Il presente contributo contiene personali riflessioni di commento frutto, esclusivamente, dell’interesse scientifico, dell’Autore, per la materia. Ogni opinione è, dunque, espressa, dall’Autore, unicamente a titolo personale.
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1. L’insider che crea l’informazione privilegiata: i termini di una questione ancora attuale. 2. Scopo dell’indagine. 3. Le (possibili) ragioni per sanzionare l’insider che crea l’informazione privilegiata. 4. La sentenza del TAR. 5. La sentenza penale. 6. L’insider di se stesso: l’elemento qualificante. Segue. Le indicazioni del TUF e la disciplina del criminal insider. 7. I principi comunitari. 8. Effettività dell’offesa e concreto giudizio di disvalore. Segue. Giudizio concreto e utilità dell’intervento repressivo. 9. Il regime delle informazioni privilegiate tra obblighi di condotta e divieti: una notazione critica alle due sentenze. 10. Conclusione.
1. – L’insider che crea l’informazione privilegiata: i termini di una questione ancora attuale.
Lo studio degli elementi costitutivi della fattispecie (illecita) denominata “abuso di informazioni privilegiate” restituisce argomenti di discussione che, per estensione e complessità, non si prestano, in questa sede, ad essere esauriti ma appena succintamente iniziati1: in disparte, quindi, ogni considerazione di inquadramento introduttivo sui dati che compongono la nostra figura di reato (penale ed amministrativo) e, dunque, sulla struttura fondamentale del fatto punito dagli artt. 184 e 187-bis, TUF, nelle pagine a seguire ci eserciteremo su una questione interpretativa che, malgrado il suo circoscritto oggetto, è capace, a seconda di come la si imposti e risolva, di originare controverse implicazioni sistematiche ed importanti ricadute operative.
Un punto di domanda riduce all’essenziale i termini della nostra indagine: l’illecito, di rilevanza penale ed amministrativa, noto con il nome di “insider trading” ricorre anche quando chi impiega l’informazione privilegiata è lo stesso soggetto che l’ha creata il quale, per conservare l’espressione di conio dottrinale che lo designa, è conosciuto come “insider di se stesso”? Nel catalogo degli autori del reato (proprio) di abuso di informazioni privilegiate, può, cioè, ascriversi anche colui il quale è chiamato a realizzare l’evento (il più delle volte, un’operazione di mercato) costituente oggetto di notizia privilegiata?
Sebbene la risposta affermativa possa apparire a momenti scontata, nel recente passato, tanto un giudice amministrativo (annullando una delibera Consob applicativa di sanzione)2, quanto uno penale (concludendo per il non luogo a procedere)3, hanno escluso che la reazione sanzionatoria prevista dagli artt. 184 e 187-bis, TUF ed, ancor prima, i divieti operativi declinati (per implicito) da quelle norme possano colpire l’insider che ha elaborato la notizia quando anche la condotta di questi sia materialmente aderente a quella “sanzionata” in astratto4.
Questi due episodi giudiziari (particolarmente quello di giurisprudenza amministrativa) offrono, allora, lo spunto per rispolverare gli esiti di un dibattito niente affatto dell’ultima ora e, quindi, tutt’altro che sopito: quasi un ventennio fa cominciava, difatti, a farsi strada (tra una parte della dottrina penalistica) una corrente di pensiero a mente della quale l’insider che crea l’informazione privilegiata avente ad oggetto una operazione di mercato5 e che la usa in funzione della migliore attuazione di quella operazione merita di essere affrancato da responsabilità (almeno penale ed almeno per il delitto di insider trading) sul presupposto – semplificando – che la fattispecie incriminatrice contemplata dall’art. 184, TUF, richiede la commissione di un comportamento francamente parassitario che, appunto, secondo quella corrente di pensiero, farebbe difetto nel caso dell’insider di se stesso6.
Senza volerci e poterci impegnare in esaustive ricostruzioni bibliografiche, è di interesse osservare, preliminarmente, che il nostro argomento non figura tra quelli maggiormente esplorati in letteratura7: forse a causa del mutamento di fisionomia che ha subito il sistema repressivo previsto per il reato di insider trading nel transito dalla prima alla seconda stagione normativa e, cioè, dalla Legge n. 157/1991 al D. Lgs. n. 58/1998 che, come risaputo, ha inaugurato l’epoca (attuale) del “TUF”8.
2.– Scopo dell’indagine.
Anteposta, seppure per rimandi necessariamente brevi, l’origine ed i termini del dibattito dottrinale nel quale si sistema il nostro tema, il passo successivo consiste, ora, nel mettere a fuoco, sempre come veloce premessa generale, un primo dato: in relazione al problema della punibilità del soggetto che usa la notizia privilegiata dopo averla, egli stesso, creata, la laconicità espositiva del dettato normativo apre ad una pluralità di soluzioni interpretative nessuna della quali – giova dirselo apertamente – può essere scartata oaccettata senza riserve.
Il proposito che anima la nostra indagine non è, allora, quello – quasi “temerario” – di fornire una risposta certa al nostro quesito di vertice, quanto, piuttosto, quello, meno ambizioso ma di più realistica realizzazione, di stendere qualche personale nota di commento a margine delle nostre due sentenze rifinendo, con l’occasione, i contorni di quella corrente di pensiero che ammette l’utilizzo della notizia privilegiata da parte del soggetto che l’ha generata, tesi, questa, che le nostre due sentenze (di la del loro gradimento) provano essere (ancora) attuale9.
Con altre parole ed in definitiva, non intendiamo pesare l’esattezza dell’esito giudiziario né, per converso, testare la tenuta – sotto il profilo di indagine che qui occupa – dell’opposto tragitto argomentativo seguito dalla Consob (nel caso giustizia amministrativa), nel rilievo che, da un lato, la pluralità di letture dipende, dalla latitudine, per non dire vaghezza, delle formule semantiche che descrivono i presupposti applicativi della sanzione penale e di quella amministrativa10 e, dall’altro, le due conclusioni in antitesi, come diffusamente diremo oltre11, risentono del giudizio – in ultima istanza soggettivo – sul grado di offensività della “condotta tipo” posta in essere dall’insider di se stesso12; da questo è allora lecito derivare un prima conclusione: patrocinare, come ovviamente faremo, una delle due tesi non equivale, allora, a considerare l’altra come il risultato di un travisamento del dettato normativo o anche solo di una sua azzardata interpretazione.
3. – Le (possibili) ragioni per sanzionare l’insider che crea l’informazione privilegiata.
I nostri due giudici aderiscono alla tesi secondo cui il soggetto che genera una informazione privilegiata può, a determinate condizioni, servirsene: più precisamente, il giudice amministrativo asserisce per esplicito e, cioè, con decisi spunti di motivazione mentre quello penale lascia incidentalmente intendere che il soggetto che partecipa alla creazione di un’informazione privilegiata avente ad oggetto una determinata operazione di mercato può disporre il compimento degli atti indicati dal comma 1, lett. a) degli art. 184 e 187-bis, TUF se questo serve ad ottimizzare le condizioni attuative di quella operazione.
Una preliminare sottolineatura fa, allora, da doveroso preludio all’illustrazione delle ragioni che possono sorreggere questa conclusione: anche chi abbia in animo di condividerla non può non ammettere che la conclusione sostenuta dai nostri due giudici deve fare i conti con un, niente affatto trascurabile, rischio di confutazione – se non anche limite – di ordine testuale derivante da una lettura per così dire “rigorista” degli art. 184 e ss., TUF; si potrebbe, invero, ritenere che la latitudine delle formule semantiche contenute nel capoverso di apertura degli artt. 184 e 187-bis, TUF, lungi dall’essere casuale, rappresenti, piuttosto, l’esito di una precisa opzione regolatoria che il legislatore potrebbe aver inteso coltivare e che, pertanto, all’interprete toccherebbe rispettare e, cioè: accentuare la “severità” del sistema repressivo contro l’insider trading accrescendo la portata applicativa delle regole che quel sistema codificano.
Con altre parole, il suggerimento interpretativo accolto dai nostri due giudici non appare desumibile dalla dizione degli artt. 184 e ss., TUF che, all’opposto, sembrano reclamare l’applicazione del relativo regime sanzionatorio ricorrendo questa triade di condizioni applicative (ovviamente, limitando l’elenco alle condizioni che qui interessa nominare): (i) che esista una informazione privilegiata, quale che sia il suo oggetto13; (ii) che questa informazione sia adoperata da soggetti “qualificati” (ex artt. 184 e 187, TUF), quale che sia il rapporto specifico tra l’insider e la fonte dell’informazione14; (iii) che l’impiego dell’informazione avvenga nell’ambito delle operazioni descritte dalle lett. a), b) e c) del capoverso di apertura degli artt. 184 e 187-bis, TUF, quale che sia la funzione del loro compimento15.
Una notazione di ordine storico-giuridico sembra, peraltro, avvalorare questa soluzione interpretativa improntata, come accennato, a massima severità: con specifico riferimento all’antecedente fattuale cui si rivolge la nostra disciplinasi coglie una divaricazione – netta sul piano lessicale, forse più scolorita (ma non per questo meno rilevante) su quello del significato normativo – tra le regole dettate dalla Legge n. 157/1991 e quelle in seguito riscritte dal TUF.
Appena più in dettaglio, l’art. 184 (e, quindi, 187-bis) sanziona, oggi, l’abuso di informazioni di cui l’insider è “in possesso (…) in ragione (…)” là dove l’art. 2 della Legge n. 157/1991 puniva, allora, l’abuso delle informazioni “ottenute in virtù (…)”: in vigore la vecchia disciplina, si ritene(va), quindi, necessaria una alterità dell’informazione privilegiata (o, come allora recitava la norma, “riservata”) rispetto al suo percettore, alterità che, pertanto, farebbe difetto in relazione al soggetto che l’abbia personalmente elaborata16.
