Con la sentenza n. 21158/2024, la Suprema Corte ha statuito che, in tema di accertamento presuntivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973 nei confronti di una s.r.l. a ristretta base azionaria, la prova contraria da parte del socio non può limitarsi alla dimostrazione dell’estraneità rispetto alla gestione sociale, essendo invece richiesta la prova, anche mediante presunzioni, dell’insussistenza dei maggiori ricavi contestati, ovvero della mancata distribuzione dei medesimi.
Nel caso di specie, per superare la presunzione ex art. 39 cit. – che ammette, in linea di principio, la rideterminazione del reddito percepito dal socio secondo un criterio di attribuzione pro quota degli utili extra bilancio generati dall’impresa – il contribuente aveva dimostrato la propria estraneità alla gestione sociale adducendo il contrasto interno tra i soci, la mancata approvazione dei bilanci sociali, l’esperimento di azioni giudiziarie nei confronti dell’altro socio e l’estromissione dalla gestione societaria.
Anzitutto, il Collegio ha precisato che il meccanismo presuntivo descritto dal citato art. 39 opera con riferimento allo stesso esercizio in cui gli utili sono stati realizzati anche in assenza di rapporti di parentela tra la compagine sociale, poiché la ristrettezza della base azionaria implica, per sua natura, un elevato grado di compartecipazione dei soci e quindi una maggiore conoscenza degli affari sociali.
Su questo presupposto, ne deriverebbe quindi una maggiore consapevolezza del socio rispetto all’esistenza di utili “in nero”.
La Corte ha poi chiarito che per superare detta presunzione il contribuente ha l’onere di provare che i maggiori ricavi non siano stati effettivamente realizzati dalla società ovvero che quest’ultima non li abbia distribuiti, ma accantonati o reinvestiti.
Sotto questo profilo la Corte si è discostata da alcuni precedenti, non ritenendo sufficiente la dimostrazione dell’estraneità alla gestione sociale, posto che quest’ultima opera sul piano fattuale e non preclude al socio l’esercizio dei poteri di informazione posti a sua garanzia dalla legge.
Dunque, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione afferma il seguente principio: “l’ art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973 legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma deve dimostrare – eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva – che i maggiori ricavi non siano stati effettivamente realizzati dalla società, che quest’ultima non li abbia distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne sia appropriato altro soggetto”.