Il presente contributo analizza essenzialmente la giurisprudenza civile – con sporadiche incursioni nella dottrina – in tema di manipolazione del tasso Euribor, inclusa la recentissima sentenza della Corte di Cassazione, n. 12007/2024 del 3 maggio 2024, che si contraddistingue per un approccio più avanzato verso l’inquadramento della tematica a cavallo tra le conseguenze dell’illecito anticoncorrenziale e la disciplina generale di diritto civile sulle sopravvenienze che turbino o alterino gli equilibri contrattuali. Si svolgono poi alcune considerazioni critiche sui diversi orientamenti giurisprudenziali in attesa che le Sezioni Unite si pronuncino dopo che lo scorso 27 marzo 2024 la Procura generale presso la Corte di Cassazione e, successivamente, la stessa la prima sezione della Corte di Cassazione con ordinanza del 19 luglio 2024, hanno disposto la rimessione alla Prima Presidente per l’assegnazione alla Suprema Corte nel suo massimo consesso nomofilattico proprio la questione degli effetti della manipolazione Euribor sui contratti di finanziamento.
1. Il quadro giurisprudenziale sulla sorte dei contratti “a valle” delle intese anticoncorrenziali
Con ordinanza n. 34889 del 13 dicembre 2023 la Corte di Cassazione, sezione III, ha cassato una sentenza della Corte di Appello di Milano n. 775/2022 pubblicata l’8 marzo 2022 quanto alla statuizione con cui la corte di merito ha escluso la nullità di un contratto di leasing finanziario in ragione della determinazione di un canone che incorporava il riferimento all’indice EURIBOR, oggetto di manipolazione da parte di alcune banche, manipolazione accertata per il periodo 2005-2008[1] dalla Commissione Europea con decisione C(2013) 8712 del 4 dicembre 2013[2] e che ha così sanzionato diverse banche britanniche e dell’Europa continentale per la manipolazione dei parametri di calcolo di derivati sul tasso di interesse dell’Euro (“Euro Interest Rate Derivatives” o “EIRD”).
Questo stesso illecito è stato poi oggetto dell’accertamento contenuto in una seconda decisione del 7 dicembre 2016 nel procedimento C(2016) 8520 riferita a banche diverse da quelle oggetto della prima decisione per il periodo dal 27 settembre 2006 al 27 marzo 2007[3].
Si tornerà successivamente sul contenuto delle due decisioni, pure determinante al fine di dare applicazione concreta a livello nazionale al reale precetto contenuto nel diritto unionale, mentre inizialmente dovrà analizzarsi l’approccio della giurisprudenza di merito e di legittimità alla questione.
Il punto di partenza di qualunque indagine giurisprudenziale anche sommaria che riguardi l’intersezione tra diritto della concorrenza e conseguenze civilistiche delle violazioni della concorrenza nei rapporti tra privati non può che essere l’analisi della nota sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 41994 del 30.12.2021.
Un arresto, quello appena citato, che è stato chiamato a comporre i contrasti giurisprudenziali sorti sulle liti tra banche e clienti a seguito della decisione della Banca d’Italia n. 55 del 2005, all’epoca adottata dall’istituto di vigilanza in veste di autorità per la tutela della concorrenza nel mercato bancario[4]. Il provvedimento n. 55/2005[5] sanzionava l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) – cui aderisce circa il 90% delle banche italiane – per aver predisposto un modello contrattuale di fideiussione omnibus poi concretamente impiegato dalle banche aderenti in tal modo creando condizioni contrattuali sostanzialmente uniformi sul mercato nazionale e restringendo de facto la concorrenza tra operatori bancari.
In particolare, posto che le fideiussioni hanno alcune caratteristiche strutturali derivanti dal loro modello legale in quanto contratto tipico disegnato dall’ordinamento, il provvedimento della Banca d’Italia ha individuato quelle clausole del modello ABI che derogassero al modello legale e quindi postulassero, in astratto, una specifica negoziazione.
Il provvedimento della Banca d’Italia individuava dunque tre specifiche clausole del modello ABI[6]: la “clausola di reviviscenza”[7], “la clausola di sopravvivenza”[8] e la clausola di deroga all’articolo 1957 c.c.[9] che ricorrendo uniformemente nei contratti effettivamente sottoscritti dalla quasi totalità delle banche determinavano la concretizzazione di una restrizione concorrenziale.
L’organo di vigilanza ha dunque concluso che: “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90.”.[10]
Poiché costituiscono intesa ai fini antitrust non solo gli accordi ma tutti gli atti unilaterali o plurilaterali ed anche le pratiche o i comportamenti, seppure giuridicamente non vincolanti, nonché le deliberazioni di organismi associativi anche la deliberazione dell’ABI di approvazione del modello contrattuale costituisce intesa ai fini della normativa a protezione della concorrenza.
L’articolo 2, comma 3 della l. n. 287/1990 prescrive dunque che: “Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”. L’espressione riecheggia la disposizione dell’articolo 101 TFUE – dedicato alla tutela della concorrenza intra-unionale – che viete le intese restrittive della concorrenza e dispone: “Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto”.
Il punto oggetto di divergenze interpretative ha riguardato sia in giurisprudenza sia in dottrina le conseguenze dell’invalidità dell’intesa restrittiva della concorrenza sui rapporti giuridici che si pongono “a valle” dell’intesa illegittima in quanto interessati o colpiti dagli effetti dell’intesa e quindi dall’alterazione del mercato di riferimento dell’intesa. In particolare, l’interrogativo riguarda la sorte di quei contratti posti fuori dall’intesa illecita tra gli operatori di mercato ma che da questa sono condizionati.
In proposito, le sezioni unite già nel 2005 (ss.uu. 4 febbraio 2005, n. 2207) hanno risposto positivamente alla necessità di una tutela del consumatore leso dagli effetti di un’intesa anticoncorrenziale[11] individuando nei contratti “a valle” l’esito dell’intesa anticoncorrenziale e superando in tal modo l’atteggiamento obsoleto di quella corrente interpretativa[12] che tendeva a sovrapporre la normativa codicistica sulla concorrenza (sleale) a quella, ontologicamente diversa, della legge n. 287/90.
L’argomento letterale impiegato dai giudici delle sezioni unite nella sentenza n. 2207/2005 ha come fulcro l’articolo 2, comma 2, della legge n. 287/1990 che vieta le intese che abbiano per “oggetto” o “effetto” restrizioni concorrenziali. Proprio l’effetto pregiudizievole, secondo la Cassazione, è alla base dell’interesse ad agire di qualsiasi soggetto danneggiato dalla condotta anticoncorrenziale[13].
Con riferimento al rimedio disponibile, la sentenza delle Sezioni Unite n. 41994/2021 ripercorre brevemente i diversi orientamenti apparsi in giurisprudenza[14] e che in questa sede, per ragioni di brevità, saranno semplicemente menzionati senza condurre approfondimenti descrittivi e critici che richiederebbero un più ampio lavoro di ricognizione che esorbita dallo scopo del presente contributo.
Un primo orientamento reputa possibile solo una tutela risarcitoria[15] ex articoli 2043 c.c. e 33 della l. 287/90 e prende le mosse dalla distinzione tra violazione di regole di comportamento e vizi ontologici del negozio (genetici o funzionali). Solo questi ultimi darebbero luogo all’invalidità (nullità e annullabilità) mentre la violazione di regole di condotta è tutelata dal risarcimento del danno[16].
Chi propende per la tutela invalidante sottolinea lo stretto legame tra contratti a monte e contratti a valle e la necessità che la sanzione antitrust elimini ogni conseguenza sul mercato[17] rimettendo in condizione il soggetto leso di scegliere in una condizione di effettiva concorrenza e, al contempo, evitando il propagarsi degli effetti dell’illecito anticoncorrenziale.
Divergenze sono insorte anche sulla natura della nullità invocata che la sentenza n. 41994/2021 non manca di annotare e che qui verranno brevemente tratteggiate.
Alcuni sostengono si tratti di una nullità di protezione che tutela il fideiussore e riequilibra la posizione dei due contraenti (si assimila questa situazione a quella dell’abuso di posizione dominante e a quella di abuso di dipendenza economica ex articolo 9 della l. 192/1998)[18].
Altri, sulla scorta della teoria amministrativistica della invalidità che si comunica da un provvedimento ad un altro e in particolare a quella caducante che fa venir mento gli atti conseguenziali ad un atto presupposto invalido, affermano che l’invalidità dell’intesa a monte si comunicherebbe ai contratti a valle[19].
Diversa opinione è quella di chi ricorre alla nullità per illiceità della causa ex articolo 1418, comma 2, c.c. per cui l’accordo a valle, nel caso che si esamina la singola fideiussione, sarebbe lo strumento per realizzare la violazione della concorrenza[20].
L’idea invece che il contratto sia nullo per illiceità dell’oggetto sembra contraddetta dal fatto che l’illiceità anticoncorrenziale riposa sulle modalità di formazione del contratto e non sull’oggetto.
Altra tesi fa leva sulla lettera dell’articolo 2, comma 2, lett. a) l. 287/1990 (ma anche sull’articolo 101 TFUE) secondo cui le intese sono nulle «ad ogni effetto», sicchè la nullità si estende a qualsiasi violazione della concorrenza che sia effetto della condotta accertata e quindi le fideiussioni omnibus modello ABI sono nulle per violazione diretta della legge antitrust.
Infine, vi è l’opinione di chi ritiene nulli i contratti “a valle” in quanto in violazione dell’ordine pubblico economico che si coagula intorno all’impianto pubblicistico della normativa a tutela della concorrenza.
In questo quadro interviene la già più volte menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 41994/2021 che risponde a quattro quesiti:
- se la riproduzione di alcune o tutte le clausole del contratto modello ABI conduca a nullità o solo al risarcimento;
- in caso di nullità, quale ne sia il regime e quale la legittimazione a farla valere;
- se la nullità possa essere parziale;
- se ai fini della comunicazione della nullità parziale all’intero contratto sia necessario valutare se le parti avrebbero comunque stipulato il contratto.
La soluzione ermeneutica delle sezioni unite, favorevole alla nullità dei contratti “a valle”, prende le mosse dall’articolo 41 Cost. osservando che la legge antitrust si pone come limite all’attività d’impresa a tutela del mercato nella sua interezza e quindi di un valore inteso come pubblico, di interesse sia per gli imprenditori sia per i consumatori[21] e si completa con l’argomento letterale[22] secondo cui le intese anticoncorrenziali sono «nulle ad ogni effetto» e quindi anche nel precipitato concreto dell’intesa vietata che ne costituisce lo “sbocco” ossia il contratto di dettaglio viziato dall’intesa superna, punto conclusivo della filiera interessata dall’illecito[23].
Sia il tenore della norma applicabile sia la ratio che informa la disciplina giuspubblicistica della tutela della concorrenza di derivazione eurounitaria, depongono dunque nel senso della tutela reale del contraente danneggiato che, in questo modo, realizza anche l’interesse più vasto alla tutela del mercato. Il che non esclude il rimedio risarcitorio ma al contempo non lo elegge a rimedio esclusivo del soggetto leso.
La motivazione è rinsaldata dall’esegesi del diritto unionale[24] nel quale ricorre l’affermazione secondo cui, salva la nullità dell’intesa e salvo il diritto al risarcimento del danno, è il diritto nazionale a dover individuare il rimedio disponibile nel proprio ordinamento per neutralizzare gli effetti dell’intesa vietata.
Dal principio di effettività sancito dal d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3[25] le ss.uu. traggono poi la conclusione che il rimedio risarcitorio rappresenta la tutela comune minima del soggetto danneggiato in tutto il territorio dell’Unione.
Tralasciata quindi l’esclusività del rimedio risarcitorio, è aperta la strada al rimedio invalidante della nullità sebbene parziale in forza del principio di conservazione di cui all’articolo 1419 c.c. Tale nullità dei contratti (o atti) “a valle” è giustificata come derivata, ossia come conseguenza della nullità dell’intesa “a monte” vietata dall’ordinamento ma, al contempo, non automatica in quanto l’interprete dovrà procedere alla scrematura dei contratti “a valle” accertandone la nullità quante volte questi risultino in rapporto funzionale con l’illecito sì da costituire lo sbocco, l’effetto, il precipitato della condotta anticoncorrenziale. E difatti, le clausole del modello di fideiussione omnibus dell’ABI non sono di per sé nulle in quanto derogatorie della disciplina codicistica della fideiussione – chè anzi sono, in sé e per sé riguardate, perfettamente lecite e valide – ma solo in quanto replicantesi secondo una condotta uniforme tenuta dagli autori dell’illecito costantemente, in modo reiterato e per un congruo periodo nel mercato di riferimento[26].
E tuttavia, propriamente, il tratto qualificatorio di maggiore interesse non è nella natura derivata della nullità ma nella sua specialità[27] dovuta al fatto che essa travolge qualsiasi atto in “nesso funzionale” con la condotta anticoncorrenziale, sia esso il disegno, lo strumento o la materiale realizzazione in corpore vili dell’illecito nonché al fatto che essa valica i limiti della nullità di protezione o quella tra concorrenti sul mercato per divenire un mezzo di tutela di interessi pubblici superiori sintetizzati nella formula dell’“ordine pubblico economico”.
Così ricostruito sommariamente il quadro giurisprudenziale compendiato nella sentenza n. 41994/2021 che ha partorito poi il principio nomofilattico[28] recepito dai giudici di merito[29], si può ora meglio analizzarne e comprendere i riflessi nella giurisprudenza di merito e di legittimità sinora espressasi sui contratti “a valle” della manipolazione dell’indice EURIBOR.
2. La giurisprudenza di merito e di legittimità sulla manipolazione del parametro “EURIBOR” prima della sentenza della Cassazione del 3 maggio 2024 n. 12007
L’assioma enunciato dalle sezioni unite nella sentenza n. 41994/2021 viene variamente applicato dalla giurisprudenza di merito che si occupa della questione della manipolazione dell’EURIBOR.
Posto l’accertamento amministrativo intervenuto in sede europea[30] secondo cui alcune banche componenti del panel per il fixing dell’EURIBOR avevano alterato o operato per alterare il parametro EURIBOR[31] in violazione dell’articolo 101 TFUE, doveva ritenersi che le clausole dei contratti di mutuo che determinavano il tasso di interesse praticato alla clientela avendo come base di calcolo l’EURIBOR, erano da dichiararsi nulle in quanto risultato dell’intesa anticoncorrenziale nei contratti stipulati o correnti nel periodo oggetto dell’intesa manipolativa accertata (2005-2008).
In un primo momento, alcune iniziative tese a conseguire la nullità delle predette clausole si scontrano con ostacoli probatori dovuti alla mancata produzione dei provvedimenti della Commissione Europea che hanno accertato la manipolazione[32].
