Con sentenza del 7 giugno 2016 (n. 11638), la Suprema Corte viene a esprimersi in merito alla disciplina applicabile al mutuo fondiario in tema di anatocismo.
Come viene ad illustrare la Corte (richiamando la precedente Cass. n. 11400 del 2014), si tratta di un contratto che, prima dell’entrata in vigore del TUB., presentava peculiarità (carattere pubblicistico dei soggetti concedenti tale tipo di mutuo; stretta connessione tra operazioni di impiego e quelle di provvista) tali da giustificare una espressa disciplina di deroga al generale divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. Il mancato pagamento di una rata di mutuo fondiario comportava, infatti, «l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intero suo ammontare», compresa dunque la parte rappresentante gli interessi.
La sopravvenuta disciplina di cui al TUB ha provveduto – continua la Corte – ad abrogare questa speciale disciplina di capitalizzazione degli interessi, rendendosi, di conseguenza, pienamente applicabile al mutuo fondiario. Per l’effetto, questo tipo di rapporto viene a perdere quelle caratteristiche che costituivano «ragion[e] della sua sottrazione al [più generale] divieto di cui all’art. 1283 c.c.». Non si rinviene, infatti, una specifica disposizione in deroga al regime civilistico in punto di regolazione di capitalizzazione degli interessi al pari di quanto poteva dirsi per la disciplina abrogata.
Ciò considerato, la Corte conclude che, in relazione alla species «mutuo fondiario», trova piena applicazione il regime generale di cui all’art. 1283 c.c..