[1]A partire dagli anni ’70 fino ai più recenti sviluppi odierni, le discussioni intorno al ruolo della finanza nella società si sono concentrate, tra gli altri, su uno specifico profilo: la sostenibilità[2]. Gli sforzi della Commissione europea, del Parlamento e del Consiglio sono confluiti, ad oggi, nell’adozione di molteplici atti normativi in materia, fra i quali, di dirimente importanza, il Regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (c.d. “Regolamento Disclosure” o “Regolamento”)[3].
Brevemente, il Regolamento Disclosure[4] costruisce un quadro condiviso di obblighi di “informativa ESG” e requisiti di trasparenza che gravano su due categorie di soggetti, ossia i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari[5], nell’ottica di integrare i rischi di sostenibilità nei processi decisionali relativi agli investimenti[6]. La Disclosure richiesta si articola su due livelli (entity-level e product-level) con disclosure sul sito web, sulla documentazione precontrattuale e sulle relazioni periodiche che la normativa di vigilanza chiede di inviare alla clientela. Uno degli aspetti che saltano primariamente all’occhio dalla lettura del Regolamento in esame riguarda la classificazione e la suddivisione dei prodotti finanziari (intesi secondo la definizione recata dal Regolamento medesimo, che include tra gli altri i FIA e gli OICVM), in tre categorie, differenziate a seconda del crescente livello di ambizione che tali prodotti assumono in termini di sostenibilità.
In primo luogo, sono perimetrati per esclusione i c.d. prodotti “pale green”, ossia prodotti residuali che, pur prendendo in considerazione alcuni minimali profili in termini di sostenibilità (quali l’integrazione del rischio di sostenibilità nelle decisioni di investimento e i risultati della valutazione dei probabili impatti dei rischi di sostenibilità sul loro rendimento), non assurgono al grado di “prodotti sostenibili” in senso proprio (talvolta citati come prodotti ex art. 6). In secondo luogo, l’art. 8 del Regolamento Disclosure positivizza la categoria dei prodotti c.d. “light green”, ossia prodotti finanziari che promuovono, tra le altre, caratteristiche ambientali o sociali, o una combinazione di esse, a condizione che le imprese in cui gli investimenti sono effettuati rispettino prassi di buona governance. Da ultimo, l’art. 9 del Regolamento Disclosure introduce i c.d. prodotti “dark green”, ossia prodotti finanziari che hanno come obiettivo principale quello di realizzare investimenti sostenibili[7].
In quanto veri e propri prodotti c.d. “ESG”, i prodotti di cui agli artt. 8 e 9 sono soggetti ad obblighi informativi rafforzati rispetto a quelli imposti per gli altri prodotti “non green”[8] al fine di evitare il c.d. fenomeno del c.d. “greenwashing”: tale pratica, che nella traduzione italiana può essere definita in modo evocativo come “verniciatura verde”, si sostanzia nell’intenzione di “brandizzare” un prodotto finanziario come ecosostenibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti.
La decisione del legislatore comunitario di definire e qualificare in questo modo i prodotti sostenibili solleva un problema sostanziale: come si determina nella sostanza se un prodotto promuova caratteristiche ambientali o sociali o se abbia, invece, come obiettivo un investimento sostenibile? Nel Regolamento viene sì fornita la definizione di “investimenti sostenibili”[9] ma, da un lato, non si precisa quali sono le condizioni minime per poter dire che tali investimenti costituiscano l’obiettivo di un prodotto e, dall’altro, con riferimento ai prodotti light green, il Regolamento non chiarisce cosa si intenda con il concetto di “promozione”.
Dal momento che i confini interpretativi della disciplina sono risultati piuttosto labili quanto alla distinzione tra prodotti “ex art. 8 e 9” (in particolar modo per quanto concerne il perimetro dei prodotti light green), a livello comunitario sono state pubblicate delle apposite Q&A[10], ad esito di un tavolo di lavoro che ha coinvolto le tre Autorità di Vigilanza Europee (c.d. “ESAs”)[11].
A livello nazionale, inoltre, la Consob ha pubblicato, nel marzo 2021, un documento Q&A con l’obiettivo di chiarire quali siano gli obblighi in materia di informativa precontrattuale sui prodotti che rientrano nell’applicazione del Regolamento Disclosure; mentre la Banca d’Italia, con comunicazione del 17 marzo 2021, si è limitata ad esprimere il proprio allineamento alle indicazioni contenute nei regulatory technical standard comunitari (di seguito “RTS”)[12].