In diversi altri casi, mancando ancora la pronuncia nomofilattica sopra commentata, il rigetto è fondato su diverse motivazioni. Alcune pronunce sono ancora retaggio della concezione della tutela della concorrenza come questione riservata agli imprenditori[33], altre rilevano come l’EURIBOR sia solo una componente del corrispettivo[34], altre ancora segnalano come nessuna delle banche italiane è stata parte attiva dell’illecito accertato[35] oppure combinando tali motivazioni[36].
Alcune decisioni si segnalano perché introducono motivazioni più calzanti al caso specifico. Ad esempio la Corte di Appello di Venezia[37] sottolinea come la manipolazione dell’Euribor da parte di alcune banche non necessariamente si sia tradotta in un vantaggio per le banche non partecipanti o che almeno non ne sia emersa prova nel caso specifico[38] oppure il Tribunale di Mantova[39] che denuncia l’inesistenza di una connessione tra l’intesa anticoncorrenziale e il contratto “a valle”.
In senso favorevole alla nullità delle clausole si segnala invece l’orientamento della Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari[40] che pare sostenere come la nullità “a monte” dell’intesa si rifletta necessariamente nella nullità del parametro adottato “a valle”, a prescindere dalle circostanze concrete del caso. In questa prospettiva, la corte sassarese avvalora il proprio discorso appoggiandosi alla sentenza delle Sezioni Unite n. 41994/2021 interpretata come conferma sia del fatto che il contraente terzo danneggiato dall’intesa non sia solo l’imprenditore ma anche il consumatore sia del fatto che il rimedio appropriato alla violazione della normativa antitrust sia la nullità parziale del contratto con l’effetto che il tasso contrattuale sia sostituito integralmente (e non solo quanto al parametro EURIBOR) dal tasso dei BOT ex articolo 117 TUB[41]. Anche le motivazioni di altre decisioni di merito appaiono corroborate dal riferimento all’arresto n. 41994/2021[42] ma sempre al di fuori di un raffronto tra il caso delle fideiussioni omnibus e quello della manipolazione dell’EURIBOR.
Diversamente, anche dopo la sentenza a sezioni unite 41994/2021, dove questa comparazione viene condotta e il giudice analizza il nesso funzionale tra l’intesa anticoncorrenziale e il concreto contratto oggetto del proprio esame, le conclusioni sono diverse e la nullità esclusa[43].
Nel quadro così sommariamente ricomposto irrompe la decisione della sezione III del Cassazione n. 34889 del 13 dicembre 2023 che provvede sull’impugnazione della sentenza della Corte di appello di Milano[44] la quale aveva confermato il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo di debitore (anche lessee in un leasing finanziario) e fideiussore di una banca (lessor) e in cui uno degli assunti degli opponenti era la nullità delle clausole determinative del tasso di interesse siccome frutto di intesa anticoncorrenziale.
La decisione di merito viene cassata proprio su questo punto anche se non appare del tutto chiaro il motivo della censura. La decisione è stata considerata tout court come diretta affermazione del principio secondo cui le clausole EURIBOR[45] siano invalide in quanto inserite nei contratti di mutuo “a valle” stipulati tra il 2005 e il 2008[46].
Non a torto sono state propalate queste sintesi poiché la stessa ordinanza ricorda in modo molto sintetico e con riferimenti alla propria stessa giurisprudenza come le condotte che violano le prescrizioni dell’articolo 101 TFUE (o l’articolo 2 della legge 287/90) sono dimostrate dalla semplice provduzione del provvedimento di accertamento della condotta illecita che costituisce “prova privilegiata” dell’esistenza e del contenuto dell’illecito, senza che la mancata partecipazione di un soggetto possa escludere di per sé il riflesso dell’invalidità dell’intesa sui contratti “a valle”.
Da una lettura attenta e più di dettaglio della motivazione dell’ordinanza n. 34889/2023, sembrerebbe tuttavia che la corte di legittimità abbia inteso deplorare che i giudici di merito abbiano considerato solo genericamente enunciata la violazione di legge sebbene l’infrazione alla normativa antitrust e l’esistenza dell’intesa vietata dovesse ritenersi provata (mediante la prova privilegiata) dall’appellante/eccipiente, poi ricorrente. Inoltre, la stessa Corte d’appello, sempre secondo l’ordinanza in commento, avrebbe errato nel considerare determinante la mancata partecipazione della banca opposta nell’escludere che l’intesa vietata avesse potuto spiegare effetti sul contratto di leasing.
Tuttavia, queste affermazioni, riguardate nel contesto della decisione, sembrano quasi avere i connotati del percorso motivazionale teso a censurare il reale errore dei giudici di merito che non è quello di aver escluso la nullità dei contratti “a valle” ma quello di aver considerato solo generica la denunciata violazione della normativa antitrust[47].
3. La sentenza della Corte di Cassazione n. 12007 del 3 maggio 2024
Probabilmente provocata dai malintesi generati proprio dalla lettura della ordinanza n. 34889/2023, la terza sezione della Corte di Cassazione sente l’urgenza – in un caso in cui si era già formato il giudicato interno sulla questione delle clausole EURIBOR di guisa da rendere lo specifico motivo di ricorso inammissibile – di pronunciarsi con sentenza ex articolo 363, comma 3 c.p.c.[48]
Preliminarmente la sentenza cristallizza quello che dovrebbe essere oramai un punto fermo sui rapporti tra disciplina antitrust e sanzioni civili ossia che la tutela della concorrenza di cui alla l. 287/1990 come anche dell’articolo 101 TFUE non è disciplina limitata alla protezione dell’interesse dei players di un mercato rilevante, non è destinata a proteggere solo gli imprenditori che operano in un determinato settore, identificato come mercato rilevante dall’autorità competente, ma è finalizzata a proteggere la concorrenza imprenditoriale come valore dell’ordinamento nazionale ed europeo in quanto espressione di un principio di regolazione della produzione e allocazione di merci e servizi e quindi, in ultima analisi, di tutela dello stesso fruitore dei prodotti (siano essi merci o servizi). Sotto questo aspetto, come teorizzato nella sentenza delle sezioni unite n. n. 41994/2021, si tratterebbe di un principio di “ordine pubblico economico” interno e unionale. Non sono ammissibili quindi interpretazioni che restringano l’effetto delle intese anticoncorrenziali sui mercati alla sola protezione degli imprenditori direttamente pregiudicati dall’intesa vietata[49].
Il punto focale dell’analisi della sentenza n. 12007 riguarda l’individuazione in concreto del “nesso funzionale” di cui discorre la sentenza delle ss.uu. n. 41994/2021 in tema di fideiussioni omnibus ossia di quella catena logico-giuridica ed economica con cui l’intesa si traduce in pregiudizio per il consumatore o professionista danneggiato dalla pratica antitrust accertata.
Su questo specifico punto la sentenza n. 12007 richiede innanzitutto che la banca sia partecipe dell’intesa vietata o comunque consapevole dell’esistenza della stessa e del beneficio che essa può trarre dall’adeguarsi all’intesa, il che significa avere consapevolezza dell’illecito per quanto manchi una partecipazione diretta o attiva. Di “consapevolezza” dell’operatore di mercato come momento essenziale di attribuibilità dell’illecito anticoncorrenziale già discorre invero la sentenza n. 827/1999[50] che nello sforzo di tracciare il confine tra la nullità dell’intesa anticoncorrenziale e la nullità negoziale pone al centro della prima la “consapevole partecipazione” di un soggetto alla condotta[51].
Ne discende che l’illecito, anche quello in conflitto con la tutela della concorrenza, richiede comunque che almeno uno dei due soggetti di un contratto, quando non si tratti di determinazioni unilaterali frutto di abuso di posizione dominante, abbia voluto l’effetto distorsivo o, quand’anche non l’abbia voluto direttamente, ne fosse consapevole e lo abbia sfruttato.
Il concetto chiave inespresso ma che ci pare di leggere fra le righe della decisione e che rappresenta una matura acquisizione del diritto antitrust è quello di “pratiche concordate”[52] che già nella vigenza dell’articolo 85 del Trattato di Roma è stato oggetto di interpretazioni chiarificatrici della Corte di Giustizia sin dal risalente e notissimo caso Suiker Unie v. Commission[53] che ha definito pratica concertata: “any direct or indirect contact between such operators, the object or effect whereof is either to influence the conduct on the market of an actual or potential competitor or to disclose to such a competitor the course of conduct which they themselves have decided to adopt or contemplate adopting on the market”[54].
Non è infrequente poi che anche il soggetto che sia formalmente estraneo all’intesa, approfitti (consapevolmente) dello squilibrio creatosi nel mercato agendo come free rider. Anche dove non vi è adesione esplicita o implicita alla pianificazione dell’illecito e fuori dai casi di comportamenti paralleli[55] e del tutto irrelati tra di essi, può esservi adesione all’effetto o, meglio, conseguimento consapevole dell’effetto di alterazione e restrizione della concorrenza[56].
Conseguentemente, la banca che, estranea all’ABI e persino estranea all’intesa ma consapevole dell’utilizzo dominante del modello ABI di fideiussione omnibus, si accodi impiegando lo stesso modello e conseguendo gli stessi benefici di chi abbia esplicitamente adottato lo standard contrattuale dell’associazione di categoria, risponde dell’illecito e incappa nelle sanzioni civili previste.
Non è questo il caso delle clausole EURIBOR dei mutui in cui le banche italiane (ed anche la stragrande maggioranza delle banche straniere con le poche eccezioni di grandi gruppi bancari inglesi, tedeschi e francesi) hanno fatto riferimento all’EURIBOR quale parametro in perfetta buona fede, ignorando incolpevolmente l’esistenza di pratiche collusive tese ad alterare il normale processo di fixing dell’EURIBOR.
In mancanza quindi di una qualsiasi forma di consapevolezza, viene meno la possibilità di considerare la stipula dei mutui con le clausole EURIBOR come attuazione dell’intesa vietata e quindi anche il “nesso funzionale” postulato da Cass. 41994/2021[57].
Resta però che le parti hanno voluto un contratto in cui il corrispettivo fosse governato da un parametro oggettivo, esterno alle parti o riconducibile a terzi che lo hanno alterato dolosamente sicchè la Cassazione si domanda se ed in che termini sia possibile dare esecuzione ad un contratto che le parti hanno voluto a condizioni diverse da quelle effettive in quanto alterate da terzi e quanto un contratto possa eseguirsi qualora il parametro effettivo ed oggettivo di riferimento per la determinazione del corrispettivo non sia ricostruibile come se quell’alterazione non vi fosse mai stata o non possa essere sostituito fino all’ipotesi in cui restando indeterminato debba intendersi nullo per impossibilità sopravvenuta (oppure originaria, a seconda dei casi) di determinazione dell’oggetto.
In termini concreti, prosegue la sentenza in commento, ciò significa che il soggetto che si reputa leso dovrebbe dimostrare che l’alterazione del parametro EURIBOR effettivamente sia avvenuta con riferimento allo specifico contratto di mutuo, per quale periodo e con quale effettivo pregiudizio per il contraente che si assume danneggiato.
Nella parte finale della motivazione, la sentenza n. 12007 prova a saldarsi all’ultima decisione precedente (la contestata ordinanza n. 34889 del 2013) mirando a costruire un modello completo, privo di aporie. La sintesi è quella che segue: se l’ordinanza n. 34889/2023 ha giustamente valorizzato la prova privilegiata come punto di partenza di qualsiasi domanda, resta a carico del soggetto danneggiato l’onere di provare l’alterazione del parametro EURIBOR in riferimento allo specifico contratto dimostrando quindi il danno patito[58].
In conclusione: o si dimostra che il contratto si inserisce nello sviluppo voluto dell’intesa restrittiva della concorrenza di cui costituisce “attuazione” concreta (ciò di cui almeno una parte del contratto doveva essere consapevole) oppure si dimostra che, indipendentemente dalla consumazione dell’illecito anticoncorrenziale, il parametro esterno al contratto[59] sia stato deformato rendendo necessario ricomporre la volontà negoziale originaria o, dove questo non sia possibile, sostituirla, eventualmente dopo averla nullificata, secondo le regole dell’ordinamento.
4. La pratica restrittiva della concorrenza sanzionata dalla Commissione Europea
Giunti a questo punto, è ineludibile un’analisi, sia pure rapida, della condotta anticoncorrenziale accertata dalla Commissione Europea con decisione C(2013) 8712 del 4 dicembre 2013 culminata nella sanzione di diverse banche britanniche e dell’Europa continentale per la manipolazione dei parametri di calcolo di derivati sul tasso di interesse dell’Euro (“Euro Interest Rate Derivatives” o “EIRD”) e con decisione del 7 dicembre 2016 nel procedimento C(2016) 8520 riferita a banche diverse da quelle oggetto della prima decisione per il periodo dal 27 settembre 2006 al 27 marzo 2007 [60] [61].
Solo tale analisi, per quanto sommaria, consente di introdurre criteri discretivi nella valutazione del caso delle “clausole EURIBOR” confrontandoli con gli assunti giurisprudenziali correnti nella giurisprudenza sopra esaminata sia quella più specificamente dedicata alle predette clausole sia quella concernente il tema più generale delle conseguenze civilistiche dell’illecito anticoncorrenziale.
Com’è noto, il tema cruciale di qualsiasi procedimento antitrust è la circoscrizione del mercato rilevante che nel caso specifico è individuato espressamente negli EIRD prevalentemente (ma non solo) negoziati over the counter [62]nelle sue più correnti espressioni fenomenologiche dai FRAs’[63], IRS [64], Interest Rate Options[65], Interest Rate Futures[66].
È di intuitiva evidenza che il valore di tutti questi derivati, che incorporano aspettative delle parti sull’andamento dei tassi di interesse, è segnato dagli spostamenti del tasso di interesse di riferimento che, in relazione ai prestiti interbancari della zona EURO, è appunto l’EURIBOR.
L’EURIBOR è appunto il tasso di interesse normalmente praticato per i depositi interbancari tra banche primarie nell’area dell’EURO[67] ed è il risultato di una stima effettuata da un panel di banche che comunicano ciascuna quotidianamente[68] l’entità del tasso secondo le proprie aspettative ad un calculation agent[69] il quale provvederà appunto a calcolarlo e comunicarlo ufficialmente. Il calcolo consiste nell’individuare la media delle quotazioni comunicate dalle banche[70] del panel, scartando il 15% più alto e più basso, e quindi arrotondando il risultato fino a tre decimali[71].
Tuttavia, come visto, non esiste un solo EURIBOR poiché vi sono tante quotazioni EURIBOR quante sono le varietà di durata del prestito e precisamente 15, ciascuno differente per la durata e altrimenti noti come “tenors” dal minimo di una settimana fino a 1, 3, 6 o 12 mesi. Inoltre, oggetto del procedimento della Commissione Europea è anche l’EONIA, ossia il tasso di interesse dei prestiti “overnight” chirografari nel mercato interbancario, la cui fissazione è rimessa allo stesso panel di banche dell’EURIBOR[72].
