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Giurisprudenza

Bancarotta per distrazione in caso di sottrazione di beni oggetto di noleggio e leasing

20 Dicembre 2017

Marianna Geraci, Trainee Lawyer presso Studio Legale Silvestri di Roma e Dottoranda di Ricerca in Diritto Penale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Cassazione Penale, Sez. V, 17 giugno 2017, n. 44350 – Pres. Nappi, Rel. Micheli

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Con la sentenza in epigrafe i Giudici della V° Sezione Penale della Corte di Cassazione sono stati chiamati a pronunciarsi sulla configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione alla sottrazione di beni oggetto di contratti di noleggio e di leasing stipulati da una società poi fallita.

Nel caso di specie, l’amministratore unico di una S.r.l., successivamente liquidatore della stessa, era stato infatti ritenuto responsabile anche all’esito del giudizio di secondo grado del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere realizzato condotte distrattive di beni ottenuti dalla società a titolo di noleggio e di leasing mai consegnati al curatore fallimentare; con il ricorso proposto in Cassazione, l’imputato rilevava però come quei beni non potessero considerarsi oggetto di distrazione in quanto non facenti parte del patrimonio della società, avendone quest’ultima la sola disponibilità in forza dei contratti sopra specificati, tra l’altro risolti per inadempimento della società concessionaria, una volta fallita. Specie in ragione di tale ultima circostanza, il ricorrente segnalava l’assenza del danno ai creditori: non rientrando i beni in parola nel patrimonio societario, nessuna sottrazione economica e, quindi, nessuna lesione, ne sarebbe potuta derivare ai diritti dei creditori.

La Cortedi Cassazione rigetta il ricorso, specificando che la giurisprudenza secondo la quale non possono essere oggetto delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale i beni sui quali il fallito ha un possesso solo precario (e il proprietario vanta un diritto alla restituzione) debba essere riletta in relazione al decisivo profilo “della ravvisabilità di un effettivo ingresso nel patrimonio dell’imprenditore”.
In particolare, quanto al leasing, si osserva che ove il fallimento – come nel caso esaminato dalla Corte – riguardi la società utilizzatrice, questa non possa che avere la sola disponibilità di fatto del bene, e non invece quella giuridica, almeno finché non eserciti il diritto di opzione e corrisponda il prezzo di riscatto acquisendo di quel bene la proprietà. Quindi, poiché la disponibilità di fatto postula l’avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di leasing, una volta verificatosi tale presupposto, la relativa appropriazione da parte dell’utilizzatore ben potrà integrare distrazione, “in quanto la sottrazione (o la dissipazione) del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione”.       
Infine, rispetto alla lamentata circostanza che i contratti di leasing e noleggio fossero già stati risolti e che dunque non vi potesse essere alcun pregiudizio per i creditori della società, la Corte sottolinea che l’inadempimento dell’obbligo di restituzione implica in ogni caso una deminutio patrimonii e che, peraltro, è proprio una norma della stessa Legge Fallimentare, precisamente l’art. 79, a stabilire che “se le cose delle quali il fallito deve la restituzione non si trovano più in suo possesso il giorno della dichiarazione del fallimento, e il curatore non può riprenderle, l’avente diritto può far valere nel passivo il credito per il valore che la cosa aveva alla data della dichiarazione del fallimento”.

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