La Cassazione Civile, sezione I, con la sentenza n. 15474 del 22 giugno 2017, ha affrontato la spinosa questione della sorte dei rapporti passivi facenti capo alle persone giuridiche in caso di cessione d’azienda.
Il caso di specie muoveva da un quadro fattuale piuttosto articolato: la società cedente l’azienda era, infatti, stata liquidata e gli eredi del creditore (defunto) della società cedente avevano adito in giudizio, per il soddisfacimento del proprio credito, tanto la società cessionaria quanto gli ex soci della società cedente estinta.
Dopo altalenate vicende in primo e secondo grado, concluse con la soccombenza degli ex soci, la controversia ha raggiunto la Suprema Corte, la quale ha focalizzato la propria attenzione sul ricorso principale, proposto appunto dai (non più) soci della cedente. Secondo questi ultimi, la decisione della Corte d’Appello di Napoli, che li condannava al pagamento del credito ex art. 2495 cod. civ., applicava erroneamente tale norma. Infatti, l’art. 2495 cod. civ. afferma che “[…] Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. […]”. Secondo i ricorrenti, la Corte napoletana avrebbe quindi errato nel condannare i soci della cedente, dal momento che la loro responsabilità doveva essere limitata alle sole somme percepite in esito alla liquidazione della società cedente. Non solo. L’onere di provare l’ammontare di tali somme – e quindi il loro essere superiori o uguali al credito vantato – graverebbe, nella ricostruzione dei soci, sul creditore (rectius sugli eredi del creditore). Il motivo è stato interamente accolto e condiviso dalla Corte di Cassazione, la quale ha colto l’occasione per richiamare anche la pregressa giurisprudenza sull’argomento.
Accanto al ricorso principale, erano stati presentati da parte degli eredi del creditore due motivi di ricorso incidentale, il primo dei quali merita una particolare attenzione per la tematica giuridica che solleva. Infatti, la Corte d’Appello aveva, inter alia, ritenuto che la società cessionaria non potesse essere considerata successore della società cedente per il debito in oggetto, dal momento che lo stesso non risultava dal bilancio della cedente, ai sensi dell’articolo 2560 cod. civ. Nella contestazione dei creditori si è sostenuto che la norma applicabile in questa ipotesi non sarebbe l’art. 2560, ma l’art. 2558 cod. civ. trattandosi di “posizioni contrattuali non ancora definite”. La Corte di Cassazione ha smentito tuttavia la ricostruzione operata dai creditori, osservando che l’art. 2558 c.c. presuppone che vi sia una prestazione non ancora del tutto eseguita, vale a dire una situazione in cui ciascuna parte sia tanto creditrice quanto debitrice nei confronti dell’altra. Tale ipotesi non era integrata nel caso di specie; trovava pertanto correttamente applicazione l’art. 2560 cod. civ, con consequenziale esenzione di qualsivoglia responsabilità in capo alla società cessionaria.