Lo “scudo fiscale” è opponibile ad un accertamento tributario anche se il contribuente non prova che le attività “scudate” non fossero già detenute all’estero in epoca antecedente al periodo di imposta oggetto del controllo.
Perché lo “scudo fiscale” sia opponibile è sufficiente la residenza del contribuente, la effettività della detenzione fuori del territorio dello Stato delle attività finanziarie o patrimoniali indicate nella dichiarazione riservata, fino al 31 dicembre 2008, la effettività del rimpatrio o regolarizzazione, la circostanza che al contribuente non sia stata già constatata la violazione degli obblighi dichiarativi della detenzione o della movimentazione delle attività patrimoniali e finanziarie all'estero, e non siano iniziati accessi, ispezioni o verifiche o altre attività di accertamento fiscale.
Afferma la Commissione tributaria provinciale di Rimini che, per poter convincere chi aveva portato o aveva lasciato i propri capitali all’estero e rendere per loro conveniente un rimpatrio del genere, era inevitabile offrire loro uno "scudo" che li proteggesse dalle pretese del Fisco con riferimento alle attività che rientravano, perché, altrimenti, ricorrere alla procedura in questione sarebbe stato come autodenunciarsi quale evasore o quanto meno quale contravventore alle norme sulla esportazione di capitali.
Nel caso oggetto della sentenza, l’Ufficio non contestata al contribuente la mancanza di uno dei presupposti sopra indicati, ma solo la carenza di prova che le attività dichiarate non fossero già detenute in epoca antecedente al periodo d'imposta oggetto di controllo e ciò in forza di una affermazione contenuta nella circolare 52/E dell'8 ottobre 2010 secondo cui dovrebbe sussistere anche questo elemento. Mancava, per l’Ufficio, la riconducibilità delle somme “scudate” alle somme accertate.
L'affermazione è però priva di qualsiasi riscontro normativo o logico.
Infatti in nessun articolo del citato D.l. 78/2009 e nemmeno del D.l. 350/2001 si trova una indicazione di un temine iniziale di presenza del deposito all'estero come presupposto della regolarizzazione e quindi della preclusione.
Ma anche a prescindere dalla lettera della norma non sussiste nemmeno alcuna ragione logica per sostenere che attività già esistenti prima del 1° gennaio 2005 non potessero essere rimpatriate e quindi dovessero essere di ostacolo alla preclusione. Invero l'interesse dello Stato era che emergessero quante più attività era possibile: non è dubbio che la norma preveda la preclusione anche per attività antecedenti.
Pertanto, la Commissione tributaria di Rimini conclude che avendo il contribuente regolarmente beneficiato dello "scudo fiscale" per le attività detenute all'estero negli anni precedenti il 2008, al Fisco era precluso effettuare accertamenti per l'anno 2005, con la conseguenza che l'avviso notificato deve ritenersi illegittimo.