Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla sorte del piano del consumatore non omologato in ragione dell’esiguità della percentuale di soddisfazione prevista per i creditori chirografari.
Nello specifico, il giudizio ha avuto ad oggetto il ricorso proposto dal debitore sovraindebitato avverso il decreto con cui il Tribunale di Cosenza, in sede di reclamo, ha confermato:
- la mancata omologazione del piano del consumatore e
- il rigetto dell’istanza di conversione del piano non omologato in accordo di composizione della crisi.
In particolare, il debitore ha lamentato l’errore in cui sarebbero incorsi i giudici di merito, laddove
- la decisione sull’omologazione è stata ancorata ad un criterio – quello della soddisfazione dei creditori chirografari – non previsto dalla disciplina in tema di sovraindebitamento e
- non ha considerato che l’art. 14 quater l. 3/2012 prevede la conversione della procedura laddove la proposta iniziale non raggiunga l’esito positivo.
Al riguardo, la Cassazione ha innanzitutto preso posizione sulla questione, controversa nella stessa giurisprudenza di legittimità, della ricorribilità in cassazione del decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento che nega l’omologazione del piano del consumatore.
Sul punto, la Suprema Corte ha statuito che tale decreto presenta i caratteri della «decisorietà» – giacché il tribunale è “vincolato a decidere in ordine al diritto soggettivo del consumatore a conseguire la regolamentazione della sua situazione di sovraindebitamento alle condizioni previste nel piano” – e della «definitività», giacché la decisione assunta è “idonea ad assurgere a canone incontrovertibile di regolamentazione, pur in negativo, dell’addotta situazione di indebitamento”.
Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte ha chiarito il «piano del consumatore» è dotato di una precisa e tipica connotazione causale, in quanto deve ambire, contestualmente, alla duplice finalità della «ristrutturazione dei debiti» e della «soddisfazione dei crediti», come si ricava dall’art. 7, commi 1 e 1 bis, l. 3/2012.
Di conseguenza, precisa la Corte, “la sola finalità della ristrutturazione – da intendere in guisa di «rimodulazione-modificazione» di uno o più degli elementi strutturali, oggettivi o soggettivi, dei pregressi impegni obbligatori del consumatori – non è bastevole, siccome deve, imprescindibilmente, in virtù della formula «»binaria» riflessa dal dettato legislativo, coniugarsi con la finalità della «soddisfazione». In sede di omologazione, dunque, il Tribunale ha l’onere di riscontrare la sussistenza nel piano di entrambi i requisiti, della ristrutturazione dei debiti e della soddisfazione dei creditori.
“L’astratta «binaria» funzione economico-sociale del modello negoziale – «piano» – de quo agitur” – precisa infatti la Corte – “deve, inderogabilmente, riverberarsi nella sua reale dimensione operativa, sub specie, parallelamente, di concreta «binaria» funzione economico-individuale”.
Con riferimento alla possibile conversione della procedura, la Cassazione ha poi chiarito che la possibilità sancita dall’art. 14 quater (invocato dal debitore sovraindebitato) soggiace a specifici e peculiari presupposti applicativi, codificati nelle previsioni di cui agli artt. 14 bis, comma 2, lett. a) e b) e 11, comma 5, tutti in ogni caso connessi con l’intervenuta omologazione del piano del consumatore.
Dal momento che “tutte le ipotesi concernenti il «piano» che l’art. 14 quater cit. contempla presuppongono tutte, ai fini della conversione in liquidazione, che il «piano» sia stato omologato”, la Suprema Corte ha dunque chiarito che “la specificità e peculiarità dei presupposti osta quindi alla estrapolazione dal dettato dell’art. 14 quater cit. di un principio favorevole alla conversione tout court del «piano» in «accordo»”.