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Attualità

L’imposta sugli extraprofitti delle banche

Da rivedere anche il tetto all’importo massimo esigibile

25 Settembre 2023

Giosuè Manguso, AndPartners Tax and Law Firm

Giuseppe Lanotte, AndPartners Tax and Law Firm

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la nuova imposta sugli extraprofitti delle banche introdotta dall’articolo 26 del decreto legge 10 agosto 2023, n. 104, in conversione in Parlamento, soffermandosi sui profili concernenti l’ammontare massimo dell’imposta straordinaria eventualmente dovuta.


1. Premessa

La recente politica monetaria restrittiva adottata dalla Banca centrale europea (con una serie continua di aumenti dei tassi di interesse) può aver prodotto maggiori oneri finanziari per alcuni soggetti (i prenditori dei fondi, prevalentemente imprese e famiglie) e possibili benefici per altri (le banche, ossia la categoria di imprese che apparentemente dovrebbe trarre il maggior vantaggio da tale politica monetaria). Di questa situazione ha preso atto il legislatore italiano, che, con l’articolo 26 del decreto legge 10 agosto 2023, n. 104 (in seguito “decreto-legge”) [1], ha inteso assoggettare le banche, appunto, ad un prelievo straordinario per acquisire risorse da destinare al finanziamento del fondo mutui prima casa.

In particolare, l’art. 26 del decreto-legge istituisce a carico della fiscalità di tali intermediari finanziari un aggravio impositivo per il periodo di imposta 2023, da calcolare applicando la percentuale del 40 per cento su un valore differenziale del margine di interesse [2].

La finalità di questo intervento è certamente condivisibile.

Non può certo biasimarsi, infatti, l’intento perseguito dal legislatore, nella misura in cui, almeno in linea di principio, è giusto che chi abbia goduto di un fortunoso aumento dei propri introiti contribuisca alla spesa pubblica in maniera più significativa.

Anzi, questa iniziativa è ancor più auspicabile proprio in periodi, come quello attuale, contraddistinti da alta inflazione e da attese di crescita, al più, modeste; tuttavia, le tempistiche adottate nell’approvazione del decreto-legge e il criterio di calcolo dell’imposta straordinaria che è stato istituito dovrebbero suggerire (se non imporre), in sede dei lavori parlamentari di conversione in legge del decreto-legge, un’attenta analisi del testo normativo per gestire le varie criticità in esso contenute.

Prescindendo dalle possibili modifiche che potranno essere apportate all’art. 26 qui in commento, anche al fine di arginare le possibili censure di carattere costituzionale [3] e dar voce alle osservazioni e richieste di approfondimento già pervenute da parte delle autorità competenti [4], il presente contributo intende brevemente concentrare l’attenzione sull’ammontare massimo dell’imposta straordinaria eventualmente dovuta, che “in ogni caso, non può essere superiore a una quota pari allo 0,1 per cento del totale dell’attivo relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023”.

2. L’attuale limite massimo pari allo 0,1 per cento del totale attivo

Le prime bozze del decreto-legge contenevano un limite massimo rappresentato dal 25 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2022 e più contenute percentuali di valorizzazione degli incrementi del margine di interesse del 2021 rispetto al quale calcolare l’eccedenza dei margini imponibili; nella versione pubblicata in gazzetta ufficiale, poi, tale limite massimo è stato sostituito dallo 0,1 per cento del totale attivo. Questa modifica, finalizzata evidentemente a contenere l’esborso finanziario richiesto alle banche [5], potrebbe essere dovuta anche alla circostanza che il legislatore italiano abbia già tenuto conto delle possibili criticità – che poi, in effetti, sono state segnalate, ad esempio, dalla Banca centrale europea [6] – derivanti da un assoggettamento ad imposizione straordinaria sostanzialmente privo di limiti.

Fatta questa premessa, vi è da chiedersi se il totale delle attività di bilancio possa rappresentare un corretto elemento quantitativo per definire l’ammontare massimo di imposta straordinaria che non pregiudichi la stabilità di una banca (nei termini prima indicati di maggiori interessi che portano a maggiori accantonamenti) e, per l’effetto, dell’intero sistema creditizio di un Paese. In tal senso, dunque, appare congruo valutare se, in qualche modo, il margine di interesse presenta un collegamento più o meno diretto con l’intero ammontare degli asset di una banca [7].

