Il presente contributo analizza il tema dell’operazione di scioglimento senza liquidazione, prevista dall’ordinamento francese, nelle operazioni di riorganizzazione transfrontaliere, soffermandosi sui profili societari e tributari di diritto italiano.
1. Premessa
Con l’inizio del nuovo anno, tornano in auge le pianificazioni riguardanti le riorganizzazioni transfrontaliere dei gruppi di imprese, al fine di modificare la struttura operativa ed industriale nei diversi Stati, in un’ottica di efficientamento.
Peraltro, una spinta a tali ristrutturazioni potrebbe giungere dalla proposta di Direttiva n. COM(2021) 565 final, non ancora approvata dal Consiglio dell’Unione Europea, volta a contrastare l’utilizzo delle c.d. “società di comodo” (o “shell companies”) in ambito comunitario, che potrebbe indurre molti gruppi a razionalizzare la catena di controllo incorporando o liquidando le società prive dei requisiti normativi di sostanza economica[1], beneficiando delle previsioni della Direttiva 90/434/CEE del luglio 1990 di cui infra.
A tali fini, potrebbe assumere rilevanza, per i gruppi con società italiane che detengono partecipazioni di controllo totalitario in società di diritto francese, l’utilizzo dell’istituto previsto dall’articolo 1844-5 del Codice civile francese, denominato “dissolution sans liquidation” o anche “trasferimento universale del patrimonio” (qui di seguito anche “TUP”)[2].
Tale istituto – presente anche in Germania e in Lussemburgo[3] – prevede che nella liquidazione di una società detenuta da un’unica persona giuridica, l’insieme del patrimonio attivo e passivo della società sciolta è trasferito alla persona giuridica che detiene la totalità del suo capitale, senza che occorrano operazioni di liquidazione. In applicazione di tale istituto, che sostanzialmente produce i medesimi effetti di un’operazione di fusione, l’omissione della procedura di liquidazione e la trasmissione universale si verificano ex lege, senza possibilità di deroga.
Tuttavia, si vedrà nel proseguo come l’utilità di tale operazione, volta ad accelerare il processo di trasferimento del patrimonio della società francese al socio italiano (accorciando i tempi previsti dall’ipotesi alternativa di fusione transfrontaliera), può presentare talune criticità secondo la normativa italiana, sia ai fini del diritto societario che del diritto tributario.
2. L’istituto del TUP in base alla normativa francese
In linea di principio, secondo la normativa francese, lo scioglimento di una società comporta la sua liquidazione. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 1844-5 del Codice civile francese, quando una società ha un unico socio che è un’entità giuridica (cioè un’altra società), la società non viene sciolta attraverso la liquidazione, ma attraverso un trasferimento universale di attività e passività[4].
Peraltro, tale normativa non reca alcuna espressa limitazione circa la nazionalità o la residenza del socio unico, sicché non dovrebbero esserci preclusioni all’applicazione del TUP allorquando quest’ultimo sia una società di diritto italiano, residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato[5]. Non sembra quindi necessario che l’ordinamento italiano contenga una disposizione simile all’articolo 1844-5 del codice civile e riconosca quindi un principio equivalente a quello del TUP; piuttosto sembra sufficiente che il TUP non si ponga in contrasto con l’ordine pubblico dello Stato italiano.
Ebbene, per attivare il TUP, il socio unico deve eseguire i seguenti adempimenti[6]:
- redigere un verbale di scioglimento;
- pubblicare un avviso di scioglimento senza liquidazione in uno Shal (“support habilité à recevoir des annonces légales”), una sorta di domicilio fiscale e giuridico eletto, al quale terzi creditori potranno notificare avvisi successivi, atteso che, una volta che lo scioglimento verrà iscritto nel registro delle formalità societarie, esso non dovrà essere obbligatoriamente registrato presso il “Service des Impôts des Entreprises” (SIE) competente per la circoscrizione in cui la società ha la sede legale.
Invero, i creditori della società sciolta possono opporsi allo scioglimento della società entro 30 giorni dalla pubblicazione dello scioglimento nel “Bulletin officiel des annonces civiles et commerciales” (c.d. “Bodacc”), ove il dies a quo per tale opposizione è il giorno successivo alla data di pubblicazione dello scioglimento nel Bodacc[7]. Nel caso di opposizione dei creditori, l’amministratore della società – che dovrà considerarsi non ancora sciolta – viene chiamato a comparire davanti il Tribunale del Commercio del luogo in cui si trova la sede legale della società.
Incardinata la procedura (il Tribunale provvede con decreto), le ipotesi di provvedimento sono le seguenti:
- respingere l’obiezione del creditore (una sorta di provvedimento a seguito di udienza di ammissione allo stato passivo, in cui il creditore che abbia chiesto l’ammissione non viene ricompreso nel piano di riparto);
- ordinare il rimborso del credito;
- ordinare la prestazione di garanzie nel caso le attività oggetto di assegnazione non siano immediatamente liquide o esigibili.
