[*][**] SOMMARIO: la collocazione della modalità in house di affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica all’esterno del perimetro del gioco concorrenziale costituisce una tendenza verso la quale l’ordinamento nazionale si è spesso orientato. Il recente riordino della materia rappresenta l’occasione per tornare a riflettere sull’argomento, alla luce dell’obbligo motivazionale e degli altri limiti che il legislatore ha introdotto. Il contributo analizza una siffatta disciplina nella prospettiva del diritto dell’economia, provando a inquadrare il modello nella dinamica dell’intervento dello Stato nell’economia.
ABSTRACT: The placement of the in-house method of awarding public services of economic interest outside the competion represents a trend towards which the national legal system has often oriented itself. The recent reorganization of the matter constitutes an opportunity to return to reflect on the topic, considering the motivational obligation and the other limits that the legislator introduced. The contribution analyzes such a discipline from the perspective of economic law, trying to frame the model in the dynamics of State intervention in the economy.
1. Delimitazione del problema
Il recente riordino che ha riguardato i servizi pubblici di rilevanza economica offre lo spunto per proporre qualche riflessione sulla natura del rapporto tra auto-produzione e ricorso al mercato nella gestione dei predetti servizi pubblici[1].
Preliminarmente, è opportuno perimetrare il campo della nostra indagine. Non si tratta di proporre un inquadramento dei requisiti necessari perché possa aversi una società in house providing, essendo questi ultimi oramai legislativamente fissati all’interno di una norma di legge (cui il d.lgs. n. 201/2022 pure rinvia)[2], ma di comprendere quale debba essere il rapporto tra il ricorso, da parte dell’ente affidante, al mercato e quello a tale modulo societario.
Questione non di poco conto, visto che, in assenza (o nell’incertezza) di un preciso dato normativo[3], la giurisprudenza e la dottrina hanno, anche per i servizi pubblici, interpretato il ricorso al mercato come prioritario rispetto all’affidamento alla società domestica[4].
A tanto si è pervenuti facendo perno, in particolare, sull’esistenza dell’obbligo (generale) di motivazione previsto, per l’affidamento in house, nell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici). In particolare, il dover dare conto delle «ragioni del mancato ricorso al mercato» e, accanto a questo, dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta[5] determinerebbe il carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, collocando quest’ultimo in posizione eccezionale rispetto all’ipotesi di competizione mediante gara[6].
Peraltro, la Corte di Giustizia ha giudicato la possibilità di subordinare l’affidamento a società domestica all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto compatibile con la direttiva europea 2014/24[7]. E, sulla scorta dell’approccio adottato in sede europea, anche la Corte costituzionale ha reputato legittimo l’obbligo di motivazione sulle ragioni del mancato ricorso al mercato, rispondendo la previsione di cui al citato art. 192 comma 2, agli interessi costituzionalmente protetti della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza[8].
In questa prospettiva, dunque, perlomeno fino alla recente sopravvenienza legislativa in materia di servizi pubblici (e a quella in materia di contratti pubblici), sarebbe l’obbligo di motivazione a determinare il carattere eccezionale dell’affidamento in house rispetto alla regola della gara pubblica. Centralità dell’obbligo motivazionale (ma, forse, non eccezionalità del modello) confermata pure in occasione della recente estensione del ricorso all’in house providing per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici collegati all’attuazione del PNRR[9].
2. Il riordino dei servizi pubblici locali: concorrenza e in house providing a confronto
Da tale constatazione è possibile allora muovere per verificare se l’aggravio motivazionale, prescritto pure dalla recente sopravvenienza per la gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica, costituisca indizio per la collocazione di tale modalità di affidamento all’esterno del confronto competitivo, configurandola, per il nostro settore, in termini di eccezionalità.
Per fare questo, appare necessario, preliminarmente, comprendere se il mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica possa ritenersi “permeato” dall’apertura alla concorrenza, tenendo presenti, ai nostri fini, solamente i richiami (testuali/espressi) alla concorrenza contenuti all’interno del d.lgs. n. 201/2022.
In questa prospettiva, colpiscono alcuni indici normativi: (i) l’art. 1, comma 3, che, riferendosi all’oggetto del riordino, richiama la finalità di assicurare «la tutela e la promozione della concorrenza» per gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse economico generale di livello locale e, comunque, la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi per gli operatori interessati a erogare i predetti servizi; (ii) l’art. 3, comma 2, che menziona la concorrenza tra i principi generali ai quali deve informarsi l’istituzione, la regolazione e la gestione dei predetti servizi; (iii) l’art. 9, commi 2 e 3, che fa rientrare il confronto competitivo tra le misure di coordinamento tra gli enti locali.
La pluralità dei riferimenti alla concorrenza potrebbe, in effetti, convincere che il quesito che si poneva dinanzi possa trovare una risposta affermativa; e ciò considerato che la concorrenza pare investire, tanto, a monte, il momento dell’istituzione del servizio[10], quanto, a valle, quello di gestione dello stesso, nonché, ancora, la sua regolazione.