In effetti, se si eccettuano i profili di illegittimità costituzionale della disposizione normativa qui in commento, quello del limite massimo dell’imposta dovuta sembra essere la parte della disposizione normativa, già al vaglio dei lavori parlamentari, sul quale si sta concentrando la maggiore attenzione [8].

3. Dal totale attivo ai crediti verso clienti

Una prima possibile modifica al totale attivo è stata suggerita dall’Associazione bancaria italiana, la quale, per determinare il margine di interesse da assoggettare ad imposizione ritiene di dover sterilizzare quelle componenti di reddito non espressive del “core business” della banca, rappresentata dall’impiego di liquidità in titoli del debito pubblico italiano; inoltre, motivi attinenti al rapporto tra un rendimento e le attività che lo hanno generato imporrebbero di operare questa scrematura anche sul totale di attivo, depurandolo dalla quota di attività rappresentate da titoli del debito pubblico (Audizione Abi, vedi nota 4).

Una ulteriore modifica, tutt’altro che peregrina e che, per certi versi, trova riscontro – con le dovute differenze rispetto al contesto fattuale di riferimento – in una tecnicalità di carattere civilistico-contabile, è già offerta da un chiarimento dell’Agenzia delle entrate (risposta n. 339/2023) in relazione al limite del 25 per cento del patrimonio netto, utilizzato per definire l’ammontare massimo del “contributo temporaneo di solidarietà” (art. 1, comma 115, e segg., legge n. 197 del 2022) istituito a carico delle imprese del settore energetico.

In quell’occasione, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito l’irrilevanza della riserva “Cash Flow Hedge” nella quantificazione del patrimonio netto (sul quale calcolare il citato limite del 25 per cento), posto che la stessa accoglie le variazioni di “fair value” degli strumenti finanziari derivati, le quali saranno “rigirate” a conto economico al momento in cui si realizzano i flussi finanziari oggetto di copertura (principio contabile Ifrs 9, par. 6.5.11, lett. d), ii) e art. 2426 comma 1 n. 11-bis c.c.). In tal senso, si tratta di una riserva su cui è apposto il vincolo di indisponibilità (art. 6, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 38 del 2005), e comunque, è rappresentativa di una quota del patrimonio netto “temporanea per natura” in quanto sarà assorbita da una valutazione contraria, con un effetto nullo sul conto economico e, dunque, sul patrimonio. Mutatis mutandis, questo chiarimento potrebbe essere applicato anche alle variazioni di “fair value” degli strumenti finanziari derivati, rilevati tra le attività di bilancio e valutati in contropartita di tale riserva CFH. Inoltre, il carattere “indisponibile” di una quota di utili permea anche le valutazioni delle attività finanziarie rilevate al “fair value” con impatto sulla redditività complessiva (voce 30 dell’attivo del bilancio bancario).

Senza contare che, in linea teorica, se la soglia limite al contributo imposto alle società energetiche può essere epurata di elementi che, di fatto, non rappresentano un extra-profitto in quanto non definitivamente realizzati, allora, anche nel caso delle banche, non sarebbe inconsueto quantificare la somma massima esigibile al netto di elementi positivi che, ad esempio, non derivano direttamente dall’incremento dei tassi di riferimento disposto dalla BCE.

In quest’ottica, infatti, se proprio occorre riferirsi alle attività di bilancio per individuare l’ammontare massimo dell’imposta dovuta, se ne dovrebbe limitare l’adozione soltanto a quella quota di attivo rappresentativa di asset da cui scaturiscono i margini di interesse attratti a tassazione secondo il legislatore dell’art. 26 in commento; in altre parole, il totale attivo potrebbe essere sostituito, ad esempio, dalla voce n. 40 dell’attivo di Stato Patrimoniale (attività finanziarie valutate al costo ammortizzato, quindi crediti verso banche e crediti verso la clientela). A questo ultimo proposito, l’ammontare massimo (che dovrebbe puntare al differenziale di margine di interesse e non all’imposta), sovvengono ulteriori considerazioni, più prettamente di mercato, che dovrebbero essere oggetto di analisi per valorizzare meglio la ratio del tributo in ottica di possibili criticità di legittimità costituzionale.