Tutto ciò premesso, il presente approfondimento si pone come obiettivo quello di individuare un minimo comun denominatore che sarebbe opportuno che abbiano tutti i prodotti cc.dd. “light green”; ciò al fine di delineare quelli che potrebbero essere considerati i tratti tipici di un fondo comune light green.
L’art. 8 e l’art. 9 del Regolamento Disclosure, come anticipato, costituiscono due categorie di prodotti distinti: da un lato, prodotti finanziari che promuovono caratteristiche ambientali o sociali o una combinazione di tali caratteristiche, a condizione che le società in cui vengono effettuati gli investimenti seguano pratiche di buona governance e, dall’altro, prodotti finanziari che hanno come obiettivo l’investimento sostenibile. Le due distinte categorie sono fondamentali per determinare l’accesso degli investitori finali a prodotti finanziari che siano abbastanza ambiziosi da soddisfare le loro preferenze di sostenibilità[13]. Con particolare riferimento all’art. 8, esso stabilisce regole di trasparenza per i prodotti finanziari che hanno un’ambizione legata alla sostenibilità che si può qualificare come inferiore a quella dei prodotti finanziari soggetti all’art. 9, tanto che se un prodotto ha un obiettivo sostenibile e non soddisfa il principio di non arrecare danni significativi di cui all’art. 2, par. 1, n. 17) del Regolamento Disclosure, si qualifica come prodotto ex art. 8[14].
Il legislatore comunitario, se da un lato precisa che la sola integrazione dei rischi di sostenibilità non è sufficiente per considerare un prodotto come rientrante nella categoria dell’art. 8 – ma è necessario che nella politica di investimento siano “promosse”[15] caratteristiche ambientali e/o sociali – dall’altro rimane neutrale in termini di progettazione dei prodotti finanziari[16].
La norma in parola non prescrive, peraltro, a livello di normativa primaria, alcun elemento, come la composizione degli investimenti o le soglie minime di investimento ammissibili, né determina strumenti, strategie o metodologie di investimento da impiegare.
Se, come anticipato, la disciplina rimane silente sul tema a livello primario, alcuni indizi vengono forniti a livello di RTS, in particolare agli artt. Dal 13 al 19, i quali individuano il modo in cui le informazioni di cui all’art. 8 del Regolamento Disclosure devono essere specificate dai partecipanti ai mercati finanziari. In presenza di un prodotto finanziario qualificabile come prodotto “light green”, infatti, l’art. 8 inasprisce gli obblighi di informativi ex art. 6, parr. 1 e 3 del medesimo Regolamento, stabilendo che, in aggiunta alle informazioni richieste per tutti i prodotti, devono altresì essere fornite: a) informazioni su come le caratteristiche ambientali o sociali sono rispettate; b) qualora sia stato designato un indice come indice di riferimento, informazioni che indichino se e in che modo tale indice è coerente con le caratteristiche ESG [17]. Di particolare interesse è anche io nuovo Allegato II degli RTS, da ultimo pubblicato il 22 ottobre 2021 che fornisce il template da utilizzare per l’informativa precontrattuale dei prodotti ex art. 8 del Regolamento Disclosure da un lato, e dei prodotti ex art. 6 del Regolamento Tassonomia dall’altro (v. infra).
L’informativa, secondo quanto indicato agli articoli dal 13 al 19 degli RTS, deve articolarsi seguendo uno schema che comprenda distinte e specifiche sezioni, tra le quali quelle dedicate: a) alla strategia di investimento impiegata[18]; e b) all’asset allocation prevista per il prodotto finanziario[19]. In riferimento a quest’ultima sezione, in particolare, l’art. 16 degli RTS ulteriormente specifica che essa deve contenere le seguenti informazioni: 1) una spiegazione in forma descrittiva degli investimenti del prodotto finanziario che indichi la proporzione minima degli investimenti che il prodotto finanziario utilizza per raggiungere le caratteristiche ambientali o sociali promosse in conformità con gli elementi vincolanti della strategia di investimento, includendo la proporzione minima degli investimenti sostenibili del prodotto finanziario quando esso si impegni ad effettuare investimenti sostenibili, nonché lo scopo della restante quota di investimento, compresa una descrizione delle garanzie minime ambientali o sociali; 2) nel caso in cui il prodotto utilizzi derivati come definiti dall’art. 2, par. 1, n. 29) del MIFIR per raggiungere le caratteristiche ambientali o sociali promosse dal prodotto finanziario, una descrizione di come l’utilizzo di tali derivati consenta di raggiungere tali caratteristiche.
