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Attualità

Lo sciopero occulto nell’ultimo orientamento della Cassazione

13 Giugno 2024

Fabrizio Morelli, Partner, Responsabile del Dipartimento di Diritto del Lavoro, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del c.d. sciopero occulto, ovvero mascherato da fittizie astensioni individuali, alla luce dell’ultimo orientamento espresso dalla Cassazione con sentenza del 14 maggio 2024 n. 13181.


Il diritto di sciopero è stato ultimamente oggetto di forti discussioni – anche politiche – incentrate, soprattutto, sulle sue tutele e sulla possibilità di limitarne l’esercizio e gli effetti.

Il riferimento è alle vicende che, nel novembre dello scorso anno, hanno riguardato il settore dei trasporti e l’intervento (ordinanza) ministeriale che ne limitò l’esercizio (c.d. precettazione).

Di recente, la Corte di Cassazione si è pronunciata, con sentenza del 14 maggio 2024 n. 13181, in merito a un’interessante vicenda di massivo astensionismo individuale e mascherante un’ipotesi di sciopero occulto.

La vicenda sullo sfondo, oltre ad avere avuto una grande risonanza mediatica all’epoca dei fatti, è molto particolare riguardando un singolare intervento della Commissione di Garanzia volto a frenare l’esercizio del diritto di sciopero, nella notte del Capodanno 2015, da parte dei lavoratori della Polizia Locale del Comune di Roma.

Ma procediamo con ordine al fine di inquadrare correttamente la vicenda nel (complesso) paradigma del diritto di sciopero.

Lo sciopero in Italia

Lo “sciopero” è un diritto costituzionalmente tutelato (art. 40, Cost.) e consiste nell’astensione collettiva di una pluralità di lavoratori dall’esecuzione della prestazione lavorativa (con assenza di retribuzione per le ore o i giorni non lavorati).

La Costituzione specifica che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano; tuttavia, tale previsione non ha mai avuto una regolamentazione normativa di dettaglio.

Vi sono comunque tutele molto forti a favore di coloro che scioperano al fine di evitare che gli stessi siano bersaglio di ritorsioni o condotte (datoriali) che possano in qualche modo comprimere il loro diritto di scegliere liberamente se aderire o meno a uno sciopero.

Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

Una regolamentazione particolare è prevista per i casi in cui lo sciopero sia invocato nell’ambito dei c.d. servizi pubblici essenziali, ossia quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati (i.e. vita, salute, libertà e sicurezza, libertà di circolazione, etc.).

In tali ambiti, vi sono particolari regole per la proclamazione dello sciopero che impongono ad esempio un preavviso minimo, la forma scritta, informazioni su durata e modalità di attuazione, motivazioni dell’astensione collettiva dal lavoro. Le sigle sindacali devono altresì concordare con le aziende (fornitrici dei servizi) le prestazioni indispensabili e garantite nonostante lo sciopero.

In caso di mancato accordo tra sindacati ed aziende circa le prestazioni indispensabili, ruolo primario spetta alla c.d. Commissione di Garanzia (Autorità amministrativa indipendente istituita dalla legge n. 146/1990) la quale ha il preciso compito di garantire l’equo contemperamento degli interessi sottostanti all’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei succitati diritti (e la fruibilità dei relativi servizi) costituzionalmente garantiti.

In caso di pericolo di un pregiudizio grave e imminente cagionato dallo sciopero nei servizi pubblici essenziali, la Commissione di Garanzia può intervenire per invitare le parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo: viene dapprima esperito un tentativo di conciliazione e, se il tentativo fallisce, vengono adottate – con ordinanza – le misure necessarie a prevenire il pregiudizio.

Ed è proprio questo l’aspetto su cui insiste la vicenda di cui alla sentenza in commento, ossia, il ruolo negoziale che spetta alle parti (sindacati e Commissione di Garanzia),teso alla ricerca di soluzioni contemperanti, da un lato il diritto (collettivo) dei lavoratori e, dall’altro, la continuità dei servizi pubblici essenziali.

Di seguito i tratti principali della pronuncia della Cassazione in termini di sciopero “occulto” ed intervento della Commissione di Garanzia.