Con l’avvento del TUF, il concetto di “ottenimento” postulante la necessità (anzitutto logica) che l’insider “apprenda” da altri l’informazione privilegiata ha, quindi, lasciato il posto al concetto, dissimile ed innegabilmente più esteso, di “possesso” il quale, pertanto, potrebbe far assumere rilievo ad ogni situazione in cui un soggetto, tra quelli elencati negli artt. 184 – 187-bis, TUF, impieghi un’informazione privilegiata: con altre parole, il transito dalla nozione di “ottenimento” a quella di “possesso” indurrebbe, dunque, a credere che l’odierno nodo applicativo dell’intera disciplina sanzionatoria consista nel mero “possesso” (tanto basta) di una informazione privilegiata, trattandosi di una condizione fattuale dal legislatore speciale non ulteriormente circostanziata.
In questo senso ed in definitiva, la scelta redazionale operata dal legislatore del TUF di riscrivere, nel modo che si è detto, le nostre norme impedirebbe – secondo una lettura rigorista del dettato normativo – di distinguere, al fine di esimerlo dall’obbligo di osservare i nostri divieti operativi, il primo ed originario possessore di un’informazione privilegiata dai successivi.
4. – La sentenza del TAR.
Per focalizzare l’attenzione sui dati di primo rilievo ai fini della nostra indagine, ci sia permesso semplificare, con qualche approssimazione, la ricostruzione della vicenda approdata davanti al giudice amministrativo.
L’operatività “sotto accusa” consisteva nel rastrellamento di titoli azionari di un emittente quotato (la “Target”) mediante il perfezionamento dei cosiddetti (nel gergo di qualche “tesoriere”) acquisti discrezionali: detti acquisti erano stati compiuti o, forse meglio, “decisi” da un pool di soggetti parallelamente impegnati ad organizzare sugli stessi titoli il lancio di un’OPA ed, anzi, i dettagli operativi del progetto di OPA erano giunti ad un soddisfacente punto di definizione quando quegli acquisti venivano via via realizzati.
Negli intendimenti dei nostri “insiders”, l’OPA doveva essere promossa da una società veicolo (l’Offerente) a sua volta costituita ed interamente partecipata da una delle società del gruppo industriale di riferimento: il fine ultimo era, poi, quello di procedere col delisting della Target una volta chiuso (sperabilmente con successo) il periodo di offerta17.
Tanto l’OPA quanto gli acquisti discrezionali erano, perciò, riferibili ad un unico centro di interessi facente capo, come ognuno può intendere, al socio “fondatore” del gruppo industriale di riferimento e, più in generale, a quei soggetti che ricoprivano ruoli apicali tanto nella Target quanto nell’Offerente.
L’OPA veniva, quindi, lanciata ed all’esito del periodo offerta gli obiettivi economici cui era preordinata venivano, effettivamente, conseguiti: grazie al numero di adesioni pervenute, l’Offerente si aggiudicava, infatti, quella aliquota di capitale sociale della Target bastevole ad esercitare il diritto di acquisto del “residuo” e, dunque, a ritirare dal mercato quotato la società18.
D’accordo su questa ricostruzione, l’autorità di vigilanza e quella giudiziaria si sono, però, divise su come qualificare la concatenazione (per non dire concomitanza) degli eventi appena narrati e, cioè: il compimento degli acquisti discrezionali concomitante all’allestimento dell’operazione di mercato, è stato ritenuto un “fatto decisivo” in funzione di quella qualificazione, tanto dalla Consob quanto dal TAR, ma – ed è questo il punto chiave – a due contrapposti fini e, cioè, dall’autorità di vigilanza, per affermare il carattere abusivo ex art. 187-bis degli acquisti discrezionali19 mentre dal giudice amministrativo per escludere l’antigiuridicità di quelle condotte.
Appena più nel dettaglio, il sincronismo “acquisti discrezionali – progetto di OPA” ha convinto la Consoba comminare le sanzioni “di rito”20 aggravando il proprio giudizio di (dis)valore sul presupposto che gli acquisti erano stati compiuti ad un prezzo “che l’azionista di controllo era consapevole che sarebbe stato inferiore a quello che avrebbe ragionevolmente dovuto offrire in sede di OPA”.
Di segno opposto, come accennato, gli esiti del percorso valutativo seguito dal giudice amministrativo il quale ha annullato il provvedimento sanzionatorio deliberato dalla Consob essenzialmente movendo dal seguente, duplice, presupposto: da un lato, fa(rebbe) difetto, nei soggetti sanzionati, “quel particolare rapporto con l’emittente che costituisce ex art. 187-bis il presupposto per punire la condotta” e, dall’altro, quei soggetti erano, nel contempo, il “centro di imputazione” della realtà storica oggetto di informazione privilegiata.
5. – La sentenza penale.
Come risaputo, per l’abuso di informazioni privilegiate il TUF ha disegnato un apparato sanzionatorio di tipo binario affiancando all’illecito amministrativo anche una figura di incriminazione penale riferibile ad una fattispecie che, almeno con riferimento all’insider c.d. primario, è identica, sotto ogni tratto, a quella amministrativa21: la norma penale di riferimento è l’art. 184, comma 1, lett. a), TUF, che, ponendosi in rapporto di continuità normativa rispetto al “vecchio” art. 180, TUF (superato con l’entrata in vigore della Legge n. 262/2005), contempla una cornice edittale che, a parere di talune autorevoli voci della dottrina penalistica22, spicca per la sua severità.
Quanto al nostro procedimento penale, c’è un primo dato da segnalare: per gli imputati si profilava in ogni caso il non luogo a procedere; precisamente, il nostro GUP ha deciso di valutare la rilevanza penale delle condotte loro ascritte (convincendosi, alla fine, dell’insussistenza del fatto-reato) benché la formula assolutoria “piena” si sarebbe, comunque, potuta giustificare (come, peraltro, richiesto dalla pubblica accusa) già alla luce della intervenuta prescrizione23.
Sebbene alcune importanti note differenziali non permettono di sovrapporre perfettamente i due episodi giudiziari24, anche in questo secondo caso l’attenzione degli inquirenti si è concentrata su una serie di acquisti di strumenti finanziari – nella specie, obbligazioni – compiuti da soggetti che, in concomitanza con quegli acquisti, stavano programmando di procedere colrimborso anticipato dei relativi prestiti.
Appena più in dettaglio, il “punto controverso” che aveva convinto un’associazione di categoria a sollecitare l’intervento di Consob così provocando il successivo avvio del procedimento penale, si lascia spiegare, leggendo i seguenti fatti (il cui accadimento era stata confermato dalle emergenze probatorie):
i ri-acquisti discrezionali erano stati effettuati (sul “M.O.T.”) dopo circa un biennio dall’emissione del prestito obbligazionario;
durante il periodo dei riacquisti, il prezzo medio giornaliero dei bonds aveva fatto registrare costanti aumenti;
concluso il ciclo di riacquisti, il consiglio di amministrazione dell’emittente aveva deliberato il rimborso anticipato del prestito e diffuso il relativo comunicato stampa, i titoli avevanosubito un ulteriore rialzo25.
Donde il dubbio accusatorio che i nostri insider avessero compiuto gli acquisti discrezionali servendosi di una notizia avente ad oggetto “un complesso di circostanze che essi potevano ragionevolmente prevedere che sarebbe venuto ad esistenza”26 e, cioè, la notizia del progetto di rimborso anticipato che di li a poco, appunto, sarebbe stato attuato: tanto, però non è bastato al nostro GUP per affermare l’illiceità penale della condotta dei nostri insider il quale ha concluso per il non luogo a procedere stante per l’insussistenza del fatto-reato (prima ancora che per decorso del termine prescrizionale).
La chiave di lettura del percorso decisorio che ha condotto a questo epilogo assolutorio, può, in particolare, essere individuata nel passo della motivazione ove il nostro giudice ha escluso la rilevanza (ovviamente sul versante penale) del comportamento degli imputati per essere stati, questi ultimi, gli artefici “di mere congetture di cui gli stessi potevano liberamente avvalersi”: tra le righe di questa asserzione può, infatti, leggersi (a meno di abbagli interpretativi) un accento sul fatto che gli imputati erano gli “autori” dell’informazione privilegiata27.
6. – L’insider di se stesso: l’elemento fattuale qualificante.
Dopo aver ripercorso le tappe fondamentali delle nostre due vicende processuali e prima di dirigere la riflessione al cuore della nostra discussione, si impone una sottolineatura: da uno sguardo d’insieme all’architettura del TUF emerge che l’impiego di informazioni privilegiate è un fenomeno che il legislatore concepisce e legge, almeno principalmente ed almeno in partenza, in chiave patologica o, se si preferisce, in ottica “punitiva” perché racchiude la pertinente disciplina in norme che non sanciscono obblighi positivi ma, fondamentalmente, misurano sanzioni28: questo complica il nostro compito esegetico in quanto da disposizioni, come le nostre, che si interessano del momento sanzionatorio possono estrapolarsi, ma solo per implicito o, se si preferisce, per deduzione, regole di condotta sulla cui scorta isolare, come è nostro interesse, criteri discretivi tra uso ed abuso.
Ferma questa precisazione, c’è un passo della sentenza amministrativa da cui viene comodo principiare il ragionamento: secondo il TAR, difetterebbe, nei soggetti sanzionati dalla Consob, “quel particolare rapporto con l’emittente che costituisce ex art. 187-bis il presupposto per punire la condotta”.
Le parole del TAR, da un lato, si fanno condividere: ove stigmatizzano (seppure implicitamente) la necessità di appurare che tipo di rapporto intercorre tra la società emittente ed il soggetto che adopera un’informazione privilegiata (al fine di appurare, in concreto, se quel rapporto si ascrive, o meno, nella lista dei “rapporti rilevanti” elaborata dall’art. 187-bis); dall’altro, però, quelle parole non persuadono allorché tacciono la necessità di verificare se il soggetto che ha impiegato la notizia privilegiata, oltre ad essere legato all’emittente da uno dei citati “rapporti rilevanti”29, sia pure, e nel contempo, l’ideatore della notizia privilegiata ed il “centro di imputazione” dell’evento oggetto di quella notizia30.
Sono, quindi, due elementi gli elementi relazione che connotano, nei fatti, la posizione e la figura dell’insider di se stesso nell’ambito della più ampia categoria dei soggetti che hanno accesso al contenuto di informazioni privilegiate: da un lato, il rapporto con l’emittente e, dall’altro, il rapporto con l’informazione ed, anzi, con la sua fonte.
