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Giurisprudenza

Limite della ragionevolezza rispetto all’insindacabilità delle scelte gestionali degli amministratori

13 Settembre 2017

Brando M. Cremona, Trainee presso Linklaters LLP

Cassazione Civile, Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15470 – Pres. Giancola, Rel. Genovese

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con la sentenza n. 15470 del 22 giugno 2017, ha stabilito che l’insindacabilità nel merito delle scelte gestionali compiute dall’organo amministrativo di una società di capitali trovi un limite rappresentato dalla valutazione sulla ragionevolezza delle stesse.

Tale valutazione, nello specifico, dovrebbe essere compiuta dal giudice secondo i parametri di diligenza del mandatario, da porre nell’ottica del disposto dell’art. 2392 c.c., tenendo altresì conto della mancata adozione, da parte dell’organo amministrativo, di quelle cautele, informazioni e verifiche che normalmente si considerano richieste prima di adottare una scelta gestoria della natura di quella poi concretamente adottata.

Nel caso di specie, una società consortile aveva convenuto in giudizio il precedente presidente del proprio CdA, affinché venisse pronunciata dal Tribunale di Roma nei confronti di tale individuo una sentenza di condanna al risarcimento dei danni in ragione di atti e comportamenti tenuti dal convenuto nel periodo in cui rivestiva il predetto ufficio. Nello specifico, al convenuto era addebitata la stipulazione di contratti privi di alcuna utilità per la società consortile, nonché l’aver inoltrato richieste di rimborso relative a spese non dovute.

Alla sentenza di primo grado, che da un lato aveva ravvisato la responsabilità della parte convenuta relativamente ai fatti contestati, e dall’altro altresì accolto una domanda riconvenzionale presentata dal convenuto stesso in relazione al riconoscimento di alcuni compensi relativi alla attività svolta, si è poi contrapposta tuttavia la sentenza di secondo grado emanata dalla Corte d’Appello, che ha condannato l’ex presidente del CdA a risarcire i danni subiti dalla parte attrice senza riconoscergli alcun compenso o credito.

Nei confronti della decisione assunta dai giudici di secondo grado la parte soccombente ha così proposto ricorso per Cassazione, appellandosi alla business judgement rule, e quindi alla insindacabilità dell’opportunità delle scelte gestorie sulla base delle quali erano state poi fondate le richieste di risarcimento danni.

Nell’ottica del ricorrente infatti, i contratti asseritamente privi di utilità stipulati in costanza dell’incarico di presidente del CdA non potrebbero essere addebitati a titolo di responsabilità, posto che tutte le scelte gestionali di un amministratore, anche se discrezionali, non sarebbero suscettibili di alcun giudizio di opportunità da parte dell’autorità giudiziaria.

Al riguardo, la Suprema Corte riprende inizialmente l’orientamento consolidato (espresso in particolare dalla sentenza nr. 3652 del 1997) secondo il quale all’amministratore non possa essere addebitata una responsabilità, ex art. 2392 c.c. che derivi dall’inopportunità di scelte gestorie da esso compiute, atteso che tale valutazione atterrebbe alla discrezionalità imprenditoriale che come tale è coperta dai vincoli della business judgement rule.

In relazione a quanto precede, i giudici di legittimità sottolineano tuttavia che, fermo restando il vincolo di cui alla business judgement rule, lo stesso orientamento giurisprudenziale appena richiamato stabilirebbe come sia consentito, nell’ambito delle scelte gestionali degli amministratori, il sindacato in caso di “mancata adozione delle cautele necessarie e consuetudinarie”.

In relazione al caso di specie, la mancata adozione di tali cautele sarebbe in via esemplificativa evidenziata dalla imprudente scelta operata dal ricorrente di versare gran parte del corrispettivo pattuito all’atto della sottoscrizione del contratto contestato, dunque ben prima che la rispettiva controparte potesse cominciare ad adempiere alle prestazioni che si è impegnata ad eseguire.

Di conseguenza, il mancato rispetto dei predetti parametri di cautela configurerebbe un’insufficienza della diligenza mostrata nell’adempimento del proprio incarico gestorio, posto che non sarebbero stati opportunamente apprezzati i margini di rischio relativi all’operazione che si è intrapresa.

Ribadendo così la correttezza della sentenza adottata dai giudici d’appello anche nell’ottica del principio di insindacabilità nel merito delle scelte gestorie degli amministratori, la Cassazione determina dunque di rigettare il ricorso presentato dal precedente presidente del CdA, confermando in tal modo la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti dalla società consortile a causa delle negligenti scelte gestorie compiute.

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