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Editoriali

Luci e ombre del Meccanismo unico di vigilanza a dieci anni dalla sua introduzione

20 Maggio 2024

Marcello Clarich

Professore Ordinario di Diritto Amministrativo, Sapienza Università di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Per operare un bilancio dei primi dieci anni del Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism), è necessario accennare preliminarmente alle ragioni che hanno portato all’approvazione del Regolamento UE n. 1024/2013 che lo ha istituito, nonché alle finalità che quest’ultimo intendeva perseguire.

Com’è noto, la crisi finanziaria scoppiata a livello mondiale a partire dal 2008 è stata all’origine di questa riforma che fu subito definita come “una pietra miliare nella costruzione europea, non meno importante della moneta unica e del vincolo del pareggio di bilancio[1].

Il Regolamento devolve infatti alla Banca centrale europea (BCE), sottraendoli alle autorità di vigilanza nazionali, ampi poteri di regolazione e amministrativi nei confronti dei principali enti creditizi. Viene applicato per la prima volta e in modo particolarmente estensivo l’art. 127, par. 6, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che consente al Consiglio, deliberando all’unanimità, l’attribuzione alla BCE “compiti specifici” in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi.

Solo la necessità impellente di prevenire le crisi bancarie con effetti sistemici sull’intero sistema e che rischiavano di travolgere anche gli Stati membri maggiormente indebitati e a rischio di insolvenza, consentì in quel momento storico di superare la ritrosia di molti Stati membri ad accentrare a livello europeo la vigilanza bancaria. Infatti dare attuazione concreta alla clausola del Trattato, come ipotizzato dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea già nel 2000 e nel 2002, significava, nella sostanza, rinunciare a quello che è in realtà un pezzo di sovranità attribuendo alla BCE di poteri amministrativi ampiamente discrezionali e relegando le autorità di vigilanza nazionali a un ruolo secondario, limitato ai rapporti con gli istituti di credito minori.

I poteri della BCE incidono sull’operatività e talora sulla stessa vita dei maggiori istituti di credito[2], cioè di quello che può essere considerato come sistema linfatico dell’economia di mercato senza il quale quest’ultima non potrebbe funzionare. E si tratta di poteri che sono attribuiti organismo indipendente, sganciato del tutto dal circuito politico rappresentativo e dunque non legittimato democraticamente, e che, come dimostra l’esperienza di questo decennio, sono difficilmente insindacabili in sede giurisdizionale.

In realtà, come prima risposta alla crisi del 2008, venne istituita nel 2011 l’Autorità bancaria europea (ABE), con funzioni essenzialmente di promozione di un quadro omogeneo di regole, cioè di  un single rule book, e di diffusione delle buone prassi di vigilanza nel settore bancario allo scopo di assicurare parità di condizioni concorrenziali e una tutela maggiore dei risparmiatori.

Ma si trattò di una risposta insufficiente rispetto alla gravità dei problemi che si erano intensificati nel 2011 coinvolgendo paesi come la Spagna, il Portogallo e l’Italia nei quali si stava innescando il cosiddetto doom loop  tra rischi bancari e rischi sovrani. Per un  verso, infatti, le crisi bancarie domestiche si riflettono negativamente sulle finanze pubbliche dei singoli Stati a causa delle misure di salvataggio a carico del bilanci pubblici e ciò aumenta il rischio di insolvenza degli Stati membri maggiormente indebitati;  per altro verso, il deprezzamento dei titoli pubblici dovuto al rischio di insolvenza del paese si riflette negativamente nei bilanci delle banche detentrici di quantitativi elevati di tali titoli e dunque sulla loro capacità di assorbire le perdite[3].

Venne dunque promossa una riforma ambiziosa come l’Unione Bancaria (Banking Union), della quale il quale il Meccanismo di vigilanza unico costituisce il primo tassello, ma che prevede anche altri due tasselli: un Meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie con effetti sistemici  (il Single Resolution Mechanism entrato in vigore all’inizio del 2016), nonché  un sistema europeo di garanzia dei depositi.  Quest’ultimo tassello è ancora da realizzare a causa della difficoltà degli Stati membri ad accettare, in una visione solidaristica, la condivisione a livello europeo dei rischi e degli oneri conseguenti alle crisi bancarie che in ultima analisi grava sui propri taxpayers.