Per rispondere al nostro quesito di vertice occorre, allora, intendere se il TUF prende in esame detti elementi di relazione e, in caso di risposta affermativa, se, in quella legislazione speciale, si rinvengono norme che permettono di operare un distinguo tra due classi di soggetti e, cioè:
da un lato, i soggetti che possiedono una notizia privilegiata per averne appreso, da altri, il contenuto e che la impiegano, invero abusandone, al fine di perseguire personali o altrui vantaggi privati31 e,
dall’altro, i soggetti che possiedono una notizia privilegiata per averla, loro stessi, creata e che la impiegano nell’ambito di operazioni finalizzate a migliorare gli effetti o comunque le condizioni attuative del fatto gestionale oggetto di quella notizia32.
Segue. – Le indicazioni del TUF e la disciplina del criminal insider.
Come di agevole riscontro, il legislatore ha senza dubbio valorizzato il primo elemento di relazione (quello tra l’insider che usa l’informazione e l’emittente)33: riguardo, invece, al secondo elemento di relazione (quello tra l’insider e l’informazione) ha fornito indicazioni scarse e (probabilmente) non univoche o, comunque, non decisive.
Le norme di riferimento sono il comma 4 dell’art. 187-bis ed i commi secondo degli artt. 184 e 187-bis, TUF.
La prima disposizione, varata in concomitanza con l’abolitio criminis della corrispondente fattispecie delittuosa (art. 184, TUF, “vecchia” edizione), sancisce l’applicazione della medesima sanzione (appunto amministrativa) prevista per l’insider primario a carico di “chiunque, in possesso di informazioni privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti”: l’enfasi dedicata pressoché esclusivamente allo stato soggettivo dell’autore induce a credere che sia sufficiente il possesso di una notizia da parte di un soggetto che sappia o non possa non sapere che quella notizia è privilegiata affinché scatti l’obbligo di astensione.
Con altre parole, questa disposizione, contentandosi della consapevolezza (anche doverosa: conoscibilità) del carattere privilegiato della notizia, sembra quasi privare di ogni rilievo giuridico l’indagine volta ad appurare quale sia il rapporto che lega l’insider all’informazione e, dunque, sembra escludere la necessità (per non dire che impedisce la possibilità) di operare un distinguo tra l’insider che crea l’informazione e l’insider che, invece, se ne “impossessa”.
Gli esiti del ragionamento mutano radicalmente se, invece, si presta migliore attenzione ai soggetti cui si rivolgono le regole contenute nella disposizione che si sta ora leggendo.
Ed, invero, se il nostro obiettivo è ricercare appigli testuali che confermino o smentiscano la tesi rigorista, il comma 4 dell’art. 187-bis, lungi dal confutare quella tesi, è semplicemente ininfluente ai fini della risposta che stiamo cercando sol che se ne ricordi l’ambito soggettivo di applicazione: quella disposizione si riferisce, infatti, ad un catalogo di soggetti nel quale – per definizione – non si ritrova l’insider che crea l’informazione.
Quest’ultimo, infatti, è – di necessità logica – un insider primario ed, anzi, è (sia permesso il gioco di parole) il “primo tra i primari” là dove, invece, il comma 4 dell’art. 187-bis è stato pensato e scritto per colpire la condotta di “chiunque altro”34 – oltre e dopo l’insider primario – entra in contatto con l’informazione privilegiata: il comma 4, cioè ed in definitiva, si rivolge – almeno tendenzialmente – a quei soggetti cui un insider primario potrebbe aver “riferito” l’informazione e che la adoperano consci del suo carattere privilegiato.
Se, dunque, il nostro comma 4, intervenendo in un momento successivo (se non cronologicamente quanto meno logicamente) a quello della creazione dell’informazione privilegiata, è di modesto aiuto ove non anche privo di utilità ai fini del nostro obiettivo di ricerca, quanto dettato nei commi secondo degli artt. 184 e 187-bis è, invece, capace di incidere sul “segno” di quella risposta marcando un primo punto (beninteso, provvisorio o precario) contro la tesi rigorista: si cominci col ricordare che in quelle disposizioni (identiche) il legislatore del TUF ha disposto un livellamento tra il trattamento sanzionatorio dell’insider c.d. primario (descritto dal comma 1) ed il trattamento sanzionatorio del c.d. criminal insider vale a dire del soggetto che “essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1”.
La disposizione sul criminal insider è, allora, di sicuro interesse ai fini del nostro ragionamento, non tanto per ciò che enuncia ovverosia per il contenuto reso esplicito periscritto, quanto, piuttosto, per quello che tace vale a dire per il presupposto logico che quella norma fa mostra di dare “per ammesso” e da cui, pertanto, essa sembra muovere: il criminal insider è, infatti, un possibile (se non anche paradigmatico) esempio di insider di se stesso giacché, ad “influire in modo sensibile sui prezzi”, potrebbe essere, in se considerata, la condotta esecutiva del proposito criminale35.
Da questo è, allora, lecito derivare che la necessità di disporre testualmente un pareggiamento (e non già un inasprimento) sanzionatorio tra il criminal insider e l’insider primario ha senso (prima di tutto) logico e (quindi) utilità giuridica solo in quanto si ritenga – se non anche si presupponga – che l’insider di se stesso non è, regolarmente, attratto nello spettro applicativo delle sanzioni che gli artt. 184 e 187-bis, TUF, contemplano a carico dell’insider primario36.
Con diverse parole, la necessità di parificare, sul piano sanzionatorio, il criminal insider all’insider primario ci pare debba logicamente farsi dipendere dal fatto che il sistema repressivo del reato di insider trading non è stato pensato per rivolgersi, almeno in prima istanza37 ed a meno di condotte fuorviate da conclamata abusività38, al soggetto che genera una notizia privilegiata avente ad oggetto fatti il cui accadimento dipende da sue azioni o decisioni39.
7. – I principi comunitari.
La norma che si occupa del criminal insider offre un primo argomento che avvalora l’idea secondo cui i divieti operativi previsti dalla nostre norme di riferimento non si rivolgono – almeno di necessità o naturalmente – contro il soggetto che genera l’informazione privilegiata: trattandosi, tuttavia, di un argomento frutto di una “semplice” (quanto si voglia plausibile) supposizione logica, e non potendosi interpretare “per singoli brani” o per compartimenti la nostra disciplina, occorre rintracciare ulteriori e più immediate prove della fondatezza di quella idea a questo fine indirizzando il ragionamento verso due direzioni: da un lato, leggendo alcuni principi quadro raccolti nel Preambolo che apre la Direttiva 2003/6/CE vale a dire il provvedimento normativo che, dall’apice delle fonti che regolano la nostra materia, disegna la cornice normativa entro la quale si dispongono le norme domestiche sull’insider trading; dall’altro, articolando una riflessione che guardi all’effettività dell’offesa e, cioè, al grado di disvalore che sono capaci di rivelare – in concreto – le nostre condotte.
Cominciamo, allora, interrogando la nostra Direttiva ed in particolare indugiando, in questo paragrafo, sul trentesimo Considerando40 che così recita: “poiché l’acquisizione o la cessione di strumenti finanziari implica necessariamente una decisione preliminare di acquisire o di cedere da parte della persona che procede ad una di queste operazioni, non si dovrebbe considerare che il fatto di effettuare questo acquisto o cessione costituisca di per sé un’utilizzazione di un’informazione privilegiata”.
Il principio quadro dedotto sotto questo passo della nostra Direttiva sembra obliterare la seguente ipotesi di lavoro: chi genera una notizia privilegiata avente ad oggetto un determinato evento gestionale può impiegare quella stessa notizia compiendo atti di disposizione preparatori rispetto al citato evento gestionale.
Rileggendo, allora, con la metrica impartita da questo “principio quadro” quanto accaduto nei nostri due avvenimenti giudiziari, possiamo ritenere che la preliminare decisione di eseguire le nostre due operazioni (OPA sulle azioni e rimborso anticipato del prestito obbligazionario) riconosce già negli “acquisti discrezionali” compiuti dai nostri insiders un principio di esecuzione che come tale non può concretare “almeno di per se stesso” un abuso di informazione privilegiata: con altre parole, a meno di voler ritenere superflua perché priva di utilità pratica l’indicazione contenuta nel trentesimo Considerando della nostra Direttiva, la condotta ricadente nel “safe harbor” che quel Considerando delimita consiste, non solo (come ovvio), nel compimento di quelle azioni che danno definitiva attuazione al progetto di investimento o disinvestimento (e, quindi, nei nostri due casi pratici, la promozione dell’offerta41 ovvero la rituale approvazione della delibera consiliare di rimborso del prestito) ma anche di quelle azioni che, nel dare, a quel progetto, una prima attuazione, assolvono ad una fondamentale funzione preparatoria e propedeutica42.
In definitiva, i nostri acquisti discrezionali, se osservati da questa angolatura, assumono una coloritura speciale nel senso si mostrano per quello che realmente sono e, cioè, operazioni che realizzano una provvisoria anticipazione di quegli effetti economici che, con pienezza, troveranno definitivo compimento con la (successiva) OPA (sulle azioni) ovvero col (successivo) rimborso anticipato (del prestito obbligazionario): secondo questa chiave di lettura, quegli acquisti non sembrano, allora, concretare uno sfruttamento “parassitario” di notizie altrui essendo compiuti, piuttosto, al solo fine di ottimizzare il grado di efficienza e, quindi, il livello di convenienza dell’operazione oggetto di notizia privilegiata.
8. – Effettività dell’offesa e concreto giudizio di disvalore.
Disponiamo, a questo punto, di elementi sufficienti per cominciare a tratteggiare una conclusione bisognosa, comunque, di ulteriori conferme e rifiniture: la disciplina comunitaria e quella domestica riproducono principi e regole che, nel confutare la testi rigorista, mostrano come la “condotta tipo” posta in essere dall’insider di stesso non possa annoverarsi tra le ipotesi di abuso di informazioni privilegiate.