Le specificazioni contenute negli RTS[20] possono essere di ausilio per individuare alcuni requisiti minimi in presenza dei quali un prodotto finanziario può essere validamente qualificato come sostenibile (e.g. l’individuazione di una porzione minima di investimento da destinare ad attività sostenibili). Nonostante ciò, in concreto, permane comunque un margine di incertezza che non consente di individuare con certezza quali prodotti possano considerarsi “sostenibili” ai sensi dell’art. 8, con conseguenti ripercussioni in termini di efficace protezione degli investitori dal fenomeno di greenwashing. Si pensi nello specifico alla possibilità di considerare un fondo comune di investimento come prodotto ESG ai sensi dell’art. 8 del Regolamento. La domanda che sorge spontanea è dunque la seguente: quali tratti minimi essenziali tale fondo comune deve presentare per potersi considerare compreso all’interno di tale categoria?
Nel silenzio della normativa primaria e sulla base delle indicazioni contenute negli RTS, la prassi ha condotto ad individuare per tali prodotti come necessario uno screening ESG negativo, consistente nell’individuare determinati settori nei quali si esclude di investire tramite il fondo (come, ad esempio, armi nucleari, tabacchi).
Orbene, tale attività di screening costituisce uno dei processi ESG maggiormente utilizzat([21] che, peraltro, come sottolineato da più parti[22], non appare di per sé sufficiente a qualificare un prodotto ai sensi dell’art. 8 in quanto si sostanzia nella mera individuazione di una serie di esclusioni, di per sé inidonee ad integrare il concetto di promozione.
Al contrario per garantire la propria qualità in termini di sostenibilità, si ritiene quindi che, oltre eventualmente al suddetto screening negativo, i processi di investimento dei prodotti ex art. 8 debbano prevedere uno screening di tipo positivo.
L’impiego di strategie di screening positivo può essere considerato come un’attività virtuosa nella selezione degli investimenti, finalizzate ad inserire in portafoglio titoli che non solo siano diversi da quelli “esclusi” ai sensi dello screening negativo, ma che piuttosto verifichino il grado di attenzione e di conformità alle tematiche ESG che l’emittente in cui il fondo intende investire presenta. Ebbene, secondo le prassi più diffuse, tale screening positivo si può sostanziare mediante la verifica del livello di attenzione ai profili ESG dei titoli delle società in portafoglio o calcolando valori medi del portafoglio medesimo e raffrontando il risultato con quello espresso da un benchmark preso a riferimento ovvero destinando, in linea con quanto richiedono gli RTS, una percentuale minima del portafoglio (pari, ad esempio al 25 o 50%) a prodotti particolarmente virtuosi sotto il profilo ESG[23]. La particolare virtuosità di tali titoli dal punto di vista ESG viene “certificata” o da soggetti valutatori terzi che attribuiscono un rating al titolo dell’emittente ovvero mediante meccanismi di attribuzione di un giudizio “interni” della SGR che gestisce il fondo comune di investimento che aspira ad essere qualificato come “art. 8”.
Le due ipotesi di screening positivo sopra individuate, peraltro, non sono necessariamente alternative tra loro; è infatti possibile immaginare un sistema che cumuli tali due screening positivi. Inutile evidenziare che tali interventi a livello di screening ESG positivo presuppongono penetranti modifiche al processo di investimento del gestore del fondo, in quanto vanno a modificare la due diligence classica che viene svolta sul prodotto target prima di effettuare l’investimento. Queste considerazioni valgono peraltro, mutatis mutandis, sia con riferimento ai fondi comuni di investimento della famiglia UCITS, sia con riguardo ai fondi comuni alternative.