Invece, se i creditori non hanno presentato opposizione, il socio unico deve rivolgersi alla cancelleria del tribunale commerciale per ottenere un Certificato di non opposizione (il c.d. “CNO”).
Alla scadenza del termine di 30 giorni, le attività e le passività della società vengono trasferite al socio unico per effetto stesso del TUP. In particolare, il socio unico riceve tutto il patrimonio della società sciolta, ossia il valore di tutto ciò che era di proprietà della società (immobili, software, mobili, brevetti, ecc.) al netto dei debiti (capitale sociale, ecc.) e delle passività[8].
Infine, il TUP consente alla società di beneficiare, in Francia, di un trattamento fiscale preferenziale previsto per le fusioni,[9] in forza del quale: (i) le plusvalenze sui beni trasferiti sono esenti dall’imposta sulle società e (ii) gli accantonamenti sono tassati con un’aliquota ridotta.
3. Il regime civilistico del TUP in base alla normativa italiana
A differenza dell’ordinamento italiano – che ha faticato, con la riforma Vietti del 2003, a recepire la qualificazione delle operazioni straordinarie (trasformazione, fusione e scissione) delle società come “vicende modificativo-evolutive dell’ente che ne delibera l’adozione” (sono infatti sopravvissuti fino al 2007 strali di dottrina che qualificavano ancora la fusione e la scissione come operazioni aventi natura essenzialmente traslativa) – l’ordinamento francese è stato sin da subito fedele nell’applicazione dei principi delineati dalla Direttiva 90/434/CEE del Consiglio Europeo del 23 luglio 1990, soprattutto per quanto riguarda la definizione del considerando, sottolineata nel corsivetto riportato al punto 1, riguardante la «beneficiaria del conferimento»[10].
Ebbene, per l’orientamento italiano – ed è qui il nodo della vicenda – “conferimento” può essere solo traslativo (quindi una vendita), mentre per il diritto europeo (e francese) “conferimento” non ha una causa (intesa come la intendono gli articoli 1343 e seguenti del nostro Codice civile), ma è un effetto. L’assunto appena delineato merita un breve approfondimento, in quanto, a ben vedere, anche per il diritto italiano “conferimento” è un termine dal significato perlomeno pregno, denso.
Autorevole dottrina[11], sollecitata a esprimere un primo commento sulla riforma di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, si è interrogata sull’opportunità di riconsiderare il tema dei rapporti tra la disciplina del conferimento, che, come detto, evoca tradizionalmente quella del trasferimento, e quella della trasformazione, intesa come operazione straordinaria che, più della fusione e della scissione risulta improntata al concetto di “conservazione” dei rapporti giuridici preesistenti all’operazione medesima, sottolineatura chiaramente rinvenibile nella lettera dell’art. 2498 cod. civ. Nello specifico, tale autorevole dottrina[12] ha evidenziato come tale tema sia, nella prospettiva divisata, particolarmente urgente nel caso in cui un’impresa individuale costituisca una società di capitali unipersonale conferendo l’azienda di cui risulta titolare.
Appare chiaro come, mutatis mutandis, i rilievi derivanti da tali considerazione si attaglino perfettamente alla problematica in discorso, atteso che il “chiodo nell’ingranaggio” costituito dalla tradizionale qualificazione del “conferimento” come “trasferimento” svilisce fortemente il principio modificativo evolutivo che anima e permea la riforma, almeno nella parte in cui innova e ammoderna la qualificazione delle operazioni straordinarie[13]. In sintesi: nell’ordinamento italiano, nonostante le ritrosie, è fin dalla legge delega del 2001 chiaro che la continuità assume rilevanza prescindendo dall’identità dei soggetti coinvolti; se ciò è vero – ossia, che nelle vicende modificativo-evolutive della società l’identità del titolare della partecipazione (e quindi dei bei che detta partecipazione rappresenta) non ha alcun rilievo – significa che, pur con il rischio di apparire assertivi, sovrapporre all’istituto del conferimento il meccanismo causale tipico del trasferimento appare del tutto fuorviante[14] o perlomeno non conforme con i cardini della riforma statuiti dalla Legge Delega 3 ottobre 2001 n. 366.
Pertanto, la procedura di scioglimento senza liquidazione, con conseguente trasferimento al socio unico di società di capitali dell’intero patrimonio della “scioglienda” è solo apparentemente assimilabile alla fusione italiana: è stato l’ordinamento italiano ad aver fatto confluire nelle norme regolanti le operazioni straordinarie una fattispecie (quella che nel diritto francese è definita “TUP”) che poteva essere autonoma e che, laddove fosse stata disciplinata come tale, avrebbe generato conflitti con i principi generali ereditati dal diritto romano – della natura sostanzialmente traslativa di una novazione soggettiva e del numerus clausus dei contratti tipici e ciò per quello detto poc’anzi: quello che per i francesi è “effetto” (il conferimento), per gli italiani è “causa” (intesa quale schema essenziale di un contratto sinallagmatico ad effetti reali).
