Con la sentenza n. 2826/2015, il Tribunale di Milano ha escluso la risarcibilità del danno lamentato dai clienti per l’acquisto di titoli emessi dalla Banca a prezzi “gonfiati”, a cagione delle false comunicazioni sociali. In particolare, detti titoli (nello specifico warrant) recavano un prezzo falsato dagli inveritieri dati di bilancio che avevano recepito le false informazioni date al mercato da altro Istituto di credito, controllato e partecipato al 30% dalla stessa Banca convenuta.
Nel caso in esame è emerso che l’illecita gestione relativa ai contratti derivati da parte della controllata era riconducibile all’attività dell’amministratore delegato. Gli istanti hanno così sostenuto che gli amministratori di entrambi gli Istituti di credito avrebbero omesso di comunicare al mercato le problematicità derivanti dai crediti che la Banca controllante vantava nei confronti di quella controllata, nonché delle criticità in tema di derivati e leasing; di tali vicende avrebbe dovuto avere certamente contezza colui che all’epoca dei fatti era l’amministratore comune ad entrambe le Banche. Proprio la condotta omissiva di quest’ultimo avrebbe comportato un notevole deprezzamento del valore di mercato degli strumenti finanziari acquistati dagli investitori e di cui è stato chiesto il risarcimento.
A giudizio del Tribunale, in tale vicenda, ricorrerebbe in astratto l’ “ingiustizia” del danno rilevante ex art 2043 c.c. quale lesione all’integrità del patrimonio dei clienti e, più specificamente, al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio, costituzionalmente garantito entro i limiti di cui all’art. 41 Cost. Né potrebbe essere messa in discussione l’assoluta illegittimità di un siffatto comportamento della Banca, pienamente idoneo ad occultare un intero settore delle proprie attività, in aperta violazione dei peculiari obblighi informativi nei confronti del mercato e delle autorità di controllo ex art. 2427 bis cc; tale condotta, dolosamente omissiva, è stata perseguita in maniera intenzionale, con l’ovvia possibilità di un’indebita incidenza sulle autonome determinazioni dell’intera platea dei possibili destinatari delle relative comunicazioni ufficiali.
Ciò posto, il Tribunale milanese ha sottoposto ad un vaglio preliminare la questione relativa alla sussistenza o meno della consapevolezza, da parte della Banca controllante, circa la dissennata gestione di strumenti finanziari derivati da parte della controllata, in ragione della compresenza di un amministratore nei CdA di entrambi gli Istituti di credito; in altri termini, il Giudice di prime cure si è chiesto se detto amministratore, per ciò solo, avrebbe dovuto essere a conoscenza della illecita gestione di derivati in seno alla controllata.
Ebbene, il Giudice ha precisato come, secondo la prevalente e condivisibile dottrina, la riforma del diritto societario abbia ristretto l’area della responsabilità degli amministratori privi di deleghe, o comunque non partecipi di condotte dolose di mala gestio.
Il nuovo sistema ha sostituito al dovere di vigilare sul generale andamento della gestione contenuto nel vecchio testo, il dovere di agire in modo informato e “di valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo amministrativo e contabile della società”; e ciò sulla base delle informazioni ricevute dai delegati.
La citata riforma, in sostanza, ha eliminato ogni genere di presunzione di omesso controllo e conseguente responsabilità oggettiva degli amministratori, alcuni dei quali si dedicano direttamente alle operazioni gestorie, altri invece intervengono per le scelte di carattere più generale, o addirittura di carattere altamente strategico. E difatti, l’art. 2392, comma 2, c.c., quale modificato dal d.lgs. n. 6 del 2003, sancisce che gli amministratori, fermo restando il potere di impartire direttive al delegato e di avocare a sé operazioni rientranti nella delega (come previsto dall’art. 2381 c.c., comma 3), sono solidalmente responsabili se, essendo al corrente di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Secondo l’impostazione del Tribunale, inoltre, tali principi trovano applicazione non solo nell’ambito dei rapporti tra amministratori con o senza deleghe, ma anche riguardo al rapporto tra l’amministratore che ha direttamente compiuto le operazioni vietate e gli altri amministratori pure componenti del comitato esecutivo; e tanto in ragione del profilo individualizzante che oggi connota la responsabilità dell’organo gestorio.La rappresentazione eventuale dell’evento o la conoscibilità di esso, secondo le specifiche competenze, devono emergere, al di là ed anche in contrasto con le informazioni date dall’amministratore operante, da segnali perspicui, peculiari nonché anomali.
Tuttavia, a giudizio del Tribunale milanese, nel caso in esame, gli attori non hanno allegato e dimostrato in maniera idonea le specifiche circostanze da cui desumere che l’amministratore compresente abbia avuto consapevolezza dell’illecita gestione dell’amministratore delegato, al tempo in cui sarebbero state emesse le comunicazioni della controllata e della Banca controllante assunte come decettive.
In proposito, ha aggiunto il Giudice di prime cure, gli attori non hanno neppure delineato il perimetro delle deleghe che il consiglio di amministrazione della controllata aveva conferito al comitato esecutivo ai sensi dello Statuto, né quelle rilasciate all’amministratore delegato. Né hanno indicato puntualmente, nel corso del giudizio, i segnali di allarme che i componenti del comitato esecutivo avrebbero dovuto cogliere riguardo all’operato dell’amministratore delegato.
Sulla scorta di tali osservazioni, quindi, il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta risarcitoria avanzata dagli attori.