Se fosse così, il precipitato di tale premessa (fondata, quindi, sul favore per la concorrenza) dovrebbe essere la riduzione a strumento eccezionale del ricorso all’autoproduzione, per definizione collocata al di fuori del confronto competitivo. Conclusione che, nondimeno, verrebbe smentita solo che si consideri la (apparente) equiordinazione delle diverse modalità di affidamento del servizio, inclusa pure quella dell’in house providing, confortando una simile impressione l’incipit dell’art. 14 del complesso normativo in discorso a mente del quale, nella scelta della modalità di gestione, occorre tenere conto del «principio di autonomia nell’organizzazione dei servizi».
3. L’art. 14: la (apparente) equiordinazione delle modalità di gestione
Segnatamente, l’art. 14 prospetta quattro modalità di gestione del servizio pubblico, ovvero l’affidamento (a) a terzi mediante procedura a evidenza pubblica, (b) a società mista e (c) a società in house. Resta ammessa la gestione in economia o mediante aziende speciali, «limitatamente ai servizi diversi da quelli a rete»[11].
Nella medesima disposizione, si aggiunge che, ai fini della scelta della modalità di gestione del servizio e della definizione del rapporto contrattuale, l’ente locale deve tenere conto, in sintesi, delle caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare (comma 2) e che gli esiti della valutazione condotta dall’ente locale siano contenuti in una relazione, stilata prima dell’avvio della procedura di affidamento del servizio, nella quale «sono evidenziate altresì le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta» (comma 3)[12].
Sotto questo profilo, è da rilevare una differenza di non poco momento sul piano testuale, dacché, nell’elencare le diverse modalità di affidamento, il legislatore contempla – a proposito di quelle menzionate poco prima sub (a) e (b) – il «rispetto del diritto dell’Unione europea», mentre – per l’affidamento in house – i «limiti fissati dal diritto dell’Unione europea». Sicché, in un caso, si farebbe parola dell’osservanza del diritto dell’Unione europea e nell’altro dei limiti che tale diritto imporrebbe.
Notazione non da poco perché la locuzione legittimerebbe il pensiero che esistano limiti frapposti dal diritto eurounitario rispetto al ricorso all’in house. Vero è che – guardando proprio al diritto dell’Unione europea – l’impressione è che il riferimento ai limiti possa alludere alla sussistenza, in concreto, dei requisiti legittimanti il ricorso alla società domestica, piuttosto che doversi interpretare alla stregua di una “chiusura” del diritto europeo all’in house; chiusura che, in effetti, non sarebbe neppure predicabile.
Da questo punto di vista, difatti, il diritto europeo ha fatto prevalere, sul piano del “concorso” tra i modelli di affidamento, un approccio di tipo neutrale, cui si aggiungono, nel settore dei servizi di interesse generale, il principio di libertà di definizione e quello di proporzionalità[13]. Per di più (e a conforto dell’interpretazione proposta), l’indicazione della sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione per la forma di affidamento prescelta sarebbe inclusa, per tutte le forme di gestione, nella dapprima richiamata relazione che l’ente locale deve redigere all’esito della valutazione relativa alla scelta della modalità.
Se decifrato in questi termini, il riferimento ai limiti del diritto europeo non sembrerebbe costituire un argomento in senso contrario alla prospettata pari ordinazione delle diverse modalità di affidamento dei servizi locali.
Nondimeno, qualche indicazione in contraddizione sembrerebbe provenire – per quanto tale argomento non possa considerarsi così determinante sul piano interpretativo[14] – dalla Relazione illustrativa del decreto legislativo in commento nella quale si precisa che l’affidamento a società in house (o a società mista) è possibile, «solo se le gestioni in concorrenza nel mercato non sono sufficienti e idonee» e, poco dopo, si aggiunge che vengono preferite «le modalità concorrenziali, e segnatamente lo strumento della concessione all’esito della procedura a evidenza pubblica»[15].
Preferenza che, come si diceva, sembra confermata pure dall’aggravio motivazionale, di cui occorre, ora, occuparsi.
4. L’art. 17: l’obbligo di motivazione
In particolare, l’art. 17 impone – in caso di affidamento in house di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici – l’adozione di una (qualificata) motivazione nella quale si dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio[16], illustrando «i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all’impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi, anche in relazione ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house».
La norma avrebbe, quindi, riguardo sia a elementi di carattere economico (investimenti, costi del servizio per gli utenti e impatto sulla finanza pubblica) sia a elementi di carattere qualitativo o politico-sociale[17] (qualità del servizio e obiettivi di universalità e socialità); e, a questi, si aggiungerebbero il fattore relativo alla tutela ambientale[18] e quello afferente ai risultati conseguiti in precedenti gestioni dirette[19].
Ora, rispetto a un siffatto onere motivazionale, anche nel confronto con quello già previsto (e richiamato) dall’art. 192, comma 2, del “vecchio” Codice dei contratti pubblici, buona parte della dottrina è concorde nel ritenere che la norma di (più) recente conio non richieda la dimostrazione del fallimento del mercato per poter disporre affidamenti in house, trattandosi di una scelta discrezionale rimessa all’amministrazione affidante la quale dovrebbe valutare la maggior convenienza del modello dell’autoproduzione rispetto alle altre forme di gestione e, in generale, sul piano economico e qualitativo[20].
