Fallimento – Pagamenti ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento – Inefficacia – Limiti – Decreto del giudice delegato
Il regime di inefficacia previsto dall’art. 44, comma 2 l. fall. trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento, e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento. Nel caso di pagamenti ricevuti dal fallito per titoli sorti dopo la dichiarazione di fallimento e collegati ad una sua nuova attività, invece, la disposizione dettata dall’art. 44, comma 2 l. fall. deve essere coordinata con gli artt. 42, comma 2 e 46, comma 1, n. 2) e, in ossequio al noto principio secondo cui fructus non intelleguntur nisi deductis impensis che trova applicazione a tutti i beni pervenuti al fallito e perciò anche quando si tratti di somme di denaro, discende che anche il corrispettivo pagato al fallito per una attività da lui svolta dopo la dichiarazione di fallimento non può essere acquistato per intero, ma soltanto dopo la deduzione delle passività incontrate dal fallito per generare il corrispettivo in questione.
Pertanto, il pagamento ricevuto dal fallito quale corrispettivo per un’attività svolta dopo la dichiarazione di fallimento non è inefficace quanto all’importo delle passività connesse a detta attività e neppure quanto al residuo netto, ove non sia stato emesso il decreto con cui il giudice delegato fissa i limiti entro i quali ciò che il fallito guadagna con la sua attività occorre al mantenimento della famiglia; tale decreto riveste esclusivamente natura dichiarativa poiché destinato ad individuare i limiti quantitativi di un diritto che ad esso preesiste, con l’ulteriore conseguenza che non può essere dichiarata l’inefficacia dei pagamenti compiuti dal debitore direttamente al fallito nemmeno prima dell’emanazione ovvero senza che il ridetto decreto sia mai stato emanato.