In definitiva: il TUP francese, se fosse recepito in Italia, sarebbe in contrasto con i principi generali, quindi gli effetti del TUP vengono recuperati nella disciplina della fusione, evitando ogni effetto e ricaduta tipica di un negozio che, altrimenti, sarebbe esclusivamente traslativo. Occorre però chiedersi, alla luce di quanto sopra considerato tale delineato contrasto sarebbe stato soltanto apparente.
Invero, il TUP potrebbe essere recepito nell’ordinamento Italiano – pur anche come figura autonoma -, senza contrasto con i principi che animano quest’ultimo, sempreché si ponga mente al fatto che l’assunto identitario che sovrappone lo schema del “trasferimento” al conferimento è stato – invero – scardinato più di venti anni fa, senza che però gli operatori di prassi ne facciano memoria[15].
Non serve sottolineare come tale assunto sia rinvenibile anche in altri ordinamenti, a cui il Diritto Italiano – da sempre, e in particolare dal 2001 – si ispira[16].
4. Il regime fiscale del TUP in base alla normativa italiana
Da un punto di vista fiscale, nell’ordinamento italiano non ci sono previsioni normative specifiche, sia ai fini delle imposte dirette che indirette, relative al TUP, né disposizioni applicabili a procedure di scioglimento senza liquidazione eseguite all’estero.
Tuttavia, recentemente l’Amministrazione finanziaria italiana ha avuto modo di chiarire, nella Risposta n. 81/2024, il trattamento fiscale applicabile, ai fini delle imposte indirette, sul trasferimento di taluni beni immobili, ubicati nel territorio dello Stato e detenuti da una società residente ai fini fiscali in Francia, in occasione di una procedura di scioglimento senza liquidazione. Più precisamente, in tale documento di prassi è stato esaminato il caso in cui, per effetto del TUP, una società francese, proprietaria di beni immobili ad uso abitativo siti in Italia, si scioglie trasferendo automaticamente e di pieno diritto il suo intero patrimonio (attivo e passivo) alla società che la controlla, avente sede nel Principato di Monaco.
Nel quesito posto all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria italiana, l’istante ha chiesto di conoscere se, in relazione al trasferimento dei citati immobili siti in Italia, sia dovuta (i) l’imposta di registro proporzionale sui trasferimenti immobiliari di cui all’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (c.d. “Tur”), oppure (ii) l’imposta fissa di registro ai sensi dell’articolo 4, lettera b) della medesima Tariffa, con le relative imposte ipotecarie e catastali in misura fissa a norma dall’articolo 4 della Tariffa allegata al D.Lgs. 347/1990 e dell’articolo 10, comma 2, del medesimo Decreto (come nelle operazioni di fusione)[17].
Ebbene, l’Amministrazione finanziaria italiana ha affermato, nella risposta, che, «essendo esclusa l’assimilazione dell’istituto giuridico francese denominato TUP, anche sotto il profilo procedurale, a quello della fusione disciplinata dagli articoli 2501 e seguenti del codice civile italiano […], trovano applicazione le regole generali previste in caso di scioglimento di società che comportino il trasferimento di beni al socio». Pertanto, nel caso di specie, al trasferimento degli immobili l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto applicabile l’imposta di registro nella misura del 9 per cento, ai sensi dell’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al Tur, calcolata sulla base imponibile prevista dall’articolo 51, comma 2, del Tur (i.e., il valore di mercato). Conseguentemente, le imposte ipotecarie e catastali sono state ritenute applicabili nella misura di Euro 50 ciascuna, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
Pur trattandosi di una risposta avente ad oggetto il trattamento fiscale delle imposte indirette applicabili ad un trasferimento di immobili ubicati nel territorio italiano, tra soggetti non residenti, è ragionevole ritenere che l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria italiana relativa all’istituto del TUP possa assumere rilevanza anche ai fini delle imposte dirette.
Pertanto, per quanto di interesse, nell’ipotesi di socio controllante italiano che intende addivenire allo scioglimento di una società francese interamente controllata, la distribuzione di riserve di utili e di riserve di capitali nell’ambito di una procedura TUP dovrebbe essere disciplinata dalle regole fiscali generali in tema di liquidazione, come di seguito analizzate.
5. La distribuzione di riserve di utili
5.1 L’esenzione da ritenuta in Francia in base alla Direttiva madre-figlia
Come noto, l’articolo 5 della direttiva 2011/96/UE (la c.d. “Direttiva madre-figlia”) prevede che «gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte». Trattasi del regime di esenzione dalla ritenuta “in uscita” per i dividendi pagati da una società residente in uno degli Stati membri dell’Unione Europea a società dello stesso gruppo residenti in altri Stati che, parimenti, fanno parte dell’Unione Europea.