In altri termini, l’aggravio motivazionale richiesto per l’opzione a favore dell’in house non sarebbe, stando a quest’interpretazione, decisivo nel senso di ritenere una siffatta modalità di gestione come eccezionale nel mercato dei servizi pubblici locali e, quindi, da impiegare, sostanzialmente, quale deroga rispetto agli altri modelli.
In distonia, non sono mancate altre voci che, facendo leva sull’esplicitazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato, hanno sostenuto l’(implicita) imposizione della regola della concorrenza e della gara, con conseguente marginalizzazione della possibilità di optare per l’autorganizzazione[21].
A ogni modo, prima di prendere partito sulla prospettata diversità di vedute, è necessario confrontarsi con le ulteriori prescrizioni (“procedimentali”) che la norma impone in caso di ricorso all’in house providing.
4.1. (Segue) lo stand still
La norma prosegue con la previsione dell’obbligo di stipulazione del contratto di servizio con la società domestica solamente decorsi sessanta giorni dall’avvenuta pubblicazione della deliberazione di affidamento alla società in house sul sito dell’ANAC[22].
La finalità della disposizione è stata individuata nell’assegnazione di una moratoria temporale, prima della stipulazione del contratto di servizio, preordinata a favorire l’esperimento di controlli e impugnative da parte dei soggetti legittimati, evitando così la conclusione del contratto di servizio in pendenza del giudizio[23]. Si prosegue, da parte di quest’opinione, rilevando, in contrapposizione con lo stand still previsto in materia di contratti pubblici, come la previsione di un termine più ampio sarebbe tale da garantire comunque la necessaria tutela giurisdizionale degli interessi eventualmente lesi dalla delibera di affidamento[24].
L’impressione è che un siffatto termine dilatorio rispetto alla stipula del contratto di servizio possa rappresentare un argomento a sfavore della tesi della pari ordinazione tra concorrenza e autoproduzione: l’imposizione dello stand still – solo per questo tipo di affidamento (e non, come per i contratti pubblici, per tutti) – legittimerebbe l’idea secondo cui, per tale via, si offrirebbe ai soggetti legittimati (che non includono solo gli operatori potenzialmente interessati all’assegnazione del servizio ma anche le autorità competenti) la possibilità di far valere ragioni opposte a quelle dell’amministrazione affidante e, quindi, di rimettere in discussione la scelta operata da quest’ultima, con la pretesa di affermazione del confronto competitivo sull’in house providing.
4.2. (Segue) analisi periodica e razionalizzazione
Un’impressione, peraltro, confermata, a quanto pare, anche da un’altra disposizione, ovvero quella di cui al comma 5 dell’art. 17: l’ente locale deve difatti procedere all’analisi periodica e all’eventuale razionalizzazione (sempre periodica) delle partecipazioni pubbliche, dando conto, specificamente, «delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione».
In generale, per la razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche la norma rinvia all’art. 20 del d.lgs. n. 175/2016, che, com’è noto, si pone a presidio della corretta gestione delle risorse pubbliche, con l’obiettivo di valutare la permanenza in vita della società pubblica (non necessariamente domestica) e, al contempo, di tutelare e promuovere la concorrenza e il mercato[25]. Coordinando la norma in commento con il citato art. 20[26], la scelta sarebbe quella di imporre all’ente locale che possiede la partecipazione nella società domestica una (ulteriore) incombenza sul piano motivazionale, dovendo, nell’ambito del provvedimento contenente l’eventuale piano di riassetto per la razionalizzazione, fusione e soppressione delle società in cui detengono partecipazioni, fornire le ragioni prima richiamate.
Ed invero, in un simile contesto, la circostanza che l’ente locale debba spiegare le ragioni che giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio alla società in house lascia trasparire – neppure troppo implicitamente – una sfiducia nei confronti di tale modalità di affidamento, tanto più che il legislatore indica (chiari) parametri sulla base dei quali offrire questa spiegazione. Da questo punto di vista, più che la qualità dei servizi, pure menzionata nella norma, sembra determinante, ai fini della decisione se conservare o meno l’affidamento (in house), il profilo della sostenibilità economica, attesi i riferimenti, per l’appunto, al piano economico e ai risultati conseguiti nella gestione.
In questa prospettiva, appare più gravoso per l’ente affidante il compito di giustificare la propria scelta relativa all’autoproduzione: se, da una parte, anche l’art. 20, comma 2, del Testo unico partecipate contempla, ai fini della razionalizzazione, alcuni parametri legati all’andamento della gestione (economica e finanziaria)[27], dall’altra, nel caso che ci occupa, la valutazione sembrerebbe più estesa (per non dire, a tratti, generica) e potrebbe condurre finanche all’abbandono del modello gestorio a fronte di risultati che, nell’immediato, non risultino particolarmente brillanti. Risultati che, però, potrebbero risultare scarsi in un orizzonte temporale di breve termine solamente a cagione della peculiare struttura che connota lo spazio (mercantile) nel quale la società in house opera. La maggior parte del fatturato di quest’ultima società viene infatti prodotto in un’economia a circuito chiuso e, com’è stato notato, difficilmente, tra l’altro, potrebbe ritagliarsi l’autosufficienza economica operando al di fuori di questa e a parità di condizioni con gli altri operatori[28].
