1. Introduzione
Un recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. pen. III sez. 10/11/2016 n. 11945) offre l’occasione per fornire un quadro aggiornato circa l’applicazione della tutela offerta dall’art. 1923 c.c. alle polizze vita in caso di sequestro disposto dal giudice penale. L’incontro tra questi due istituti determina infatti un conflitto, tra strutture civilistiche e poteri giurisdizionali penali, il cui esito può essere utile a orientare gli operatori nella corretta identificazione dei limiti alla segregazione patrimoniale accordata dai contratti assicurativi. Occorre, quindi, preliminarmente, delimitare il campo e presentare i protagonisti di tale conflitto.
1.a. Le tutele offerte dall’art. 1923 c.c.
La disposizione in commento sancisce il divieto di sottoporre ad azione esecutiva o cautelare le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario di una polizza vita. Tale divieto implica quindi una limitazione alla regola generale in tema di responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740, comma 1, c.c. Le assicurazioni sulla vita, quindi, rappresentano un patrimonio separato in grado di limitare la responsabilità debitoria.
In una prospettiva storica pare condivisibile la tesi secondo cui il legislatore abbia inteso tutelare e promuovere lo spirito previdenziale che anima le assicurazioni sulla vita. Certamente non era prevedibile, all’epoca, l’evoluzione in senso finanziario che ha interessato tali polizze, quali strategie di investimento (il riferimento è in particolare alle polizze dei rami III e V). Del pari, non era possibile pronosticare che le polizze vita sarebbero state utilizzate anche nell’ambito della criminalità economica.
Sorge quindi spontaneo l’interrogativo circa l’applicabilità della tutela in esame anche in tali ultimi casi.
L’interrogativo sulla natura finanziaria o previdenziale dei diversi contratti di assicurazione sulla vita assume rilevanza per la soluzione di problemi pratici.
Si veda, a titolo di esempio, come le S.U. della Suprema Corte hanno risolto il dubbio circa l’applicabilità dell’art. 1923 c.c. nel caso in cui il curatore fallimentare voglia esercitare il diritto di riscatto previsto dalla polizza vita stipulata dal fallito. La Corte ha sottolineato come tale istituto tuteli la funzione previdenziale (più che quella di risparmio) che ha un innegabile valore costituzionale: il curatore fallimentare non può, quindi, agire per ottenere il valore di riscatto della polizza[1].
Ne deriva che, qualora la polizza abbia uno prevalente scopo finanziario, la tutela esaminata risulterebbe inapplicabile[2].
1.b. Il sequestro in ambito penale
L’art. 1923 c.c. si confronta con i sequestri disposti dal giudice penale. È necessario tratteggiare i caratteri principali del sequestro conservativo ex art. 316 e ss. c.p.p. e del sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex. art 321 e ss. c.p.p.
Il sequestro conservativo è finalizzato a preservare la garanzia patrimoniale relativa all’obbligazione risarcitoria per il danno da reato. Tale istituto è quindi del tutto assimilabile al sequestro conservativo civile, di cui condivide anche la disciplina (si veda, ad esempio, il tema della conversione del pignoramento)[3].
Occorre dedicare maggiore attenzione al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, oggetto della sentenza in commento.
L’art. 240 c.p. disciplina la confisca, quale misura di sicurezza, in relazione allo strumento, al prodotto, al profitto e al prezzo del reato. Sono confiscabili le somme direttamente collegate alla commissione del reato, caratterizzate da un nesso pertinenziale con lo stesso. La confisca del profitto, nello specifico, è finalizzata a sottrarre al reo i benefici economici derivati dall’illecito.
In tema di reati tributari, l’art. 12 bis del D. Lgs. 74/2000 prevede che,in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, sia obbligatoria la confisca dei beni direttamente riconducibili al profitto del reato. Quando non è possibile individuare le somme direttamente derivanti dall’illecito, la confisca ha ad oggetto beni (solitamente somme di denaro), di cui il reo ha la disponibilità, per un valore equivalente al profitto del reato. La confisca “per equivalente” colpisce beni non direttamente collegati al reato e ha, quindi, natura sanzionatoria.
La confisca per equivalente colpisce beni che sono nella “disponibilità” del responsabile del reato. Il concetto di disponibilità è da intendersi in senso ampio, in linea con la nozione civilistica di possesso: sono confiscabili anche quei beni su cui il reo esercita un potere dispositivo mediato o informale[4].
2. Polizze vita vs sequestro preventivo
La sentenza in commento sancisce la vittoria del sequestro preventivo, che non soggiace alla limitazione ex art. 1923 c.c.. Tale pronuncia si inserisce nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale.