Benché nella relazione illustrativa non vi sia menzione della ratio di questo intervento, come indicato dalla Bce, l’imposta dovrebbe colpire soltanto gli incrementi di margine di interesse maturati “immeritatamente”, cioè soltanto grazie all’aumento dei tassi di interesse, escludendo invece quelle banche che, magari nonostante le difficoltà per la clientela a indebitarsi a tassi di interesse più elevati, sono riuscite nel 2022 e nel 2023 ad incrementare anche il numero di posizioni di erogato [9]. Infatti, non si può escludere che l’incremento del numero di crediti erogati rispetto al 2021 sia stato ottenuto già scontando un maggiore costo della raccolta, e, dunque, i margini così realizzati non sarebbero dovuti a condizioni esogene (quindi eccessivi e immeritati) [10] ma soltanto a meriti imprenditoriali.

Pertanto, l’ammontare massimo di imposta sugli asseriti “extraprofitti” delle banche potrebbe essere valorizzato applicando una data percentuale (ad oggi pari allo 0,10 per cento) alla quota di totale attivo rappresentato da crediti fruttiferi del margine di interesse soggetto ad imposizione, come ad esempio i crediti verso la clientela (voce 40 dello Stato Patrimoniale del bilancio dell’esercizio antecedente quello in corso al 1° gennaio 2023). Si otterrebbe così una quota di margine di interesse da assoggettare ad imposizione per la parte compresa tra il 5 per cento (ovvero il 10 per cento, se è maggiore il margine di interesse 2023) eccedente il margine di interesse 2021 e la parte del margine di interesse 2022 (o del 2023, se maggiore) fino al valore dei crediti verso clienti indicato nel bilancio 2022 valorizzato allo 0,1 per cento.

Tale opzione, seppur di per sé non risolutiva di tutti i dubbi di legittimità costituzionale già evidenziati da diversi autori, renderebbe forse più accettabile il prelievo in questione, soprattutto se idonea a consentire di isolare il solo margine legato all’aumento dei tassi di interesse perpetrato dalla BCE.

Del resto, se il presupposto del contributo straordinario è, in tal caso, rappresentato dal presunto margine di interesse incassato “senza merito”, allora il parametro del prelievo dovrebbe essere ricondotto solo a detto margine e non a un valore che, in ipotesi, includa anche margini guadagnati “con merito” (i quali, ragionevolmente, dovrebbero essere, invero, espunti dalla base di calcolo del contributo).

Per la medesima esigenza, come visto, sarebbe per lo meno sensata – se non indispensabile – la definizione ad hoc di un tetto massimo al prelievo stesso, che sia in grado di fotografare l’effettivo extra-profitto.

D’altro canto, una maggiore equità tributaria, richiederebbe che il medesimo extra-profitto tassabile venga assunto non quale aggregato lordo di elementi attivi (vale a dire i margini) conseguiti, bensì quale valore nettizzato dai costi sostenuti per conseguirli. In tal senso, potrebbe tornare utile, ad esempio, sottrarre all’extra-profitto (posto a base del prelievo) quel valore percentuale astrattamente idoneo a evidenziare anche solo uno storico incremento di costi (ad es. gli accantonamenti) direttamente riconducibili ai margini asseritamente “immeritati”.

Un approccio di questo tipo sarebbe senz’altro auspicabile in sede di conversione del decreto legge, almeno nell’ottica di “discriminare” il più possibile (là dove possibile) la qualità e l’entità obiettiva del componente che si intende tassare (in più) nei confronti delle banche. Tanto non solo nel rispetto del principio di eguaglianza tributaria [11] ma, soprattutto, per evitare che l’Erario incorra nel fatidico errore di attribuire, al soggetto interessato dal prelievo straordinario, una capacità contributiva di gran lunga superiore rispetto a quella effettivamente (e oggettivamente) riconducibile al contribuente stesso, posto – tra tutti – il vincolo ineludibile sancito dall’art. 53 Cost..

 

[1] Il decreto legge 10 agosto 2023, n. 104 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 10 agosto 2023 – Serie generale n. 186. Al momento in cui tale contributo è andato alle stampe, sono stati depositati i relativi emendamenti.

[2] Il comma 2 del decreto-legge stabilisce che “L’imposta straordinaria è determinata applicando un’aliquota pari al 40 per cento sul maggior valore tra: a) l’ammontare del margine di interesse di cui alla voce 30 del conto economico redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d’Italia relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 che eccede per almeno il 5 per cento il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022; b) l’ammontare del margine di interesse di cui alla voce 30 del predetto conto economico relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 che eccede per almeno il 10 per cento il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022”.

[3] Per un’analisi dei profili criticità in termini di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge si rinvia al contributo “L’imposta straordinaria sugli extra profitti delle banche. Tra discriminazione qualitativa, retroattività e incoerenza della struttura del tributo rispetto alla ratio giustificatrice”, Prof. Andrea Giovanardi, pubblicato su Dialoghi di Diritto dell’Economia.