La condotta illecita di alcuni membri del panel EURIBOR sanzionati dalla Commissione Europea è consistita nel fornire stime non corrette ma mirate ad alterare in modo concorde, spesso bilaterale, il processo di formazione dei parametri EURIBOR (o EONIA) in vista dei guadagni che gli autori dell’illecito si ripromettevano di ricevere dalla posizione da essi ricoperta in contratti derivati di cui erano parti direttamente o attraverso società del gruppo. Guadagni che potevano dipendere, a seconda dei casi, da un artificioso rialzo o ribasso o persino dalla stabilità del valore dell’EURIBOR[73] di volta in volta considerato. In alcuni casi si trattava di operazioni visibilmente in controtendenza rispetto al mercato[74].
Alla luce di queste considerazioni è opportuno che si vagli l’effetto dell’infrazione dell’articolo 101 TFUE sui contratti di mutuo stipulati dalle banche italiane tenendo conto del fatto che le sezioni unite nella vista decisione n. 41994 del 30.12.2021 hanno infatti chiarito che non esiste un automatismo in base al quale la nullità dell’intesa concorrenziale si comunichi ai contratti “a valle” e che è pur sempre necessaria la prova di un nesso funzionale tra i contratti “a valle” dell’intesa anticoncorrenziale e la consumazione dell’illecito antitrust “a monte” e del doppio test previsto dalla sentenza n. 12007 del 2024, articolato nella previa verifica della connessione tra illecito e sbocco, risultato dell’intesa che si materializza nel contratto “a valle” e nella successiva verifica del pregiudizio rappresentato comunque dall’alterazione dell’indice di riferimento fino al punto che questo resta indeterminato.
In primo luogo, alla continuità tra l’illecito accertato dalla Commissione e il mercato dei mutui è d’ostacolo proprio la caratteristica strutturale dell’infrazione che mal si concilia con la stipula di contratti di mutuo tra banche non partecipi dell’intesa e i clienti di queste.
La manipolazione avente ad oggetto il tasso EURIBOR riguarda, come già visto, il solo mercato dei derivati sul tasso di interesse EURIBOR, gli EIRD, nel cui ambito l’effetto di artificiosa alterazione del tasso di interesse non si traduce necessariamente nell’incremento del parametro ossia nell’innalzamento del tasso EURIBOR. Infatti, a seconda della posizione rivestita dalla parte contrattuale nell’ambito del derivato finanziario, essa – in tesi la banca manipolatrice – potrebbe nutrire interesse a spingere anche verso il basso il tasso di interesse con conseguente diretto beneficio della banca parte del derivato e indiretto beneficio di tutti gli ignari mutuatari del momento, del tutto estranei all’operazione[75].
È chiaro che in un caso simile, in cui l’EURIBOR sia stato manipolato verso il basso, mancherebbe del tutto il pregiudizio del mutuatario che ha ricevuto inconsapevolmente un vantaggio dall’attuazione della pratica anticoncorrenziale. In questi casi sarebbe semmai la banca ad aver interesse a rettificare il valore dell’EURIBOR ricostruendo quello che sarebbe stato effettivamente applicabile. Ciascuna delle parti sarebbe così tenuta a dimostrare che nello specifico momento in cui il contratto è stato concluso – e successivamente al momento del pagamento delle rate – il tasso di interesse EURIBOR è stato manipolato in guisa da risultare superiore (o inferiore, a seconda del ruolo rivestito dal soggetto interessato) a quello effettivo riscontrabile sul mercato. Sennonchè il rimedio della nullità delle clausole nella sua astrattezza e radicalità determinerebbe, per effetto della sostituzione con il tasso legale o con quello ex art. 117 TUB[76], un ulteriore vantaggio (di fatto una doppia locupletazione) del mutuatario che fosse già stato favorito dal ribasso artefatto dell’EURIBOR[77].
Per giunta l’ipotesi controfattuale che consenta di confrontare il tasso di interesse effettivo EURIBOR e quello manipolato – con la prova estremamente difficile nel caso specifico dell’alterazione intervenuta, dato il peculiare meccanismo di formazione dell’EURIBOR – richiederebbe informazioni e competenze tecniche che solo la Commissione o analoghi organi possono avere con l’effetto che, in mancanza di una puntuale specificazione da parte della Commissione Europea delle concrete manipolazioni eseguite, distinte cronologicamente, il giudice non può essere in grado (molto probabilmente nemmeno con il supporto di un ausiliario contabile) di stabilire quale genere di manipolazione si sia verificata nel caso sottoposto al suo esame e con quale approssimazione si sia realizzato uno spostamento della curva dell’EURIBOR a causa di specifici interventi manipolativi che non sono costanti e pianificati ma episodici sebbene ricorrenti, frutto di intese bilaterali e privi di conseguenze deterministicamente (ma solo forse probabilisticamente) misurabili.
Non è dunque possibile, sulla scorta di quanto osservato e delle circostanze radicalmente divaricate dei due casi, sviluppare un ragionamento stringente prendendo le mosse dalla falsa analogia con il fenomeno delle clausole delle fideiussioni omnibus in cui si è concretizzata quella diversa intesa poiché in quest’ultima vicenda delle fideiussioni, a differenza che in questa sotto esame dell’EURIBOR, è chiaro ed è noto il rapporto tra l’illecito “a monte” e i contratti “a valle”. Nel caso delle clausole standardizzate delle fideiussioni “omnibus” modellate dall’ABI, l’intesa è consistita nel creare e soprattutto nell’applicare diffusamente e costantemente clausole uniformi rendendo di fatto impossibile al cliente accedere a contratti di fideiussione omnibus di contenuto diverso; laddove, in questo differente scenario, non è chiaro affatto il rapporto tra la condotta dei manipolatori e i contratti “a valle”, poiché infatti, oltre alla diversità dei mercati di riferimento, non è affatto chiaro come sia stato manipolato il tasso EURIBOR (e quale tasso EURIBOR) nelle condizioni di tempo in cui è stato stipulato il contratto di mutuo e quindi non ricorrono i presupposti logici e giuridici per istituire un parallelismo tra le due vicende.
È anzi possibile affermare che, sulla scorta della decisione della Commissione più volte richiamata, sia più agevole individuare i profili di estraneità tra la condotta abusiva ex articolo 101 TFUE e i mutui stipulati nel periodo considerato (come anche per tutti i contratti consimili che facessero riferimento all’EURIBOR come ad esempio nelle obbligazioni emesse dalle società quotate e non).
Una sintetica fotografia di tali differenze è la seguente: i) in primo luogo, le decisioni della Commissione è intervenuta sul mercato dei derivati sui tassi di interesse e non su quello dei mutui; ii) in secondo luogo, le decisioni della Commissione affermano chiaramente come i prodotti oggetto dell’intesa sono gli “Euro Interest Rate Derivatives” legati appunto all’EURIBOR oppure all’“Euro Over-Night Index Average” (EONIA), un tasso diverso in quanto non esisteva un EURIBOR per le operazioni “over-night” stimato dalle stesse banche del panel EURIBOR; iii) in terzo luogo l’intesa distorsiva della concorrenza era ristretta ai soli membri del panel di banche che concorrevano a fissare l’EURIBOR e quindi per definizione la banca mutuante del caso concreto non avrebbe potuto partecipare all’intesa di cui essa potrebbe essere stata, in teoria, anche vittima tutte le volte che il l’EURIBOR è stato piegato verso il basso; iv) in quarto luogo, nel caso delle fideiussioni omnibus l’oggetto del cartello consisteva proprio nell’imporre delle clausole contrattuali nei moduli predisposti dall’associazione di categoria delle banche attraverso l’uso generalizzato delle pattuizioni nei rapporti con la clientela sicchè il ricorrere ripetuto e standardizzato di alcune specifiche clausole è stato considerato espressione dell’intesa laddove nel caso della manipolazione sull’EURIBOR, i partecipanti all’intesa – tra l’altro diversi di volta in volta e spesso mediante accordi solo bilaterali – non hanno affatto imposto l’adozione dell’EURIBOR nei contratti ma hanno alterato il meccanismo di fissazione dello stesso per trarne un vantaggio nei contratti di cui essi stessi (e solo essi) erano parte; v) in ogni caso, il contrato stipulato “a valle”, che nel caso qui esaminato ha natura totalmente diversa da un derivato, non si inserisce nel processo di consumazione dell’illecito da cui è totalmente slegato né costituisce un effetto di quello. In altre parole, tra l’illecito manipolativo accertato dalla Commissione e la conclusione di un mutuo nello stesso periodo non esiste alcuna continuatività di condotta né oggettiva né soggettiva e quindi nessuna “funzionalità” o nessun “collegamento funzionale” tra le due operazioni – per usare il linguaggio del noto arresto delle ss.uu 41994/2021.
D’altro canto tale nesso di funzionalità dovrebbe materializzarsi nel fatto che l’atto “a valle” abbia contribuito a restringere o alterare la concorrenza già distorta “a monte” mentre così non è in quanto l’inserimento dell’EURIBOR nella formazione del tasso di interesse non ha inciso sulla concorrenza tra le banche in sede di stipula dei mutui. Le banche hanno continuato ad usare il parametro EURIBOR, come nel caso qui visto, salvo competere sullo spread aggiunto al primo così che il cliente avrebbe potuto scegliere tra le diverse offerte del mercato bancario.
La diversa tesi secondo cui i conflitti in tema di concorrenza tra imprese non sono assimilabili alle contese di diritto comune per cui l’alterazione del mercato si riverbererebbe oggettivamente su tutte le operazioni poste in essere dalla “stringa formativa dell’offerta del servizio del credito al mercato”[78], quantunque incolpevole sia tale filiera, si scontra contro diverse obbiezioni che hanno fondamento principalmente e propriamente nel diritto antitrust.
Questa disciplina non è a presidio del mercato quale entità astratta e trascendente e non previene qualunque strozzatura o dislivello concorrenziale poiché non esiste un solo mercato sibbene tanti mercati quanti sono quelli in cui la concorrenza si dispiega in ragione dell’insieme di regole positivamente poste che lo governano. Si vuole non la tutela del Mercato ma la tutela della concorrenza nei mercati che di volta in volta l’autorità individua come mercati rilevanti sulla base della sostituibilità dei prodotti.
Non vi è concorrenza tra il mercato dei derivati sul tasso di interesse e i mutui perché non vi è sostituibilità tra questi due prodotti finanziari.
L’intesa vietata è quella che ha per oggetto o per effetto di “impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza” (art. 101 TFUE). Nel caso esaminato dalla Commissione nei suoi due provvedimenti del 2013 e 2016 si è riscontrato come la concorrenza fosse falsata nella stipula degli EIRD in quanto alcune banche manovravano le stime dell’EURIBOR al fine di lucrare cospicui differenziali dalle proprie controparti.
Al contrario, come si è già detto, nel settore dei mutui la concorrenza tra le banche offerenti non è stata minimamente alterata siccome ogni banca ha offerto lo stesso EURIBOR, qualunque esso fosse, concentrando la competizione sul margine applicato.
Che come effetto ulteriore dell’illecito anticoncorrenziale, quale esternalità negativa della condotta censurata sia stato artificialmente variato un indice di riferimento, non è faccenda catturata dalle decisioni della Commissione ma un evento oggettivo, di incerto tenore e direzione, come si è detto, che deve appunto essere qualificato e governato impiegando gli strumenti del diritto comune, ciò che giustamente ha inteso fare in un primo approccio la sentenza 12007/24.
D’altro canto, all’argomento elenctico sopra svolto, si aggiunge che una volta assunta la prospettiva per cui la normativa antitrust e la sanzione di nullità che ne conseguirebbe prescindono dal prodotto e dal mercato rilevante per espandersi in qualsiasi settore e una volta valicato il confine dell’accertamento dell’autorità competente, non si vede perché nella predetta sanzione debbano incappare solo i mutui e non altre forme di credito come le emissioni obbligazionarie delle società di capitali, quotate e non, spesso ancorate all’EURIBOR con l’effetto che gli emittenti potrebbero cancellare le relative clausole e farsi restituire gli interessi pagati agli obbligazionisti.
Resta la problematicità individuata dalla sentenza n. 12007 e che costituisce la seconda parte del test di resistenza delle clausole EURIBOR.
Secondo il secondo principio enunciato dalla sentenza n. 12007: “le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare l’indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse”.
Tuttavia e in primo luogo, non è chiara l’estensione di tale onere probatorio. Se infatti fosse necessaria la prova astratta e generale che nel periodo dal 2005 al 2008 vi sia stata manipolazione del tasso EURIBOR, questa prova verrebbe verosimilmente raggiunta ma pagando il prezzo dell’incertezza sul movimento anomalo dell’EURIBOR (che volta per volta è stato piegato verso l’alto o il basso o tenuto stabile). Se invece fosse necessaria una prova effettivamente ritagliata sul caso concreto, come invero la Cassazione sembra pretendere [79] al fine di verificare se un pregiudizio obbiettivo, scisso dall’illecito si sia comunque verificato, allora bisognerebbe che chi vi abbia interesse dimostri che lo scambio di informazioni tra gli autori dell’illecito abbia effettivamente determinato uno spostamento dell’EURIBOR[80], che la manipolazione abbia avuto ad oggetto lo stesso (tenor dell’) EURIBOR riferito nel contratto di mutuo (che normalmente nel caso dei mutui era ed è l’EURIBOR a tre o sei mesi o a 12 mesi) mentre si è visto che esistono tanti diversi EURIBOR quante sono le scadenze (dal minimo di una settimana fino a ,1, 3, 6 o 12 mesi per circa 15 scadenze diverse, i cosiddetti “tenors”)[81] precisando anche il tipo e la significatività dell’alterazione intervenuta.
Più radicalmente, il ragionamento della Cassazione n. 12007/24 presuppone inoltre che esista un EURIBOR “genuino” adulterato dall’intervento degli autori dell’illecito. Tuttavia, dato il processo di formazione dell’EURIBOR che costituisce una media delle stime dei vari membri del panel, depurata delle valutazioni poste agli estremi, superiore e inferiore, è estremamente difficile accertare quale fosse il valore “reale” dell’EURIBOR, salvo rideterminare per approssimazione l’EURIBOR nei suoi diversi tenors eliminando del tutto per il periodo considerato le stime fornite di volta in volta dagli autori dell’illecito in coincidenza con il momento in cui ciò è accaduto in modo vietato[82].
Non c’è dubbio che l’illecito concretizzatosi nella manipolazione dell’indice di riferimento, andando al di là del mercato degli EIRD, abbia propagato indirettamente i suoi effetti sul mercato dei mutui e degli strumenti di debito in generale[83] ma in che modo e misura ciò sia avvenuto è del tutto incerto, nell’incertezza includendo anche la significatività e la direzione (verso il basso o l’alto) dell’eventuale spostamento dell’EURIBOR[84].
Vi è maggiore indeterminatezza nella ricognizione degli effetti della condotta vietata, per la quale sarebbero necessarie sofisticate e ipotetiche indagini econometriche, che non nel tasso di interesse che le parti hanno voluto e che rimane perfettamente determinato (quindi valido) in assenza di un criterio certo di identificazione del “vero” EURIBOR.
