Dopo circa 15 anni dal rilascio di alcune fideiussioni in favore di una società da parte di un socio della medesima, nelle more fallita, un istituto di credito agisce in via monitoria nei confronti degli eredi del socio-fideiussore.
Questi ultimi non erano stati informati dalla Banca del loro subentro nella posizione di garanzia (per vero, nessuna comunicazione relativa al rapporto risultava essere stata inviata negli oltre 15 anni di durata dello stesso), né la banca aveva chiesto loro l’autorizzazione prescritta dall’art. 1956 c.c. per l’erogazione di nuove linee di credito alla società (erogazione che era avvenuta in larga parte in prossimità del fallimento della debitrice principale).
La Corte d’Appello di Firenze conferma la decisione di primo grado che ha statuito la liberazione ex art. 1956 c.c. degli eredi del fideiussore revocando il decreto ingiuntivo.
Il Collegio afferma che la consapevolezza in capo alla creditrice della grave situazione finanziaria della debitrice principale e della sostanziale impossibilità di quest’ultima di rientrare dall’esposizione può desumersi dal fatto che l’istituto di credito «gestiva le linee commerciali della società».
La violazione del disposto dell’art. 1956 si è poi concretata nel caso di specie non solo nella mancanza del “consenso” dei fideiussori rispetto alle erogazioni effettuate in prossimità del fallimento, ma anche nella mancata comunicazione ai garanti della stessa esistenza dell’impegno di garanzia in cui erano subentrati. Obbligo che viene desunto dalla Corte dalla clausola di buona fede oggettiva (per una fattispecie simile si veda Cassazione Civile, Sez. I, 9 agosto 2016, n. 16827 pubblicata in questa Rassegna).