Nell’ipotesi di società che detengono partecipazioni in compagini operative, la mancanza di reddito derivante dalla volontà della partecipata di non distribuire i dividendi si configura come situazione oggettiva non imputabile alla contribuente, situazione che impedisce il conseguimento dei ricavi.
Pertanto, è legittima la disapplicazione della disciplina antielusiva delle società di comodo.
Il principio contenuto nella sentenza in oggetto sembra essere conforme ad un precedente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in materia (cfr. Cass. n. 5080/2017, nonché 16204/2018), relativo alla considerazione in termini economici, con attenzione della realtà di mercato, delle circostanze che rendono impossibile conseguire i ricavi minimi previsti dalla disciplina speciale.
Nella fattispecie in oggetto, una società a responsabilità limitata impugnava un avviso di accertamento emesso in applicazione della disciplina delle società non operative, di cui all’art. 30 della L. n. 23 dicembre 1994 n. 724.
In particolare, veniva contestato che, per l’anno d’imposta 2006, dall’unica attività della contribuente, ossia la partecipazione in un’altra s.r.l., non era derivato alcun reddito da percezione di dividendi.
La società, pertanto, proponeva ricorso avverso tale avviso, deducendo che la mancanza di redditi era dovuta al fatto che la partecipata, per quell’anno d’imposta, aveva deliberato di non distribuire dividendi, destinando gli importi al proprio rafforzamento patrimoniale.
In primo grado, la Commissione provinciale accoglieva il ricorso della contribuente.
Successivamente, l’Agenzia delle Entratericorreva infruttuosamente in appello.
Pertanto, la stessa decideva di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione del menzionato articolo 30, l. 724/1994, sostenendo che la CTR aveva errato nel ritenere che la mancata distribuzione dei dividendi da parte della partecipata integrasse una situazione che giustificava la disapplicazione della normativa sulle società di comodo.
Nel caso di specie, l’Amministrazione riteneva che la società contribuente non si trovasse in un periodo di non normale attività, circostanza legittimante la disapplicazione della disciplina.
Tale conclusione non veniva condivisa dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in questione, rigettava il ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria.
Nello specifico, secondo il parere della Corte di Cassazione, i giudici di secondo grado hanno correttamente ritenuto che la mancata distribuzione di utili da parte della partecipata integrasse un’impossibilità oggettiva estranea alla volontà della contribuente, tale da consentire la non applicazione della normativa antielusiva delle società di comodo.
La Corte ha infatti stabilito che la nozione d’impossibilità deve essere intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato.
Errava l’Agenzia, a giudizio del Collegio, nel riferirsi al “periodo di non normale attività”, perché detta fattispecie esimente (ritenuta non integrata in sede di ricorso) era riferibile al dettato normativo antecedente la riformulazione dell’articolo 30, intervenuta con d.l. 4 luglio 2006, n. 223, riformulazione che trovava applicazione a decorrere dal periodo di imposta interessato dall’accertamento.
Inoltre, i giudici di legittimità coglievano l’occasione per sottolineare che, a partire dal 2008, era stato introdotto il comma 4-ter all’art. 30 in esame, secondo cui, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, potevano essere individuate determinate situazione oggettive, tali da comportare la disapplicazione della disciplina delle società di comodo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello di cui al comma 4-bis del medesimo articolo.
In attuazione di tale norma, con provvedimento n. 23681/2008, l’Amministrazione confermava esplicitamente la possibilità di disapplicare la normativa antielusiva nell’ipotesi di società che detengano partecipazioni in società considerate non di comodo ai sensi dell’art. 30 della L n. 724/1994, limitatamente alle già menzionate partecipazioni.
Pertanto, dal 2008, la partecipazione in altre società operative è stata riconosciuta “per tabulas” come una di quelle situazioni che può giustificare la non applicazione della normativa sulle società non operative.
In virtù delle ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso dell’Ufficio, condannando quest’ultimo al rimborso delle spese processuali in favore della società contribuente.