Le parti hanno fatto infatti riferimento a un indice esterno che consente di addivenire alla definizione della prestazione mediante un semplice calcolo ponendosi sul piano dell’esecuzione del contratto come per un contratto perfettamente determinato. Non è dunque questo un caso di indeterminatezza o indeterminabilità del contratto che deve essere assoluta e che presuppone l’inesistenza di un criterio che in questo caso non è nemmeno sopravvenuta poiché non è mai venuta a mancare. Si ipotizza solo che vi sia stata un’alterazione ad opera di terzi i quali potranno risponderne come per qualsiasi interferenza che costituisca illecito extracontrattuale.
5. L’ordinanza interlocutoria della Cassazione, sez. I, n. 19900 del 19 luglio 2024
Mentre questo contributo era in avanzata gestazione è stata pubblicata in data 19 luglio 2024 l’ordinanza interlocutoria della prima sezione della Cassazione n. 19900 che costituisce un ulteriore passo avanti nella messa a punto di una coerente e informata risposta dell’ordinamento alle domande e alle sollecitazioni suscitate dall’intreccio tra normativa antitrust e diritto civile nella particolare vicenda delle “clausole Euribor”[85].
L’ordinanza n. 19900 nega anch’essa che i mutui indicizzati all’EURIBOR sino contratti “a valle” rispetto all’intessa oggetto dei due provvedimenti della Commissione Europea[86] ma introduce finalmente una motivazione aggiuntiva relativa al mercato rilevante oggetto dell’intervento dell’antitrust europea, fino a quel momento mai valorizzata dal giudice di legittimità e invece presente a diverse pronunce dei giudici di merito[87]. I giudici di legittimità della prima sezione osservano come lo specifico mercato su cui ha operato l’intesa funga da barriera all’estensione della portata della decisione oltre l’area affetta dall’alterazione concorrenziale rispetto alla quale i contratti di mutuo (e una moltitudine di operazioni di debito a carattere diverso dal mutuo bancario) non sono in alcun rapporto conseguenziale o strumentale.
Una volta assunta questa prospettiva che mette al centro il mercato rilevante e quindi la condotta che sul primo ha inciso e infine gli effetti che in quello si sono prodotti, appare ultronea la raccomandazione della stessa ordinanza n. 19900 che predica l’interpretazione restrittiva della nozione di contratti “a valle” di cui alla decisione delle ss.uu. n. 41994/21. Il mercato rilevante in cui si è consumato l’illecito concorrenziale è l’unico mercato in cui possono concretizzarsi contratti “a valle”[88], ogni altro effetto essendo semmai indiretto.
Ma l’ordinanza interlocutoria affronta anche il secondo aspetto emerso nella sentenza n. 12007 relativo alla soluzione di diritto comune circa l’alterazione sopravvenuta di un parametro contrattuale, di un indice di riferimento. Se la sentenza n. 12007 ha avuto il merito, per prima in relazione alla vicenda che ci occupa, di scindere i profili di diritto della concorrenza e quelli di diritto civile puro indipendenti dall’illecito anticoncorrenziale[89], l’ordinanza n. 19900 assolve al compito di approfondire questo secondo aspetto sollevando alcune criticità circa la soluzione suggerita dalla sentenza n. 12007.
L’ordinanza n. 19900 chiaramente prende posizione nel senso della validità delle “clausole EURIBOR”[90] anche quando si dimostrasse, secondo i rigorosi criteri desumibili dalla sentenza n. 12007, che sia intervenuta una turbativa (temporanea) nella genesi del parametro poiché le parti nello scegliere un indice di riferimento, lo hanno adottato come mero dato formale ed estrinseco che non chiama in causa il suo processo di formazione, non è un rinvio al procedimento ma il rinvio a un dato, assunto nella sua dimensione obbiettiva[91].
Se dunque vi è sufficiente determinatezza del contratto, non vi è argomento per giungere a dichiarare la nullità delle clausole oggetto di esame senza scomodare categorie opache, prive di generalizzato riconoscimento come la nullità sopravvenuta che, nel caso specifico, sarebbe anche temporanea (dal 2005 al 2008) o intermittente quante volte l’indice di riferimento, secondo il tenor assunto a parametro in contratto sia stato volta per volta manipolato.
Senza nullità non vi è spazio per la sostituzione automatica di clausole
Tuttavia, l’ordinanza n. 19900 ipotizza che al più l’interferenza del terzo sul negozio possa far scattare la disciplina dei vizi del consenso. L’evocazione dell’articolo 1439 c.c., già presente all’attenzione di chi scrive durante la stesura di questo contributo[92], si trova però all’intersezione con la disciplina antitrust.
Come si è innanzi detto, infatti, la prova della conoscenza dei “raggiri” ossia del contenuto dell’intesa vietata in capo alla banca mutuante, si tradurrebbe, in sostanza, nella prova della compartecipazione della stessa all’intesa vietata, prova sostanzialmente indisponibile per il privato e comunque confutativa dello stesso ruolo di terzo dell’istituto mutuante.
Solo il caso delle condotte parallele lecite, quell’area grigia di legittimo adattamento dell’impresa alle mutazioni dell’ambiente di mercato, si porrebbe fuori dall’intesa e, per giunta, in un mercato comunque diverso al punto che finisce per sfumare e svanire l’infrazione stessa.
A questo limite tutto peculiare al caso, si aggiunga che: i) dal punto di vista strettamente civilistico, il dolo del terzo di cui all’articolo 1439 c.c. è contemplato nell’ambito del dolo determinante e non di quello incidente per cui il contratto è annullabile solo se effettivamente conosciuto al momento della stipula dalla parte che ne ha tratto vantaggio[93]; ii) che ai fini della ricorrenza dell’annullabilità non si richiede né un danno per il deceptus né un approfittamento da parte dell’altro contraente né una correlazione tra queste due evenienze laddove la correlazione coinvolge i raggiri e la conclusione del contratto in cui è implicito il beneficio del contraente consapevole dell’inganno[94]
6. Spunti critici sulla giurisprudenza della Cassazione in tema di conseguenze civilistiche delle violazioni della normativa antitrust
Alla luce dell’excursus condotto sinora, si possono svolgere alcune considerazioni critiche sui pronunciamenti della Cassazione in tema di contratti “a valle” di intese vietate non prima di aver riepilogato in modo estremamente sintetico gli aspetti chiari e le zone d’ombra di questa breve ricognizione giurisprudenziale in materia di “clausole Euribor”.
Le “clausole Euribor” inserite nei contratti di mutuo delle banche non partecipi dell’illecito non sono nulle in quanto non sono lo “sbocco” dell’intesa sanzionata. Tuttavia, rimane che i soggetti incolpevoli, banche e mutuatari[95] hanno concluso dei contratti in cui il parametro oggettivo da essi eletto a strumento di calcolo dei valori scambiati è stato alterato in un modo non facilmente scrutabile.
Di questa esigenza di tutela si è fatta interprete la più recente sentenza della Cassazione, la n. 12007/2024 la quale statuisce che, in mancanza di un agevole ricostruzione dell’indice di riferimento effettivo, le “clausole EURIBOR” siano considerate nulle (per impossibile determinazione originaria o sopravvenuta dell’oggetto) temporaneamente ossia per il periodo di durata dell’illecito e siano sostituite da parametri suppletivi nella misura in cui questi siano applicabili ex articolo 1419 c.c.
L’ordinanza interlocutoria n. 19900 del 19 luglio 2024, agendo da contraltare, pone giustamente in dubbio la correttezza di una soluzione che giunga per altre vie alla nullità delle clausole EURIBOR non più in quanto effetto diretto e voluto dell’illecito anticoncorrenziale ma in quanto modificazione estrinseca di un indice di riferimento. La nullità si rivela essere, almeno in questo specifico caso, oltre che una soluzione “inappagante”[96] sotto il profilo della correzione degli effetti pregiudizievoli sul mercato perché espone alle scelte opportunistiche delle parti, anche una scelta difficile sotto il profilo dogmatico.
A parte i dubbi circa l’ammissibilità in via generale della nullità sopravvenuta[97] suscita perplessità che si deduca tale nullità equiparando il caso della mancanza assoluta ed originaria del parametro a quello dell’alterazione sopravvenuta dell’indice di riferimento ad opera di un terzo. Se infatti è comprensibile che la sopravvenienza del provvedimento amministrativo renda nullo il contratto “a valle” o clausole dello stesso in quanto materializzazione dell’intesa vietata, appare difficoltoso immaginare che le sopravvenienze contrattuali possano avere come rimedio l’invalidità quando ci si collochi fuori dall’area della propagazione dell’illecito anticoncorrenziale. Anche il rimedio dell’annullabilità del contratto ipotizzato dalla recentissima ordinanza interlocutoria, tuttavia, è costretto nelle maglie del 1439, comma 2, c.c. con i limiti sopra visti.
Sia la sentenza n. 12007, sia l’ordinanza n. 19900 sembrano essere prigioniere di un paradigma volontaristico che ma si concilia con il piano dell’esecuzione su cui operano le sopravvenienze ponendo all’ordinamento l’interrogativo sull’allocazione del rischio. Altro è un provvedimento che ex post colpisce di nullità un negozio che sia qualificabile come contratto “a valle”, altro è l’interferenza che nel corso del rapporto (ma anche all’origine, se ignota alle parti del contratto) determini un’incongruenza nella sua fase esecutiva quando oramai la volontà delle parti è compiuta, perfetta e valida[98].
In conclusione, se non si volesse approfondire, come pure sarebbe proficuo, l’utilizzo di strumenti di correzione, di riequilibrio negoziale meno dirompenti della tutela invalidante, sembra praticabile solo il rimedio del risarcimento del danno contro gli autori dell’illecito il che induce e ripensare funditus la reale esigenza e coerenza della tutela invalidante.
Une rimeditazione che deve trarre spunto sempre dal pronunciamento delle ss.uu. le quali nella sentenza n. 41994/2021 sembrerebbero aver motivato il ricorso alla nullità parziale, quale rimedio del diritto nazionale, per agevolare la posizione dei contraenti meno attrezzati specie di fronte a questioni complesse come quelle di diritto della concorrenza il cui impatto economico richiede sofisticata strumentazione concettuale e tecnica.
Almeno questo è quanto sembra trasparire in controluce dalla lettura della motivazione della sentenza n. 41994/21.
Ciò si evince da più passaggi dell’arresto. Nel paragrafo 2.11 si legge: “2.11. Tutto ciò premesso – pur nella consapevolezza dell’estrema problematicità della scelta tra le diverse forme di tutela riconoscibili al cliente-fideiussore – deve ritenersi che, tra le tre diverse soluzioni individuate da dottrina e giurisprudenza, quella che perviene a risultati più in linea con le finalità e gli obiettivi della normativa antitrust sia la tesi che ravvisa nella fattispecie in esame un’ipotesi di “nullità parziale“.
Nello sviluppare l’argomentazione e dimostrare che il rimedio della nullità è quello più congruente con gli obbiettivi della disciplina antitrust le sezioni unite ricorrono a più considerazioni.
In primo luogo, la decisione muove dalla ratio della normativa antitrust e chiarisce che tale normativa è volta a conciliare libertà di concorrenza “e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori”[99]. Questo primo assunto non depone in alcun modo per la necessità di un rimedio invalidante in quanto l’equilibrio contrattuale può essere assolto sia attraverso riconduzione ad equità del contratto[100] sia, dove questo non sia possibile, attraverso il rimedio risarcitorio.
In secondo luogo, le Sezioni Unite invocano l’argomento letterale di cui alla l. n. 287/90, articolo 2, comma 3 secondo cui “Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.” con la conseguenza, corroborata da analoghe pronunce del giudice di legittimità, che la nullità antitrust si spinge ad eliminare anche gli effetti ossia i contratti che costituiscono lo sbocco di quella intesa.
L’argomento letterale non pare così univoco poiché, letto alla luce della giurisprudenza unionale[101], la “nullità di pieno diritto” prevista dall’articolo 101 TFUE riguarda l’intesa in sé e per sé considerata affinché sia aperta la strada al “resipiscente” coautore dell’illecito di non subire conseguenze dall’infrazione del cartello. Se infatti l’intesa fosse valida, l’impresa partecipe del cartello che si sia ravveduta o voglia cessare la pratica illecita potrebbe, ad esempio, dover pagare una penale per aver violato l’accordo restrittivo della concorrenza. Un’esigenza che non ha ragion d’essere per i cosiddetti contratti “a valle”. L’analoga espressione della l. 287/90 (“nullità ad ogni effetto”) sottolinea la radicale cancellazione dell’intesa senza alcun riferimento ad altri accordi, come quelli “a valle”.
Se si ritiene che l’interpretazione letterale deponga nel senso della nullità estesa ad ogni negozio o atto “a valle”, ne conseguirebbe che anche il soggetto partecipe dell’intesa potrebbe domandarne l’accertamento o, nel nostro caso, la banca danneggiata visto che le Sezioni Unite escludono che si tratti di nullità di protezione. E tuttavia, se l’interpretazione letterale si imponesse per la sua intrinseca forza, non è nemmeno necessario motivare perché la nullità parziale dei contratti “a valle” sia quella preferibile in Italia in quanto più coerente con gli obbiettivi della normativa rispetto ai quali, invece, la nullità sembra porsi in modo neutro[102].
Non è dunque ancora chiarito perché la sanzione della nullità (parziale) dei contratti “a valle” sarebbe quella più coerente con gli obbiettivi della normativa a tutela della concorrenza se non per quanto si legge al §2.13.1 della motivazione della sentenza n. 41994/21: “2.13.1. Deve – per vero – osservarsi, al riguardo, che l’interesse protetto dalla normativa antitrust è principalmente quello del mercato in senso oggettivo, e non soltanto l’interesse individuale del singolo contraente pregiudicato, con la conseguente inidoneità di un rimedio risarcitorio che protegga, nei singoli casi, solo quest’ultimo, ed esclusivamente se ha subito un danno in concreto. Ed invero come rilevato da autorevole dottrina – l’obbligo del risarcimento compensativo dei danni del singolo contraente non ha una efficacia dissuasiva significativa per le imprese che hanno aderito all’intesa, o che ne hanno – come nella specie – recepito le clausole illecite nello schema negoziale, dal momento che non tutti i danneggiati agiscono in giudizio, e non tutti riescono ad ottenere il risarcimento del danno. 2.13.2. Per converso, è evidente che il riconoscimento, alla vittima dell’illecito anticoncorrenziale, oltre alla tutela risarcitoria, del diritto a far valere la nullità del contratto si rivela un adeguato completamento del sistema delle tutele, non nell’interesse esclusivo del singolo, bensì in quello della trasparenza e della correttezza del mercato, posto a fondamento della normativa antitrust.”