5. Spunti dal d.lgs. n. 36/2023
L’analisi che si sta conducendo deve (necessariamente) completarsi con il confronto – già preannunciato – con la disciplina dell’autoproduzione recata dalla recente riforma dei contratti pubblici. Invero, dell’utilità, sul piano interpretativo, del confronto potrebbe dubitarsi nella misura in cui sarebbe la norma del nuovo Codice (art. 7) a rinviare al d.lgs. n. 201/2022 per la disciplina dell’affidamento in house di servizi di interesse economico generale di livello locale, sicché i due plessi normativi potrebbero reputarsi non comunicanti tra di loro, nel senso che, in punto di modalità di affidamento, le norme sui contratti pubblici non sarebbero applicabili all’affidamento dei servizi pubblici (che pure, in astratto, potrebbero rientrare nell’ambito applicativo delle prime) e viceversa.
Al contrario, si ritiene che l’analisi che si sta conducendo potrebbe giovarsi del raffronto proposto, specialmente nella prospettiva dello studio della tendenza verso cui il sistema si sta orientando nell’approccio all’autoproduzione.
Anche nel Codice dei contratti pubblici è prevista, quando la stazione appaltante o l’ente concedente opti per l’affidamento in via diretta alla società in house e non si tratti di prestazioni strumentali[29], l’adozione di un provvedimento motivato in cui si dia conto «dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche».
Come è possibile osservare, sul piano del contenuto la motivazione in discorso presenta qualche assonanza con quella prescritta in tema di servizi pubblici locali: si pensi, a tacer d’altro, ai vantaggi per la collettività oppure alla qualità (in questo caso) della prestazione oppure, ancora, agli obiettivi di universalità e socialità. Sembra, invece, scomparire il riferimento alle ragioni del mancato ricorso al mercato e ai risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, alludendo (ma in senso, francamente, ampio) la norma di cui ora ci stiamo occupando a tale profilo solamente nella parte in cui si fa menzione del razionale impiego di risorse pubbliche.
Accanto a questo si potrebbe cogliere un (altro) riferimento al mercato tramite il rinvio, operato dall’art. 7, comma 2, all’art. 3[30], vale a dire al principio dell’accesso al mercato; tale norma dispone che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dallo stesso Codice, «l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità».
Tra i primi commentatori, l’accesso al mercato nella sua declinazione del principio di concorrenza è stato inteso in senso strumentale: la concorrenza sarebbe strumento per il raggiungimento del miglior risultato possibile[31]; e, comunque, il riferimento alle modalità indicate dal Codice starebbe a significare la volontà di rinviare proprio a quella disciplina (che include la nostra modalità) per ribadirne il “dominio” a scapito dei tentativi di estensione pretoria del perimetro delle regole della concorrenza[32]. Specialmente in una siffatta ultima accezione, il principio in questione potrebbe essere qualificato come neutro, vale a dire interpretabile in termini sintomatici dell’assenza, nel Codice, di preclusioni rispetto all’autoproduzione.
È possibile, allora, tornare all’art. 7 e all’obbligo motivazionale per l’in house: il dato testuale parrebbe, nella prospettiva appena indicata, confermare l’opinione che la dottrina ha proposto riguardo al ruolo pari ordinato che l’autoproduzione assumerebbe rispetto al ricorso al mercato nell’ambito dei contratti pubblici. È stato infatti notato come il Codice dei contratti pubblici avrebbe “normalizzato” l’in house providing, prevedendosi sì la motivazione circa il ricorso all’autoproduzione ma non anche la dimostrazione del fallimento del mercato[33]. Per questa tesi, la divergenza di trattamento dell’autoproduzione – pur a fronte della (dichiarata) osservanza, in un caso (contratti pubblici) e nell’altro (servizi pubblici locali), del medesimo principio di auto-organizzazione della pubblica amministrazione – sarebbe poco ragionevole quando non addirittura in odore di incostituzionalità[34].
6. Il modello nel mercato (competitivo) dei servizi pubblici: la prospettiva del diritto dell’economia
Sulla scorta della constata (indubbia) diversità di trattamento dell’autoproduzione nelle due (pur affini) discipline, è giunto il momento di tirare le fila del discorso, allargando – necessariamente – lo sguardo al fine di cogliere – se si riesce – l’essenza del fenomeno che stiamo considerando riguardata, partitamente, dall’angolo visuale del diritto dell’economia.
La scelta, da parte dell’ordinamento, di regolare e, contemporaneamente, intervenire, con la forma che quella stessa regolazione ammette, nel mercato dei servizi pubblici locali è d’interesse per la sua (a tratti) unicità: lo Stato detta (finalmente) il modo nel quale si devono gestire i servizi pubblici e, nel decretarne, l’apertura al mercato sembra precludersi o, più correttamente, restringersi di molto le possibilità di intervento. Da un lato, si è dunque compresa, anche in ragione della natura degli interessi che sono coinvolti (cui oggi si aggiunge, espressamente, pure la sostenibilità ambientale: v. supra), la necessità di un intervento regolatorio idoneo a sottrare all’instabilità il mercato dei servizi pubblici locali[35]. Sotto l’altro profilo (quello dello Stato “imprenditore”/“azionista”), si è, come si diceva, cercato di rendere, per via proprio dell’aggravio motivazionale (e non solo) già descritto, più ardua la scelta di entrare, da parte del medesimo ente locale, nel mercato per mezzo di una propria articolazione organica.
