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Giurisprudenza

Market Abuse e violazione del ne bis in idem sostanziale

25 Novembre 2022

Nicolò Massaro, borsista di ricerca, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna

Cassazione Penale, Sez. V, 01 febbraio 2022, n. 3555 – Pres. Sabeone, Rel. Tudino

Di cosa si parla in questo articolo
MAR

Con Sentenza n. 3555 del 1° febbraio 2022, la Cassazione Penale si è espressa sul ne bis in idem in caso di sanzioni in materia di market abuse.

In argomento di rispetto del profilo sostanziale del ne bis in idem – cioè, al fine di garantire la complessiva proporzionalità del trattamento sanzionatorio comminato – in presenza del cumulo di una sanzione penale e una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale in materia di market abuse, una questione afferente la proporzionalità complessiva del trattamento punitivo non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso di legittimità quando il ricorrente avrebbe potuto proporla nel giudizio di merito e non l’abbia proposta.

Infatti, l’obbligo, per il giudice comune, di valutare – nella verifica della compatibilità con il principio del ne bis in idem del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’autore dell’abuso di mercato – la proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al disvalore del fatto, da apprezzarsi con riferimento agli aspetti propri di entrambi gli illeciti (quello penale e quello “formalmente” amministrativo), in linea con gli approdi della giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte EDU, non può derogare alle preclusioni processuali correlate al principio devolutivo nell’ordinamento interno, come declinate dall’art. 609 c.p.p., nell’interpretazione resa dal diritto vivente.

Tuttavia, uno spazio per il rilievo d’ufficio della sproporzione può porsi nei limitati casi in cui la sanzione amministrativa sia stata irrogata nel massimo, sì da rendere ingiustificata ogni ulteriore aggravio sanzionatorio, mentre al di fuori di una irriducibile evidenza della sproporzione, la proporzionalità del carico afflittivo è rimessa all’onere di deduzione dell’imputato, se l’irrevocabilità della sanzione non è sopravvenuta al giudizio di merito.

Nel caso di specie, il ricorrente, condannato dalla Corte d’appello alla pena ritenuta di giustizia in quanto concorrente morale nella commissione di una pluralità di reati – tra cui il delitto di manipolazione del mercato ex art. 185 del TUF – aveva lamentato, per la prima volta, dinanzi alla Corte di Cassazione – senza aver mai posto la medesima questione nelle more del giudizio di merito – la violazione del divieto di bis in idem sancito dall’art. 649 c.p.p., per avere già subito, in relazione ai medesimi fatti, l’applicazione definitiva di una sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale ai sensi dell’art. 4, Protocollo n. 7 della Cedu, così come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Infatti, all’esito del procedimento sanzionatorio Consob di cui all’art. 187-septies del TUF, egli era già stato condannato ad un’ingente pena pecuniaria ed all’interdizione; sanzioni, queste, che parte ricorrente riteneva suscettibili di assorbire l’intero disvalore penale del fatto e che – conseguentemente – avrebbero dovuto condurre, in tesi, alla disapplicazione della pena irrogata in sede penale.

La Suprema Corte, dopo aver precisato come la doglianza in oggetto fosse riferita unicamente alla dimensione sostanziale del principio del ne bis in idem – ossia alla complessiva proporzione della sanzione comminata – e non anche al profilo processuale dello stesso – relativo, invece, alla sussistenza di una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta” (c.d. close connection) tra i due distinti procedimenti, tale che le due sanzioni siano parte di un unico sistema sanzionatorio – ribadisce come il proprio consolidato orientamento (sulla scia, tra le altre, della celeberrima sentenza della Corte di Strasburgo, A. e B. c. Norvegia del 15/11/2016)  preveda che, in materia di market abuse, la disapplicazione della disciplina penale possa avere luogo soltanto nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa già inflitta in via definitiva sia strutturata in maniera e misura tali da assorbire completamente il disvalore della condotta (“coprendo” sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi e, in particolare, offrendo tutela complessivamente e pienamente adeguata e soddisfacente all’interesse protetto dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari), poiché in tal caso il cumulo delle sanzioni risulterebbe radicalmente sproporzionato e contrario ai principi sanciti dall’art. 50 CDFUE, e art. 4 Prot. n. 7 CEDU, come interpretati dalla giurisprudenza sovranazionale e dell’Unione europea.

Tale valutazione – che deve essere svolta anche tenendo conto dei meccanismi di coordinamento tra i distinti procedimenti introdotti dal legislatore nel 2018 mediante la modifica dell’art. 187-terdecies del TUF – si pone, comunque, a valle della questione che risulta controversa – e dirimente – nell’ipotesi in esame: essa riguarda, invero, il rapporto tra il principio devolutivo delle impugnazioni e la dimensione sostanziale del divieto di un secondo giudizio su di un medesimo fatto, quando la comminazione, in via definitiva, della sanzione amministrativa sia stata disposta nel corso della celebrazione del procedimento penale di merito, e – tuttavia – la questione circa la complessiva proporzionalità del cumulo sanzionatorio sia stata proposta per la prima volta in giudizio dall’imputato solo in sede di ricorso dinanzi al giudice di legittimità.

In altri termini, è possibile dedurre per la prima volta con il ricorso per cassazione una questione riguardante la proporzionalità complessiva del trattamento punitivo, quando il ricorrente avrebbe potuto proporla nel giudizio di merito e non l’ha fatto?

Ebbene, secondo gli ermellini, la risposta è negativa: se l’irrevocabilità della sanzione amministrativa non è intervenuta in seguito al termine del giudizio di merito, la valutazione del giudice circa la proporzionalità del carico afflittivo risulta subordinata all’onere di deduzione dell’imputato.

Le preclusioni processuali poste dal principio devolutivo – pertanto – devono essere considerate prevalenti rispetto all’obbligo del giudice di valutare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio in relazione al disvalore di fatto: la dimensione applicativa dell’art. 609 c.p.p. preclude all’imputato, già destinatario di una sanzione definitiva, di tacere la questione della proporzionalità complessiva del trattamento punitivo nelle more del giudizio di merito, per poi proporre tale argomento – per la prima volta – in sede di giudizio di legittimità.

Vi è un’unica eccezione individuata dalla Corte: si tratta del caso in cui la sproporzione del trattamento sanzionatorio sia manifesta, come ad esempio si verifica quando la sanzione amministrativa “punitiva” sia stata irrogata nel massimo. In tale ipotesi, infatti, l’eventuale rilievo ex officio della violazione del ne bis in idem sostanziale risulterebbe ammissibile, dal momento che ogni ulteriore inasprimento del trattamento sanzionatorio risulterebbe di per sé ingiustificato.

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