Da ultimo, si segnala che l’impiego di indici che permettano di “quantificare” la sostenibilità di un prodotto finanziario, è contenuto espressamente anche all’art. 8 del Regolamento Disclosure. Tale riferimento si giustifica avendo riguardo al fatto che, ad oggi, esso costituisce lo strumento alla base della maggior parte delle strategie di investimento sostenibile[24]. Gli “indici di sostenibilità” – che normalmente vengono individuati attraverso l’utilizzo di rating/score ESG[25] – sono infatti utilizzati per stabilire (e verificare nel continuo) il raggiungimento o meno delle caratteristiche ambientali o sociali promosse dal prodotto.
In conclusione, in attesa che la disciplina di vigilanza offra ulteriori prescrizioni che circoscrivano ulteriormente i prodotti ex art. 8, si ritiene quindi che gli stessi possano essere individuati sulla base di una strategia di investimento che consideri cumulativamente:
- uno screening negativo basato sull’individuazione di categorie di emittenti nei cui confronti è precluso toutcourt l’investimento[26];
- uno screening positivo, strutturato, anche alternativamente, mediante: (a) raffronto del portafoglio investito ad un benchmark ESG di riferimento; ovvero (b) l’investimento di una percentuale significativa ed individuata ex ante del portafoglio del fondo comune in titoli di imprese con focus specifico su tematiche ESG ovvero che posseggono un rating ESG positivo attribuito da autorevoli valutatori terzi o attraverso metriche interne.
Peraltro, nonostante gli score ESG attribuiti da case terze trovino un ampio utilizzo nell’ambito della finanzia sostenibile – ad es. per la selezione di strumenti finanziari, la costruzione di portafogli di investimento, la creazione di indici di mercato e il reporting – è importante, tuttavia, che il loro utilizzo sia accompagnato dalla consapevolezza da parte dell’intermediario dei limiti che questi strumenti attualmente presentano. In particolare, le criticità di tale strategia sono legate principalmente all’assenza di un riferimento o tassonomia condivisa che possa essere utilizzata come benchmark. Tale eterogeneità si riflette sia sulla metodologia impiegata per raccogliere e valutare i dati ESG, sia sull’arbitrarietà con cui gli stessi vengono selezionati. Sul punto, si evidenzia come i fattori ESG da considerare rilevanti varino in relazione ad una pluralità di elementi: dal settore di attività al modello di business delle imprese; in relazione ai mutamenti delle tecnologie, delle politiche pubbliche e dei fenomeni sociali (dynamic materiality); a seconda che si assuma il punto di vista dell’investitore, interessato solo ai fattori che possono avere un impatto finanziario sulla società, o il punto di vista degli stakeholder esterni, interessati a tutti i fattori che possono avere un impatto significativo sull’ambiente e la società.
Quanto sopra porterebbe a consigliare ad un intermediario di utilizzare, ove possibile, metodologie di rating ESG di case terze, in maniera critica e magari mediante screening interni, senza fare esclusivo affidamento sui giudizi ESG forniti da queste ultime. Peraltro, mentre rating ESG vengono attribuiti da diversi player con riferimento agli emittenti quotati, altrettanto non accade per le società non quotate e medio piccole, le quali costituiscono tipicamente le target dei gestori di fondi di private equity o venture capital. Orbene, per questi soggetti, pare inevitabile l’esigenza che sia il gestore ad intraprendere ed elaborare metodologie interne, se del caso con l’ausilio di consulenti, che consentano di attribuire rating ESG alle società in portafoglio, non essendovi al momento rating ESG “precompilati” in relazione a tali società.
Un’ultima considerazione vale spendere per quei gestori che intendono “costruire” il proprio screening positivo verificando l’aderenza del portafoglio ad un benchmark ESG di portafoglio. In questi casi, stante anche il fatto che non si rinvengono con facilità benchmark ESG dedicati e che un gestore si trova già a raffrontare il proprio fondo ad un dato indice, risulta che al momento venga utilizzato in molti casi il benckmark “generalista” del fondo per verificare se il proprio portafoglio, sulla base dei rating ESG attribuiti al singolo emittente, stia o meno battendo, appunto, quel benckmark, sempre, si intende, sotto il profilo ESG. Ebbene, in fase di prima applicazione pare condivisibile un siffatto approccio ma occorre considerare che: (i) quando entreranno in vigore gli RTS, all’art. 18, richiederanno anche per i prodotti art. 8 che si basano su un benckmark di adottare benchmark specifico ESG, inserendo nell’informativa una spiegazione di come l’indice designato differisca da un indice generale di mercato; (ii) il Joint Commettee delle ESAs, con uno statement del 25 febbraio 2021[27] suggerisce già di conformarsi ove possibile agli RTS; (iii) per gli art. 9 invece, se è stato designato un indice come benchmark, è già obbligatorio che l’informativa precontrattuale sia integrata da informazioni che indichino in che modo l’indice designato è in linea con l’obiettivo di investimento sostenibile e da una spiegazione che indichi perché e in che modo l’indice designato in linea con detto obiettivo differisce da un indice generale di mercato.
