rapporti tra Esecutivo e Parlamento. Se a esempio la riforma dei regolamenti parlamentari, di cui si dibatte da tempo, con l’introduzione di ‘corsie preferenziali’ per i Ddl di governo, fosse stata approvata, l’Esecutivo avrebbe lo strumento ‘principe’ per raggiungere l’obiettivo dato. Magari qualificando da subito ‘essenziale’ il Ddl concorrenza, in modo da utilizzare annualmente ex lege la corsia preferenziale.

Occorre tuttavia prendere atto che la riforma dei regolamenti si è impantanata ancor più del Ddl Concorrenza. E’ necessario dunque esplorare strade alternative: si potrebbe a esempio valutare l’introduzione di norme di apertura dei mercati nella legge di bilancio. Una simile innovazione andrebbe ovviamente sostenuta da una robusta analisi economica relativa all’impatto delle singole norme sulla crescita e dunque sulle maggiori entrate e sui risparmi di spesa. Tale meccanismo avrebbe il pregio di rendere consapevole l’opinione pubblica degli effetti benefici della concorrenza, spuntando le armi, altrimenti affilatissime, delle lobby. Taglierebbe l’erba sotto i piedi a quanti ritengono ideologica l’equazione concorrenza= crescita. E imporrebbe al Governo un’attenta selezione degli interventi a maggiore impatto sullo sviluppo.

Una simile ipotesi, a quadro normativo vigente, trova tuttavia un ostacolo nei paletti contenutistici fissati alla legge di bilancio che, come è noto, non può contenere norme di delega, di carattere ordinamentale od organizzatorio, nonché interventi di natura localistica o microsettoriale.

Il tema andrebbe dunque affrontato de iure condendo attraverso una modifica normativa che stabilisse una deroga a tali limiti per le norme destinate ad aprire i mercati e ad aumentare la concorrenza.

Non sfugge a chi scrive il rischio che tale deroga potrebbe costituire un cavallo di Troia per fare entrare nella legge di bilancio ciò che il legislatore ha invece, almeno in linea teorica, fermamente voluto tenere fuori. La norma dovrebbe dunque essere tecnicamente ‘blindata’ e sarebbe opportuno intervenire sulla Legge del 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione). L’opzione avrebbe infatti una valenza politica di alto rilievo: la legge n.243 ha natura di legge rinforzata e una sua modifica andrebbe approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Il vincolo costringerebbe le forze politiche a una forte assunzione di responsabilità, inducendo i finti liberalizzatori a gettare la maschera.

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