Con lo scopo di perfezionare ulteriormente questa conclusione passiamo, ora, a verificare se quella “condotta tipo” rechi un’offesa giuridicamente significativa al bene “integrità dei – e fiducia nei – mercati” oppure prenda corpo ad una innocua (per il mercato) e quindi lecita (per il diritto) pratica di ottimizzazione dell’operazione oggetto di notizia privilegiata43.
Per chiarire l’incognita, è necessario, per prima cosa, dedicarci ad una breve, dunque non esaustiva, digressione sugli elementi sintomatici, ed, anzi, segnaletici, del nostro reato.
Cominciamo, allora, col prendere in esame un caso: quello dell’insider che, appresa una notizia price sensitive ignota al mercato, sfrutti lo “scarto temporale per lucrare sulla differenza fra il prezzo attuale e quello cui il titolo si attesterà dopo che il mercato abbia assorbito l’informazione non ancora divulgata”44 ovvero impieghi quella notizia per compiere atti di disposizione volti a soddisfare obiettivi privati anche di natura non strettamente speculativa45: senza troppe esitazioni possiamo ritenere che condotte di questa tipologia rappresentano il paradigma comportamentale di riferimento del reato di insider trading giacché la loro consumazione, nel determinare un’alterazione delle regole di funzionamento del mercato e, con esso, del livello di fiducia degli investitori, concretizza, senza rischio di smentita, una pratica di sfruttamento abusivo e parassitario di una posizione di vantaggio informativo.
A questo punto, richiamino alla mente le condotte giudicate nei nostri due episodi giudiziari: il caso è, dunque, quello del soggetto che, partecipando alla fase progettuale di un’operazione di mercato ed in attesa della sua realizzazione, compia atti di disposizione volti a facilitare o valorizzare l’esecuzione di quella operazione.
Se proviamo a giudicare – se così possiamo esprimerci – l’adeguatezza sociale di questi comportamentici accorgiamoche, malgrado si sostanziano, materialmente, nell’impiego di una notizia privilegiata, non concretizzano un abuso di informazione privilegiata per, almeno, due ordini di ragioni: da un lato, difetta il tratto tipico della relativa figura di incriminazione (vale a dire, il carattere parassitario della condotta esecutiva); dall’altro, quei comportamenti (nel caso di specie consistenti nel compimento di acquisti discrezionali) assumono financo le sembianze di condotte a momenti doverose46.
Si è, infatti, dell’avviso che la decisione di disporre il compimento di acquisti discrezionali (“in attesa” del lancio dell’OPA ovvero del rimborso anticipato del prestito) sia frutto del legittimo ed, anzi, doveroso esercizio di prerogative lato sensu gestorie le quali originano, in capo all’insider, una naturale (perché istituzionale) asimmetria “decisionale” prima ancora che un privilegio informativo47.
L’accento così posto sul profilo di “quasi-doverosità” che talune condotte (solo in apparenza abusive) possono rivelare, riecheggia anche nelle parole del legislatore comunitario il quale si è fatto cura di marcare, all’interno del diciottesimo Considerando della nostra Direttiva, un esempio di condotta permessa appunto perché espressione di un dovere lato sensu “professionale”48.
Movendosi, poi, dal piano per così dire interno (quello del contesto aziendale di riferimento) al piano esterno o di mercato, appare una forzatura ritenere che l’operatività valutata dai nostri due giudici sia capace, per davvero, di compromettere la fiducia della comunità degli investitori e, con essa, l’obiettivo di allocare efficacemente il risparmio il cui raggiungimento deve, da quel mercato, essere costantemente salvaguardato: non si scorge, infatti, alcuna lesione giuridicamente significante né all’“integrità” del mercato finanziario né alla “fiducia”49 allorquando un insider crea una notizia privilegiata avente ad oggetto una operazione di mercato poi utilizzandola in funzione della migliore realizzazione di quella stessa operazione e non di un “obiettivo terzo” (suo o di altri).
Infine, la necessità di scrutinare il carattere effettivamente offensivo della condotta e, quindi, l’esistenza di un “abuso funzionale”50, è in linea con i principi canonizzati nel ventinovesimo Considerando della nostra Direttiva il quale prospetta un’ipotesi di naturale possesso e legittima utilizzazione di informazioni privilegiate rispetto alla quale – ed è questo il punto che si desidera risaltare – la condotta tipo posta in essere dall’insider di se stesso rivela profili molto meno critici: il “lasciapassare” comunitario contenuto in quel passo della Direttiva copre, infatti, l’ipotesi di possesso ed utilizzo di notizie privilegiate relative aduna società diversa da quella per la quale l’insider presta la propria attività lavorativa51.
Segue. – Giudizio concreto e utilità dell’intervento repressivo.
La necessità – ai fini della configurabilità dei nostri reati prima ancora che della misura dell’eventuale sanzione – di accertare l’effettiva offensività della condotta si rafforza se si osserva, quella necessità, da una angolatura ancora diversa ed, anzi, opposta rispetto a quelle finora considerate: nelle pagine che precedono ci siamo, infatti, concentrati sul caso (più volte considerato paradigmatico) in cui l’atto di disposizione compiuto dall’insider che ha creato la notizia privilegiata sia finalizzato a migliorare le condizioni attuative dell’operazione (di mercato) oggetto di quella notizia; per illustrare, invece, questo ulteriore rilievo critico alla tesi (rigorista) giova ricordare – collocandoci, come accennato, sul lato esattamente contrapposto – che gli atti di disposizione compiuti dall’insider impegnato a concertare agenda e contenuti di una parallela operazione di mercato (quella oggetto di notizia riservata) potrebbero reggersi su una propria (nel senso di autonoma) ragione economica o, comunque, potrebbero rivelare margini di convenienza (minimi quanto si voglia) anche senza quella operazione52.
Pretendere, allora, l’adempimento da parte dell’insider dell’obbligo di astensione anche quando l’atto di disposizione che quell’insider avrebbe in animo di compiere centri niente o in minima parte con l’operazione oggetto di notizia privilegiata, significa esigere, da questi, una condotta tanto inutilmente doverosa quanto potenzialmente controproducente perché si tradurrebbe, quella condotta, in un freno – appunto inutile perché non giustificato – all’attività gestoria.
Senza, dunque, né ignorare né stravolgere la natura di reato di pericolo del nostro illecito, dietro l’avvertenza da ultimo segnalata develeggersi una critica all’automaticità con la quale la tesi rigorista fa scaturire dalla mera partecipazione alla fase preparatoria di una determinata operazione di mercato il divieto, per chi vi prende parte, di compiere ofar compiere (a soggetti da egli “comandati” o amministrati) qualunque atto di disposizione sugli strumenti oggetto di quella operazione.
9. – Il regime delle informazioni privilegiate tra condotte doverose e vietate: una notazione critica alle due sentenze.
Seppure con quelle sottolineature e puntualizzazioni (non tutte di contorno) formulate nelle pagine che precedono, la conclusione accolta dai nostri due giudici, in definitiva, convince: le due sentenze presentano, pur tuttavia, un passaggio che merita di essere postillato in senso critico.
Il riferimento è all’individuazione del momento (storico) a partire dal quale viene ad esistenza una informazione privilegiata e, con essa, gli obblighi sanciti dagli artt. 184 e 187-bis.
Come semplici appunti preparatori giova ricordare che le “condotte doverose” in materia di informazioni privilegiate prendono corpo nell’adempimento di obblighi “positivi” e “negativi”: su due piani disciplinari differenti si sistemano, infatti, quelle norme che, rispettivamente, sanciscono obblighi di disclose a beneficio (essenzialmente) del mercato e, quindi, della generalità degli investitori (art. 114, TUF) ovvero vietano l’uso, a beneficio proprio o altrui, di informazioni privilegiate apprese “in ragione” di un determinato rapporto con la società interessata dall’informazione (art. 184 – 187-bis TUF).
Benché lo spettro applicativo dei doveri di condotta e di astensione non combaci53, entrambe le fattispecie obbligatorie riconoscononel concetto di “informazione privilegiata” il proprio baricentro operativo nel senso che il venire ad esistenza di una informazione privilegiata rileva sul duplice fronte dell’obbligo di comunicazione e del divieto di compiere le condotte esecutive enumerate nel capoverso di apertura degli artt. 184 e 187-bis.:54 è, allora, decisivo fissare il momento a partire dal quale esiste un’informazione predicabile come “privilegiata”55 perché questo esercizio permette di isolare, nel testo delle nostre due sentenze, un’asserzione che, come appunto anticipato, non persuade.
I nostri due giudici hanno valorizzato, nella stesura della motivazione ed in particolare nel passo dedicato alla ricostruzione della realtà storica, la circostanza che solo quando l’iter decisionale giunge al suo compimento (assunzione della delibera consiliare) viene tecnicamente ad esistenza, assieme al “fatto rilevante” da comunicare ex art. 114, TUF, anche l’informazione privilegiata ex art. 180, TUF56.
La conclusione presta il fianco a rilievi critici di ordine ricostruttivo e, in qualche modo, anche “lessicale”: sotto quest’ultimo aspetto, considerare “privilegiata” l’informazione che comunica un fatto di certo (o altamente probabile) accadimento, significa aggiungere un requisito supplementare – e, quindi, non richiesto – rispetto a quelli elencati dall’art. 181, TUF; peraltro, un simile atteggiamento interpretativo contraddirebbe, almeno se non si prende un abbaglio, la ratio ispiratrice dell’intero impianto normativo poiché finirebbe col circoscrivere l’ambito applicativo dei nostri divieti operativi al campo delle (sole) informazioni dotate di “verità” ma, questo, equivarrebbe a frustrare le istanze repressive e di tutela cui il legislatore del TUF ha dato voce negli artt. 181 e ss.: quelle istanze vengono, infatti, in rilievo tutte le volte in cui un insider (ex artt. 184 e 187-bis, comma 1, TUF) utilizzi una informazione che l’art. 181 tratteggia – soltanto – come precisa, non pubblica e price sensitive57.
10. – Conclusione.
Guardando alla funzione – per così dire – pedagogica assolta da quasi tutti i pronunciamenti giudiziari, anche le nostre due sentenze (particolarmente quella del TAR) indicano sotto quale condizione chi crea una notizia privilegiata può servirsene e, cioè: ove la notizia riguardi il futuro compimento di un’operazione di mercato, i “padri” di quella notizia58 possono – intanto – (e, cioè, fin quando la programmazione dell’operazione è in atto) cominciare acompiereatti dispositivi volti a facilitare la realizzazione di quella operazione migliorandone, così, le condizioni attuative ed anticipandone gli effetti59.