Sarebbe opportuno, in conclusione, che le diverse Authority, nazionali e sovranazionali, coinvolte nel delineare il framework normativo di riferimento, esprimano de jure condendo linee applicative che vincolino maggiormente i tratti caratteristici di queste nuove categorie di prodotti finanziari green; ciò non solo per gestire efficacemente il rischio greenwashing, aumentando al contempo la tutela degli investitori, ma anche per poter più agevolmente verificare se, a livello di enforcement, le norme vengano o meno disattese dagli intermediari che qualificano come ESG un prodotto che, nella sostanza, non è da considerarsi tale.
Nell’ambito degli ordinamenti nazionali di alcuni Paesi comunitari si rinvengono peraltro interventi che paiono già andare nella direzione poc’anzi auspicata. Si pensi, ad esempio, all’Autorità federale di vigilanza finanziaria tedesca (Bundesanstalt Für Finanzdienstleistungsaufsich – “BaFin”) la quale ha avviato una consultazione pubblica sulle proprie Linee guida in materia di fondi d’investimento orientati alla sostenibilità, che individuano i requisiti che le società di gestione patrimoniale sono obbligate a soddisfare quando creano fondi di investimento al dettaglio etichettati, o esplicitamente commercializzati, come sostenibili[28]. In particolare, sulla scorta delle citate Linee guida, un fondo può essere commercializzato come “sostenibile” solo se le regole dello stesso prevedono o il rispetto di una percentuale minima di investimento in attività sostenibili (la quota minima individuata è pari al 75% del fondo) o l’adesione ad una strategia di investimento sostenibile oppure, ancora, richiedono che il fondo segua un indice di sostenibilità (anche in questo caso deve essere rispettata una quota del 75% di attività sostenibili)[29].
Peraltro, l’Allegato II degli RTS, nella sua recentissima formulazione del 22 ottobre 2021, consente invero di evincere quali debbano essere considerate a regime le caratteristiche minime dei prodotti “ESG art. 8” e fornisce alle Autorità di vigilanza domestiche linee operative, eventualmente da queste ultime ulteriormente dettagliabili, che consentono di espletare un’adeguata supervisione sull’operato degli intermediari in amnbito ESG. In particolare, lo schema fornito dalle ESAs chiarisce che un prodotto per essere art. 8 ESG dovrà inter alia: (i) individuare ex ante e destinare una percentuale significativa del portafoglio ad investimenti ecosostenibili (specificando se siano o meno tali ai sensi del Regolamento Tassonomia) o socialmente sostenibili; (ii) prevedere e descrivere ex ante lo screening positivo ESG che consente, ad avviso dell’intermediario, di ritenere il prodotto sostenibile, anche qualora il prodotto promuova caratteristiche ambientali o sociali, ma non effettui alcun investimento sostenibile[30]; (iii), individuare, se la strategia ESG si basa sul raffronto rispetto ad un parametro di riferimento, un benckmark ESG specifico che differisca dal benchmark utilizzato dal fondo per valutare la performance complessiva del prodotto; (iv), contemplare, se il prodotto ha già un track record, nella documentazione d’offerta, una sintesi dell’asset allocation dello stesso ed un elenco dei principali investimenti effettuati dal fondo, evidenziando quelli più significativi per connotare il prodotto come ESG; (v) fornirsi una spiegazione di come il prodotto nel complesso non rechi un dato significativo ai profili ESG.
[1] Si ringrazia per il supporto fornito nell’attività di ricerca la dott.ssa Anita Miorelli, dello Studio Atrigna & Partners.