Al postutto, secondo le Sezioni Unite, la nullità (parziale) è il rimedio più coerente con la finalità di tutelare il mercato nella sua oggettività, ciò che trascende il singolo soggetto e il danno da questi subito[103] e avrebbe inoltre maggiori effetti dissuasivi[104] il che equivale a dire che la nullità ha una finalità lato sensu sanzionatoria che il solo risarcimento del danno non ha. Valutazione opinabile nella misura in cui la tutela di un valore oggettivo quale il mercato può essere assicurata anche dal rimedio risarcitorio e quanto alle potenzialità dissuasive di tale rimedio, è proprio il legislatore eurounitario ad averne giustificato l’idoneità nell’approvare la Direttiva 2014/04/UE[105].
In ogni caso, secondo la sentenza 41994/2021, la tutela di un valore generale come la concorrenza di mercato si traduce e viene sussunta e cristallizzata in una clausola generale, “ordine pubblico economico”, la cui violazione determina nullità[106].
Mediante la confluenza di nullità (parziale), ordine pubblico economico e valori costituzionali (articolo 41 Cost.) si dà corpo alla necessità di protezione del contraente debole il quale difficilmente con un’azione (solo) risarcitoria potrebbe trovare soddisfazione. Questo pare essere, al fondo delle cose, il reale impulso ispiratore della scelta del rimedio della nullità.
È stato giustamente posto in luce[107] come la reviviscenza dell’ordine pubblico economico sia da porre in relazione con finalità di protezione e tutela dell’economia sociale di mercato, specie in materia di concorrenza e di condotte di mercato abusive[108].
Tuttavia questa scelta che consiste, in ultima analisi, nel far dipendere la validità o invalidità di contratti “a valle” da condotte, comportamenti, pratiche concordate, lascia spazio ad equivoci ed incertezze che si riflettono nella giurisprudenza sopra analizzata.
Da un lato, si cerca di verificare chi sia il soggetto responsabile dell’illecito e se nei contratti “a valle” ci sia almeno un soggetto che sia stato compartecipe o consapevole, se ci sia un pregiudizio per l’altra parte e se vi sia un nesso di causalità almeno probabile tra l’illecito, lo “sbocco” dell’intesa vietata e il danno, utilizzando categorie che sono proprie dell’illecito extracontrattuale e, dall’altro, si prospetta come conseguenza di ciò l’invalidità del negozio che da tutto ciò non dovrebbe dipendere perché i difetti genetici e funzionali dei contratti hanno altro ruolo nel sistema.
Se poi si seguisse l’idea, piuttosto esplicita nella sentenza n. 41994/2021, che la nullità speciale antitrust dei contratti “a valle” abbia un sostanziale valore sanzionatorio ed effetti dissuasivi, essa non potrebbe che riguardare soggettivamente gli autori dell’illecito e non i terzi estranei per cui delle due l’una: o il soggetto è consapevole dell’abuso di cui profitta ed allora in qualche modo esso è in realtà parte dell’intesa oppure consapevole non è con l’effetto che i contratti da esso stipulati non possano dirsi nulli[109].
La criticità di questa posizione non sta solo nei due piani che si sovrappongono generando confusione e incertezze applicative ma anche nel contrasto con la condivisibile tendenza della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione che si è andata in questi anni consolidando nel senso di distinguere “regole di validità” e “regole di comportamento”[110] di cui emblematica è, ad esempio, Cass., 24 novembre 2015, n. 23914 secondo cui: “in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità”.
Anche di recente le stesse sezioni unite hanno ritenuto di fare un uso parsimonioso della sanzione della nullità[111]. Così, Cassazione civile sez. un., 15/03/2022, n. 8472 in materia di garanzie prestata da confidi minori ha affermato: “ 6.4.- La nullità negoziale, ex art. 1418 c.c., comma 1, deve dunque discendere dalla violazione di norme (tendenzialmente, seppur non necessariamente, proibitive) aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale la nullità del rapporto negoziale, neppure evocando astrattamente valori o interessi di ordine generale (come, nella specie, la stabilità e integrità dei mercati), cui possono contrapporsi altri valori e interessi di rango costituzionale, tra i quali quelli alla libertà negoziale e al diritto di iniziativa economica (tutelati anche nella Carta dei diritti fondamentale della UE, art. 16) con i limiti indicati nella Costituzione (art. 41, commi 1 e 2)”.[112]
Tirando grossolanamente le somme di questo percorso nella giurisprudenza di legittimità, si intravede un esito in cui non è la nullità speciale antitrust la chiave di volta per la cancellazione degli effetti economici indiretti dell’intesa vietata ma, semmai, sono le categorie generali del diritto civile che si misurino con le turbative ex post dell’equilibrio contrattuale.
In quest’ottica riparatoria, sia che si tratti di contratti “a valle” sia che si tratti di sopravvenienze fuori dal raggio di azione effettiva di una pronuncia dell’autorità antitrust, sarebbe foriera di risultati più soddisfacenti l’esplorazione di soluzioni sul piano della riconduzione ad equità del contratto o della rinegoziazione, ipotesi che sono state già elaborate[113] e che poggiano su una solida meditazione dottrinale[114].
A questo proposito, in ambito di tutela della concorrenza, la stessa sentenza delle sezioni unite n. 41994/2021 cita la decisione della Commissione CE n. 93/50 del 23 novembre 1992, par. 33[115], la quale, a ben leggere, conferma in più punti la validità dei contratti “a valle” ipotizzando il diritto del contraente danneggiato alla “revisione” del contratto. I clienti dell’impresa sanzionata, recita il citato provvedimento della Commissione, “dovranno avere la facoltà di restare legati ai contratti conclusi con BT, di recedere da tali contratti o di rinegoziarne i termini“.
Fuori da condotte anticoncorrenziali, come nel caso della “clausole Euribor”, revisione o recesso sono esattamente gli strumenti previsti dal nuovo articolo 118-bis TUB[116] per l’ipotesi in cui gli indici di riferimento, come appunto l’EURIBOR, subiscano variazioni sostanziali o cessino. È vero che quello dell’articolo 118-bis TUB è uno strumentario che ha come retroterra e come presupposto una nuova governance degli indici di riferimento, un microsistema di nuovo conio di cui già prima si è fatto cenno, ma ciò non è sufficiente a scartare l’indicazione che viene dall’ordinamento unionale.
In conclusione, sembra di poter dire che attraverso un movimento dialettico fatto di fughe in avanti e di correzioni, sistemazioni concettuali e affinamenti, con un continuum di progressive approssimazioni, pur per quanti non condividono la necessità o l’utilità del rimedio della nullità, si stia delineando un quadro più aderente alla realtà del fenomeno della manipolazione della clausole EURIBOR in un modo che dovrebbe consentire una più agevole soluzione da parte delle sezioni unite – nella sua futura decisione in merito – le quali dovrebbero sciogliere in maniera più chiara e definita il nodo rappresentato dal punctum dolens individuato dalla sentenza n. 12007/24 – e quindi ulteriormente circoscritto dall’ordinanza interlocutoria n. 19900 del 19 luglio 2024 – circa l’effetto delle circostanze sopravvenute sul regolamento negoziale e quindi prospettando il corretto assestamento dei contratti i cui indici di riferimento siano stati condizionati dalle intese vietate.
[1] Il periodo di riferimento della condotta illecita varia in ragione delle banche coinvolte dalla decisione. Se per tutti gli istituti di credito sanzionati nella decisione del 2013, la Commissione ha acclarato la cessazione dell’illecito il 30 maggio 2008, le date di inizio della violazione sono diverse a seconda della banca interessata e, in sintesi, vanno dal 29 settembre 2005, quale data più risalente, al 26 settembre 2007.
[2] https://ec.europa.eu/competition/antitrust/cases/dec_docs/39914/39914_8648_3.pdf che ha sanzionato diverse banche britanniche e dell’Europa continentale per la manipolazione dei parametri di calcolo di derivati sul tasso di interesse dell’Euro (“Euro Interest Rate Derivatives” o “EIRD”). La Commissione europea ha ritenuto violati gli articoli 101 del TFUE e 53 dello EEA Agreement imponendo delle sanzioni a carico dei trasgressori.
[3] Anche in questo caso gli illeciti si sono consumati in periodi differenti a seconda delle diverse banche.
[4] La Banca d’Italia ha esercitato la funzione di tutela della concorrenza nel settore del credito dal 1990 fino a gennaio del 2006 in virtù delle attribuzioni stabilite dalla legge 287/1990. A partire dal 12 gennaio 2006 le competenze sono state trasferite all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) (legge 262/2005).
[5] https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/tutela-concorrenza/provvedimenti/prov_55.pdf
[6] In realtà le clausole di deroga alla disciplina naturale della fideiussione individuate dalla Banca d’Italia nel richiamato provvedimento sono quattro poiché in esse vi rientra anche la clausola di pagamento cd. “a prima richiesta” che, tuttavia, l’autorità ha ritenuto di lasciare indenne da censure in ragione del fatto che questa è clausola non lesiva della concorrenza siccome fisiologica nelle fideiussioni bancarie, diffusa in tutta Europa e funzionale alla riduzione del rischio di controparte e, in ultima analisi, di quello sistemico.
[7] L’art. 2 dello schema (noto anche come “clausola di reviviscenza”) dichiara il fideiussore tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”
[8] L’art. 8 sancisce l’insensibilità della garanzia prestata agli eventuali vizi del titolo in virtù del quale il debitore principale è tenuto nei confronti della banca, disponendo che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”
[9] L’art. 6 dello schema prevede che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.
[10] Provvedimento n. 55/2005.
[11] Nel caso specifico si trattava dell’accertamento di un cartello tra assicurazioni per la fissazione di premi uniformi.
[12] Di cui è espressione Cass. 9 dicembre 2002 n. 17475.
[13] Nelle parole di Cassazione civile sez. un., 04/02/2005, n.2207 “E’ ben vero, come si fa rilevare in atti, che la legge vieta anche le intese che abbiano anche solo per “oggetto” la distorsione di cui si tratta, oltre che per “effetto”, ma ciò si spiega in considerazione del doppio livello di intervento che essa prevede, quello amministrativo della AGCM e quello riparatorio di cui alla azione di nullità e risarcimento. L’Autorità Garante è organo di Amministrazione, ancorché caratterizzato da ampiezza di poteri sui generis. Essa opera anche in vista di un pericolo, e dunque in considerazione della esigenza economica di prevenire l’effetto distorsivo del fenomeno di mercato. Il giudice, che dirime controversie e non si occupa di fenomeni, può essere officiato solo in presenza o in vista almeno di un pregiudizio. Dunque innanzi alla Corte d’appello deve essere allegata un’intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l’interesse ad agire dell’attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento.
Il contratto cosiddetto “a valle”, ovvero il prodotto offerto al mercato, del quale si allega, come nel caso di specie, la omologazione agli altri consimili prodotti offerti nello stesso mercato, è tale da eludere la possibilità di scelta da parte del consumatore. La realizzazione consapevole di siffatta situazione rientra in modo strutturale nel comportamento oggettivo di mercato che giustifica la azione individuale di cui all’art 33. Pertanto la previsione del risarcimento del danno sarebbe meramente retorica se si dovesse ignorare, considerandolo circostanza negoziale distinta dalla “cospirazion anticompetitiva” e come tale estranea al carattere illecito di questa, proprio lo strumento attraverso il quale i partecipi alla intesa realizzano il vantaggio che la legge intende inibire. Se un’intesa fosse ancora luogo nelle intenzioni dei partecipi e non avesse dato ancora ad alcun effetto, mentre vi sarebbe spazio, a parte la difficoltà dell’indagine, per la proibizione e la sanzione da parte di AGCM, giacché la legge, giova rammentare, vieta gli accordi che abbiano per oggetto oltre che per effetto la distorsione della concorrenza, non vi sarebbe interesse da parte di alcuno ad una dichiarazione di nullità ai sensi dell’art 33 della legge n 287 del 1990, la cui ratio è di togliere alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”. E dunque di impedire il conseguimento del frutto della intesa consentendo anche nella prospettiva risarcitoria la eliminazione dei suoi effetti.”
[14] In dottrina si riscontrano opinioni più articolate che prospettano soluzioni ulteriori quali interventi correttivi sul contratto o riconduzione ad equità dello stesso.
[15] Cass. 11 giugno 2003, n. 9384. In tal senso sembrerebbe orientata anche Cass. 26 giugno 2019, n. 24044 che, tuttavia, non pare escludere il rimedio invalidante.
[16] Il rilievo critico mosso a questa posizione è che nel campo del diritto antitrust è difficile distinguere tra le due violazioni e lo scopo della norma anticoncorrenziale è comunque quello di porre nel nulla gli effetti dell’intesa vietata.
[17] In tal senso, sebbene in modo non del tutto chiaro Cassazione civile sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810 e Cassazione civile sez. III, 19 febbraio 2020, n.4175, entrambe richiamantesi a Cassazione civile sez. un., 04 febbraio 2005, n. 2207 secondo cui il “collegamento funzionale” tra intesa “a monte” e contratti “a valle” farebbe sì che la nullità che colpisce la prima non possa non colpire o non trasmettersi anche ai secondi.
[18] Una ricostruzione ermeneutica che sembra impropriamente sovrapporre intese anticoncorrenziali e abuso di posizione dominante, da un lato, nonchè abuso di posizione dominante e abuso di dipendenza economica, dall’altro, laddove quest’ultimo è disciplina chiara e distinta riguardante il rapporto tra due soggetti economici, indipendentemente dalla situazione complessiva del mercato rilevante (es. il rapporto tra fanchisor e franchisee). Inoltre, la tutela del terzo estraneo all’intesa è sganciata dalla qualità di consumatore e riguarda anche professionisti, come abitualmente i soggetti che prestano fideiussioni omnibus.
[19] Questo ragionamento in campo civilistico si traduce nella nozione di collegamento negoziale per il quale è necessario dimostrare che le parti del contratto abbiano effettivamente voluto collegare i negozi (a monte e a valle), proposito sicuramente assente nel soggetto non bancario nel caso delle fideiussioni omnibus. In verità, in campo antitrust potrebbe persino mancare un vero e proprio accordo in termini civilistici poiché l’intesa può anche risultare da semplici condotte, giuridicamente insignificanti sul piano civilistico come sottolineato dalla stessa sentenza delle SS.UU. n. 41994/2021 al § 2.16.1.
[20] Ovvero ancora si invoca l’ipotesi di “frode alla legge” per la quale in contrario si osserva che anche in questo caso il soggetto danneggiato a valle, ossia il garante, è del tutto estraneo al disegno illecito della banca.
[21] Espresso il richiamo sul punto a Cass. ss.uu. 2207/2005.
[22] Ex articolo 2, comma 3, l. n. 287/1990.
[23] Cass. ss.uu. n. 2207/2005: “Il consumatore, che é l’acquirente finale del prodotto offerto al mercato, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. Pertanto la funzione illecita di una intesa si realizza per l’appunto con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile.”