Si è provato a spiegare che siffatta lettura del dettato normativo merita appoggio non già perché demarca, a favore dell’insider che crea la notizia riservata, una generalizzata “libertà di azione” fatta di poteri di godimento quasi corrispondenti, per estensione e contenuto, a quelli che compongono lo statuto legale del “proprietario”60, quanto, piuttosto, perché, permette di (ri)dimensionare o, se si preferisce di ricondurre entro margini di congruità, la portata applicativa dei nostri divieti operativi che, se ci si dovesse fermare al lessico delle disposizioni che li declinano, rischierebbero di investire anche condotte praticamente innocue perché incapaci di nuocere, effettivamente, all’integrità del mercato edalla fiducia dei risparmiatori.
Si tratta, a questo punto, di raccogliere in una conclusione di sintesi i termini e le ragioni di questa nostra “adesione” aggiungendo qualche chiosa finale a quanto scritto nelle pagine che precedono.
Le diposizioni che declinano le regole domestiche sull’insider trading certamente non brillano per nitore semantico: lecito, allora, derivare la necessità di una loro “applicazione ragionata” e, cioè, di un’applicazione che, nel mostrarsi anzitutto sensibile verso gli interessi degnati di rilievo dal legislatore comunitario, valorizzi principalmente il profilo dell’offesa e della sua effettività; in questo senso, il giudizio sul comportamento dell’insider deve certamente partire da una preliminare (sempre fondamentale) verifica di rispondenza tra la condotta concretamente compiuta e quella astrattamente vietata ma chi porta avanti quel giudizio deve anche farsi carico di appurare se la condotta (in ipotesi rispondente a quella vietata) sia anche effettivamente lesiva degli interessi che gli artt. 184 e ss., TUF difendono.
Per pesare l’effettività dell’offesa è, allora, necessario riguardare la condotta esecutivasecondo una prospettiva “funzionale” (che, giova chiarificarlo, non significa “motivazionale”): potrebbe, infatti, emergere che gli “atti sotto accusa”, lungi dal concretizzare lo sfruttamento parassitario di un privilegio informativo, si pongono in rapporto di mezzo a fine rispetto all’evento oggetto di notizia privilegiata perché compiuti in funzione del miglioramento delle condizioni attuative di quell’evento del quale, pertanto, quegli atti, ne anticiperebbero gli effetti.
Ove si provi questo collegamento funzionale, gli atti di disposizione rappresenterebbero, allora, la fase iniziale – a dimensione “privata” – di un più esteso (almeno, per volume economico) progetto (finanziario) il quale riconoscerebbe il proprio epilogo a dimensione “pubblica” o, appunto, “di mercato” nella attuazione dell’evento oggetto di notizia privilegiata.
Questa linearità o coerenza esecutivo-funzionale tra gli atti di disposizione “incriminati” e l’evento oggetto di notizia privilegiata (in ragione della quale i primi assolverebbero ad una funzione anticipatoria rispetto al compimento del secondo) rappresenta, perciò, la condizione abilitante rispetto all’uso della notizia privilegiata e, cioè, la condizione che, se sussistente, autorizzerebbe l’insider a compiere condotte – vale dirselo apertamente – altrimenti vietate.
Una simile conclusione interpretativa non disordina i principi informatori della nostra disciplina di riferimento né forza la lettera delle norme che compongono quella disciplina ma, anzi, si accomoda perfettamente alle scelte di regolazione operate dal legislatore sovranazionale in quei passaggi della Direttiva 2003/6/CE richiamati nelle pagine che precedono; peraltro, quella conclusione ci pare trovi anche una sua sistemazione all’interno di quella corrente di pensiero che, nel sottolineare la particolare (se non eccessiva) asprezza della scelta repressiva operata dal legislatore del TUF (anche in confronto con le “miti pene minacciate nell’ambito del diritto penale societario”), ha evidenziato il bisogno che “l’obiettivo della trasparenza del mercato venga perseguito dal legislatore italiano ed europeo con una maggiore sensibilità verso il principio di determinatezza”61.
Quest’ultima segnalazione ci offre, conclusivamente, lo spunto per avanzare l’auspicio che il legislatore nazionale possa cogliere la prossima occasione di riforma del nostro settore disciplinare per affinare l’esattezza precettiva (se così possiamo esprimerci) delle regole che puniscono l’insider tradinge, cioè, per (ri)calibrare la portata applicativa delle relative sanzioni: questo potrebbe avvenire orientando l’intervento repressivo solo contro quelle condotte che, nel concretizzare uno sfruttamento parassitario della notizia riservata, si accertino essere effettivamente dannose per “i superiori interessi di mercato” (integrità e fiducia) e, per questo, moralmente riprovevoli.
Si riuscirebbe, così, ad emarginare dall’area dell’illecito quegli atti di disposizione compiuti non già per sfruttare bensì per eseguire l’informazione privilegiata o, forse meglio, per fornire, al fatto oggetto di quella informazione, il migliore principio di esecuzione62.
1 Se ne citi qualcuno: il riconoscimento dei soggetti attivi del reato, l’identificazione materiale delle condotte vietate, la necessità (o meno) di condurre verifiche psicologico-motivazionali volte ad appurare lo stato soggettivo dell’agente nel momento della consumazione del reato, la delimitazione del concetto stesso di informazione privilegiata, l’interrelazione tra gli obblighi di comunicazione di informazioni privilegiate prescritti da altre norme ed i divieti di condotta che si ricavano da quelle in commento, fino ad arrivare a temi di ancora più ampia portata ed evidente ricaduta sistematica quale, la “congruità” del nostro apparato sanzionatorio o la sua effettiva capacità di stabilire o di favorire una condizione di equilibrio informativo sul mercato e nei rapporti tra soci appartenenti a differenti “classi sociali” (locuzione da intendere nel senso societario e non sociologico: essenzialmente, investitori istituzionali e azionisti marginali). Di primo rilievo, tra gli “argomenti generali”, il tema dell’individuazione della ratio della disciplina anti-insider trading e quindi del bene tutelato, argomento, quest’ultimo, in relazione al quale si è osservato in maniera appropriata che nella nostra fattispecie di reato, “la declinazione della tutela del mercato sia qui colta assumendo a interesse meritevole di protezione l’appetibilità del mercato”: così, F. Mucciarelli, Abuso di informazioni privilegiate: delitto e illecito amministrativo, in Dir. pen. proc., 2005, 1465 ss. (ivi a p. 1466). Nelle pagine a seguire capiterà di evocare alcuni di questi argomenti i quali, come può immaginarsi, fanno registrare una copiosa produzione scientifica: di recente, un’efficace panoramica su questi temi è svolta da A. Laudonio, Rastrellamento di azioni, delisting ed il fantasma dell’insider di se stesso, in questa Rivista, Febbraio 2013, il quale, nell’annotare una delle due sentenze che hanno offerto lo spunto per elaborare il presente contributo, passa in rassegna quanto osservato, in dottrina, riguardo, (tra gli altri) il bene tutelato dalla nostra fattispecie incriminatrice con specifico riguardo al fine – verrebbe da dirsi – “politico” del nostro istituto: in questo contesto, si coglie e si condivide l’accento posto, più che sugli obiettivi realizzabili, su uno in verità irrealizzabile: la parità di trattamento nell’accesso alle informazioni privilegiate.
2 TAR Lazio, 10 luglio 2012, n. 6257.
3 G.U.P. Bologna, 13 giugno 2011.
4 Vale la pena anticipare che nei due casi giudiziari la vicenda “comunicata” dalla notizia privilegiata consisteva nel lancio di una operazione di mercato mentre la condotta dell’insider consisteva nell’acquisto dei titoli oggetto di quella stessa operazione.
5 Solo per comodità espressiva, discorriamo di “operazione di mercato” al fine di designare, più esattamente, due operazioni tra loro molto diverse: offerta pubblica di acquisto su titoli azionari (nel caso deciso dal TAR) ed estinzione anticipata (mediante rimborso) di prestito obbligazionario (nel caso deciso dal GUP).
6 Ripetendo le parole di un autorevole esponente di questa corrente di pensiero “laddove l’acquisto dei titoli avvenga ad opera del potenziale offerente e prima che sia avvenuta la comunicazione dell’offerta alla Consob, si riscontra non il profilo parassitario tipico dell’insider trading, bensì la valorizzazione di un progetto economico sviluppato dallo stesso agente”. Seguendo questa impostazione, il carattere abusivo della condotta si compendia nell’indebito sfruttamento della possibilità di conoscere un’informazione privilegiata creata da altri prima che lo sappia il mercato e detto vantaggio conoscitivo viene conseguito dall’insider in ragione della propria posizione all’interno dell’organizzazione aziendale ovvero del rapporto professionale, di lavoro o di investimento che lo lega all’emittente.
7 Sfogliando, infatti, anche solo per “intestazioni” la letteratura che è andata formandosi sul macro-tema dell’(ab)uso di informazioni privilegiate (o “riservate”, leggendo le norme del sistema previgente) ci si avvede che il micro-tema della punibilità dell’insider che crea la notizia non è tra quelli all’apice dei commenti.
8 V. oltre § 3.
9 Le dissertazioni contenute nella pronuncia del TAR e, seppure in maniera molto più sbiadita, in quella del GUP, attestano, infatti, la modernità del nostro tema (ri)proponendo all’attenzione dell’interprete il dubbio sulla possibilità di distinguere l’insider che genera l’informazione privilegiata dall’insider che la apprende allorquando entrambi la adoperino ex artt. artt. 184 – 187-bis. Sul piano, per così dire, dell’approccio allo studio del nostro tema, non sfugge che i due pronunciamenti (particolarmente, quello del giudice amministrativo), affermando la “non responsabilità” dell’insider che compie una condotta materialmente aderente a quella descritta nelle nostre norme di riferimento, invitano a scansare letture di superficie del nostro istituto che facciano apparire – come dicevamo in apertura – “scontata” una soluzione interpretativa in luogo di un’altra.
