Con sentenza del 2 febbraio 2021, C‑481/19, la Corte di giustizia dell’Unione europea, riunita in Grande Sezione, ha affermato il principio secondo cui una persona fisica sottoposta ad un procedimento sanzionatorio amministrativo per abuso di informazioni privilegiate, nel caso di specie avviato dalla Consob, ha il diritto di mantenere il silenzio se le sue risposte possono far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
Il diritto al silenzio non può però giustificare qualsiasi omessa collaborazione della persona interessata con le autorità competenti, come in caso di rifiuto di presentarsi ad unʼaudizione prevista da queste ultime o di manovre dilatorie intese a rinviare lo svolgimento di tale audizione.
Di seguito il principio espresso dalla Corte.
L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.