Certamente, non è difficile scorgere le motivazioni in concreto sottese a una simile (ultima) scelta, motivazioni, forse, più politiche (o, se si preferisce, di salvaguardia delle risorse pubbliche) che legate a un autentico favor per la competizione; gli è, però, che le ricadute di questa opzione incidono, a livello di sistema, sul rapporto tra iniziativa pubblica e privata che, inutile ricordarlo, dovrebbe essere pari ordinato[36].
All’affidamento alla società in house da parte della pubblica amministrazione (costituente/affidante) si riserva, a quanto pare, un’area di intervento che, per quello che la disciplina sul riordino prevede, dovrebbe essere limitata, in definitiva, ai casi di fallimento del mercato, in continuità con la tesi, sopra riferita, che sostiene la marginalizzazione dell’autoproduzione. Se, infatti, le ipotesi (residuali) d’intervento sono, sostanzialmente, quelle in cui il mercato non è riuscito a esprimere un soggetto (privato) interessato a gestire il servizio, la conseguenza sarebbe l’impossibilità, per l’ente e la sua società domestica, di affrancarsi da quella situazione (di mercato) dove, come detto, è già di per sé difficile raggiungere l’autosufficienza economica. E, quindi, l’iniziativa pubblica sarebbe relegata a un ruolo recessivo rispetto a quella privata.
Conclusione cui, con le precisazioni già fatte, non è possibile pervenire, invece, nel caso dei contratti pubblici, ove sembrerebbe maggiore la libertà della stazione appaltante di procedere con questo tipo di affidamento.
In una prospettiva d’analisi giuseconomica del modello nell’ambito che ci riguarda, sarebbe allora sostenibile una limitazione dell’interventismo (imprenditoriale) dello Stato, avendo prescelto – nella regolazione delle forme d’intervento – una limitazione dell’iniziativa della pubblica amministrazione, pur a fronte del riconoscimento (a questo punto, solo sul piano formale) del principio di auto-organizzazione della stessa amministrazione. Ma, l’impressione è che, come si è cercato di evidenziare, questo valga limitatamente al mercato studiato, ovvero quello dei servizi pubblici di rilevanza economica prestati a livello locale, trattandosi, forse, di una (rara) eccezione al cospetto di un’espansione ormai inarrestabile delle forme di interventismo statale[37], ormai non solo imprenditoriale/azionario ma che includerebbe finanche declinazioni in punto di programmazione[38].
[*] Il presente contributo è destinato agli Scritti in ricorso di Felice Gnagnarella.
[**] Sebbene frutto di una riflessione comune, i paragrafi 1, 2 e 3 sono da attribuirsi a Caterina Luisa Appio, mentre i paragrafi 4, 4.1., 4.2., 5 e 6 a Davide De Filippis.
[1] Il tema è stato affrontato, tra gli altri, anche da L. Ammannati, I servizi pubblici locali: quale concorrenza, come e quando?, in Astrid-online.it, la quale, a proposito del rapporto mercato – in house, rileva(va) come «il ricorso all’in house providing è da escludere quando per le caratteristiche economiche e tecnologiche di una attività o di un settore sono presenti soggetti economici in numero adeguato in grado di svolgere quella determinata attività e quando la competizione tra di loro (anche se “per” il mercato) può avere come effetto significativi vantaggi per gli utenti del servizio».
[2] Il riferimento è all’art. 16 del d.lgs. n. 175/2016. La letteratura su tali requisiti è amplissima: v. già, all’indomani del Testo unico partecipate, V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Wolters Kluwer, 2016, spec. 1039 ss.
[3] Per i servizi pubblici di rilevanza economica, è noto che l’unico riferimento era rappresentato dall’art. 34, commi 20 e 21, d.l. n. 179/2012, abrogato dal d.lgs. n. 201/2022, che prevedeva la necessità di pubblicare una relazione «che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste».
[4] Ricostruisce, con gli opportuni riferimenti, quest’evoluzione M. Dugato, voce «Servizi pubblici locali», in Enc. dir., I tematici III, Milano, 2022, 1109 – 1110, e pure B.G. Mattarella, Ambiguità e vicende degli affidamenti in house, in Riv. trim. dir. pubb., 2023, 1283 ss.
[5] Anche con riferimento, prosegue la norma, agli «obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».
[6] All’indomani della pronuncia della Corte di Giustizia richiamata poco dopo nel testo, hanno ribadito il carattere eccezionale dell’in house providing alla luce del prescritto obbligo motivazionale, tra le altre, Cons. Stato, sez. III, 12 marzo 2021, n. 2102; Cons. Stato, sez. III, 10 maggio 2021, n. 3682, tutte e due in Onelegale. Nella recente giurisprudenza di merito, v. TAR Lombardia, Brescia, 22 maggio 2023, n. 454, in Onelegale.