Tale esenzione è applicabile se ricorrono le seguenti condizioni:
- la società controllante (la c.d. “madre”) e la società controllata (la c.d. “figlia”) sono costituite in una delle forme giuridiche indicate nell’Allegato I, Parte A della Direttiva (il c.d. “requisito della forma legale”);
- la società madre e la società figlia sono residenti ai fini fiscali in uno Stato dell’Unione Europea e non sono considerate residenti ai fini fiscali fuori dall’Unione Europea in base ad un Trattato contro le doppie imposizioni sottoscritto con uno Stato terzo (il c.d. “requisito della residenza fiscale”);
- la società madre e la società figlia sono soggette, nel proprio Stato di residenza, ad una delle imposte indicate nell’Allegato I, Parte B della Direttiva, senza fruire di regimi di opzione o di esonero (salvo quelli territorialmente o temporalmente limitati) (il c.d. “requisito dell’assoggettamento a tassazione”);
- la società madre detiene, direttamente, almeno il 10 per cento del capitale della società figlia che distribuisce gli utili (il c.d. “requisito della partecipazione”).
Tuttavia, in base alla Direttiva madre-figlia, gli Stati membri dell’Unione Europea hanno la facoltà:
- di sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto;
- di non applicare la Direttiva a quelle società che non conservino, per un periodo ininterrotto di almeno 2 anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre. Tuttavia, tale requisito può essere soddisfatto anche in una data successiva alla distribuzione dei dividendi, potendosi integrare alla data dell’istanza di rimborso della ritenuta (cfr. CGUE, C-283/1994, Denkavit International BV vs. Bundesmant fur Finanzen, 17 ottobre 1996).
La documentazione da produrre per beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta estera è quella dello Stato della società figlia, mentre il certificato di residenza in Italia della società madre, da produrre alla società figlia, deve essere richiesto all’Amministrazione italiana con la modulistica prevista dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 84404/2013.
5.2 L’applicazione della Direttiva madre-figlia alle distribuzioni in sede di liquidazione
L’articolo 4 della Direttiva madre-figlia stabilisce che l’esenzione da tassazione nello Stato membro di residenza della società madre è circoscritta «agli utili distribuiti a tale società in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia». Tale esclusione è volta a garantire, allo Stato di residenza della società “madre” che dovesse escludere gli utili derivanti dalla liquidazione dalla nozione di utile, riconducendoli invece nella nozione di plusvalenza, di non dover apportare modifiche alla normativa interna.
D’altro canto, se da un lato, l’articolo 4 della Direttiva madre-figlia esclude espressamente gli utili distribuiti in occasione della liquidazione dal regime applicabile agli utili percepiti dalle società madri; dall’altro, l’articolo 5 della medesima Direttiva non prevede analoga esclusione per quanto riguarda l’esenzione da ritenuta alla fonte per gli utili da liquidazione distribuiti da società figlie. Tale ultimo articolo, infatti, per ciò che riguarda l’imposizione in uscita dallo Stato di residenza della società “figlia” che distribuisce i dividendi, prevede espressamente che «gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte», senza limitare tale previsione agli utili distribuiti «in occasione diversa dalla liquidazione» come reca invece l’articolo 4.
Tale interpretazione è stata confermata dall’Amministrazione finanziaria, in una risposta ad un interpello non pubblico (ancorché riguardante l’ipotesi di distribuzione di dividendi in uscita dall’Italia)[18], ove è stato ribadito che l’esenzione da ritenuta, in base alla Direttiva madre-figlia, è applicabile anche agli utili distribuiti in sede di liquidazione; pertanto, la distribuzione delle riserve di utili non dovrebbe essere soggetta a ritenuta in Francia.
5.3 Il regime fiscale applicabile in Italia
Ai sensi dell’articolo 89, comma 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (c.d. “Tuir”), «verificandosi la condizione dell’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo, l’esclusione del comma 2 si applica agli utili provenienti da soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), […] se diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati in base ai criteri di cui all’articolo 47-bis, comma 1» .
In sostanza, in base a tale normativa, il dividendo distribuito dalla società francese alla società italiana sarà soggetto in Italia, in capo a quest’ultima, ad Ires nella misura del 5% del suo ammontare, all’aliquota Ires attuale del 24% (aliquota effettiva 1,2%), a condizione che siano soddisfatti i seguenti requisiti (cfr., articolo 44, comma 2, lettera a), secondo periodo del Tuir):
- il dividendo deriva dagli utili maturati a livello della società francese;
- la società francese rilascia una certificazione attestante che il dividendo non è deducibile in Francia dalla sua base imponibile.
La tassazione del dividendo in capo alla società italiana opera al momento della relativa percezione, in base al principio di cassa, come confermato dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 26/2004.
Orbene, l’articolo 89 del Tuir non esclude espressamente dal trattamento di favore (i.e. la tassazione del 5 per cento) i dividendi distribuiti in occasione della liquidazione della società “figlia” non residente, limitandosi a prevedere, al comma 2, che «gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all’articolo 47, comma 7, dalle società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), b) e c), non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare», senza prevedere un analogo trattamento anche in caso di erogazione da parte di soggetti non residenti.