La sentenza della Corte di Cassazione

La sentenza della Corte di Cassazione in commento (n. 1385/2024) è significativa in quanto con essa, oltre al giudizio sulla vicenda in esame, i Giudici hanno colto l’occasione per l’affermazione di un principio di diritto in relazione allo spinoso tema dello sciopero occulto (ossia, mascherato da fittizie astensioni individuali).

I fatti muovono da una sanzione ad opera della Commissione di Garanzia, ai sensi dell’art. 4, co. 2, della L. n. 146 del 1990, la quale aveva disposto la sospensione del pagamento dei contributi associativi a favore di alcune sigle sindacali, per un ammontare di € 20.000,00, perché ritenute responsabili, insieme ad altre associazioni sindacali, “della preordinata e anomala astensione collettiva in violazione delle disposizioni normative sull’esercizio del diritto di sciopero, concretizzatasi nelle massicce assenze dei lavoratori della Polizia Locale del Comune di Roma nella notte tra il 31.12.2014 ed il 1.1.2015”.

La vicenda si inserisce nel contesto di contrasti tra le organizzazioni sindacali e i dipendenti della Polizia Municipale, da un lato ed il Comune di Roma, dall’altro.

La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale (di Roma), ha rigettato il ricorso proposto dalle organizzazioni sindacali ricorrenti e, dunque, confermato la legittimità dell’operato della Commissione di Garanzia.

A supporto della propria decisione, i Giudici d’Appello hanno ritenuto provato che, nonostante la revoca di assemblee originariamente indette dai sindacati, “fosse stato mantenuto uno stato di agitazione che veniva desunto dal fatto che non era stato revocato l’invito ai lavoratori ad astenersi dall’adesione allo straordinario volontario per i turni di fine anno”.

Ciò è stato desunto sia dalle modalità temporali con cui si era avuta la revoca delle predette assemblee sia da un comunicato in forma congiunta con cui venivano preannunciate ulteriori forme di lotta (sindacale).

In sostanza, a parere della Corte territoriale, non v’è stato alcun intervento “realmente dissuasivo” da parte dei sindacati.

Inoltre, la Corte territoriale ha evidenziato “il dato statistico, tale per cui i permessi per il 31.12 erano quasi raddoppiati rispetto agli anni precedenti e le assenze per malattia erano più che quintuplicate, sostenendo che l’elevato tasso di incremento non rendesse verosimile il risalire dell’accaduto a reali stati patologici e rimarcando che più della metà dei lavoratori assenti era iscritto ad una delle OO.SS. sanzionate, segno palese della influenza di esse sui lavoratori”.

Pertanto, anche sulla scorta di tali singolari e convergenti comportamenti individuali, la sentenza d’appello è stata netta nel ritenere che “non potessero residuare dubbi sul fatto che, nella notte del 31.12.2014, si fosse realizzata un’astensione collettiva dal lavoro per motivi sindacali promossa attraverso l’azione congiunta di tutte le sigle coinvolte”.

A fronte di tali motivazioni e ritenendo che, ai fini del giudizio di legittimità, la prima questione da affrontare fosse incentrata sulla natura fittizia delle giustificazioni addotte dai lavoratori per assentarsi dal lavoro, la Cassazione ha affermato che “quanto accertato dalla Corte d’Appello è che le giustificazioni delle malattie fossero fittizie e quindi esse avessero il fine di realizzare l’effetto dell’astensione dal lavoro con assenza del servizio, senza far apparire che si attuava in tal modo una protesta a fini di rivendicazione lavoristica ed un incremento significativo di assenze risulta esservi stato anche con riguardo ai permessi. Il manifestarsi di assenze per malattia fittizie, evidentemente, se vero, riporta di per sé appieno, per quanto sopra detto, nell’alveo dello sciopero, con l’aggravante del tentativo di un occultamento di esso a fini elusivi delle regole di tutela della collettività che lo riguardano quando si interferisca con servizi pubblici essenziali”.

Su questo primo punto di fatto, la Corte territoriale ha argomentato evidenziando:

  • il rilevante incremento statistico delle assenze rispetto al corrispondente periodo degli anni precedenti;
  • l’assenza di elementi atti a dimostrare l’esistenza di picchi epidemici in quel frangente temporale;
  • la rilevante convergenza dei comportamenti dei lavoratori nel medesimo lasso di tempo di riferimento e nel contesto di una situazione di conflittualità sindacale.