[7] L’ordinanza è Corte Giust. UE, sez. X, 6 febbraio 2020, nn. da C-89/19 a C-91/19, e si trova, tra gli altri, in Giur. it., 2020, 1731 ss., con commento di B. Mameli, In house providing – Il principio di autorganizzazione tra eccezione residuale e opzione di base, e in Urb. e appalti, 2020, 353 ss., con nota di C. Contessa, La Corte di Giustizia legittima i limiti nazionali agli affidamenti “in house”.
[8] Trattasi, nello specifico, di C. cost. 27 maggio 2020, n. 100, in DeJure. Per un commento alla pronuncia v. S. Valaguzza, Nuovi scenari per l’impresa pubblica nella sharing economy, in federalismi.it, 7 ottobre 2020, 267 ss.
[9] Il riferimento è, segnatamente, all’art. 10 del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. in l. 29 luglio 2021, n. 108, che precisa, al comma 3, che «ai fini dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016, la valutazione della congruità economica dell’offerta ha riguardo all’oggetto e al valore della prestazione e la motivazione del provvedimento di affidamento dà conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento della società Consip S.p.A. e delle centrali di committenza regionali». Per un commento alla norma v. E. Campagnano, L’evoluzione dell’in house providing, dall’eccezione all’evidenza pubblica a strumento per l’efficiente attuazione del PNRR, in Contr. impresa, 2022, spec. 1167 ss. Con riguardo a tale norma, è stato osservato da B.G. Mattarella, op. cit., 1319, come «la disposizione si limita a segnalare alle amministrazioni l’utilità delle società in house per la realizzazione degli investimenti pubblici e, quindi, a fornire un supporto per la motivazione dell’affidamento: quasi un incoraggiamento a ricorrervi, in chiara controtendenza rispetto al disfavore legislativo degli anni precedenti».
[10] Sull’istituzione di un servizio pubblico la dottrina amministrativista sottolinea, comunque, la natura di carattere politico-amministrativo della scelta dell’ente locale: in tal senso v. P. Chirulli, Il d.lgs. n. 201/2022 e il riordino dei servizi pubblici locali: un inquadramento, in Riv. Regolazione mercati, 2023, 299, la quale aggiunge che la scelta «deve essere adeguatamente motivata sulla base di parametri oggettivi, e dunque non è espressione di discrezionalità pura», e F. Figorilli, L’in house providing fra discrezionalità vincolata e autorganizzazione alla luce delle recenti riforme del legislatore, in Riv. Regolazione mercati, 2023, 343, per il quale «la determinazione finalizzata all’istituzione di un nuovo servizio pubblico si configura sempre più come la logica conseguenza di una reale ponderazione comparativa tra le differenti opzioni astrattamente esercitabili, costringendo l’ente a decidere sulla scorta di tutti gli elementi emersi nel corso delle verifiche preliminari». In questa prospettiva, A. Moliterni, Le nuove regole dei servizi pubblici locali, in Giorn. dir. amm., 2023, 491, si spinge ad affermare che «appare evidente che, attraverso una simile proceduralizzazione, la dimensione politico-discrezionale delle scelte – che pure continua a caratterizzare le valutazioni di base degli enti locali – viene ad essere sottoposta ad un vaglio di razionalità, anche alla luce del principio di concorrenza».
[11] A. Lucarelli, Il nuovo Statuto giuridico dei servizi pubblici locali: tra concorrenza e mito del “privato” si consuma l’eccesso di delega. Considerazioni a margine del decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201 di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ai sensi dell’art. 8 della legge delega del 5 agosto 2022, n. 118, in federalismi.it, 17 aprile 2024, 168 ss., ipotizza – a proposito dell’esclusione del ricorso alla gestione in economia o mediante azienda speciale – un eccesso di delega, non essendo il tema «mai entrato nella legge delega e nella discussione che si è sviluppata su di essa».
[12] Come osservato da A. Maltoni, Oneri motivazionali differenziati richiesti per l’affidamento a società in house di attività aventi rilevanza economica e affidamenti in house “convenzionali”, in federalismi.it, 13 dicembre 2023, 48, la previsione in discorso sembra riprendere, «precisandone meglio i contenuti», la disciplina di cui all’art. 34 commi 20 e 21, d.l. n. 179/2012 (abrogata proprio dal d.lgs. n. 201/2022).
[13] In tal senso v., di recente, con gli opportuni riferimenti, A. Lucarelli, op. cit., 170.
[14] In giurisprudenza, secondo Cass., sez. I, 2 ottobre 2018, n. 23950, in DeJure, «è vero che la relazione di accompagnamento non ha efficacia cogente, né tantomeno è, essa stessa, fonte del diritto; e, però, quando sia del tutto conforme all’enunciato ed al significato fatto palese dalla consecuzione delle parole usate (art. 12 preleggi), certamente può contribuire alla corretta interpretazione di una norma o di un combinato disposto normativo».
[15] Così a pag. 4 della Relazione illustrativa allo «Schema di decreto legislativo di riordino della materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118».