10 Va, infatti, confermata l’assenza di riferimenti testuali che, chiaramente, permettano di fissare il regime giuridico delle condotte poste in essere dall’insider di se stesso anche se ci si spinge oltre il confine delle nostre norme di riferimento fino a considerare quanto scritto nei Capi I, II e III del Titolo I-bis, TUF: sfogliando, infatti, la raccolta di norme che, in altri contesti disciplinari coperti dal TUF, prendono in esame l’informazione privilegiata ci si avvede, facilmente, che il tema della rilevanza giuridica (come illecita) della condotta posta in essere dall’insider di se stesso rimane un punto aperto.
11 V. oltre § 8.
12 Per questa ragione preoccuperemo di precisare a quali condizioni la conclusione lato sensu “assolutoria” sposata dai nostri due giudici persuade e sotto quale profilo, invece, quella conclusione merita annotazioni critiche e, questo, anche al fine di evitare che alle nostre due sentenze si possa “far dire” più di quanto, in realtà, esse affermino (o lasciano intendere): per essere, infatti, utilmente concreti, proveremo a chiarire fino a che punto l’insider, confortato dal “precedente” rappresentato dai nostri due casi giudiziari, possa effettivamente ritenersi “libero” di eseguire atti di disposizione altrimenti vietati ove si opti per una interpretazione delle nostre norme irrigidita su una “lettura alla lettera” del dato testuale.
13 Dovrebbe, dunque, prescindersi dal fatto che l’informazione riguardi, o meno, il compimento di un’operazione di mercato.
14 A questo secondo riguardo, dovrebbe, quindi, prescindersi dal “titolo di possesso” che giustifica, nell’insider, la disponibilità materiale dell’informazione.
15 A questo terzo riguardo dovrebbe, quindi, prescindersi da qualsiasi indagine circa l’essere, i singoli atti di disposizione, rivolti ad avvantaggiare il patrimonio personale dell’insider ovvero a migliorare la “qualità economica” dell’operazione di mercato oggetto di informazione privilegiata. Se è permesso leggere tra le righe del provvedimento sanzionatorio di Consob poi annullato dal TAR la scelta (dei redattori di quel provvedimento) di non evocare, nemmeno per implicito, il problema della sanzionabilità dell’insider di se stesso denota, almeno se non ci si inganna, una completa adesione a questa linea interpretativa che, giusta la sufficienza delle tre riferite condizioni, non ammette differenziazione, nell’ambito degli autori delle condotte materiali tipizzate, tra l’insider che crea l’informazione privilegiata e l’insider che, invece, ne apprende, da terzi, il contenuto così come non ammette distinzioni tra l’insider che adopera una informazione privilegiata in suo per aggiudicarsi vantaggi privati propri o altrui e l’insider che, per converso, la adopera in vista ed in funzione del migliore compimento di quanto è “scritto” in quella informazione.
16 S. Seminara, La Consob e la tutela penale del mercato mobiliare, in Aa. Vv, Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna, 1998, p. 464.
17 Questo schema si ripete sovente nelle operazioni di sollecitazione al disinvestimento promosse dal socio di controllo della società “sotto offerta” (si discorre, di OPA “interne”).
18 Questi fatti, così narrati per brevi cenni, mostrano che i nostri insiders avevano deciso di (far) compiere (all’Offerente) gli acquisti discrezionali utilizzando l’informazione (certamente di carattere “privilegiato” ex art. 181, TUF) relativa al progetto di OPA ed, anzi, è certo che gli acquisti erano stati deliberati una volta che la promozione dell’OPA era diventato un fatto di pressoché certo accadimento.
19 In particolare, secondo il provvedimento deliberato da Consob ex art. 187-bis, TUF (Delibera Consob 11 maggio 2011, n. 17777), l’abuso verrebbe in rilievo considerando non già le caratteristiche, per così dire, intrinseche dell’offerta (contenuto, modalità di svolgimento ed effetti), bensì quell’ “ambiguo” sincronismo di eventi che vedeva gli stessi soggetti impegnati, da un lato, a concertare il lancio dell’OPA e, dall’altro, a disporre, prima che quello avvenga, il compimento di acquisti discrezionali.
20 A carico delle persone fisiche, la sanzione amministrativa pecuniaria (art. 187-bis, comma 1, TUF) e la sanzione interdittiva accessoria (art. 187-quater, comma 1, TUF) per aver disposto (per conto della società di controllo dell’Offerente) l’acquisto di azioni della Target utilizzando l’informazione privilegiata relativa al progetto di OPA quando l’OPA aveva già raggiunto un grado di probabilità di essere promossa pressoché prossimo alla certezza; a carico della società di controllo dell’Offerente, la sanzione amministrativa pecuniaria (art. 187-quinquies, comma 1, TUF) per essere stata, quella società, il soggetto in nome del quale (e, dunque, nel cui interesse) era stato commesso il reato di insider trading.
21 La portata applicativa delle sanzioni penali e di quelle amministrative non è comunque simmetrica giacché (per fermarsi alla nota differenziale più appariscente) solo le seconde coprono il tentativo giusta l’equiparazione alla consumazione disposta (soltanto) dall’art. 187-bis, ult. cpv., TUF.
22 Di questo avviso, G. Seminara, Disclose or abstain? La nozione di informazione privilegiata tra obblighi di comunicazione al pubblico e divieti di insider trading: riflessioni sulla determinatezza delle fattispecie sanzionatorie, in Banca borsa tit. cred., 2008, p. 368, che cesura “sul piano della indeterminatezza, le troppo ampie e, specie rispetto all’abuso di informazioni privilegiate, troppo severe sanzioni”.
23 Davanti al giudice bolognese si era giunti dopo che la S.C., in accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale, aveva annullato senza rinvio le sentenze – si noti, di condanna – pronunciate, sugli stessi fatti, dalle corti milanesi (di primo grado ed appello). Cass. Pen., 21 gennaio 2009, n. 7769. La sentenza è, peraltro, di interesse perché, nell’annullare senza rinvio, chiarisce che il reato di abuso di informazioni privilegiate che si asserisca essere commesso mediante l’acquisto di strumenti finanziari dematerializzati si consuma, non già nel luogo dove ha sede la società che gestisce il mercato ma in quello dove si perfeziona la registrazione sul contro dell’acquirente.
24 Per nominare quelle più appariscenti: gli acquisti discrezionali avevano ad oggetto, come anticipato, titoli obbligazionari e non azionari; detti acquisti erano compiuti dalla stessa società emittente il prestito obbligazionario la quale si apprestava a procedere col rimborso (anticipato e volontario) del prestito obbligazionario (verosimilmente propedeutico, secondo le comuni prospettazioni teoriche, alla sua successiva c.d. cancellation): l’operazione di mercato che avrebbe seguito (o, se si preferisce, completato) il rastrellamento discrezionale dei titoli, perciò, consisteva non già in un offerta pubblica di acquisto (tender offer), bensì nell’esercizio di un diritto – quello di earlytermination del prestito – spettante alla società emittente. È da tenersi presente, infine, che solo per comodità espositiva preferiamo parlare, al singolare, di “prestito” in quanto, nel caso di specie, i prestiti erano due, entrambi emessi dallo stesso emittente.
25 Sul versante del razionale economico sottostante la decisione di effettuare riacquisti discrezionali dei propri bonds in vista o, comunque, prima del rimborso anticipato ed integrale del relativo prestito si legherebbe, almeno stando alle più accreditate prospettazioni teoriche, al beneficio economico – giova ripetersi, teorico – legato alla riduzione della quantità di titoli da rimborsare: transitando, però, dalla teoria alla pratica e ragionando sempre per ipotesi, controbilancia il possibile vantaggio rappresentato dal riduzione dei titoli in circolazione l’incremento di valore che i titoli potrebbero registrare in concomitanza e per effetto dei riacquisti.
26 Il virgolettato ripete, con l’aggiunta delle parole in corsivo, il contenuto dell’art. 181, comma 3, lett. a), TUF. Si sospettava, dunque, che i vertici della società emittente avessero deciso di procedere con i ri-acquisti “in serie” abusando di una condizione di privilegio informativo e, cioè, sapendo che i titoli che così stavano “radunando” facevano parte di un prestito obbligazionario in relazione al quale la società emittente avrebbe esercitato il proprio diritto di rimborso anticipato.
27 Per minima completezza narrativa, mette, tuttavia, conto evidenziare che a motivo del proprio convincimento il GUP adduce – prima di qualsiasi altra ragione – la mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, vale a dire l’informazione privilegiata. Secondo il giudice, infatti, gli insider avevano deciso il rastrellamento dei titoli allorché il rimborso anticipato era oggetto non già una informazione privilegiata bensì un semplice proposito. Questa conclusione, tuttavia, non si sottrae a critica: sul punto, v. oltre § 9.
28 Almeno se eccettuiamo, beninteso, il capo primo del Titolo I-bis dedicato ai temi definitori ed il capo dedicato all’“informazione societaria” (artt. 113 e ss., TUF) dove si rivengono disposizioni che – positivamente – prescrivono comportamenti doverosi. Gli artt. 113 e ss., TUF, dettano, infatti, un insieme di obblighi comportamentali valevoli sul piano della comunicazione di notizie privilegiate e della tracciatura dei soggetti che vi hanno accesso.
29 Preliminarmente, bisogna, invero, verificare se chi ha agito è un esponente di vertice della società, un socio, un prestatore di attività lavorativa ovvero, ancora, il titolare di una funzione o di un ufficio (ai sensi delcomma 1, degli artt. 184 e 187-bis).
30 È singolare notare che il riferimento all’essere, gli insider sanzionati dalla Consob, il “centro di imputazione” dell’operazione di mercato, lo si ritrova nella sentenza del giudice amministrativo. I giudizi, di relazione, sono, quindi, due: il primo è bilaterale perché si riferisce al rapporto tra insider ed emittente; il secondo è, invece, trilaterale perché si riferisce al rapporto tra l’insider, la fonte dell’informazione ed il suo oggetto. Si noti, poi, che l’affermazione secondo cui difetterebbe il rapporto “rilevante” con l’emittente si mostra, oltre che di incerto significato, anche scarsamente rispondente ai fatti: i soggetti in origine sanzionati da Consob potevano – tecnicamente – ascriversi nel catalogo degli insiders contenuto nell’art. 187-bis e, dunque, diversamente da quanto scritto nella nostra sentenza, sussisteva il (primo) “presupposto per punire la condotta”.