[24] In particolare, la sentenza delle ss.uu. si sofferma sulla decisione della Commissione (CE n. 93/50 del 23 novembre 1992, par. 33) e sulla giurisprudenza della CGUE (sentenza del 10 luglio 1997, C-261/95; 20 settembre 2001, C-453/99; 13 luglio 2006, C-295/04; 14 giugno 2011, C-360/09; 6 giugno 2013, C-536/11; 14 dicembre 1983 C-319/82 e Tribunale di prima istanza, 21 gennaio 1999, T-190/96).
[25] Di attuazione della “Direttiva2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea”.
[26] L’accertamento della Banca d’Italia nel provvedimento n. 55/2005 tiene conto di questo come elemento essenziale del comportamento anticoncorrenziale (diffusione della condotta nel tempo e nello spazio di mercato): “Le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria hanno mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI. Tale uniformità discende da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo.” Questo stesso aspetto rende ragione del fatto che l’accertamento dell’autorità produca normalmente i suoi effetti probatori privilegiati per il periodo oggetto dell’istruttoria ed eventualmente per il periodo ancora antecedente mentre questo stesso privilegio probatorio si smorza per i comportamenti successivi al provvedimento specie se molto lontani nel tempo rispetto alla decisione quando l’atteggiamento inerziale dei coautori dell’illecito non è più giustificabile. Per le fideiussioni stipulate molto dopo il provvedimento della Banca d’Italia si consideri, ad esempio, quanto deciso dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) con la decisione n. 16511 del 29 dicembre 2022. A identiche conclusioni perviene Trib. Milano 3 febbraio 2023, n. 896. Si è ritenuto che nel caso di una fideiussione omnibus stipulata nel 2015 fosse onere del garante dimostrare il persistere dell’uso costante e ripetuto del modello con le clausole dichiarate illecite. A mitigare quest’onere dovrebbe essere la possibilità di ricorrere ad un ordine di esibizione per raccogliere la prova della persistenza dell’illecito (Trib. Milano, sez. spec. impresa 25 gennaio 2022 e 21 febbraio 2023).
[27] Al § 2.17 la sentenza in commento recita: “Si è, pertanto, evidentemente in presenza di una “nullità speciale”, posta – attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e della L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a) – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’”ordine pubblico economico”; dunque “nullità ulteriore a quelle che il sistema già conosceva” (Cass., n. 827/1999)”
[28] § 3 “Va affermato il seguente principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti“.
[29] Trib. Roma, sez. spec. impresa, 03 agosto 2023, n. 12073; Trib. Napoli, sez. spec. impresa, 16 maggio 2023 , n. 5024; Tribunale Pisa , 16 gennaio 2023 , n. 75.
[30] Si veda nota 2 sopra.
[31] “Euro Interbank Offered Rate” è un benchmark del tasso di interesse praticato dalle banche per i prestiti interbancari. Normalmente, le banche prestano denaro alla propria clientela al tasso di interesse pagato sul mercato dei prestiti interbancari addizionato di un margine (“spread” o “mark up” o “margine”) che costituisce la remunerazione del prestito, ossia degli attivi bancari. Nella successiva parte di questo contributo, il meccanismo di fissazione dell’EURIBOR sarà meglio analizzato.
[32] Il cui testo fa fede solo in inglese o in francese laddove in altre lingue, tra cui l’italiano, è disponibile solo una sintesi al seguente link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52017XC0630(02) quanto alla decisione del 4 dicembre 2013 e a https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52019XC0408(01) quanto alla decisione del 7 dicembre 2016. Le prime domande di nullità dei mutui contenenti le clausole EURIBOR nel priodo della manipolazione sono state rigettate su ragioni probatorie da Tribunale Latina, 12 marzo 2016; Tribunale Bologna sez. III, 08 maggio 2020, n.728;
[33] Tribunale Ancona sez. II, 31 ottobre 2018, , n.1693 che a sua volta cita le sentenze del Tribunale di Milano nn. 9708 e 9709 del 27 settembre 2017; Tribunale Roma sez. XVII, 26 ottobre 2018, n.20628 che però aggiunge anche come la nullità sia rimedio per i soli vizi genetici o formali dei contratti che violino norme imperative.
[34] Tribunale Bologna 9 febbraio 2018; Trib. Palermo, 17 febbraio 2016, n. 992.
[35] Tribunale Torino 22 settembre 2020, n.3225, Tribunale Bergamo 13 maggio 2021, n.921
[36] Tribunale L’Aquila 12 maggio 2021, n.334 secondo cui non era stato provato il contenuto dell’intesa illecita di cui comunque la banca parte in giudizio non era responsabile.
[37] Appello Venezia sez. II, 25 novembre 2021, n.2955. Sulla necessità che sia dimostrato il pregiudizio subito che sostanzia l’interesse ad agire del terzo, sia esso consumatore o imprenditore, anche Tribunale Ancona 03 giugno 2021, n.732; Tribunale Pisa, 14 settembre 2022, n.1104.
[38] Appello Venezia, cit. §3.5: “Nella decisione della Commissione europea, infatti, si parla genericamente di intese finalizzate a un “settaggio” a valore costante, alto o basso, ossia accordi diretti a ottenere un Euribor a seconda dei casi più alto o anche più basso rispetto a quello che verosimilmente si sarebbe registrato senza il cartello.
In sostanza, l’attività illecita sul piano concorrenziale ha operato per manipolare l’Euribor tanto al rialzo che al ribasso, per cui, in mancanza di dati più specifici e inequivoci, non è neppure possibile affermare che per effetto di tali pratiche anticoncorrenziali l’odierna appellante abbia necessariamente subito esborsi maggiori rispetto a quelli che avrebbe sostenuto in assenza dell’illecito sanzionato”.
[39] Tribunale Mantova, 04 aprile 2022, n.292
[40] Appello Cagliari, sez. dist. Sassari, 07 febbraio 2023, n.38 che a sua volta menziona un precedente della stessa Corte n. 260 dell’8 settembre 2022 e che difendono l’ipotesi di nullità sopravvenuta del contratto. Ma anche più di recente, Appello Cagliari, sez. dist. Sassari, 18 gennaio 2024: “La nullità del tasso Euribor nel periodo settembre 2005 – maggio 2008 per violazione dell’art. 101 TFUE e dell’art. 2 legge antitrust è invece utilmente invocabile da parte del cliente di un finanziamento bancario indicizzato sull’Euribor, legittimato ad ottenere il ripristino delle condizioni legali anche se il soggetto mutuante non abbia preso parte all’intesa vietata.
Invero, la nullità dell’intesa antitrust a monte – recepita per determinare il tasso nel contratto a valle – comporta la nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c. della convenzione di interessi e la conseguente applicazione del tasso legale in luogo del tasso contrattuale parametrato all’Euribor.” Si trattava tuttavia di un caso in cui in primo grado il Tribunale di Sassari aveva rigettato l’eccezione di nullità del tasso di interesse convenzionale non sulla base del contenuto anticoncorrenziale della manipolazione ma sulla base di una pretesa indeterminatezza ontologica dell’EURIBOR manipolato sovrapponendo due piani ricorrenti nelle azioni di nullità avverso l’EURIBOR, quello dell’indeterminatezza ex articolo 1346 c.c. di un tasso noto solo per relationem e quello della manipolazione.
[41] Questa sentenza trascura di valutare gli aspetti centrali della sentenza delle sezioni unite n. 41994/21 il cui assunto di fondo è proprio l’inesistenza di un automatismo connettivo tra nullità “a monte” per così dire e contratti “a valle” ovverosia la necessità di indagare caso per caso l’esistenza del nesso funzionale tra intesa vietata e contratti “a valle” che invece vengono accuratamente considerati da altre decisioni coeve come Tribunale Rimini sez. I, 24 febbraio 2023, n.159; Appello Taranto, 17 aprile 2023, n.157
[42] Tribunale Vicenza sez. I, 21 agosto 2023, n.1546.”Pertanto, accordare la sola tutela risarcitoria contro i partecipanti al cartello, come deciso da una parte della giurisprudenza (si richiama la recente decisione della Corte d’Appello di Milano, 30.05.2023, n. 1770; ) non è convincente alla luce di quanto sopra esposto, ergo, deve ritenersi che il cliente del contratto bancario indicizzato ad un tasso Euribor nullo a monte ha diritto ad ottenere la declaratoria di nullità di una clausola che, per effetto della prevista variazione, recepisce un parametro nullo, frutto di una condotta in violazione della normativa antitrust.”
[43] Tribunale Imperia 06 ottobre 2023, n.634: “In buona sostanza, soltanto ove fosse dimostrata una connessione diretta e funzionale tra l’intesa restrittiva e la conclusione dei contratti “a valle”, dandosi altresì prova della consapevolezza – e dunque della volontà d’approfittarne – da parte della banca che altri operatori avevano alterato l’Euribor in peius per gli investitori, potrebbe farsi questione di nullità della pattuizione relativa agli interessi dei singoli contratti di mutuo. (Tribunale Torino sent. 1810/2023; Tribunale di Milano, 16.02.2017; Tribunale di Treviso, 26.07.2018 n. 1623; Tribunale di Verona 05.03.2019 n. 170; Tribunale di Mantova n. 170/2019, ecc.).”
[44] n. 775/2022 pubblicata l’8 marzo 2022.
[45] È solo un nome ellittico per la più completa definizione di clausole di determinazione del tasso di interesse che facciano riferimento all’EURIBOR come parametro di definizione della misura del tasso, tale per cui il variare dell’EURIBOR nel tempo determina un variare nello stesso tasso di interesse complessivo che si compone di EURIBOR e spread.
[46] Almeno questo traspare da una prima reazione a caldo sulla stampa specializzata:
e https://www.ilsole24ore.com/dossier/euribor-AFFk34hC
[47] Difatti al principio del punto 3) della motivazione dell’ordinanza n. 34889/2023 si legge: “…nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto genericamente enunciata la censura dell’allora appellante perché la mera partecipazione di più istituti di credito al panel per la determinazione del tasso Euribor non implica la sussistenza di un’intesa vietata dalla l. n. 287 del 1990, art. 2 e perché la banca non aveva partecipato ad un’intesa manipolativa della concorrenza” per poi concludere: “la Corte d’appello ha errato, dunque, nel ritenere genericamente enunciata la censura di violazione della normativa antitrust”. Del resto, anche nelle conclusioni l’ordinanza chiede alla Corte d’appello in sede di rinvio di procedere “a un nuovo esame”.
[48] Per ragioni di brevità non ci si diffonde sull’obiter dictum dell’ordinanza della Cassazione, 13 febbraio 2024, n. 4001, che citando la sentenza delle sezioni unite n. 2207/2005, definisce il contratto “a valle” come “lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti” in un contesto (che qui si omette per brevità) in cui appare quasi come un hysteron-proteron logico dal momento che solo dimostrando che un determinato contratto sia sbocco dell’intesa, è possibile definirlo come contratto “a valle”. Appare giustificata, in quest’ottica, la perplessità sull’uso del termine contratto “a valle”, espressione che presuppone già l’individuazione di una concatenazione con l’intesa vietata, Camilleri, Validità della fideiussione omniibus conforme a schema tipo dell’ABI e invocabilità della sola tutela riparatoria in chiave correttiva, in Nuova. Giur. comm., 202, p. 297 e ss.
[49] D’altro canto, se così non fosse si potrebbero registrare effetti paradossali. Se un duopolio di produttori di energia elettrica, ad esempio, fissasse il prezzo dell’energia venduta a consumatori e imprenditori (articolo 101, comma 1, lettera a) si potrebbero dare due ipotesi: i) che venga considerato rilevante solo il mercato specifico dei produttori di energia per cui i danneggiati sarebbero solo le società che non possono entrare nel mercato a causa di prezzi troppo bassi; ii) che venga considerato rilevante tutto il mercato energetico per via della fissazione di prezzi molto alti nel qual caso sarebbero danneggiati sia consumatori sia imprenditori ma solo questi ultimi, a seguire la tesi giustamente avversata nella sentenza commentata, avrebbero diritto al risarcimento del danno.
[50] Cassazione civile sez. I, 1 febbraio 1999, n.827
[51] Cassazione civile sez. I, 1 febbraio 1999, n.827. “La legge non dice solo che è nullo un negozio perché il suo intento è illecito, ma piuttosto che qualunque condotta di mercato, anche realizzata in forme che escludono una caratterizzazione negoziale, come la pratica concordata o la deliberazione consortile assunta in ossequio allo statuto, purché veda la consapevole partecipazione di almeno due imprese, (altrimenti ricadendosi quando vi sia l’abuso di posizione dominante, nella figura di cui all’art. 3 della normativa in esame), è suscettibile di valutazione sotto il profilo di tale introdotto illecito”.
[52] Articolo 101 TFUE; articolo 2, comma 1 della l. n. 287/1990.
[53] Noto anche come Sugar case cartel. Sentenza della CGUE del 16 dicembre 1975 e casi riuniti da 40/73 a 48/73, 50/73, 54/73, 55/73, 56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, ECLI.EU.C.1975:174, paragrafi 173-174.
[54] Nel commentare questa decisione, Richard Wish in Competition law, Londra, 1993, p. 196 afferma: “there must be a mental consensus whereby practical cooperation is knowingly substituted for competition”.
[55] All’operatore economico è richiesto, secondo i principi del libero mercato, di agire in modo indipendente in un contesto economico, il che non priva l’impresa della facoltà di agire in modo accorto sul mercato tenendo conto del comportamento dei propri concorrenti ma preclude contatti tra le imprese o comportamenti che segnalino la condotta anticoncorrenziale di modo che le diverse imprese la recepiscano e la attuino in modo solo apparentemente autonomo.
[56] Senza volere in questa sede approfondire il complesso problema dei confini del comportamento concertante delle imprese nel diritto della concorrenza, basti qui ricordare che secondo la CGUE anche il comportamento passivo dell’impresa che si limiti a partecipare ad una riunione in cui vengono scambiate informazioni sulla condotta di mercato dei propri concorrenti senza prendere pubblicamente posizione contro tale atteggiamento, può integrare una pratica concertata rilevante ai fini antitrust, sentenza CGUE del 12 luglio 2001, Tate & Lyle and others v. Commission, casi T-202/98, T-204/98, paragrafo 58.
[57] È anche precluso il rimedio dell’annullamento per dolo del terzo che presuppone la prova della consapevolezza (appunto!) di chi abbia tratto beneficio dall’artifizio messo in opera (art. 1439, comma 2, c.c.).
[58] Il ruolo assegnato all’ordinanza n. 34889 del 2023 nella motivazione della sentenza n. 12007 è così ridimensionato notevolmente rispetto alla ricezione che, per effetto di una certa ambiguità della medesima ordinanza, ne aveva segnato la ricezione.