[16] Come ricorda F. Goisis, L’in house nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, in R. Villata (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali. Aggiornato al d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, 2a ed., Torino, 2023, 270, già la legge delega (art. 8, comma 2, lett. g, l. n. 118/2022) prevede(va) l’obbligo di motivazione rafforzata in capo all’ente locale. Sulla valutazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato, la giurisprudenza (v., segnatamente, TAR Lombardia, Milano, sez. I, 28 febbraio 2024, n. 536, in DeJure) ha chiarito che queste possono essere valutate solo al momento di entrata della società sul mercato «in quanto solo in quel momento si crea quel danno concorrenziale che comporta la lesività degli atti per gli operatori del settore».
[17] Così W. Troise Mangoni, La motivazione qualificata dell’affidamento in house, in R. Villata (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali. Aggiornato al d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, 2a ed., Torino, 2023, 323.
[18] Nel rendere esplicito tale dato, A. Maltoni, op. cit., 45, nota come «una gestione interamente pubblica in house potrebbe garantire il conseguimento di più ambiziosi obiettivi di sostenibilità ambientale nella gestione dei servizi, stabilendosi ad esempio che tutti gli avanzi di gestione siano destinati in via esclusiva a dette finalità». In senso (quasi) analogo, W. Troise Mangoni, op. cit., sottolinea come la gestione del servizio in funzione della tutela dell’interesse ambientale avrebbe una ricaduta immediata sui costi di gestione.
[19] Sempre A. Maltoni, op. cit., 46, sottolinea, con riguardo ai risultati delle pregresse gestioni in house, come tale raffronto potrebbe essere utile per dimostrare i benefici per la collettività dal punto di vista economico.
[20] Concordano su questa posizione: A. Maltoni, ivi, 47; A. Moliterni, Le nuove regole dei servizi pubblici locali, in Giorn. dir. amm., 2023, 493, e G. Fares e V. Lopilato, L’affidamento in house dei servizi pubblici locali, in R. Chieppa – G. Bruzzone – A. Moliterni (a cura di), La riforma dei servizi pubblici locali. Commento al d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201 e analisi sistematica delle regole vigenti nei singoli settori, Milano, 2023, 304 – 305, i quali sottolineano come «nonostante la diffidenza nei confronti dell’autoproduzione, quale sistema meno efficiente, resta tuttavia impregiudicata la discrezionalità organizzativa dell’ente affidante, che è di tale ampiezza da incontrare il solo limite dell’obbligo di motivare una scelta che deroga al modello del mercato concorrenziale e che potrà essere sottoposta al sindacato del giudice amministrativo». Più critico, in generale, nei confronti degli adempimenti procedurali (e, nella specie, la motivazione) è B.G. Mattarella, op. cit., 1336, per il quale «questa è la tragedia delle regole sull’autoproduzione, di cui bisognerà sopportare i costi fino a quando una parte rilevante del sistema amministrativo ne avrà bisogno».
[21] Cfr. A. Lucarelli, op. cit., 174, che ipotizza «un’irragionevole compressione della libertà di scelta degli enti locali e territoriali che confligge con il quadro giuridico europeo e interno». Aggiunge A. Di Giovanni, Affidamento a società in house, in E. Picozza e A. Di Giovanni (a cura di), La disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Commento sistematico al D.Lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, Torino, 2024, 146, che «la scelta compiuta dal legislatore di mantenere l’onere di motivazione rafforzato sembra destare dubbi sotto il profilo della legittimità costituzionale». In senso meno critico ma comunque restrittivo v. pure E. Zampetti, Concorrenza e sussidiarietà orizzontale nella recente disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in F. Aperio Bella, A. Carbone, E. Zampetti (a cura di), Dialoghi di diritto amministrativo. Lavori del laboratorio di diritto amministrativo 2022-2023, Roma, 2024, 359 ss., secondo cui «la verifica che l’ente deve svolgere ai fini dell’affidamento in house condiziona direttamente la scelta della forma di gestione, e lo fa a tutela del principio della concorrenza, in quanto il fatto che esistano imprese potenzialmente capaci di adattarsi al ritmo e al programma dell’ente dovrebbe far propendere per le forme di gestione che garantiscono il confronto competitivo». E, ancora, W. Troise Mangoni, op. cit., spec. 328, il quale sostiene che l’art. 17 farebbe «emergere un chiaro favor del legislatore per l’affidamento dei servizi pubblici locali attraverso una procedura competitiva, con la conseguenza che la gestione in house viene considerata modello derogatorio, sebbene (…) si possa osservare come una simile concezione del rapporto tra regola ed eccezione sia considerato sì compatibile con l’ordinamento UE dalla Corte di giustizia, ma da esso non richiesto quale vincolo per lo sviluppo della concorrenza nel settore».
[22] L’art. 17, comma 3, aggiunge che «la disposizione di cui al presente comma si applica a tutte le ipotesi di affidamento senza procedura a evidenza pubblica di importo superiore alle soglie di rilevanza europea in materia di contratti pubblici, compresi gli affidamenti nei settori di cui agli articoli 32 e 35».
[23] In questi termini G. Fares e V. Lopilato, op. cit., 310, e A. Di Giovanni, op. cit., 148.
[24] Cfr., ancora, G. Fares e V. Lopilato, ivi, 310 – 311, cui si rinvia anche per una (sintetica) ricognizione degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa sulle conseguenze del ritardo nella stipula o dell’inosservanza della clausola di stand still in materia di contratti pubblici.