31 Si chiarirà oltre in che senso detti vantaggi si possono qualificare come “privati” (§ 8).
32 In questa seconda classe ritroviamo i soggetti che, secondo la nostra ipotesi di lavoro, meritano di essere svincolati da responsabilità (almeno con riferimento al delitto di insider trading). Corre, tuttavia, l’obbligo di puntualizzare, non solo per minima completezza ma anche per scansare equivoci, che potrebbe essere colpito dalle nostre sanzioni anche il soggetto che ha generato l’informazione allorquando la impiega non già in funzione di ragioni economiche obiettivamente riferibili (nel senso che si dice nel testo) ad una precisa operazione di mercato bensì di vantaggi, appunto, “privati” perché ricadenti nella sfera patrimoniale (propria o altrui).
33 Il capoverso di apertura degli artt. 184 e 187-bis può, infatti, considerarsi autosufficiente allorquando richiama ogni tipo di rapporto avente rilievo economico tra cui i rapporti di “investimento” (partecipazione al capitale dell’emittente) ed i rapporti contrattuali a contenuto lato sensu professionale (esercizio di una attività lavorativa o titolarità di un ufficio o di una funzione); a ben vedere, del rapporto insider-emittente si occupano anche i commi secondo che fanno assumere testuale rilievo anche alle situazioni in cui l’informazione privilegiata scaturisce non già dall’esercizio di una professione o di un diritto legato alla posizione di investimento bensì da un fatto tanto occasionale quanto patologico rappresentato dalla preparazione o esecuzione di una attività criminosa ove, anzi, è la stessa realizzazione di quella attività a rivelarsi price sensitive.
34 La parola scritta in corsivo non è presente nel testo della nostra disposizione.
35 Per tutti, S. Seminara, Disclose or abstain?, cit.p. 359. Come, peraltro, confermato dalla Direttiva 2003/6/CE (diciassettesimo Considerando) il criminal insider potrebbe, quindi ed a sua volta, determinarsi a compiere condotte esecutive corrispondenti a quelle previste dal comma 1 degli artt. 184 e 187-bis una volta preso coscienza della price sensitivity rivelata dal fatto criminoso.
36 Sull’argomento, per tutti, F. Mucciarelli, Abuso di informazioni privilegiate, cit., 1465 ss., il quale, riferendosi, in particolare ai fatti criminosi di matrice terroristica, osserva che “la nuova norma incriminatrice si rende necessaria per colmare un altrimenti insanabile vuoto di tutela: a ben vedere infatti il terrorista è il soggetto che “produce” l’informazione privilegiata, sicché – fermo il canone che non si può essere insider di se stessi – senza la presente incriminazione l’eventuale compimento di operazioni su strumenti finanziari da parte del terrorista medesimo “quella notizia”, sarebbe rimasto al di fuori dello spettro della norma incriminatrice di cui al comma 1 dell’art. 184” (ivi a p. 1472). In questa stessa direzione, attenta dottrina ha, più di recente, osservato – invero ribadendo il concetto – che “nessuno può essere insider di se stesso, salvo che l’informazione privilegiata abbia ad oggetto gli effetti della sua attività criminosa”: così, S. Seminara, Disclose or abstain, cit. p. 349, nota n. 33.
37 E. cioè, considerando il catalogo degli insider primari elaborato dal capoverso di apertura dell’art. 184 e 187-bis, TUF.
38 Alcune tipologie di condotte esecutive – anche se poste in essere dall’insider che crea l’informazione – possono, infatti, integrare gli estremi del reato di insider trading. Cfr. note n. 33 e 61.
39 È appena il caso di aggiungere che il “presupposto logico” da cui muove il nostro ragionamento, perderebbe di valore ove si ritenesse che il legislatore, impiegando il vocabolo “preparazione”, abbia inteso assegnare, con esclusivo riferimento alla condotta del criminal insider, rilevanza penale anche a comportamenti che non raggiungono la soglia del tentativo punibile: una simile conclusione interpretativa, tuttavia, proverebbe troppo perché, come osservato (S. Seminara, Disclose or abstain?, cit.) finirebbe col rendere “viziata da insanabile indeterminatezza” la relativa disposizione.
40 Si rinvia ai successivi paragrafi il commento di ulteriori passi della Direttiva che assumono immediato rilievo ai fini di queste note.
41 Per l’individuazione del momento a partire dal quale prende avvio il “procedimento” di OPA, sia permesso rinviare ad A. Morello, Il procedimento di offerta, in Le offerte pubbliche di acquisto, (a cura di) M. Stella Richter Jr., p. 47 e ss.
42 Questo tipo di necessità (anzitutto economica) affiora immancabilmente in quei progetti finanziari che, come un’OPA, prendono corpo in una articolata sequenza non tanto e non solo di atti quanto e piuttosto di “fasi”: nel contesto di questo tipo di operazioni la decisione preliminare può precedere, non di pochi giorni, la sua definitiva esecuzione.
43 Sul bene tutelato dalla nostra norma, ex multis, A Bartalena, Insider trading, in Trattato delle società per azioni, (diretto da) G. E. Colombo-G.B. Portale, Torino, X, 1993, p. 235.
44 Lo faceva notare, all’indomani dell’entrata in vigore del TUF e, quindi, già in sede di primo commento al D.Lgs. n. 58/1998, A. Bartalena, Sub art. 180, in La disciplina delle società quotate. Commentario, (a cura di) P. Marchetti – L.A. Bianchi, Tomo II, Milano, 1999, p. 1993.
45 Il carattere privato degli obiettivi che l’insider potrebbe avere di mira dipende dalla circostanza che, nell’ipotesi che si sta congetturando, l’atto di disposizione compiuto dall’insider è sganciato da ogni interesse (per così dire, imprenditoriale) oggettivamente riferibile alla società per la quale quell’insider stia prestando il proprio servizio professionale ovvero nel cui capitale egli stia investendo. Si presenta estremamente complesso il tema riguardante le eventuali indagini motivazionali sugli scopi che potrebbero muovere la condotta dell’agente, anche in considerazione del fatto che nella nostra fattispecie di riferimento non è richiesto il dolo specifico: sull’argomento, ex multis, A. Bartalena, Sub art. 180, cit., p. 2000, con considerazioni che non hanno perso di attualità anche dopo gli interventi legislativi che nell’ultimo decennio hanno variato diversi profili della nostra disciplina.
46 L’insider che decide di compiere una serie di acquisti discrezionali – come è per certi versi imperativo che sia – mostra di orientare le proprie azioni verso la massima tutela dell’interesse sociale. Il profilo di doverosità per così dire “interna” evoca quel concetto di “funzione d’uso” dell’informazione privilegiata da valutare allorquando si giudicano le nostre condotte. Una possibile elencazione casistica delle ipotesi in cui l’operatività dell’insider denota una tensione verso la ricerca della più efficace ed efficiente soluzione di tutela dell’interesse sociale, è offerta da A. Laudonio, Rastrellamento, cit., nota n. 46. L’A. osserva (in chiusura del Paragrafo 4) che il carattere abusivo della condotta è da escludersi ove l’insider impieghi l’informazione privilegiata conformemente, appunto, alla sua originaria funzione d’uso.
47 Come ognuno può vedere, infatti, i nostri insiders allorquando deliberano il compimento, da parte della “loro” società, di acquisti discrezionali prima del lancio dell’OPA o dell’esecuzione del rimborso anticipato – operazioni, queste ultime, che loro stessi hanno progettato e che, più tardi sono chiamati, a deliberare – mostrano di adempiere al compito gestorio che legittimamente deriva loro dalla posizione ricoperta nell’organizzazione aziendale e, dunque, in ultima istanza dal loro ufficio.
48 Si tratta del market maker che esegue un ordine. Benché, ovviamente il caso del market maker sia differente rispetto a quello oggetto del nostro studio, non è improprio qui richiamarlo per una affinità sul piano – per così dire – funzionale e, cioè: come l’insider di stesso, con l’obiettivo di massimizzare l’interesse della società, compie atti di disposizione su strumenti finanziari oggetto di informazione privilegiata, così i market makers si prodigano per dare la migliore esecuzione all’ordine ricevuto dal cliente. Nella nostra Direttiva si legge: “Il solo fatto che i market makers, gli enti autorizzati ad agire come controparti o le persone autorizzate a eseguire ordini per conto terzi in possesso di informazioni privilegiate si limitino, nei primi due casi, a svolgere la loro legittima attività di compravendita di strumenti finanziari o, nell’ultimo caso, a eseguire debitamente un ordine, non dovrebbe essere considerato di per sé uso di informazioni privilegiate”.
49 L’insider allorché decida di anticipare (nel senso che andiamo scrivendo) l’attuazione dell’evento (gestionale) che l’informazione privilegiata comunica non sta, dunque, profittandosi a titolo privato (per egli o per altri) di un vantaggio informativo “indebitamente” acquisito, non fosse altro perché l’atto di disposizione che si determina a compiere non gli consente di realizzare, “a danno della generalità di operatori ignari”, un lucro (nella forma del guadagno realizzato o della perdita evitata) o comunque di un diverso vantaggio. Le parole tra virgolette sono di A. Bartalena, Sub art. 180, cit., p. 1993, che le adopera per descrivere la ratio della nostra disciplina per mezzo della quale – osserva l’Autore – il legislatore speciale non si è proposto “la creazione di una – irrealizzabile – parità di condizioni fra gli investitori”.