Quanto alle finalità perseguite dal Regolamento n. 1024 esse consistono nel promuovere la stabilità del sistema bancario nel suo complesso istituendo un sistema di vigilanza prudenziale accentrato. Più specificamente, come precisato nei considerando del testo normativo, il Regolamento mira  contrastare la frammentazione dei mercati finanziari a livello europeo che minacciava di compromettere l’integrità della moneta unica e del mercato interno; a superare gli atteggiamenti troppo tolleranti (forbearance) da parte dei regolatori di ciascun paese soprattutto nei confronti delle banche nazionali di maggior dimensione; a rompere il legame a doppio filo che lega la crisi di istituzioni finanziarie che detengono quantitativi elevati di titoli pubblici a quella dei debiti sovrani (il doom loop).

A dieci anni di distanza dall’entrata in vigore del Regolamento n. 1024 il bilancio che si può trarre è a chiaroscuro.

Certamente non è stata superata la frammentazione del sistema bancario nell’area euro, come sottolineato in una recente intervista da Andrea Enria, già presidente dell’ABE e attualmente presidente del Consiglio di vigilanza della BCE[4]. Il sistema bancario è rimasto infatti è una mera “collection of national banking sectors”.

In primo luogo, in assenza di un sistema europeo di garanzia dei depositi, in caso di crisi la percezione del rischio di insolvenza delle banche nazionali dipende soprattutto dalla solidità dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi, sia pur armonizzati dalla direttiva 141/49/EU e dal backstop di ultima istanza del singolo Stato membro.

Inoltre, nel decennio scorso non si è verificata una significativa integrazione crossborder dei gruppi bancari. Ciò riduce la possibilità di un risk sharing privato consistente nel fatto che le perdite subite in uno Stato membro, la cui economia reale versi in una situazione difficoltà dovuta a una fase di recessione, possono essere sostenute all’interno della banca a dimensione europea dagli utili conseguiti in un altro Stato membro. Come ha avuto modo di rilevare l’allora presidente della BCE, Mario Draghi, fin tanto che le banche mantengono una dimensione prevalentemente nazionale ed erogano prestiti soprattutto a imprese locali, nelle fasi recessive del ciclo economico la loro capacità di erogare crediti a imprese sane si riduce molto più di quanto accadrebbe nel caso una banca cross-border[5].

Il mancato conseguimento dell’obiettivo di realizzare un mercato bancario europeo integrato è dovuto peraltro anche all’assenza un vero mercato europeo dei capitali che consentirebbe alle banche europee di gestire in modo più efficiente i propri bilanci,  con la possibilità di cartolarizzare i prestiti erogati e di distribuirli a livello europeo agli operatori di mercato attraverso strumenti liquidi.  Inoltre, quanto alla creazione di banche cross-border la diversità degli assetti normativi dei singoli Stati membri non consente economie di scala tali da incentivare le aggregazioni.

Una valutazione positiva va espressa invece con riferimento all’obiettivo di garantire la stabilità del sistema bancario a livello europeo.  Il decennio scorso ha visto infatti la BCE  impegnata a promuovere una maggior patrimonializzazione degli istituti di credito individuati come sottocapitalizzati all’esito del comprehensive assessment operato nel 2013-2014  (in particolare 25 banche di media dimensione)  e a effettuare le verifiche annuali effettuate secondo metodologie unificate secondo l’impostazione adottata nel 2014 nell’ambito del Supervisory Review and Evaluation Process (SREP). I principali indicatori sono così migliorati significativamente nel decennio con riguardo in particolare ai coefficienti patrimoniali (CET1) e di leva finanziaria, agli indici di copertura della liquidità (liquidity coverage ratio)  e al peso dei non-performing loans[6].

Il sistema bancario europeo è dunque oggi più stabile e robusto, come dimostrato anche dalla “resilienza” degli istituti di credito nella fase più critica della pandemia da Covid-19 nel corso delle quale essi non sono stati soltanto capaci di reggere la crisi, ma anche di continuare a sostenere l’economia reale senza interrompere il flusso dei finanziamenti. A questo fine nel 2020 la BCE approvò misure di flessibilità nell’utilizzo del capitale e della liquidità, richiedendo anche agli istituti di credito di non distribuire dividendi e di acquistare azioni proprie[7].

Inoltre, nel 2023 la crisi bancaria del Credit Suisse in Svizzera e quella della Silicon Valley Bank e a catena di altri istituti di credito negli Stati Uniti non hanno avuto ricadute negative significative sul sistema bancario europeo.