Tuttavia, anche in un’ottica sistematica, non sembra giustificato un diverso trattamento da riservare agli utili distribuiti in occasione della liquidazione, a seconda che essi siano distribuiti da una società “figlia” residente in Italia, piuttosto che da una società “figlia” residente all’estero.
Tale interpretazione è stata confermata dall’Amministrazione finanziaria, in una risposta ad un interpello non pubblico[19], ove è stato affermato che l’articolo 89 del Tuir non condiziona la parziale esclusione dalla formazione del reddito degli utili alla circostanza che gli utili siano distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società, sia essa residente o non residente ai fini fiscali in Italia.
Infine, il dividendo non costituisce un componente di reddito rilevante ai fini Irap, in capo alla Società A, in base alle diposizioni dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446/1997 (c.d. “Legge Irap”).
6. La distribuzione di riserve di capitali
Ai sensi dell’articolo 86, comma 5-bis, del Tuir, «nelle ipotesi dell’articolo 47, commi 5 e 7 , costituiscono plusvalenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni».
Pertanto, fino a concorrenza del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta dalla società controllante italiana nella società francese, la distribuzione delle riserve di capitali non genera alcuna materiale imponibile ai fini Ires; solo l’eventuale eccedenza può generare una plusvalenza da assoggettare a tassazione, con imposizione al 24 per cento sull’intero importo della stessa.
Tuttavia, stante il richiamo a tale disposizione da parte dell’articolo 87, comma 6, del Tuir, l’eventuale plusvalenza può essere soggetta, ricorrendone i presupposti, al regime della c.d. “participation exemption” o “Pex” (con tassazione effettiva pari al 1,2 per cento ai fini Ires).
A tal riguardo, occorre precisare che il regime Pex si applica allorquando siano soddisfatti i seguenti requisiti:
- l’ininterrotto possesso della partecipazione dal primo giorno del dodicesimo mese precedente a quello dell’avvenuta cessione;
- l’iscrizione della partecipazione tra le Immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
- la residenza fiscale della società partecipata in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata. Tale requisito deve sussistere, ininterrottamente, sin dal primo periodo di possesso; tuttavia, per i rapporti detenuti da più di cinque periodi di imposta e oggetto di realizzo con controparti non appartenenti al gruppo del dante causa, è sufficiente che tale condizione sussista, ininterrottamente, per i cinque periodi d’imposta anteriori al realizzo stesso;
- l’esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale. Tale requisito deve sussistere dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo della partecipazione.
L’eventuale plusvalenza non costituisce un evento realizzativo ai fini Irap, in base alle diposizioni dell’articolo 5 della Legge Irap.
7. Conclusioni
Il TUP rappresenta una soluzione di sicuro interesse per i gruppi di società nei processi di riorganizzazione e razionalizzazione poiché consente di addivenire ad un trasferimento, in tempi rapidi, del patrimonio, senza l’onere di eseguire un procedimento di liquidazione o adempiere a tutti gli adempimenti tipici di una fusione transfrontaliera (ben più onerosa e lunga da un punto di vista temporale).
In aggiunta, la rapidità di esecuzione del TUP può consentire di rispondere tempestivamente alle ripercussioni derivanti dalla proposta di Direttiva sulle “shell companies”, razionalizzando la catena di controllo ove qualche entità intermedia (in genere esercente attività di holding di partecipazioni) non dovesse rispettare i requisiti di “sostanza economica”; circostanza, quest’ultima, che precluderebbe, ai flussi inter-company con il socio unico italiano, di accedere ai benefici fiscali dei Trattati contro le doppie imposizioni e delle Direttive Europee.
Tuttavia, per quanto gli effetti di tale operazione siano paragonabili, di fatto, a quelli di una fusione (con l’assegnazione delle attività e delle passività direttamente trasferite in capo al socio controllante), da un punto di vista fiscale, nel silenzio della normativa italiana, l’Amministrazione finanziaria italiana ha recentemente affermato che il TUP «non può essere qualificato come fusione così come definita dalla legislazione civilistica italiana dagli articoli 2501 e seguenti del codice civile ed è istituto proceduralmente distinto dalla fusione di diritto europeo», ritenendo quindi applicabili, almeno ai fini delle imposte indirette (ove siano trasferimenti beni immobili ubicati in Italia), le regole impositive tipiche dello scioglimento delle società di capitali e non quelle delle fusioni (cfr. Risposta n. 81/2024).
Inoltre, aderendo all’orientamento dell’Amministrazione finanziaria italiana, troverebbero applicazione, anche ai fini delle imposte dirette, le regole ordinarie sullo scioglimento delle società, i.e., l’imposizione al 5 per cento ai fini Ires, in capo alla società italiana, tipica delle distribuzioni di riserve di utili e delle riserve di capitali (in quest’ultimo caso, ove sussistenti i requisiti Pex).
Inoltre, col TUP non dovrebbero riscontrarsi criticità circa l’applicazione della Direttiva madre-figlia, in ordine all’esenzione da ritenuta in Francia sui flussi di dividendi in uscita, in base ad un’interpretazione sistematica della normativa europea, che non dovrebbe trovare limitazioni per le distribuzioni intervenute in occasione di procedure di liquidazione.
