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Giurisprudenza

Limiti alla rilevabilità ex officio della nullità per difetto di forma del contratto quadro e conflitto d’interesse nel servizio di negoziazione in conto proprio

25 Novembre 2016

Enrico Restelli

Cassazione Civile, Sez. I, 9 giugno 2016 n. 11876 – Pres. Bernabai, Est. Didone

Di cosa si parla in questo articolo

1. Qualora l’investitore abbia eccepito esclusivamente l’invalidità dei singoli ordini d’investimento e non anche del contratto quadro, il giudice non può rilevare d’ufficio la nullità di quest’ultimo ex art. 23 TUF per difetto della forma scritta. Infatti, l’esercizio di tale potere del giudice: (i) riguarda solo l’oggetto specifico della domanda formulata dall’attore nel giudizio e quindi, nel caso di specie, la validità dei singoli ordini d’investimento – contratti questi dotati di «una propria autonoma individualità rispetto al contratto quadro», benché ad esso collegati; (ii) è comunque subordinato alla circostanza che la nullità emerga da quegli elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio.

2. La negoziazione per conto proprio costituisce un servizio d’investimento “tipico” e pertanto l’intermediario che esegue un ordine di un cliente in contropartita diretta non è soggetto – per questo solo fatto – alla disciplina generale sui conflitti d’interesse dettata per il mandato dagli artt. 1394 e 1395 c.c.

In ogni caso, la circostanza per cui gli strumenti finanziari de quibus siano stati appositamente acquistati dalla banca per essere rivenduti al cliente costituisce una «motivazione congrua» per escludere l’esistenza, nel caso concreto, di una situazione di conflitto d’interessi tra l’intermediario e il cliente. La banca infatti non aveva già nel proprio portafoglio – prima della richiesta del cliente – gli strumenti finanziari in questione, e il fatto che essa fosse comunque creditrice di numerose società facenti capo all’emittente di tali strumenti finanziari non ha assunto valore assorbente nel giudizio di merito.

3. La circostanza che una banca sia stata convenuta in giudizio da un proprio cliente per violazione degli obblighi di cui all’art. 21 TUF, e che pertanto essa potrebbe chiamare in garanzia i propri dipendenti per aver dato corso alle operazioni d’investimento contestate, non comporta ex se l’incapacità a testimoniare di questi ultimi ai sensi dell’art. 246 c.p.c.: le due cause, infatti, anche se proposte nello stesso giudizio, si fondano su rapporti diversi e la condanna della banca, nel giudizio principale, al risarcimento del danno può arrecare ai dipendenti solo un pregiudizio “indiretto”.

Parimenti, la valutazione in merito all’attendibilità di un testimone può avere ad oggetto solo il contenuto della dichiarazione concretamente resa, non potendo rivolgersi a priori su un’intera categoria di soggetti in quanto tali, «al fine di escluderne ex ante la capacità a testimoniare».

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