Per quanto riguarda l’obiettivo di superare gli atteggiamenti troppo tolleranti (forbearance) da parte delle autorità di vigilanza nazionali,  l’attribuzione dei poteri alla BCE ha accresciuto certamente la distanza tra vigilante e vigilato e ha anche contribuito a rendere più omogenee le prassi, in particolare, nella conduzione delle ispezioni  da parte di joint teams di funzionari provenienti da più Stati membri. Lo stile della vigilanza, basato su indicatori oggettivi, è mutato, rendendo peraltro talora difficili le interlocuzioni tra istituti di credito e uffici della BCE, come hanno potuto constatare alcune banche italiane in difficoltà, come, in particolare, il Monte dei Paschi di Siena.

Tra gli aspetti positivi può essere anche incluso il fatto che sia stata mantenuta all’interno della BCE una chiara separazione tra funzioni di politica monetaria affidate direttamente al Comitato esecutivo e le funzioni di vigilanza affidate al Single Supervisory Board, istituito come organo interno preposto all’applicazione del Regolamento n. 1024/2013, che di fatto è l’organo decisionale di ultima istanza, in quanto i suoi progetti di decisione sono sottoposti soltanto a un sistema di silenzio-assenso da parte del Comitato esecutivo.  Non si è dunque verificata una possibile contaminazione tra le due funzioni.

In definitiva sembra giustificato il giudizio espresso nel 2023 dalla Commissione europea secondo la quale, a conclusione di un’analisi particolareggiata dell’attività della posta in essere dalla BCE, in collaborazione con le autorità nazionali di vigilanza e, per quanto riguarda le crisi bancarie, con il Single Resolution Board, il Meccanismo di vigilanza unico “has devoleped into a mature organisation that is functioning well” [8].

Tuttavia, accanto al problema della perdurante frammentazione del sistema bancario europeo,  va sottolineato come le banche europee continuano a non reggere il confronto  con le banche americane quanto a profittabilità e attrattività da parte degli investitori[9]. Le cause sono molteplici e sono da ricondurre a un diverso dinamismo dell’economia in generale, ma anche all’assetto regolamentare e in particolare all’assenza di un mercato unico dei capitali e alle differenze normative presenti negli Stati membri in particolare in materia di procedure di liquidazione delle imprese.

In realtà il Meccanismo di vigilanza unico da solo non può risolvere tutti i problemi del sistema bancario europeo.  Nella prassi applicativa, per esempio, il parallelo Meccanismo di risoluzione unico, come dimostra anche il caso delle Banche Venete[10], non ha dato sempre risultati positivi. Non a caso è in corso un ripensamento del modello sollecitato nel 2022 dall’Eurogruppo in una dichiarazione sul completamento dell’Unione bancaria che include la proposta di consentire anche agli istituti di credito di dimensioni minori di essere ammessi alla risoluzione, evitando così la procedura di liquidazione [11].

Sempre nella prassi applicativa i confini tra le competenze dell’ABE e BCE hanno determinato in alcuni casi duplicazioni e incertezze, ma, del resto, fin dall’istituzione del Meccanismo di vigilanza unico da più parti era stata auspicato l’accentramento in capo alla BCE anche delle funzioni di regolazione dell’ABE[12].

Quanto al progetto della Capital Markets Union lanciato nel 2015, esso dovrebbe costituire una priorità nell’agenda legislativa 2024-2029 fissata a valle delle elezioni del Parlamento europeo in seguito all’impegno assunto dall’Eurogruppo l’11 marzo 2014 in parallelo a una analoga sollecitazione della BCE.

Anche il progetto di introdurre un sistema europeo di garanzia dei depositi potrebbe compiere qualche passo avanti, come indicato nella dichiarazione dell’Eurogruppo del 2022 sopra citata che ipotizza anche una armonizzazione delle procedure fallimentari nazionali.  In realtà, la percorribilità politica e istituzionale di un sistema di condivisione dei rischi bancari (risk sharing), come sottolineato  in un articolo dall’attuale cancelliere tedesco, Olaf Scholz[13], appare correlata al processo di progressiva riduzione di tali rischi (risk reduction), in parte già conseguita essendo ormai significativamente abbattuto, come sopra accennato, lo stock dei non perfoming loans, che minimizzi  la necessità di dover attingere ai fondi europei dovuta alle crisi bancarie.