[1] Come noto, l’iniziativa mira ad ostacolare quelle società, residenti ai fini fiscali all’interno dell’Unione Europea, dotate di una struttura organizzativa c.d. “leggera” (in termini, ad esempio, di personale, locali e attrezzature), non esercenti un’effettiva attività economica e prive di autonomia decisionale, ma che accedono ai benefici fiscali dei Trattati contro le doppie imposizioni e delle Direttive Europee.
A tali fini, la proposta di Direttiva mette nel mirino le società considerate più a rischio ai fini del buon funzionamento del mercato unionale, che presentano le seguenti caratteristiche (i c.d. “indici di allerta”):
- più del 75% dei componenti positivi di reddito ricade tra i “passive income”;
- più del 60% del valore contabile dei beni immobili o dei beni mobili usati per scopi privati di valore superiore ad Euro 1 milione si trova in uno Stato membro diverso da quello di residenza della società, oppure almeno il 60% del reddito connesso a tali tipologie di asset deriva da operazioni cross border;
- le attività di gestione ordinarie, nonché le decisioni su funzioni significative, sono date in outsourcing.
Ebbene, se una società soddisferà tali requisiti, essa avrà l’obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi (il c.d. “obbligo di reporting”) la presenza o meno di tre “indicatori di sostanza”: (a) il possesso o l’utilizzo di locali nello Stato membro di residenza; (b) la detenzione di almeno un conto bancario attivo nell’Unione Europea e (c) la presenza di amministratori o dipendenti con effettivo potere di amministrazione o gestione.
La mancata presenza di tali indicatori determinerà la presunzione di “società di comodo” e comporterà, inter alia, il disconoscimento in capo alla stessa dei benefici fiscali derivanti dai Trattati e dalle Direttive Europee. In aggiunta, è previsto lo scambio di informazioni tra gli Stati membri, in modo che le Amministrazioni finanziarie siano a conoscenza dei dati relativi alle società di comodo, ai loro soci e alle cause esimenti addotte per attestare la loro sostanza economica.
[2] In base a tale articolo, «La réunion de toutes les parts sociales en une seule main n’entraîne pas la dissolution de plein droit de la société. Tout intéressé peut demander cette dissolution si la situation n’a pas été régularisée dans le délai d’un an. Le tribunal peut accorder à la société un délai maximal de six mois pour régulariser la situation. Il ne peut prononcer la dissolution si, au jour où il statue sur le fond, cette régularisation a eu lieu.
L’appartenance de l’usufruit de toutes les parts sociales à la même personne est sans conséquence sur l’existence de la société.
En cas de dissolution, celle-ci entraîne la transmission universelle du patrimoine de la société à l’associé unique, sans qu’il y ait lieu à liquidation. Les créanciers peuvent faire opposition à la dissolution dans le délai de trente jours à compter de la publication de celle-ci. Une décision de justice rejette l’opposition ou ordonne soit le remboursement des créances, soit la constitution de garanties si la société en offre et si elles sont jugées suffisantes. La transmission du patrimoine n’est réalisée et il n’y a disparition de la personne morale qu’à l’issue du délai d’opposition ou, le cas échéant, lorsque l’opposition a été rejetée en première instance ou que le remboursement des créances a été effectué ou les garanties constituées.
Les dispositions du troisième alinéa ne sont pas applicables aux sociétés dont l’associé unique est une personne physique».
[3] Per quanto riguarda l’ordinamento tedesco, occorre fare riferimento all’articolo 712a del Codice civile tedesco, a mente del quale: «Verbleibt nur noch ein Gesellschafter, so erlischt die Gesellschaft ohne Liquidation. Das Gesellschaftsvermögen geht zum Zeitpunkt des Ausscheidens des vorletzten Gesellschafters im Wege der Gesamtrechtsnachfolge auf den verbleibenden Gesellschafter über. In Bezug auf die Rechte und Pflichten des vorletzten Gesellschafters sind anlässlich seines Ausscheidens die §§ 728 bis 728b entsprechend anzuwenden».
In base all’articolo 1865-bis del Codice civile lussemburghese: «La réunion de toutes les parts sociales en une seule main n’entraîne pas la dissolution de la société. Tout intéressé peut demander cette dissolution si la situation n’a pas été régularisée dans le délai d’un an. Le tribunal peut accorder à la société un délai maximal de six mois pour régulariser la situation. Il ne peut prononcer la dissolution si, au jour où il statue sur le fond, cette régularisation a eu lieu.
L’associé entre les mains duquel sont réunies toutes les parts d’une société peut dissoudre cette société à tout moment.
L’appartenance de l’usufruit de toutes les parts sociales à la même personne est sans conséquence sur l’existence de la société.