[59] Per cui esiste nella normativa europea una precisa denominazione ossia quella di “indice di riferimento” o “benchmark” La nozione di benchmark si ritrova all’art. 3, § 1, n. 29) MAR (Regulation (EU) No 596/2014 of the European Parliament and of the Council of 16 April 2014 on market abuse (market abuse regulation) and repealing Directive 2003/6/EC of the European Parliament and of the Council and Commission Directives 2003/124/EC, 2003/125/EC and 2004/72/EC), in base al quale è considerato indice di riferimento (benchmark): “qualsiasi tasso, indice o numero, messo a disposizione del pubblico o pubblicato, che è determinato periodicamente o regolarmente applicando una formula al valore di una o più attività o prezzi sottostanti, comprese stime di prezzi, tassi d’interesse o altri valori effettivi o stimati, ovvero a sondaggi, e sulla base di tali elementi è determinato l’importo da corrispondere per uno strumento finanziario o il valore di uno strumento finanziario”.
E quindi alle vicende dell’abbandono o della sostituzione di un benchmark è dedicato apposito Regolamento UE (“REGOLAMENTO (UE) 2016/1011 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’8 giugno 2016 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014”).
[60] A questo proposito è opportuno chiarire che, salvo per le banche che abbiano proceduto a una transazione con la Commissione Europea (Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland and Société générale), in diversi altri casi sono state proposte delle impugnazioni dinanzi agli organi giurisdizionali unionali che, al momento, hanno confermato gli accertamenti della Commissione Europea salvo rideterminare in senso più favorevole alle banche ricorrenti l’entità delle sanzioni applicate. È questo il caso della sentenza del Tribunale di prima istanza del 20 dicembre 2023, causa T-106/17, JPMorgan Chase & Co. and Others v. European Commission.
[61] La stessa decisione del 2007, è stata emendata dalla Commissione Europea mediante la Decisione C(2021) 4610 del 28 giugno 2021, a seguito della sentenza del Tribunale di prima istanza del 24 Settembre 2019, nel caso HSBC Holdings and Others v Commission (T‑105/17, EU:T:2019:675), a sua volta riformata in parte dalla sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2023, HSBC Holdings and Others v Commission (C‑883/19 P, EU:C:2023:11).
[62] Per questo caratterizzati con l’acronimo OTC in quanto si tratta di derivati non standardizzati che presuppongono una negoziazione bilaterale fuori dai mercati regolamentati.
[63] Forward Rate Agreements sono derivati in cui le parti si scambiano la differenza di valore tra un tasso di interesse noto al momento della stipula ed uno ignoto alla scadenza del contratto, calcolando tale differenza con riferimento ad un ammontare nozionale sottostante che le parti non si scambiano ma individuano al fine di calcolare il differenziale (che è il prodotto tra la differenza tra i tassi, il nozionale e la durata del derivato). Poiché il tempo determinerà un rialzo o un ribasso del tasso di interesse, una sola delle parti, a seconda dei casi, si troverà a pagare la differenza all’altra.
[64] Interest Rate Swap, in questo caso le parti del derivato si scambiano, in date stabilite e per un periodo prefissato, flussi di segno opposto determinati applicando a uno stesso capitale nozionale due diversi tassi d’interesse (ad es. fisso vs. variabile).
[65] In questo caso il contratto derivato, che può anche essere standard e talvolta negoziato sui mercati regolamentati, contempla la facoltà di una parte, verso il pagamento di un corrispettivo, di comprare o vendere il rischio che un determinato tasso di interesse superi o scenda al di sotto di un certo livello prefissato (“strike rate”). A differenza degli IRS in questo caso si avrà un solo pagamento per ogni momento della durata del contratto in cui si realizzerà il superamento verso l’alto o verso il basso (a seconda dei casi) del tasso di interesse considerato rispetto allo strike price fissato. Una suddivisione delle Interest Rate Options è quella tra Interest Rate Cap e Interest rate Floor. Nel primo, chi paga il premio ha il diritto di ricevere dal venditore per la durata del contratto e alle scadenze prestabilite, la differenza, se positiva, tra un tasso variabile e un tasso prefissato (strike rate). Se a scadenza non vi è alcuna differenza o se questa è negativa non vi sarà alcun pagamento; nel secondo, invece, chi paga il premio è acquirente del floor ed ha diritto di ricevere il pagamento della differenza, se positiva, tra il tasso prefissato e quello variabile per cui anche in tal caso se a scadenza non vi è alcuna differenza o se questa è negativa non vi sarà alcun pagamento.
[66] Si tratta di un contratto future standardizzato, negoziato sui mercati regolamentati, avente come sottostante un titolo di Stato oppure un tasso di interesse a breve termine. L’interest rate future è un contratto derivato con il quale due parti si impegnano a scambiare in una data futura (oppure entro tale data), ad un prezzo predeterminato, un titolo di stato oppure un tasso di interesse a breve termine applicato ad un capitale nozionale. Il valore di un interest rate future dipende dalle variazioni dei tassi di interesse e dall’effetto che tali variazioni producono sugli strumenti obbligazionari a tasso fisso.
[67] Si tratta di mercato wholesale dei prestiti non garantiti territorialmente esteso anche all’area EFTA.
[68] Tra le 10.45 e le 11.00 ora di Bruxelles.
[69] In passato, l’agenzia Thomson Reuters, oggi e dal luglio 2014 Global Rate Set Systems Ltd. (GRSS).
[70] All’epoca 44, oggi 19.
[71] Attualmente il panorama normativo dei benchmark finanziari è totalmente mutato, proprio in ragione delle contromisure adottate contro gli scandali LIBOR ed EURIBOR e al fine di mitigare i conflitti di interesse a cui il precedente meccanismo si è dimostrato permeabile. Per effetto della normativa introdotta (da ultimo il REGOLAMENTO (UE) 2016/1011 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell’8 giugno 2016 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014” noto anche come “Benchmarks Regulation” o “BMR”) la governance dell’EMMI (“The European Money Markets Institute”) che si occupa di gestire il processo di elaborazione degli indici di riferimento EURIBOR, EONIA e EFTERM, (definito dalla BMR, “Amministratore” di indici di riferimento) e la stessa metodologia di generazione degli indici sono profondamente mutate. In particolare, l’EURIBOR è oggi generato da una metodologia a tre livelli, detta “ibrida” in ragione delle diverse componenti di dati e di contribuzioni dei membri del panel. A differenza di quanto accadeva in passato, quando le stime erano semplicemente comunicate dalle banche del panel senza alcun riferimento ad operazioni effettivamente realizzate, oggi le stime sono calcolate al Livello 1 come medie ponderate per volume di effettive operazioni ammissibili (“eligible”, operazioni con nozionale minimo di 10 milioni di euro per tutti i tenors). Quando un membro del panel non ha eseguito un volume di operazioni sufficiente rientranti nel Livello 1, è possibile utilizzare altre operazioni ponderate secondo i correttivi di cui al Livello 2 oppure ancora ampliando il novero di operazioni fino ad allargarlo ulteriormente al Livello 3 in cui però le operazioni devono essere specificamente documentate e valutate nella loro congruità e coerenza. Sulla scorta di studi econometrici condotti come ad esempio quello di Nuria Boot Timo Klein Maarten Pieter Schinkel, Collusive benchmark rates fixing Amsterdam Law School Research Paper No. 2017-34 https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2993096 è dimostrato come un’alta volatilità di tali indici sia indicativa di accordi collusivi e che l’ampliamento delle classi di operazioni valutabili ai fini dei contributi ossia delle stime ovvero ancora la riduzione del numero di stime oggetto di media (per esempio a causa di mancanza di contrinuti dei membri del panel) possono inintenzionalmente favorire collusioni.
[72] “This Decision covers the sector of interest rate derivatives that are (at least partially) linked to EURIBOR and/or EONIA.” Commission Decision of 7 December 2016, C(2016) 8530 final, § (20).
[73] “Traders, including traders of the parties that are addressees of this Decision, communicated to and/or received from each other not publicly known/available information on their preferences for an unchanged, low or high fixing of certain EURIBOR tenors of at least one of the respective banks. These preferences depended on their trading positions” Commission Decision of 7 December 2016, C(2016) 8530 final, pagina 97, §(358) e più avanti al §(388) nel chiarire il meccanismo manipolatorio posto in essere e l’effetto sulla formazione del prezzo degli EIRD: “For the purposes of pricing the EIRDs, the applicable EURIBOR tenor which is maturing or resetting on a certain date may determine either the cash flow a bank receives from the counterparty or the cash flow a bank needs to pay to that counterparty with whom it has entered into that trade. In other words, from the bank’s point of view the EURIBOR can either be the basis for the cash-flow received from such a trade or the cash-flow paid out on such a trade. In order to increase its profit, a bank may, depending on its trading position or exposure, have an interest in a high EURIBOR fixing (when it receives an amount calculated on the basis of EURIBOR), a low fixing (when it needs to pay an amount calculated on the basis of EURIBOR) or be "flat" (when it does not have a significant position in either direction). The manipulation of the EURIBOR therefore constitutes the fixing of a pricing component of EIRDS. In addition, because the manipulation of the EURIBOR influences the value of EIRDs held by market players and also their strategy relating to these contracts, such rate manipulation also constitutes the fixing of trading conditions within the meaning of Article 101(1)(a) of the Treaty, as it affects the structure of competition”.
[74] Commission Decision of 7 December 2016, C(2016) 8530 final, pagina 98, §(361).
[75] Aspetto giustamente valorizzato dalla recente sentenza della Corte di appello di Firenze Sez. spec. Impresa, 15 aprile 2024 n. 720, https://www.dirittobancario.it/art/manipolazione-euribor-non-sussiste-alcune-invalidita-derivata/ per escludere in radice, proprio in ragione del mercato rilevante, qualsiasi influenza sul settore dei mutui. Alle stesse conclusioni erano giunte la sentenza del Tribunale Milano sez. VI, 21 febbraio 2024), n.2221; quella del Trib. Torino 29 gennaio 2024.
[76] Per come applicato attualmente dalla Cassazione (sez. I, 14/06/2024, n.16604 e sez. I, 24/12/2020, 29576) l’art. 117, comma 7, TUB, determina un’inversione della forbice tra tassi (per operazioni attive e passive) che ha tutto il sapore di una sanzione per un illecito che, nel caso delle clausole EURIBOR, la banca non avrebbe commesso. Questo si dice in aggiunta alle ulteriori e condivisibili osservazioni di A. Parziale e N.M.F. Faraone, in “Affinità/divergenze tra le fideiussioni omnibus e le “clausole Euribor”: del conseguimento della nullità antitrust”, in questa rivista, sezione “Dialoghi di Diritto dell’Economia”, p. 30, nota 64 e pagina 32. L’aura sanzionatoria che caratterizza l’articolo 117, comma 7, lett. a) non è solo implicita nella menzionata giurisprudenza della Corte di Cassazione ma anche esplicita nell’articolo 118-bis, comma 4, che prevede appunto in caso di infrazioni di obblighi informativi sui benchmark, l’applicazione dei tassi di cui al menzionato articolo 117-bis TUB ovvero di cui all’articolo 125-bis, comma 7, lettera a), se si tratta di contratti conclusi con i consumatori.
[77] Non è nemmeno escluso che un costante incremento verso l’alto dell’EURIBOR non possa essere considerato dannoso per le banche incolpevoli. L’ipotesi non è così peregrina se un attento studioso come G. Guizzi, in “Manipolazione dell’Euribor e nullità contratti di finanziamento a tasso variabile: “ci risiamo”!” in Rivista di Diritto Bancario, Gennaio-Marzo 2024, nota 25, citando il lavoro di A. RODRÍGUEZ LÓPEZ - H. FERNANDEZ ABASCAL - J.J MATÉ GARCÍA - J.M. RODRÍGUEZ FERNÁNDEZ - J.L. ROJO-GARCÍA - J.A. SANZ-GÓMEZ, “Evaluating Euribor Manipulation: Effects on Mortgage Borrowers”, in Finance Research Letters, 2021, osserva, “movendo dall’analisi del valore dell’Euribor a 12 mesi, stabilito in base ai fondamentali economici e finanziari e risultante pari al 2,149%, hanno rilevato che nel periodo oggetto di indagine da parte della Commissione – pur in assenza di sostanziali variazioni di detti parametri almeno sino a settembre 2008, anno di avvio della crisi che ha travolto i mercati europei a seguito del crack Lehman – il tasso Euribor a 12 mesi si è attestato al 2,22% con un incremento di 7,05 punti base, suscettibile dunque di essere ragionevolmente considerato come effetto della manipolazione. Secondo lo studio in questione, pertanto, rispetto a un mutuo stipulato nel settembre 2005, per un capitale di € 100.000,00 a dieci anni e con piano di ammortamento alla francese un mutuatario avrebbe pagato maggiori interessi, a causa della manipolazione, per complessivi € 2.778 euro, di cui € 775 corrispondenti al periodo dal 2005-2008 oggetto dell’indagine, e € 2.003 per il successivo giugno 2008-aprile 2010 su cui si sono ancora riflessi gli incrementi di valore dell’Euribor determinati dalla manipolazione”.
Tuttavia, lo studio dà logicamente per assunta la manipolazione del tasso Euribor a 12 mesi quale tasso tipico dei mutui ipotecari alla clientela ciò che invece dovrebbe essere dimostrato in quanto non è affatto certo che per posizioni in derivati sia stato proprio il tenor più lungo ad essere adulterato. Inoltre, come evidenziato dalla “Overview” degli eventi accertati (§113 della Decisione della Commissione del 2016) i coautori dell’illecito hanno agito in modo opportunistico e sporadico legando la comunicazione di stime non corrette dei diversi tenors a specifiche strategie di trading di specifici (lucrosi) derivati.
A questo deve aggiungersi che seppure è vero che un incremento dell’EURIBOR si scarica sui clienti delle banche le quali conservano il margine, è anche vero che se si ipotizzasse un costante incremento dell’EURIBOR nei tre anni dal 2005 al 2008 (ciò di cui non vi è affatto evidenza), comunque questo potrebbe aver determinato, insieme ad un incremento del costo della provvista delle banche anche, e sempre ipoteticamente, una riduzione degli impieghi per il calo della domanda.
[78] A. Dolmetta, “Euribor manipolato e contratti a valle. Questioni” in Rivista di diritto Bancario, Gennaio-Marzo 2024, p. 11.
[79] È quanto si evince dalla lettura del seguente paragrafo della sentenza n. 12007: “6.3 Sulla base delle premesse fin qui esposte, deve, in particolare, concludersi che, affinché possano avere ingresso tutte le valutazioni richiamate in merito alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali contenenti il richiamo al parametro dell’Euribor, occorre sempre necessariamente, in primo luogo, che sia fornita (evidentemente da chi allega la invalidità della clausola) la prova, non solo dell’esistenza di una intesa o di una pratica volta ad alterare il parametro in questione, ma anche del fatto che tale intesa o pratica abbia raggiunto il suo obbiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente "alterato" in concreto, a causa della illecita manipolazione subita e, di conseguenza, non sia utilizzabile nei rapporti tra le parti, non corrispondendo all’oggetto del contratto, come determinato secondo la volontà delle parti. Tale accertamento, poi, deve essere compiuto non in astratto ed in generale, ma caso per caso ed in relazione al tempo in cui le pratiche illecite hanno avuto un effettivo riflesso sul mercato di riferimento del contratto, valutando: a) se le pratiche manipolative anticoncorrenziali poste in essere dal cartello (nella specie, quello delle banche sanzionate dalla Commissione Europea) abbiano alterato effettivamente l’Euribor e non siano rimaste a livello di mero tentativo (senza, cioè, raggiungere lo scopo di alterare in concreto quel tasso, come infine fissato); b) se e per quale tempo ed in quale misura tale alterazione abbia inciso in modo significativo sulla determinazione del tasso di interesse previsto dalle parti nel singolo contratto; c) quali siano le conseguenze della eventuale nullità parziale delle relative clausole sul complessivo assetto negoziale e sulla possibilità di una sostituzione automatica – ed in quali termini – con previsioni minimali di legge”.
