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Giurisprudenza

Legittimazione del socio-amministratore ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio

8 Marzo 2021

Andrea Galleano, Dottorando in Studi Giuridici Comparati ed Europei, Università di Trento

Cassazione Civile, Sez. I, 22 dicembre 2020, n. 29325 – Pres. De Chiara, Rel. Nazzicone

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione conferma il proprio consolidato orientamento in virtù del quale il socio-amministratore di una società di capitali è legittimato all’impugnazione della delibera assembleare di approvazione del bilancio anche nell’ipotesi in cui, nella sua qualità di membro dell’organo amministrativo, egli abbia precedentemente contribuito all’approvazione del relativo progetto di bilancio.

La Corte rileva innanzitutto la mancanza di qualsivoglia restrizione in tal senso al diritto di impugnazione delle deliberazioni non conformi alla legge o allo statuto e, in secondo luogo, evidenzia che il socio-amministratore può legittimamente esprimere due diverse valutazioni senza che si configuri per ciò solo una violazione del divieto di venire contra factum proprium né, più in generale, dei principi di correttezza e buona fede. Nel caso in esame, deve ritenersi infatti che il soggetto che propone l’impugnativa esercita funzioni e ruoli distinti: quello di amministratore e quello di socio (nello stesso senso, Cass. n. 15592/2000; Cass. n. 16388/2007). Tali conclusioni trovano ulteriore conforto, secondo la ricostruzione della Suprema Corte, con particolare riferimento all’azione di nullità, a mente della coesistenza in tal caso di un interesse superindividuale e non soltanto dell’attore alla caducazione della delibera viziata.

In tema di indicazione nel bilancio delle “dazioni” di denaro da parte dei soci alla società, la Suprema Corte afferma poi il principio di diritto secondo cui «non è arbitro l’organo amministrativo di appostare in bilancio le dazioni di denaro dei soci in favore della società, nè di mutare la voce relativa, successivamente alla iscrizione originaria, dovendo essa rigorosamente rispecchiare la effettiva natura e causa concreta delle medesime, il cui accertamento, nella interpretazione della volontà delle parti, è rimesso all’apprezzamento riservato al giudice del merito».

La Corte richiama al riguardo le varie modalità con cui il socio può effettuare dazioni di denaro a favore della società: a) i conferimenti; b) i finanziamenti; c) i versamenti a fondo perduto o in conto capitale; d) i versamenti finalizzati ad un futuro aumento di capitale. Mentre i primi costituiscono un apporto di capitale di rischio e vanno in quanto tali a costituire il capitale sociale nominale, i secondi sono qualificati come rapporti di mutuo ai sensi degli agli artt. 1813 ss., cod. civ. e vanno pertanto iscritti al passivo dello stato patrimoniale tra i debiti verso i soci. I versamenti della terza e della quarta tipologia tra quelle sopra indicate non hanno natura giuridica di mutuo e non danno pertanto luogo ad un diritto al rimborso; tuttavia, mentre gli apporti sub c) sono acquisiti definitivamente al patrimonio sociale, costituendo di regola una riserva disponibile, i versamenti in conto futuro aumento di capitale rappresentano una riserva “personalizzata” o “targata” e dovranno pertanto essere restituiti ai soci che li hanno effettuati in caso di mancata deliberazione dell’aumento. Tale restituzione non avviene dunque a titolo di rimborso di somma data a mutuo, bensì quale ripetizione dell’indebito per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa che sorreggeva l’attribuzione dei soci a favore della società. Peraltro, sottolinea la Suprema Corte, affinché la dazione del socio possa essere qualificata alla stregua di quest’ultima categoria, occorre che ne emerga inequivocabilmente il carattere subordinato rispetto ad una specifica futura operazione di aumento del capitale sociale, non risultando all’uopo sufficiente la denominazione attribuita al versamento nei documenti societari o contabili della società.

 

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