La tutela offerta alle polizze vita, paragonabile ad altre rintracciabili nel codice civile (ad esempio gli artt. 169 e 1881 c.c.), riguarda solo la definizione della garanzia patrimoniale per la responsabilità civile e non la responsabilità penale, a cui è connesso il sequestro preventivo. Quest’ultimo è evidentemente diverso dagli istituti cautelari civilistici, sia in relazione alla struttura che alle finalità. Il sequestro preventivo, infatti, non è prodromico ad una espropriazione, ma alla confisca, che prescinde dal danno causato, dipendendo solo dalla derivazione delle somme dal reato. Le finalità della confisca non possono trovare limitazioni in relazione ai rapporti tra privati[5].
Le assicurazioni sulla vita possono essere oggetto di confisca diretta, qualora rappresentino un tentativo di trasformare e occultare le somme derivanti del reato[6]. In caso di reati tributari, come quello affrontato dalla sentenza in commento, qualora non sia stato possibile reperire il profitto direttamente derivante dall’illecito, le polizze vita possono essere colpite da sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
Non rileva che la polizza abbia come beneficiario un soggetto diverso rispetto al contraente, come testimonia la pronuncia in commento. I premi pagati, infatti, restano comunque nella disponibilità del reo, in virtù della possibilità di revoca del beneficiario (art. 1921 c.c.), del diritto di riscatto e di quello di riduzione della polizza (art. 1925 c.c.).
Le finalità perseguite dalla confisca prevalgono su quelle alla base della tutela ex art. 1923 c.c.
2. Polizze vita vs sequestro conservativo
La tutela offerta dall’art. 1923 c.c. si applica in caso di sequestro conservativo ex art. 316 e ss. c.p.
Si è detto che il sequestro conservativo disposto dal giudice penale corrisponde alla stessa misura civilistica, volta a tutelare la garanzia patrimoniale dei creditori. La giurisprudenza penale ritiene quindi che il sequestro ex art. 316 c.p. incontri lo stesso limite delle azioni cautelari civili e non possa avere ad oggetto le polizze vita[7].
L’applicazione dell’art. 1923 c.c. in caso di sequestro conservativo incontra, tuttavia, un limite nel caso in cui la polizza, all’esito di un esame dei termini contrattuali, risulti avere natura e finalità finanziarie, e non previdenziali[8].
La natura civilistica del sequestro ex art. 316 c.p.p. comporta la validità delle obiezioni, precedentemente menzionate, in merito all’applicabilità della tutela ex art. 1923 c.c. qualora la polizza vita abbia scopo prevalente di risparmio-investimento.
Il sequestro conservativo non può, quindi, colpire le polizze vita, a meno che le stesse abbiano una prevalente natura finanziaria.
3. Conclusioni.
Sembrerebbe che la tutela ex art. 1923 c.c. sia stata messa alle corde.
Le polizze vita sono soggette al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o, in caso di reati tributari, per equivalente. Il sequestro conservativo soggiace al limite di ex art. 1923 c.c., ma solamente se polizza ha finalità previdenziale. Del pari, anche in ambito civilistico si esclude l’applicabilità di tale tutela alle polizze con prevalente natura finanziaria.
Da un’altra prospettiva si osserva, invece, come la tutela civilistica analizzata continui a spiegare la propria forza, intatta, nei contesti che le competono, in linea con la propria ragione d’essere. È evidente, infatti, come lo scopo della disposizione codicistica non sia quello di escludere un tipo di strumento finanziario dalla garanzia patrimoniale del creditore. Allo stesso modo, la possibilità che esistano patrimoni separati a prova di confisca appare contraria ai principi cardine dell’ordinamento.
[1] Sul punto si veda Cass. civ., sez. un., 8271/2008.
[2] Sul punto si vedano Trib. Milano 1/7/2014, Trib. Parma 10.8.2010 e Trib. Monza 17/1/2006.
[3] Sul punto si veda Cass. pen., sez. un., 38670/2016.
[4] Si vedano, sul punto, Cass. pen., sez. III, 4097/2016, Cass. pen., sez. III, 15210/2012, nonché Cass. pen., sez. III, 6290/2010.
[5] Quali esempi dell’orientamento monolitico riportato nel testo, si vedano Cass. pen., sez. III, 18736/2014, Cass. pen., sez. VI, 12838/2011, Cass. pen., sez. III, 6290/2010, e Cass. pen., sez. II, 16658/2007.
[6] Come nel caso affrontato dalla Cass. pen., sez. II, 16658/2007.
[7] Si vedano anche Cass. pen., sez. V, 43026/2009, nonché da ultimo, Cass. pen., sez. un., 38670/2016.
[8] V. Cass. pen., sez. V, 16750/2016 e Cass. pen., sez. V, 43503/2014.