[80] Cosa tutt’altro che sicura perché la condotta dei soggetti sanzionati mirava ad influenzare la formazione dell’indice di riferimento ma, data la metodologia di formazione dell’indice (media dei contributi delle banche del panel corretta ai margini inferiore e superiore) non era sicuramente capace di determinarla in modo automatico mentre non è chiaro quanto fosse in grado di condizionarla secondo criteri probabilistici.
[81] E non è detto che tutti i tenors siano stati oggetto di alterazione nello stesso periodo o che non sia stato alterato l’EONIA,
[82] Il condizionamento delle stime (o contributi) è stato continuo nell’episodicità.
[83] Un caso molto simile a questo occorrerebbe quando ad esempio venga concluso un contratto di compravendita di titoli azionari quotati nel giorno X e si scopra successivamente che il prezzo di borsa di quei titoli in quello stesso giorno X sia stato alterato da insider trading o da manipolazione di mercato spingendo il prezzo verso il basso o verso l’alto. Chi, acquirente o venditore, sia stato danneggiato dall’effetto della manipolazione di mercato potrà agire per il risarcimento del danno contro il responsabile ma certo il contratto non diventa nullo.
Non a caso, per effetto dell’articolo 4.1, lett. e, d.lgs. 10 agosto 2018, n. 107 (“Norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/CE e le direttive 2003/124/UE, 2003/125/CE e 2004/72/CE.”), gli “indici di riferimento” come definiti nel BMR sono oggetto di protezione penale ed amministrativa, in caso di manipolazioni come quella condotta dalle banche condannate dalla Commissione. Persino in ipotesi di reato, seguendo la giurisprudenza della Cassazione penale in tema di reati e contratti illeciti, nulli sono solo i contratti che siano effetto diretto del reato (cd. “reati in contratto”): “Il contratto stipulato per effetto diretto del reato di estorsione è affetto da nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in conseguenza del suo contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d’interesse collettivo sottese alla tutela penale, in particolare l’inviolabilità del patrimonio e della libertà personale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull’annullabilità dei contratti" (Sez. 2, Sentenza n. 17959 del 2020, Rv. 658946-01)” (Cass. 31 maggio 2022, n. 17568).
[84] Ulteriore ragione per la quale non è perseguibile nello specifico caso il percorso “triangolare” individuato da Dolmetta, Euribor manipolato e contratti a valle. Questioni” in Rivista di diritto Bancario, Gennaio-Marzo 2024, pp.10-11, secondo cui in questi casi, dichiarata nulla la clausola EURIBOR per l’effetto distorsivo obbiettivo registratosi, sarà la banca non partecipante all’intesa a dover agire nei confronti dei responsabili dell’illecito “a monte” e che sembra più influenzato da ragioni di politica del diritto che da una stretta esegesi normativa.
[85] Il teso della decisione e una prima chiara e accurata sintesi della medesima si trovano in questa rivista all’indirizzo https://www.dirittobancario.it/art/manipolazione-euribor-il-contrasto-e-la-rimessione-alle-sezioni-unite/
[86] In via incidentale si nota pure, senza voler espandere il novero delle questioni che qui si toccano, che l’ordinanza in commento ritiene le decisioni della Commissione più volte qui citate, non come mera “prova privilegiata” ma come vincolo pe ril giudice nazionale ex articolo 16, comma 1 del Regolamento n. 1/2003 secondo cui:
“Articolo 16 Applicazione uniforme del diritto comunitario in materia di concorrenza
1. Quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all’articolo 234 del trattato.”
[87] Si vedano in tal senso le sentenze citate nella nota 75.
[88] Nel caso delle “clausole EURIBOR”, in realtà, per le caratteristiche stesse dell’intesa sanzionata, non esistono contratti “a valle” diversi da quelli (derivati su tasso di interesse relativo all’euro) conclusi dagli stessi partecipanti all’intesa con le loro controparti. Quest’ultime potranno agire nei confronti dei responsabili della manipolazione che ha alterato il loro contratto derivato, i quali ne rispondano in solido. Se le banche dell’ex panel EURIBOR, X e Y hanno brigato per condizionare l’EURIBOR e favorire X nel suo IRS con Z, Z avrà azione sia contro X che contro Y, solidalmente responsabili. Un problema ulteriore è cosa accada alle coperture tutte le volte in cui Z abbia compiuto un’operazione specchio per proteggersi dall’esito del derivato alterato e, a seconda dei casi, la strategia di mirroring potrebbe anche aver ridotto il danno subito da Z, nell’esempio descritto.
[89] Ferma in ogni caso la possibile tutela risarcitoria.
[90] È vero che l’ordinanza interlocutoria n. 19900 prospetta comunque una possibile annullabilità del contratto con le clausole EURIBOR ma queste ultime perciò stesso rimangono valide e produttive di effetti. Non può non richiamarsi in proposito la splendida e persuasiva argomentazione,, di Irti, “Concetto giuridico di “comportamento” e invalidità dell’atto”, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 4, 2005, p. 1053 e ss.: “Nullità e annullabilità si mostrano, dunque, diverse e contrarie: non specie di un unico genere, ma figure autonome, ciascuna in sé definita e isolata. La nullità − mi provo a riassumere − consiste in un giudizio logico, che il diritto fa, per così dire, dentro se stesso. È rifiuto e negazione di giuridicità. L’annullabilità presuppone invece l’acquisita qualifica di atto giuridico, cioè accoglimento e ingresso nella sfera di validità. Il diritto affida all’iniziativa di uno o di più soggetti di difendersi contro ciò che è accaduto (e che esso diritto, proprio esso, ha lasciato accadere).”
[91] “Né sembra possa ritenersi che l’illecito del terzo possa far venir meno l’esistenza del consenso delle parti in ordine alla vicenda contrattuale, idoneo ad esprimere la loro volontà negoziale (…)” par. 24.
[92] Supra, nota 57.
[93] Tribunale Roma sez. II, 26/06/2009, n.14218 la quale ricorda pure come non sia sufficiente a integrare l’ipotesi di annullabilità, la mera conoscibilità,
[94] Del Prato, in Trattato del contratto, vol. IV, Rimedi – 1 a cura di Aurelio Gentili, Milano, 2006, p. 274.
[95] Ma non solo, il problema riguarderebbe la quasi totalità dei prodotti finanziari di debito emessi o venduti (o per le rate di prestiti preesistenti) sul mercato italiano per il periodo 2005-2008 come correttamente notato da A. Parziale e N.M.F. Faraone, in “Affinità/divergenze tra le fideiussioni omnibus e le “clausole Euribor”: del conseguimento della nullità antitrust”, in questa rivista, sezione “Dialoghi di Diritto dell’Economia”, cit. pp. 11 e 12.
[96] Ordinanza n. 19900, cit. par. 21, p. 8
[97] Su cui si veda Mantovani, Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, nel Trattato del contratto, diretto da Roppo, IV, Rimedi, Milano, Giuffrè, 2006, p. 29 e ss. in cui si da ampiamente conto del dibattito. In questa sede non è pertinente il richiamo alla giurisprudenza in tema di fideiussioni omnibus le quali sono state colpite da nullità derivata dall’intesa nulla “a monte” laddove nel caso che si esamina si vorrebbe approdare alla nullità per sopravvenuta “impossibilità di determinazione dell’oggetto”.
[98] Macario, Le sopravvenienze, in Trattato del contratto, vol. V, Rimedi – 2 a cura di Vincenzo Roppo, Milano, 2006, p. 495 e ss, segnatamente nel capitoletto n. 2 “La disciplina delle sopravvenienze e le categorie generali del contratto”, pp. 498-502, il quale attraverso la figura dottrinale della “presupposizione” richiama la difficoltà in sede teorica di separare la funzione di controllo delle sopravvenienze dal dogma liberale volontaristico con l’effetto che una costruzione tutta dogmatica come la presupposizione nasce sul pilastro concettuale della volontà delle parti per essere impiegata in funzione del controllo delle sopravvenienze. Ed in effetti, anche nel caso che qui si sta esaminando, questo delle “clausole EURIBOR”, sarebbe ben possibile replicare il paradigma sostenendo che le parti avevano concluso il contratto sulla base del presupposto della correttezza dell’EURIBOR la cui “genuinità” si è rivelata insussistente sia pure temporaneamente.
[99] Il che, se non errato, è quantomeno parziale perché la tutela della concorrenza è posta anche nell’interesse delle imprese che confidano in un mercato aperto e correttamente regolato, un level playing field per i partecipanti.
[100] Soluzione da sempre sostenuta con dovizia di argomentazioni da G. Guizzi, già in Mercato concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, I, 67 e ss.
[101] Corte di Giustizia, sentenza del 30 giugno 1966, causa 56-65, Société Technique Minière (L.T.M.) v Maschinenbau Ulm GmbH (M.B.U.); Corte di giustizia (Quarta Sezione), sentenza del 14 dicembre 1983, Causa 319/82, Société de vente de ciments et bétons de l’Est SA contro Kerpen & Kerpen GmbH & Co. KG; Corte di giustizia (TerzaSezione), sentenza del 18 dicembre 1986, Causa 10/86, VAG-France c. Etablissements Magne SA.
[102] Se non pregiudizievole, come ha rilevato Guizzi, op. cit., pp. 49-50 e nota 26 quanto agli effetti della prescrizione della condictio indebiti a fronte dell’azione risarcitoria il cui dies a quo appare più mobile o in virtù della normativa speciale del d.lgs. 3/2017 o della giurisprudenza sul termine iniziale di prescrizione nell’illecito aquiliano.
[103] Anche se comunque chiunque faccia valere tale nullità dovrebbe dimostrare l’esistenza di un interesse e quindi di un pregiudizio da rimuovere.
[104] Un’affermazione apodittica giustamente contestata da Gentili, Sulla tutela del cliente nel “contrato a valle” (il caso Euribor), in Rivista di diritto bancario, Gennaio-Marzo 2024, p.19 e ss.
[105] C. Scognamiglio, Danno antitrust, scopo della norma violata e funzioni della responsabilità civile, in Questione Giustizia 1/2018, p. 144 e ss.
[106] La sentenza n. 41994/2021 cita in proposito diversi casi in cui la nozione di ordine pubblico economico viene impiegata come limite esterno della libertà di contrarre. Si tratta di Corte Giustizia, 01 giugno 1999, C- 126/97, Eco Swiss China Time Ltd) con cui si è ritenuto che la violazione dell’articolo 85 del Trattato di Roma (oggi 101 TFUE) costituisca ordine pubblico ai fini del diritto nazionale che riconosca la violazione dell’ordine pubblico come vizio di nullità di un lodo arbitrale. Viena anche richiamata Cass., 05 agosto 2020, n. 16706 che applica questa stessa clausola generale nel contesto fallimentare. Nello stesso senso di recente la categoria si rinviene in Cass. 10 ottobre 2023, n. 28365 a proposito della trasparenza e competitività delle procedure di liquidazione dell’attivo del fallimento ma facendo emergere come “ordine pubblico economico” una sintesi apicale delle norme imperative di un ordinamento o di parte dello stesso. Non sfuggirà all’interprete interessato ai profili teorici più generali del diritto come l’impiego di clausole generali consenta l’apertura di una flessibile valvola di creazione giurisprudenziale. Si veda in proposito Guarneri, L’ordine pubblico e il sistema delle fonti del diritto civile, Padova, 1974, p. 93.
[107] G. Passagnoli, Il contratto illecito, a cura di G. Vettori, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Milano, 2006, Tomo II, Il regolamento, pp. 456-458.
[108] Passagnoli, op. cit, p. 457
[109] In verità residua lo spazio per comportamenti paralleli non collusivi per i quali, tuttavia, mancando una prova privilegiata, sarebbe pur sempre il danneggiato a dover dimostrare il “nesso funzionale” e il pregiudizio al fine di conseguire la nullità del negozio “a valle”.
[110] Per una succinta esposizione dell’evoluzione dell’orientamento della Cassazione sul punto si veda Antonio Albanese, “L’asimmetria informativa nel trading on line, tra nullità di protezione e teoria generale del contratto”, Giurisprudenza Commerciale, fasc.2, 1 aprile 2024, pag. 393 e ss..
[111] A questo filone si può ascrivere anche Cassazione civile, sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719 in tema di superamento del limite di finanziabilità proprio del mutuo fondiario ex articolo 38 TUB.
[112] Giurisprudenza di legittimità piuttosto costante se si pensa che così si esprimeva Cass. ss.uu., Sentenza n. 26724 del 19/12/2007 “In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta "nullità virtuale"), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità’
[113] Supra, nota 99.
[114] Solo per citare alcuni contributi Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 1046; Macario, Adeguamento e rinegoziazione dei contratti a ungo termine, Napoli, 1996.
[115] Par. 2.14: “Va osservato, infatti, che la decisione della Commissione CE n. 93/50 del 23 novembre 1992, al par. 33, ha previsto - con riferimento ad un’impresa comune ritenuta restrittiva della concorrenza - che "lo scioglimento del contratto di impresa comune garantirà l’autonomia commerciale delle parti. Tuttavia, i contratti con i clienti stipulati da BT nel quadro degli accordi di impresa comune continuano ad essere validi senza alcuna modificazione". La stessa decisione subito precisa, però, che "ciò non significa che i contratti con i clienti rientrano anch’essi nel campo di applicazione dell’art. 81, paragrafo 1, unicamente a causa dei loro collegamenti con gli accordi orizzontali restrittivi. Tuttavia, gli effetti restrittivi che questi contratti perpetuano potranno essere eliminati solo quando i clienti avranno acquisito il diritto di revisione. Di conseguenza, essi dovranno avere la facoltà di restare legati ai contratti conclusi con BT, di recedere da tali contratti o di rinegoziarne i termini". Dal che si evince, del tutto chiaramente, che la nullità dell’intesa a monte (nella specie nella forma di un’impresa comune) non produce automaticamente la nullità dei contratti a valle, per violazione dell’art. 81 del Trattato, in quanto collegati all’accordo restrittivo della concorrenza. Ma ciò non implica che da tali contratti il consumatore non possa comunque sciogliersi, secondo le modalità previste dagli ordinamenti nazionali.”
[116] Introdotto dall’articolo 3, lett. a, d. lgs. 7 dicembre 2023, n. 207.