Inoltre, il rischio del doom loop dovuto all’indebitamento eccessivo di alcuni Stati membri richiede regole come quelle poste dal Patto di stabilità e crescita introdotto nel 1997 più volte emendato, sospeso nella fase della pandemia da Covid-19 e da ultimo rivisto nell’impianto generale all’insegna di un miglior equilibrio tra rigore, flessibilità e attenzione alle specificità dei singoli Stati membri[14].

In definitiva il bilancio del decennio di applicazione del Meccanismo di vigilanza unico  andrebbe per così dire “consolidato” all’interno di una valutazione più complessiva dello stato di attuazione della Banking Union e della mancata introduzione della Capital Markets Union.

Ma forse è sufficiente porsi la domanda se sia preferibile tornare all’anno zero cioè, alla situazione antecedente al Regolamento n. 1024/2013.  In realtà, solo pochi laudatores temporis acti o sovranisti irriducibili darebbero una risposta positiva. Infatti, nonostante alcuni limiti e carenze, come per esempio in materia di risoluzione delle crisi alla luce delle prime esperienze applicative e la difficoltà di coordinare la disciplina delle crisi bancarie con quella degli aiuti di Stato di prerogativa esclusiva della Commissione europea, la Banking Union sembra un processo irreversibile, che ha dato risultati positivi in termini di accresciuta stabilità del sistema bancario europeo nel suo complesso.  Inoltre la cessione di sovranità alla BCE avvenuta con il primo tassello della Banking Union, cioè con il Meccanismo di vigilanza unico, sembra ormai largamente accettata nei singoli Stati membri.

In conclusione, se è vero che il Meccanismo di vigilanza unico può essere considerato una pietra miliare, essa appare ormai saldamente piantata nel terreno istituzionale europeo.

 

[1] Cfr. S. CASSESE, La nuova architettura finanziaria europea, in Giorn.  Dir. Amm., 2014, n. 1,pag. 79

[2] La vigilanza della BCE riguardava, secondo i dati al 1 gennaio 2023, 111 banche che rappresentano l’82% degli attivi di tutte le banche europee.

[3] Cfr. J. BRECKENFELDER- B. SCHWAAB,  Bank to sovreign risk spillovers across borders: evidence from the EBC Comprehensive Assessment, ECB Working Paper Series, novembre 2018, n. 2193.

[4] Cfr. The integration of the EU banking sector and the challenges of global competition, The EUROFI Magazine, Settembre 2023

[5] Cfr. M. DRAGHI, Risk-reduction and risk-sharing in our Monetary Union, European University Insitute, 2018.

[6] Per i dati precisi riferiti anche ad altri indicatori cfr.  L. BINI SMAGHI, Banking Union, Ten Years After, in Bocconi Policy Brief, 2024;

[7] Cfr.  Strenghening banks’ resilience in the banking union, Speech by KERSTIN AF JOCHNICK, Member of the Supervisory Board of the ECB, Financial Stability Conference 2021, Berlino,  19 novembre 2021.

[8] Cfr. “Report on the Single Supervisory Mechanism established pursuant to Regulation (EU) No 1024/2013” del 18 aprile 2023, COM(2023) 212 final.

[9] Cfr. L. BINI SMAGHI, op. cit., che opera un confronto rispetto agli indicatori più significativi (Return on Equity, Cost of Equity, ecc.).

[10] Cfr. M. CHITI-V. SANTORO (a cura di), Il diritto bancario europeo – Problemi e prospettive, Pisa, 2022 e in particolares sulla crisi delle banche venete il cap. 4 a cura di Andrea Magliari.

[11] Cfr. Eurogroup statement on the future of the Banking Union of 16 June 2022 e le proposte della Commissione europea per la riforma della gestione delle crisi bancarie del 18 aprile 2023.

[12] Cfr. R. PEREZ, Il Meccanismo europeo di vigilanza finanziaria e la ripartizione delle competenze,  in Giornale di diritto amministrativo, 2015, p.589 ss.

[13] Cfr. l’articolo di Olaf Scholz pubblicato sul Financial Times del 5 novembre 2019 dal titolo “Gemany will consider EU-wide bank depositi insurance”, che ebbe ampia risonanza.

[14] Il Parlamento europeo ha approvato la riforma del Patto di stebilità e crescita il 23 aprile 2024. Cfr. M. MESSORI, New EU fiscal rules in light of contract theory: improvements and unsolved problems, in IEP@BU Policy Brief,  gennaio 2024.

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