La banca trattaria, cui sia presentato per l’incasso un assegno bancario, ha il dovere di pagarlo se l’eventuale irregolarità (falsificazione o alterazione) dei requisiti esteriori non sia rilevabile con la normale diligenza inerente all’attività bancaria, e che coincide con la diligenza media, non essendo tenuta a predisporre un’attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell’autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per la riscossione.
La valutazione del giudice di merito in ordine alla riconoscibilità della falsificazione o alterazione di un assegno da parte dell’operatore professionale dipendente di banca è censurabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del difetto di motivazione.
Nel caso di specie, la perizia grafologica disposta in sede di giudizio aveva accertato la falsità delle firme di traenza. «La Corte di appello – osserva la pronuncia in epigrafe – ha ritenuto di non attribuire rilevanza all’accertamento della falsità reso possibile soltanto a mezzo di una consulenza grafologica che nel rispetto dei protocolli di indagine in materia ha utilizzato la tecnica dei macroingrandimenti e dell’analisi scandagliata delle sottoscrizioni. Ha rilevato infatti la Corte di appello che l’esito di tale accertamento peritale costituisce un giudizio di valore inutilizzabile ai fini della decisione riportandosi al principio per cui l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui una tale alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo». Tale argomento è stato ritenuto dalla Suprema Corte conforme a diritto.