[25] Obiettivi del processo di razionalizzazione già individuati da S. Fortunato, La razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica, in S. Fortunato e F. Vessia (a cura di), Le “nuove” società partecipate e in house providing, Milano, 2017, 95 ss. Sulla portata della norma si rinvia, altresì, ai contributi di: G. Marasà, Considerazioni su riordino e riduzione delle partecipazioni pubbliche nel t.u. (d.lgs. 175/2016) integrato e corretto (d.lgs. 100/2017), in Riv. soc., 2017, spec. 812 ss.; E. Fabrizio, Razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, in G. Morbidelli (a cura di), Codice delle società a partecipazione pubblica, Milano, 2018, spec. 424 ss.; R. Ursi, La razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche, in R. Ursi e M. Perrino (a cura di), Le società a controllo pubblico, Torino, 2020, 253 ss., e, più di recente, S. Del Gatto, Le società pubbliche tra obiettivi di razionalizzazione e prospettive di rilancio, in Giorn. dir. amm., 2024, 584 ss.;
[26] Sul coordinamento tra le due norme, si rinvia a G. Fares e V. Lopilato, op. cit., 313 ss., e A. Di Giovanni, op. cit., 150.
[27] Cfr., fra le altre, le lettere: d) (partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro); e) (partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti) e f) (necessità di contenimento dei costi di funzionamento).
[28] In questi termini, M. Cossu, Le Sezioni Unite affermano la giurisdizione ordinaria su tutte le società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2019, II, 1398 – 1399.
[29] In tal caso, l’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 prescrive una motivazione ancor più snella di quella di cui si riferisce poco dopo nel testo, ritenendosi sufficientemente motivato il provvedimento «qualora dia conto dei vantaggi in termini di economicità, di celerità o di perseguimento di interessi strategici».
[30] Tale norma non è la sola a essere richiamata, rinvenendosi pure il rinvio agli artt. 1 (principio del risultato) e 2 (principio della fiducia). Per un inquadramento dei diversi principi menzionati si rinvia a R. Caranta, I principi nel nuovo Codice dei contratti pubblici, artt. 1-12, in Giur. it., 2023, 1950 ss., e G. Napolitano, Il nuovo Codice dei contratti pubblici: i principi generali, in Giorn. dir. amm., 2023, 287 ss.
[31] Così R. Caranta, ivi, 1955, il quale aggiunge «in un certo senso l’interesse pubblico (risultato) prende il sopravvento su quello privato (competizione), che diventa occasionalmente protetto».
[32] In questi termini G. Napolitano, op. cit., 294.
[33] Il virgolettato e il pensiero sono di R. Caranta, op. cit., 1957; nello stesso senso v. pure L.M. Fera, L’in house providing nel nuovo codice dei contratti pubblici: tra libertà di auto-organizzazione amministrativa e tutela della concorrenza e del mercato, in federalismi.it, 20 novembre 2024, 50, e, anche se in modo dubitativo, G. Napolitano, ivi, 295, il quale aggiunge, a proposito della motivazione, che rimarrebbe comunque «la previsione di un onere aggiuntivo che il diritto europeo non impone».
[34] Così sempre R. Caranta, ivi, 1958.
[35] Tentativo, com’è noto, non nuovo se si pensa a quello – poi naufragato per effetto della pronuncia di C. Cost. n. 251/2016 – di cui all’art. 19 della l. 7 agosto 2015, n. 124.
[36] Che l’iniziativa economica possa essere assunta tanto da privati quanto da pubblici operatori è, al vertice, ricavabile dall’art. 41, comma 3, Cost.: in questo senso v., già, F. Galgano, Sub art. 41, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Rapporti economici, Bologna – Roma, 1982, spec. 13. Sull’intervento dello Stato nell’economica v., tra i più recenti (e senza alcuna pretesa di esaustività), i contributi di G. Luchena, Il “nuovo” intervento pubblico nell’economia: come sistema di deroghe e come coprogrammazione a impulso europeo, in Riv. trim. dir. econ., suppl. 4/2022, 57 ss.; M. Clarich, Concorrenza, regolazione e intervento dello Stato nell’economia, in 2023, in CERIDAP, 123 ss.; G. Mulazzani, La Cassa depositi e prestiti e la riforma amministrativa dell’economia, Bologna, 2023, 13 ss. ove una ricognizione (e ulteriori riferimenti bibliografici) circa l’evoluzione del rapporto tra Stato e mercato, e, anche con riguardo al rapporto tra diritto ed economia, F. Capriglione, Introduzione allo studio del diritto dell’economia, in M. Pellegrini (a cura di), Diritto pubblico dell’economia, 2a, Cedam, 2023, spec. 3 ss.
[37] Basti pensare al ruolo vieppiù assunto dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.: in argomento si veda, se si vuole, il mio Separazione e destinazione nella Cassa Depositi e Prestiti. Lineamenti di un patrimonio destinato «soggettivizzato», Milano, 2023, spec. 1 ss.
[38] Molto di recente si rinvia al contributo, sul tema, di G. Luchena, La programmazione dell’economia nell’era dello stato resiliente: tendenze, obiettivi, regolazione per incentivi, in questa Rivista, 6 dicembre 2024, 1 ss.