En cas de dissolution, celle-ci entraîne la transmission universelle du patrimoine de la société à l’associé unique, sans qu’il y ait lieu à liquidation. Les créanciers peuvent, dans les 30 jours à compter de la publication de la dissolution, demander au président du tribunal d’arrondissement statuant comme en matière de référé, la constitution de sûretés. Le président ne peut écarter cette demande que si le créancier dispose de garanties adéquates ou si celles-ci ne sont pas nécessaires compte tenu du patrimoine de l’associé».
In aggiunta, l’articolo 1100-1, paragrafo 2, della Legge 10 agosto 1915 prevede che «tout acte de dissolution volontaire par la réunion de toutes les parts en une seule main doit, à peine de nullité, être accompagné par des attestations établies par :
1° le Centre d’informatique, d’affiliation et de perception des cotisations commun aux institutions de sécurité sociale ;
2° l’Administration des contributions directes ;
3° l’Administration de l’enregistrement et des domaines ;
attestations dont il ressort que la société est en règle avec ses obligations relatives au paiement des cotisations de sécurité sociale, des impôts et taxes à une date qui ne peut être ni antérieure de trois mois au jour de l’acte de dissolution ni postérieure à l’acte de dissolution».
[4] Invece, se il socio unico è una persona fisica, la procedura TUP non è applicabile e la società deve essere sciolta anticipatamente e poi liquidata in via extragiudiziale.
[5] Ad analoga conclusione dovrebbe giungersi applicando la disciplina del TUP secondo la normativa tedesca e lussemburghese, che non recano limitazioni circa il socio unico estero. Sul punto si veda anche D. BISMUTH e J. ROULETTE, Dissolution sans liquidation ou fusion simplifiée, quel instrument de réorganisation privilégier ?, Le Monde du droit del 21 marzo 2022.
[6] Lo schema procedurale riportato nel corpo del testo di seguito alla presente nota costituisce una sintesi delle indicazioni e delle istruzioni fornite dalla stessa Amministrazione Francese a mezzo del sito https://entreprendre.service-public.fr/, sito ufficiale per le informazioni e le procedure amministrative per le società di diritto francese, direttamente gestito da https://www.data.gouv.fr/fr/, piattaforma pubblica di raccolta dati curata dai Ministeri francesi degli Interni, delle Finanze, della Sanità, della Pubblica Istruzione e della Funzione Pubblica. La piattaforma è open source e i dati sono verificati dalla CNIL (“Commission nationale de l’informatique et des libertés“), autorità amministrativa indipendente che vigila sulla corretta applicazione della legge sulla tutela dei dati personali nei casi in cui si effettuino raccolte, archiviazioni ed elaborazioni di dati personali, ai sensi della Legge n. 78-17 del 6 gennaio 1978; essa è formata da 17 membri , fra cui i rappresentanti dell’Assemblée Nationale e del Sénat).
[7] Nell’ordinamento italiano, nessun creditore può opporsi allo scioglimento e lo scioglimento “senza liquidazione” ricorre allorquando una società di persone non ha né creditori, né debitori sociali e l’attivo è già stato interamente ripartito o liquidato.
[8] Tuttavia, alcuni contratti non vengono trasferiti automaticamente all’azionista unico e si estinguono al più tardi con lo scioglimento della società. Questi contratti sono i seguenti: contratto di garanzia, contratto di franchising e contratto di agenzia; è però possibile estendere questi contratti esistenti se l’altro contraente è d’accordo. Inoltre, il contratto di locazione commerciale deve essere trasferito al socio unico beneficiario del TUP.
[9] A tal riguardo, il socio unico deve indicare chiaramente questa scelta nella decisione di scioglimento della società.
[10] Si riportano, qui di seguito, i passaggi di interesse della Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati Membri diversi:
- “considerando che il regime fiscale comune deve evitare un’imposizione all’atto di una fusione, di una scissione, di un conferimento d’attivo o di uno scambio di azioni, pur tutelando gli interessi finanziari dello Stato cui appartiene la società conferente o acquisita“;
- “considerando che, per quanto riguarda le fusioni, le scissioni e i conferimenti di attivo, queste operazioni avranno di regola come risultato la trasformazione della società conferente in una stabile organizzazione della società beneficiaria del conferimento o l’integrazione dell’attivo in una stabile organizzazione di quest’ultima società“;
- “considerando che il sistema del riporto dell’imposizione delle plusvalenze inerenti ai beni conferiti, fino alla loro effettiva realizzazione, applicato ai beni inerenti a detto stabilimento permanente, consente di evitare un’imposizione delle plusvalenze corrispondenti, pur garantendo la loro successiva imposizione da parte dello Stato della società conferente, all’atto della loro realizzazione“;
- Ai fini dell’applicazione della presente direttiva, si deve intendere per:
a) fusione: l’operazione mediante la quale:
– una o più società trasferiscono, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad altra società preesistente, mediante l’assegnazione ai loro soci di titoli rappresentativi del capitale sociale dell’altra società ed eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10 % del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile di tali titoli;
– due o più società trasferiscono, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del loro patrimonio, attivamente e passivamente, ad una società da esse costituita, mediante l’assegnazione ai propri soci di titoli rappresentativi del capitale sociale della nuova società ed eventualmente di un saldo in contanti non eccedente il 10 % del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile di tali titoli;
– una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio, attivamente e passivamente, alla società che detiene la totalità dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale;
c) conferimento d’attivo: l’operazione mediante la quale una società conferisce, senza essere sciolta, la totalità o uno o più rami della sua attività ad un’altra società, mediante consegna di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria del conferimento;
[11] Angelici, “La riforma delle Società di Capitali – Lezioni di diritto commerciale” Milano, 2006.
