La Corte di Cassazione con la pronuncia n. 22516 del 16 ottobre 2020 riconosce la legittimità dell’accertamento di maggiori ricavi – derivanti da una vendita di immobili – identificabili nella differenza tra l’importo del prezzo di vendita dichiarato e l’importo del mutuo erogato.
L’Agenzia delle entrate aveva rettificato il reddito di un’impresa accertando maggior ricavi imponibili derivanti dalla vendita di immobili avvenuta nell’anno 2014.
Il provvedimento impositivo si fondava sulla presenza di elementi presuntivi, connotati, a giudizio dell’Ufficio, da gravità, precisione e concordanza, tra cui quello della citata difformità tra prezzo e importo di mutuo, lo scostamento dai valori OMI, i riscontri degli annunci commerciali degli immobili compravenduti.
Impugnato dalla Società il provvedimento impositivo, questo veniva infine annullato in sede di appello incidentale dalla CTR competente, che non ha ritenuto sufficienti le motivazioni dell’Ufficio, ritenendo non automatica la presunzione di maggior reddito in presenza di una divergenza tra prezzo di cessione e mutuo erogato, né dirimenti ai fini della corretta individuazione dei valori immobiliari i riferimenti OMI.
La Corte di Cassazione, a sua volta, rammentando come sia devoluta al giudice di merito la valutazione dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c. in materia di presunzioni, ha ribadito che “la gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge vanno desunte dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione d’insieme emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.”
Pertanto, nel caso in esame, gli indizi presentati dall’amministrazione finanziaria, visti nel loro insieme, legittimavano l’avviso di accertamento in quanto rappresentavano una serie di elementi di riscontro probatorio tutti volti ad evidenziare una “disomogeneità” tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione e il valore effettivo dei beni.
Relativamente poi alla inconferenza dei valori OMI, la Corte di Cassazione ha evidenziato che anche laddove questi non fossero stati giudicati rilevanti, il solo scostamento tra il prezzo di cessione dell’immobile ed il mutuo liquidato sarebbe stato sufficiente a giustificare la pretesa, atteso che “È evidente, pertanto, che anche un solo fatto – qualora presenti i requisiti della gravità e precisione – può essere idoneo per una tale deduzione e costituire, quindi, la fonte della presunzione [quale il discostamento tra prezzo e importo mutuato]”.
In conclusione, lo scostamento tra l’importo dei mutui e il minor prezzo dichiarato dal venditore è sufficiente a fondare l’accertamento, non comportando ciò alcuna violazione delle norme in materie di onere probatorio (Cass. n.14388 del 2017 cit. e Cass. n. 26485 del 2016), con conseguente cassazione della sentenza della CTR.