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Giurisprudenza

Lista Falciani: utilizzabilità della prova atipica per accertare redditi non dichiarati

14 Aprile 2022

Luca Rivano

Cassazione Civile, Sez. V, 28 aprile 2021, n. 11162 – Pres. Cirillo, Rel. Condello

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte, con l’ordinanza in oggetto, nel respingere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, ha ribadito l’utilizzabilità della prova illegittimamente acquisita, in linea tendenziale, nel procedimento e, successivamente, nel processo tributario.

Richiamando sinteticamente i fatti in causa, il contribuente veniva raggiunto da un avviso di accertamento concernente la violazione delle norme in tema di monitoraggio fiscale (artt. 2 e 4 del d.l. 28 giugno 1990 n. 167), e la conseguente imputazione di maggiori redditi non dichiarati in capo al contribuente, in relazione a giacenze bancarie asseritamente detenute presso un istituto bancario svizzero.

Avverso l’avviso di accertamento presentavano ricorso gli eredi del de cuius; il ricorso veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale per difetto di motivazione dell’atto impositivo, non risultando allegato all’atto notificato agli eredi il processo verbale di constatazione redatto nei confronti del defunto titolare del conto bancario estero.

L’Agenzia ricorreva così in Commissione Tributaria Regionale, la quale respingeva il ricorso rilevando che le violazioni contestate erano state accertate grazie all’utilizzo di informazioni illegalmente acquisite presso l’Amministrazione fiscale francese attraverso i canali di collaborazione informativa internazionale previsti dalla Direttiva 77/799 CEE e dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia del 5 ottobre 1989 e che, nonostante la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29433 del 10 luglio 2013, avesse già previsto la loro utilizzabilità quale mero spunto di indagine, i verificatori non avevano sorretto l’accertamento con “elementi ulteriori” avendo , anzi, omesso di valutare la documentazione prodotta dai ricorrenti.

L’amministrazione finanziaria ricorreva allora in Cassazione, lamentando la violazione della menzionata Direttiva 77/799 CEE, dell’articolo 27 della l. 7 gennaio 1992 n. 20 (autorizzazione alla ratifica della Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra Italia e Francia) e la falsa applicazione degli articoli 191 e 192 cod. proc. pen.,  censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto esistente nel nostro ordinamento un principio di “inutilizzabilità della prova illecita”.

Nel fare ciò rilevava anche che l’accertamento a carico del contribuente si fondava sulla violazione degli obblighi di dichiarazione previsti dal d.l. n. 167 del 1990, ed in particolare degli artt. 4 e 6, che prevedono una presunzione legale relativa in ordine alla imputabilità quali maggiori redditi delle somme detenute all’estero e non dichiarate al Fisco, per cui la C.T.R. avrebbe errato a sostenere che la pretesa fiscale non era stata supportata da “ulteriori elementi” oltre ai dati bancari del contribuente estrapolati dalla cd. Lista Falciani.

La Suprema Corte, già espressasi in passato in tema di utilizzabilità della prova illegittimamente acquisita, torna sull’argomento richiamando un pregresso orientamento (Cass., sez. 5, 25/11/2011, n. 24923) in base al quale non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale, quali l’inviolabilità della libertà personale e del domicilio (Cass., sez. 5, 27/02/2015, n. 4066; Cass., sez. 5, 16/12/2011, n. 27149).

Come infatti confermato dalla ordinanze gemelle n. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, è consentito, nell’ambito delle imposte dirette e dell’Imposta sul Valore Aggiunto, utilizzare, ai fini dell’accertamento fiscale, elementi comunque acquisiti, nell’ambito di un regime probatorio presuntivo; in ambito amministrativo-tributario, dunque, non trovano applicazione le limitazioni legali di prova presenti nel codice di procedura penale (Cass. sez. 5, 12/11/2010 n. 22984; Cass. sez. 5, 25 luglio 2012, n. 13121).

Una volta chiarito il tema dell’utilizzabilità di tali prove, la Corte ha ribadito che con riferimento alla prova per presunzione (quale è quella contestata al contribuente ex art. 4 e 6 del d.l. n. 167 del 1990), anche solo un indizio può giustificare la pretesa fiscale, se grave e preciso (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29633, Cass., sez. 5, 29/11/2019, n. 31243).

Gli ermellini hanno dunque rilevato che la C.T.R., affermando come le informazioni desunte dalla cd. Lista Falciani possano essere utilizzate solo “quale spunto di indagine” e a condizione che l’accertamento sia supportato da “ulteriori elementi probatori”, si sia discostata dal principio di legittimità, espresso proprio con riguardo alla Lista Falciani, per cui anche un solo indizio può giustificare la pretesa fiscale, se grave e preciso e sorretto da motivazione adeguata e non contraddittoria circa la sua rilevanza (Cass. sez. 5, 15/01/2014 n. 656).

Ciononostante, il ricorso è stato respinto dal momento che i giudici di merito avevano comunque accertato che la documentazione prodotta dagli eredi del contribuente provava in modo inequivocabile che nei periodi di imposta oggetto di accertamento l’unico conto intestato al de cuius presentava un saldo pari a zero.

Il ricorso è stato dunque respinto stante la non sindacabilità, in sede di legittimità, dell’apprezzamento fatto dai giudici regionali.

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