[12] Angelici, ibid., Lezione XII, p. 221.
[13] Il tema (cfr. ancora Angelici, ibid., Lezione XII, p. 218 ss.) è riassumibile come segue: la riorganizzazione dell’attività di impresa fra i soci ha, come chiave ermeneutica, il concetto secondo cui la messa in comunione della ricchezza è strumento e non fine dell’esercizio dell’attività di impresa, ragion per cui il principio di continuità aziendale – che trova il suo apogeo proprio nelle operazioni straordinarie – esclude ogni profilo successorio civilisticamente inteso, mentre assume a presupposto un profilo identitario di cui, appunto, la ricchezza comune è “mezzo” e non “fine”. Esempio di ciò è la comunione d’azienda, che può essere anche incidentale (in quanto originata, quella sì, da una vicenda successoria morti causa), che costituisce una comunione di ricchezza e di mezzi, ma che non è esclusa dal novero dei soggetti “trasformabili”; sul punto è intervenuto, a più riprese autorevole dottrina (ex multis, Maltoni, La trasformazione di società di capitali in comunione d’azienda e viceversa, in Maltoni – Tassinari, La trasformazione delle società, Milano, 2011, 363 ss.; Spada, Dalla trasformazione delle società alle trasformazioni degli enti ed oltre, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, v. III, t. III, Milano, 2005, 3879 ss.) anche il Consiglio Nazionale del Notariato (ex multis Studio n.63-2023/PC “La continuazione dell’attività d’impresa e la partecipazione di incapaci in società” ove si legge: “Deve, peraltro, segnalarsi come, in linea generale, la trasformazione di una comunione d’azienda in società costituisca un’alternativa alla costituzione di una società con conferimento d’azienda, strade ugualmente percorribili e, dunque, la cui scelta rappresenta l’esito della valutazione degli interessi di cui ciascuna parte è portatrice. Si tratta, infatti, di operazioni volte entrambe a consentire «ai comproprietari di un’azienda di adottare le regole di organizzazione di una società, e quindi imprimere un vincolo di destinazione al patrimonio aziendale»” ).
[14] Angelici, ibid., Lezione XII, p. 222: “Da un punto di vista generale […] potrebbe ritenersi opinabile l’equazione che assimila conferimento e trasferimento, dubitarsi che non si tratti di una “destinazione” dei beni aziendali il cui profilo traslativo è veramente assente”, ciò perché, con la riforma, si è affermata la concezione della società non più come una forma organizzativa di soggetti o di ricchezza, bensì della attività, oggettivamente considerata. A conferma di tale profilo, si consideri come il legislatore della riforma abbia espressamente equiparato – seppur con una formulazione letterale poco felice – la destinazione e il conferimento negli artt. 2447-bis ss. cod.civ, ove, ancora una volta, si rileva la perdita di rilevanza dell’identità del soggetto conferente, prevalendo invece il profilo della destinazione (scil. nella qualificazione causale dell’operazione).
[15] Emblematico e dirompente – non può essere taciuto – è l’esempio rappresentato dalla Sentenza della Corte di Cassazione a S.U. 21970 del 30 luglio 2021, che tuttavia va letta con coscienza critica, senza attribuire alla stessa un valore dirimente di “marcia indietro” rispetto a quanto evidenziato.
[16] Si fa riferimento, ovviamente, al diritto tedesco; innegabile il legame che esiste tra i due sistemi: basti pensare al recepimento nel nostro Codice dei sistemi di governance tipici della dottrina tedesca (i.e. il sistema dualistico). Il principio di continuità si ravvede con chiarezza nelle valutazioni, operate dalla dottrina e giurisprudenza tedesca, del Umwandlungsgesetz del 1994, che prevede, ad esempio, che la trasformazione possa avvenire mediante mero Formwechsel (§ 191). Sul punto, chiaramente Angelici, ibid. p. 219.
[17] A tal riguardo, l’istante ha precisato di aver acquistato gli immobili da soggetti non soggetti passivi Iva e che l’acquisto è stato tassato con imposta di registro e che lo stesso non ha costruito, né eseguito, sugli immobili in oggetto interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c), d) e f), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[18] Sul punto, si veda il commento di A. MEROLLE e M. BETTARINI, Esenzione da ritenuta in caso di liquidazione di una holding italiana con beneficiarie estere, Il Sole 24 Ore, Norme Tributi Plus, del 20 luglio 2023.
[19] Vedasi la nota precedente.