[2] Tra i contributi in materia si vedano: F. Urbani, “Rassegna dei principali interventi legislativi, istituzionali e di policy a livello europeo in ambito societario, bancario e dei mercati finanziari”, in Riv. Soc., 2021, p. 195; M. Stella Richetr JR, “Long-Termism”, in Riv. delle Società, 2021, p.16; P. Benazzo, “Organizzazione e gestione dell’Impresa complessa: compliance, adeguatezza ed efficienza. E pluribus unum”, in Riv. Soc., 2020, p. 1197; G. Strampelli, “Gli investitori istituzionali salveranno il mondo? Note a margine dell’ultima lettera annuale di BlackRock”, in Riv. Soc., 2020, p. 51; F. Marin, “ESG: verso una definizione condivisa e prassi di mercato uniformi in UE”, in dirittobancario.it, 2021.
[3] Tra gli altri atti normativi dedicati al tema della sostenibilità si citano il Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del Regolamento (UE) 2019/2088 (c.d. “Regolamento Tassonomia”) e il Regolamento (UE) 2019/2089 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 novembre 2019 che modifica il regolamento (UE) 2016/1011 per quanto riguarda gli indici di riferimento UE di transizione climatica, gli indici di riferimento UE allineati con l’accordo di Parigi e le comunicazioni relative alla sostenibilità per gli indici di riferimento (c.d. “Regolamento Benchmark”).
[4] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 9.12.2019 (L. 317/1).
[5] Cfr. art. 2, par. 1, rispettivamente, nn. 1) e 11) del Regolamento Disclosure.
[6] Per “rischio di sostenibilità” si intende un evento o condizione di tipo ambientale sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell’investimento (art. 2, par. 1, n. 22) del Regolamento Discolsure).
[7] Cfr. Considerando n. 11 del Regolamento Tassonomia. Per un’analisi sulle conseguenze del greenwashing si veda S. Davini, S. Conti, C. Orlandi, F. Chrisam, ““Eco-mark Era”, “Green-washing” e pubblicità ingannevole”, in dirittobancario.it, 2021.
[8] Senza entrare nel merito del rafforzamento degli obblighi informativi, basti segnalare che: ulteriori prescrizioni sono previste per il caso in cui i prodotti light o dark green rientrino nell’ambito di applicazione del Regolamento Tassonomia; informazioni di dettaglio in relazione a queste tipologie di prodotti devono essere comunicate sul sito web del soggetto obbligato, nonché nelle relazioni periodiche rivolte agli investitori.
[9] Ai fini del Regolamento Disclosure per “investimento sostenibile” si intende: “investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno i tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali” (art. 2, par. 1, n. 17)).
[10] Question related to Regulation (EU) 2019/2088 of the European Parliament and of the Council of 27 November 2019 on sustainability‐related disclosures in the financial services sector (Sustainable Finance Disclosure Regulation 2019/2088), di seguito “Q&A”.
[11] European Banking Authority “EBA”, European Securities and Markets Authority “ESMA” e European Insurance and Occupational Pensions Authority “EIOPA”.
[12] Final Report on draft Regulatory Technical Standards with regard on the content, methodologies and presentation of disclosure pursuant to Article 2a (3), Article 4 (6) and (7), Article 8 (3), Article 9(5) and Article 11(4) of Regulation (UE) 2019/2088 (JC 2021 03) del 2 febbraio 2021, come modificato da ultimo dal Final Report on draft Regulatory Technical Standards with regard to the content and presentation of disclosures pursuant to Article 8(4), 9(6) and 11(5) of Regulation (UE)2019/2088) del 22 ottobre 2021.
[13] Cfr. sul punto, Q&A, p. 7
[14] Cfr. sul punto, Q&A, pp. 6 e 7.