[4] “Imposta straordinaria calcolata su incremento margine interesse” (art. 26, decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104)” del 12 settembre 2023”, Audizione dell’Associazione Bancaria Italiana presso il Senato, Parere della Banca centrale europea del 12 settembre 2023 relativo all’imposizione di un’imposta straordinaria agli enti creditizi (CON/2023/26), e il “Documento di studio ed analisi dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari e del Territorio”.

[5] Assonime (circolare n. 8/2023), nel commentare il limite massimo al contributo temporaneo di solidarietà (art. 1, comma 115 e seguenti, legge n. 197 del 2022, afferma che “che tale limite – evidentemente introdotto con la finalità di non pregiudicare l’attività del contribuente e garantirne la continuità aziendale – equivale ad accettare implicitamente che, per effetto del pagamento del contributo, le società possano anche andare in perdita; effetto amplificato dalla previsione – anche per questo contributo, come per quello contro il caro bollette – della sua indeducibilità ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP”. Pertanto, attraverso la sostituzione del limite massimo valorizzato con una percentuale del patrimonio netto con un limite da determinare in funzione del totale attivo, il legislatore potrebbe aver voluto evitare di imporre alle banche un ammontare di imposta che potesse far emergere una perdita di esercizio e, dunque, una erosione del patrimonio netto.

[6] Al paragrafo 4.3. del parere citato, la Banca centrale europea, infatti, afferma che “Un reddito netto da interessi degli enti creditizi più elevato può inizialmente derivare dall’aumento dei tassi di interesse. Ma l’aumento dei tassi di interesse può anche contribuire a un aumento dei costi di finanziamento e ad eventuali perdite sui portafogli di titoli bancari in essere. Inoltre, in una prospettiva di lungo periodo, tassi di interesse più elevati possono incidere negativamente sulla situazione finanziaria dei beneficiari di prestiti, aumentando così il rischio di credito. Tali effetti non sono presi in considerazione nel concepire l’imposta straordinaria, in quanto quest’ultima è calcolata sul margine di interesse netto e non sugli utili netti. È opportuno che tali diversi fattori siano debitamente valutati al fine di garantire che gli enti creditizi rimangano in una posizione favorevole per assorbire potenziali perdite future”.

[7] Per una critica allo 0,1 per cento del totale attivo come limite massimo all’imposta disciplinata dall’art. 26 qui in commento, si rinvia a Gabriele Escalar “Dubbi di costituzionalità dell’imposta straordinaria sul margine di interesse delle banche”, pubblicato su Il Fisco n. 36/2023.

[8] In particolare, tra le ipotesi che circolano in merito alle possibili modifiche all’art. 26 in commento, vi è quella anche la sostituzione del totale attivo con il totale delle attività di bilancio ponderate per il rischio.

[9] Questa ultima circostanza, peraltro, non è colta dall’attuale tenore letterale della norma, in quanto, soglie di esenzione d’imposta fissate nel 5 per cento e 10 per cento di incremento del margine di interesse 2021 (rispettivamente per il 2022 e 2023), non sono abbastanza elevate da poter escludere che un rendimento eccedente sia dovuto alle capacità del management della banca e non semplicemente al fattore esogeno dell’incremento dei tassi di interesse. Su questo punto, infatti, è stato osservato che “L’esistenza della ragionevolezza (cfr. art. 3 Cost.) della disparità di trattamento operata con le disposizioni in commento tra “contribuenti” si correlerebbe alla condizione differenziata dei soggetti passivi percossi dal prelievo in quanto temporalmente beneficiari di un vantaggio economico non dipendente da meriti imprenditoriali, ma derivante dalle scelte di politica monetaria operate dalla BCE. Sul punto, di converso, si osserva che i tassi di incremento dei margini di interesse (5% e 10%) previsti dalla norma per attivare l’imposta straordinaria non sembrano di entità tale da escludere la possibilità di essere invece stati conseguiti proprio in virtù di adeguate capacità gestionali”. (Servizio Bilancio del Senato della Repubblica, “A.S. 854: Conversione in legge del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 104, recante disposizioni urgenti a tutela degli utenti, in materia di attività economiche e finanziarie e investimenti strategici”).

[10] Cfr. Andrea Giovanardi, op. citata, pagina 4.

[11] Cfr. F. Gallo, Le ragioni del fisco, 2011, p. 96 ss..

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