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Giurisprudenza

Rinuncia al credito tra società consorelle: liberalità e deducibilità dal reddito

3 Giugno 2024

Enrico Matano, Dottorando di ricerca in diritto tributario, Università Cattolica di Milano

Corte di Cassazione, Sez. V, 28 maggio 2024, n. 14925 – Pres. Giudicepietro, Rel. Di Marzio

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza del 28 maggio 2024, n. 14925 , la Suprema Corte si è pronunciata sulla sussistenza delle condizioni di cui all’art. 100 TUIR per la deducibilità a fini fiscali della rinuncia al credito fra società consorelle, da intendersi, o meno, quale liberalità deducibile.

In particolare, ha stabilito che un’attribuzione patrimoniale gratuita, che non trovi ragione in alcun rapporto commerciale, effettuata da una società a favore di un’altra, non partecipata, appartenente al medesimo gruppo, costituisce liberalità ai fini fiscali, deducibile solo alle condizioni di cui all’art. 100 del TUIR.

Nella fattispecie, una società aveva rinunziato ad un ingente credito vantato nei confronti della consorella – non partecipata ma appartenente al medesimo gruppo – e aveva dedotto la relativa somma dal reddito imponibile, con l’etichetta di erogazione di un “premio decennale”. 

Con avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione il costo, qualificandolo come liberalità non deducibile, poiché priva dei requisiti di cui all’art. 100 del TUIR.

La società ricorreva giudizialmente contro il provvedimento e la C.T.P. di Treviso accoglieva il ricorso, qualificando l’operazione come un “atto gratuito non liberale” che giustificava la deduzione, in quanto sorretto da un effettivo interesse di gruppo, consistente nell’alleviare le gravi difficoltà finanziarie che interessavano la beneficiaria.

Per contro, la C.T.R. del Veneto accoglieva l’appello dell’Amministrazione finanziaria, non ritenendo sufficiente l’interesse, sottostante all’operazione, di risolvere la delicata situazione finanziaria della consociata, declassandolo a mero motivo soggettivo, privo di autonomo rilievo giuridico. 

La Cassazione ha rigettato il ricorso della società, che aveva rappresentato anche i possibili effetti di doppia imposizione (i.e. non deducibilità della rinuncia al credito per la disponente ed avvenuta tassazione, in capo alla beneficiaria, dell’incremento patrimoniale).

In particolare, secondo la Corte, è corretta la ricostruzione effettuata dai giudici di secondo grado, i quali non avevano escluso a priori la deducibilità della disposizione, ma solo dopo aver verificato che essa non era giustificata né da un titolo negoziale, né da una politica aziendale di gruppo.

Pertanto, nel caso di specie, attesa la accertata natura “liberale” della disposizione patrimoniale, non può parlarsi di “atto gratuito non liberale”, come ritenuto dai primi giudici, a nulla rilevando i motivi che possano aver spinto la disponente ad effettuare l’operazione.

Si è trattato, più propriamente, di una “liberalità indiretta”, attuata mediante rinuncia del credito fra società consorelle, ricadente, ai fini dell’imposta sul reddito, nell’ambito dell’art. 100 TUIR.

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