[15] Un tentativo definitorio del concetto di “promozione” è stato però attraverso le citate Q&A pubblicate il 14 luglio 2021. In particolare, il termine “promozione” in commento ricomprenderebbe, a titolo esemplificativo, affermazioni dirette o indirette, informazioni, relazioni, divulgazioni, così come l’ “impressione” che gli investimenti perseguiti da un determinato prodotto finanziario tengano conto anche delle caratteristiche ambientali o sociali, per quanto concerne politiche di investimento, finalità, scopi o obiettivi, o una generale ambizione nella (ma non solo) documentazione precontrattuale e periodica o nelle comunicazioni di marketing, pubblicità, categorizzazione dei prodotti, descrizione delle strategie d’investimento o dell’asset allocation, informazioni sull’adesione a standard ed etichette di sostenibilità legati a prodotti finanziari, utilizzo di nomi o denominazioni di prodotti, memorandum o documenti di emissione, schede informative, specifiche sulle condizioni di iscrizione automatica o conformità con esclusioni settoriali o dei requisiti di legge, indipendentemente dalla forma utilizzata, ad esempio su carta, supporti durevoli, tramite siti web o data room elettroniche.
[16] Al riguardo si segnala che dal 22 novembre 2022 troveranno applicazione le disposizioni (da recepire) di cui alla Direttiva Delegata (UE) 2021/1269 della Commissione del 21 aprile 2021 che modifica la direttiva delegata (UE) 2017/593 per quanto riguarda l’integrazione dei fattori di sostenibilità negli obblighi di governance dei prodotti.
[17] Il par. 2, dello stesso art. 8 SFDR specifica che tra informazioni da comunicare ai partecipanti ai mercati finanziari, deve esservi indicato dove trovare la metodologia utilizzate per il calcolo dei suddetti indici.
[18] Sul punto, l’art. 15 degli RTS specifica che la sezione dedicata a tali informazioni deve contenere: a) una descrizione del tipo di strategia di investimento utilizzata per raggiungere le caratteristiche ambientali o sociali promosse dal prodotto finanziario, gli elementi vincolanti individuati dalla strategia per selezionare gli investimenti e come la strategia è attuata nel processo di investimento su base continua; b) nel caso in cui ci sia l’impegno del partecipante al mercato di ridurre di un rate minimo lo spettro degli investimenti considerati prima dell’applicazione della strategia di cui al punto (a), l’indicazione di tale rate; e c) una breve descrizione della politica di valutazione delle pratiche di buona governance delle imprese partecipate.
[19] Ai sensi dell’art. 13 degli RTS, l’informativa precontrattuale dei prodotti finanziari ex art. 8 si completa delle sezioni dedicate: a) alla descrizione delle caratteristiche ambientali o sociali promosse dal prodotto ; b) alla eventuale considerazione dei principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità; c) se del caso, all’indicazione dell’indice benchmark di riferimento nonché una breve descrizione di come lo stesso consenta di raggiungere le caratteristiche ambientali o sociali; d) al riferimento al sito web nel quale reperire ulteriori informazioni in merito allo specifico prodotto.
[20] All’art. 8 sono inoltre dedicati specificamente anche gli artt. dal 32 al 44 (Capitolo IV) e gli artt. dal 58 al 63 (sez. I, Capitolo IV) degli RTS.
[21] Cfr. sul punto i considerando n. 18 e 25 degli RTS.
[22] Ci si riferisce in particolare alla posizione espressa da Assogestioni nel Documento di riferimento per l’identificazione dei prodotti finanziari ai quali si applicano gli obiettivi previsti dall’art. 8 e dall’art. 9 SFDR e seguenti, in cui si legge che: a) l’esclusione è una delle strategie che determinano l’appartenenza di un prodotto nell’ambito dell’art.8 solo se intesa con la finalità di promuovere caratteristiche ambientali e sociali; e b) esclusioni che rientrino nelle politiche di gestione del rischio di sostenibilità (e non presentate al cliente come promozione di caratteristiche ambientali e/o sociali) o effettuate in ottemperanza di obblighi normativi o effettuate sulla base di indicazioni del cliente (es. prodotti sharia compliant) non determinano di per sé l’appartenenza di un prodotto all’ambito di applicazione dell’art. 8, a meno che essi non siano esplicitamente legati ai criteri ambientali e sociali”.
[23] Sul punto, MSCI “A Proposed Mapping to Key Article 6/8/9 Distincions – Framework based on MSCI Client Feedback”, marzo 2021.