50 La locuzione è di A. Bartalena, Sub art. 180, cit., p. 1993.
51 Testualmente: “L’accesso a informazioni privilegiate relative a un’altra società e l’utilizzazione di queste nel contesto di un’offerta pubblica di acquisto, ai fini di ottenere il controllo di detta società o di proporre una fusione con essa, non dovrebbe essere considerato in sé un abuso di informazioni privilegiate”. L’avallo (ancorché “tendenziale”) del legislatore comunitario opera, dunque, in relazione all’utilizzo di informazioni privilegiate create da soggetti diversi rispetto all’insider che agisce e riferibili ad una società diversa rispetto alla società per la quale quell’insider presta la propria opera professionale: quando si parla di insider di se stesso si allude, invece, ad un soggetto che adopera una informazione “propria” (perché da egli stesso creata) e riferibile alla “sua” società; a mente il contenuto del nostro principio comunitario, ci si chiede – ma la domanda è esplicitamente retorica – perché l’insider può legittimamente usare un’informazione privilegiata avente ad oggetto una operazione di mercato da promuoversi su una società “terza” e non anche una informazione di eguale oggetto ma relativa ad una operazione da compiersi (ed anzi il cui compimento è egli stesso chiamato a deliberare) su strumenti finanziari emessi dalla “propria” società.
52 Il profilo della autonomia si presta ad essere spiegato anche in diverso modo: non può escludersi o, meglio, per escluderlo occorre un accertamento concreto, il verificarsi di situazioni in cui l’atto di disposizione sia intanto opportuno compierlo, vale a dire meriti di essere compiuto anche a prescindere dalla circostanza che successivamente si verificano tutte le condizioni per compiere, anche l’operazione di mercato: non si ometta, infatti, di ricordare che il proposito di lanciare l’offerta potrebbe essere (o dover essere) abbandonato magari proprio per una “superiore” ragione di mercato ed, allora, ove questo dovesse accadere, spiccherebbe, in maniera ancora più visibile, quanto veramente a poco serva vietare il compimento dell’atto di disposizione.
53 Per tutti, sull’argomento, S. Seminara, Disclose or abstain?, cit., 331 ss., che evidenza come “le informazioni da comunicare al pubblico presentino un ambito più ridotto rispetto a quelle di cui è vietato l’abuso, su un piano sia testuale che concettuale” (ivi a pag. 348).
54 Il legislatore nazionale si è fatto carico di spiegare questo concetto nell’art. 181, TUF seguendo i dettami comunitari. Superfluo ricordare che il tema registra, in letteratura, un variegato ed approfondito insieme di studi e commenti che, da diverse prospettive, analizzano i profili qualificanti l’informazione privilegiata. In sede di commento alla Legge 18 aprile 2005, n. 62 (Legge Comunitaria 2004), si è osservato che il legislatore nazionale, nel primo comma dell’art. 181, “ribadisce concettualmente” la definizione generale di informazione privilegiata (quale spiegata nella Legge 157/1991) per poi dettagliare, nei successivi commi, “i tratti dei termini salienti (di quella definizione)” al fine di “vincolare l’interprete ad un canone di lettura più rigido”: così, F. Mucciarelli, Abuso di informazioni privilegiate, cit., p. 1467.
55 In caso di OPA, un passaggio nodale dell’intera agenda è proprio quello iniziale: quando lanciare il “primo comunicato”. L’individuazione di questo momento tocca, da vicino, problemi di plurima rilevanza giuridica (oltre che economica e strategica): si pensi al timing relativo all’adempimento di quei tanti obblighi di condotta previsti dalla disciplina sul procedimento di OPA (per tutti e prima di tutti, l’obbligo sancito dall’art. 102, TUF); questo tema, a sua volta, si intreccia con quello relativo all’adempimento degli obblighi di “astensione” ricavabili dalla disciplina sull’insider trading se solo si ricorda che, nel caso di OPA, alla luce delle definizione normativa di informazione privilegiata, è necessario appurare se e quando la notizia sul lancio dell’OPA acquista – come esige l’art. 181, TUF – i caratteri della “precisione”: il TAR si sofferma su questo punto enfatizzando che l’informazione privilegiata riguarda l’offerta e non la sua progettazione almeno fintantoché non raggiunge, quel progetto, una fase realizzativa così avanzata da lasciar prevedere, con ragionevole e concreta certezza, l’imminente lancio dell’offerta: fino a quando l’iter non raggiunga questa fase il fatto comunicato dall’informazione manca di attualità.
56 Il dato spicca con peculiare evidenza nella sentenza di proscioglimento: il GUP, dopo aver ricondotto il venire ad esistenza dell’informazione privilegiata all’approvazione della delibera di rimborso del prestito da parte del CdA aggiunge che “le informazioni utilizzate precedentemente (al momento della delibera) non erano informazioni (ma semplici propositi) e non erano neppure qualificabili come privilegiate”.
57 La conferma (ulteriore), da una sentenza della Suprema Corte che, prendendo posizione sul delicato tema del momento a partire dal quale una notizia si eleva al rango di “informazione privilegiata”, ha rilevato che, pur in mancanza di una conforme deliberazione dell’organo “statutariamente” preposto a provvedervi, “la comunicazione del progetto di una manovra finanziaria coltivato – non da un quisque de populo, ma – da un amministratore delegato di società si traduce in una notizia di fonte privilegiata, nel momento stesso in cui di tale progetto vengono riferite le modalità di attuazione attraverso la conduzione di avviate, e quasi concluse, trattative concrete coi soggetti individuati come compartecipi delle operazioni programmate”. Cass. Penale, sez. V, 19 dicembre 2012, n. 49362, in www.consultalex.it. Del resto, attenta dottrina (S. Seminara, Disclose or abstain?, cit., p. 359) ha colto un dato di collettiva esperienza che convalida questo convincimento: ben può accadere, infatti, che un insider, alla luce del suo posizionamento nell’organizzazione aziendale, ritenga – e non sbagli nel ritenere – quasi certa la realizzazione di un fatto gestionale prima che quel fatto riveli, se osservato dall’angolo visuale della società e soprattutto dei processi decisionali interni, una qualche probabilità di accadimento.
58 E, cioè, i soggetti che si fanno carico, prima, di programmare l’operazione e, successivamente, di attuarla. Ponendo questa condizione – per così dire – di “paternità” non si intende fondare, nemmeno in parte, la nostra conclusione su una sorta di “diritto di proprietà” dell’insider sull’informazione: il rapporto di “paternità” rispetto all’informazione privilegiata non basta, invero ed ovviamente, a delimitare, a favore dell’insider, una libertà di sfruttamento del contenuto di quella informazione modellata sulla traccia segnata dall’art. 832, c.c., sia perché altrimenti si finirebbe con l’avvilire le finalità protettive perseguite dalle nostre norme e sia perché sarebbe privo di senso logico, prima ancora che giuridico, un eventuale parallelo con l’istituto che regola il diritto reale “maggiore”, quello di proprietà.
59 In definitiva, per il nostro giudice amministrativo non merita di essere sanzionato quel soggetto che, al solo fine di migliorare i profili di convenienza del fatto gestorio (l’OPA) oggetto di informazione privilegiata decide – per conto della società (futura) offerente – di “acquista(re), vende(re) o compie(re) altre operazioni (…) su(gli) strumenti finanziari” oggetto di informazione privilegiata (e, quindi, di successiva OPA).
60 Sono, invero, diversi i titoli di responsabilità valevoli anche per l’insider che ha generato l’informazione oggetto di utilizzo. A fini meramente evocativi ne nominiamo qualcuno cominciando con due ipotesi di responsabilità per insider trading: la condotta dell’insider che elabora l’informazione concretizza uno degli illeciti enumerati dalle lettere b) e c) del primo comma degli artt. 184 e 187-bis ovvero, sempre rimanendo nell’ambito delle condotte esecutive tipizzate sotto la lettera a), l’atto di disposizione è compiuto dall’insider a motivo di un vantaggio privato. In questa seconda ipotesi si verrebbe, peraltro, a realizzare una situazione molto prossima al front-running dell’intermediario il quale, prima di dare corso ad un ordine price sensitive ricevuto dal cliente, compie per conto proprio una operazione sui titoli interessati dall’ordine al fine di beneficiare – godendone anticipatamente – degli effetti che quell’ordine, una volta eseguito, determinerà. Nel nostro caso, è quanto, ad esempio, potrebbe accadere qualora l’insider adoperi l’informazione privilegiata da egli stesso creata per compiere operazioni utili solo a migliorare il successivo valore di realizzo di titoli che egli (già) detiene nel proprio portafoglio personale. Questa ipotesi potrebbe, oltretutto, rivelare profili di “pluri-offensività” alludendo sol che si rammentino quelle responsabilità aventi titolo nelle regole del “comune” diritto societario: si pensi, infatti, al caso (invero, opposto rispetto a quello deciso dai nostri due giudici) in cui la decisione di promuovere quella operazione – decisione in ipotesi assunta in autonomia dal nostro insider (perché, ad esempio, amministratore unico o comunque delegato) ovvero dal consiglio (ma, comunque, col voto determinante dell’insider) – non risponda ad alcun interesse sociale bensì al solo interesse personale dell’insider. Ulteriori titoli di responsabilità (per non dire capi di imputazione) potrebbero, altresì, venire in rilievo ove si concretizzi una violazione degli obblighi di comunicazione al mercato ovvero i singoli atti di disposizione compiuti sugli strumenti oggetto di informazione privilegiata rivelino connotati “manipolativi”.
61 G. Seminara, Disclose or abstain?, cit., p. 368.
62 Non intendiamo deprimere la qualità – sul piano della trasparenza, dell’integrità e, dunque, dell’affidabilità – dei nostri mercati, né proporre ipotesi di regolazione dense di riduttive e rigide qualificazioni definitorie formulando l’augurio che l’impianto normativo in tema di insider trading possa accogliere, in un prossimo futuro, norme capaci di spiegare, meglio di quanto adesso non sia, il rapporto che, ai fini della punibilità, deve intercorrere (i) tra l’utilizzatore dell’informazione e l’evento che quella informazione comunica nonché (ii) tra questo evento e l’atto di disposizione “sotto giudizio”; come anticipato nel testo, l’obiettivo cui tendere dovrebbe essere quello di escludere l’illiceità dei casi in cui l’utilizzo di una informazione privilegiata prenda corpo in atti di disposizione decisi dal soggetto che ha creato quella informazione al (solo) fine di rafforzare, (aggiungasi: nell’esclusivo interesse imprenditoriale dell’emittente), il senso economico del fatto oggetto di informazione privilegiata.