I giudici d’appello hanno dunque valorizzato tali elementi e, facendo ricorso a ragionamenti presuntivi, hanno individuato tutti i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge.

Un’operazione deduttiva molto peculiare che, però, stando a consolidati orientamenti giurisprudenziali può appartenere alle corti di merito e non può applicarsi (né sindacarsi) in sede di legittimità. Invero, “i principi in tema di presunzioni sono del resto consolidati, nel senso che, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 5 agosto 2021, n. 22366)”.

In ogni caso, a parer della Cassazione, i dati valorizzati dalla Corte territoriale sonoindubbiamenteprecisi, gravi e concordanti e dunque validi presupposti per la decisione assunta.

Peraltro, sui motivi che hanno determinato l’astensione lavorativa, la Corte d’Appello ha argomentato “escludendo che si potesse essere trattato di ragioni “soggettive” dei singoli lavoratori e per fare ciò ha:

  • sostanzialmente escluso il mero intento di riposarsi evidenziando come fosse in tal caso più ragionevole attendersi una tempestiva richiesta di ferie;
  • evidenziato il convergere del fenomeno di quei plurimi comportamenti individuali realizzati sin dal 29 dicembre, ovverosia nel periodo (il fine anno) cui avevano fatto riferimento le prospettate iniziative sindacali dei conflitti pregressi del dicembre di quell’anno”.

A parer della Cassazione, anche stavolta, trattasi di “ragionamento indiziario fondato su elementi chiari, che esprime un non implausibile convincimento di merito” e per il quale valgono dunque le considerazioni sopra esposte.

Non v’è dunque dubbio, anche in sede di legittimità, che si sia verificata “un’astensione collettiva a fini sindacali in occasione dell’ultimo dell’anno/Capodanno 2014/2015, in Roma”.

Una volta accertato ciò, il passaggio immediatamente successivo, è quindi rappresentato dai profili di responsabilità delle organizzazioni sindacali per aver organizzato e promosso l’astensione collettiva dal lavoro di cui si è detto.

A tal fine, la Corte territoriale ha ricostruito tutti i comunicati nonché le dichiarazioni espresse sui social media dall’inizio del periodo di agitazione sindacale fino alla cessazione dell’astensione dal lavoro e, da ciò, ha desunto “l’esistenza di un indirizzo delle organizzazioni sindacali ai lavoratori “perché si astenessero dal prestare la propria opera nella notte del 31 dicembre”.

Conclusioni della Corte di Cassazione

Infine, sulla prova di appartenenza degli astenuti (scioperanti) alle singole organizzazioni sindacali, nei giudizi di merito si è positivamente accertato che più della metà degli assenti fosse iscritto ad almeno una delle sigle interessante. Con la precisazione per cui, a parer della Corte di Cassazione,una volta organizzato e promosso uno sciopero da parte di una certa organizzazione sindacale, non ha rilievo che chi partecipi sia ad essa iscritto, contando solo il nesso causale tra quell’iniziativa e il comportamento dei lavoratori che vi hanno dato attuazione. Rileva cioè la capacità di fatto delle sigle promotrici di trovare adepti rispetto all’iniziativa assunta e non la formale appartenenza sindacale di questi ultimi”.

La Cassazione ha concluso, dunque, respingendo i ricorsi delle organizzazioni sindacali e confermando la statuizione del grado di giudizio precedente con contestuale affermazione del seguente principio di diritto: “nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, costituisce sciopero, come tale soggetto alla disciplina di cui alla legge n. 146 del 1990, l’astensione dal lavoro che si realizzi, a fini di rivendicazione collettiva, mediante presentazione di certificazioni mediche che, secondo l’accertamento del giudice del merito, risultino fittizie e finalizzate a giustificare solo formalmente la mancata presentazione al lavoro, senza reale fondamento in un sottostante stato patologico, ma in realtà siano da collegare ad uno stato di agitazione volto all’astensione collettiva dal lavoro nella sostanza proclamato dalle OO.SS. in modo ‘occulto’”.

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