[24] Secondo una classificazione generalmente adottata, elaborata da Eurosif e dai Principi di Investimento Responsabile dell’ONU (UN PRI) (iniziativa lanciata nel 2005 dalle Nazioni Unite attraverso il coinvolgimento di una rete di investitori che hanno elaborato 6 principi e linee per l’attuazione degli investimenti responsabili), le strategie di investimento sostenibili possono essere distinte in alcune tipologie, quali: a) esclusione o screening di alcuni titoli o settori, basata su norme nazionali o trattati internazionali (ad es. riferiti ad armi e tabacco); b)“best in class”, incentrata su una selezione positiva delle imprese con le migliori caratteristiche ESG rispetto a quelle comparabili, con riferimento al settore di attività economica o in generale; c) integrazione ESG nel processo di investimento, cioè inclusione esplicita e sistematica dei più rilevanti fattori ESG nell’analisi finanziaria tradizionale per tutti gli investimenti (ricerca di target ESG compliant prima dell’ingresso del fondo); d) investimenti di quota parte del patrimonio in target tematici, finalizzati a generare un impatto positivo, volontario e quantificabile in determinate aree, tra le quali quella ambientale (es. energia, acqua e rifiuti) accanto ai rendimenti finanziari; e) voto e azionariato attivo con le società, come strumento per massimizzare i rendimenti ponderati per il rischio, migliorare la condotta aziendale e contribuire allo sviluppo sostenibile; f) utilizzo di benchmark ESG cui rafforzare il portafoglio investito (screening positivo per benchmark ESG).
[25] Si tratta, in estrema sintesi, dell’elaborazione di punteggi (score) per le imprese relativi a tre aspetti: quello ambientale (Environmental), sociale (Social) e di governo societario (Governance); gli score sono forniti da società specializzate che hanno sviluppato proprie metodologie di valutazione che offrono sul mercato insieme a servizi accessori (ad es. strumenti per lo screening di sostenibilità degli emittenti, strumenti per l’automatizzazione del reporting e monitoraggio delle controversie ESG).
[26] È peraltro del tutto evidente che anche il sistema di esclusioni ESG possa essere strutturato in maniera più o meno rigorosa. Si pensi ad esempio alla scelta, facoltativa al momento, di rendere o meno “bloccante” lo screening negativo; a tale scelta, assolutamente consigliabile dal punto di vista di chi scrive, si contrappone invece quella di consentire di derogare a certe condizioni il sistema di esclusioni prefigurato; tale ipotesi finisce per ridurre inevitabilmente l’intensità del presidio.
[27] Join ESA Supervisory Statement on the application of the Sustainable Finance Disclosure Regulation del 25 febbraio 2021. Nello stesso senso si è inoltre espresso la Banca d’Italia con il Comunicato del 17 marzo 2021: in particolare, l’Autorità nazionale scrive che “Per orientare gli intermediari su come comportarsi tra la data di entrata in vigore del Regolamento (10 marzo 2021) e quella di entrata in vigore delle norme tecniche di attuazione, le tre autorità di vigilanza europee – con una dichiarazione congiunta del 25 febbraio u.s. – hanno raccomandato agli intermediari di utilizzare comunque, in questo lasso di tempo, le indicazioni contenute nelle norme tecniche di attuazione come utili punti di riferimento per adempiere alle obbligazioni previste dal Regolamento. La dichiarazione congiunta contiene inoltre alcune linee guida sulla tempistica delle informazioni richieste agli intermediari, graduata in funzione della loro complessità. La Banca d’Italia condivide questa impostazione: avviare sin da subito il processo di adeguamento alle nuove norme tecniche di regolamentazione consentirà infatti agli operatori di allinearsi gradualmente alle nuove disposizioni, al mercato di iniziare a disporre di informazioni chiare e coerenti per tutte le tipologie di operatori, alla vigilanza di prepararsi per avviare un monitoraggio efficace del rispetto dei requisiti del Regolamento europeo”.
[28] La consultazione è stata avviata in data 2 agosto 2021 e ha avuto termine il 6 settembre 2021. Il documento è consultabile sul sito web della BaFin.
[29] Cfr. sul punto https://www.pinsentmasons.com/out-law/news/bafin-neue-richtlinie-greenwashing.
[30] Senza in questa sede entrare nel merito, si segnala per completezza che gli RTS prevedono anche le modalità con cui deve essere indicata l’asset allocation dei prodotti light green che rientrano anche nell’ambito di applicazione dell’art. 6 del Regolamento Tassonomia.