1.- Che le banche e gli intermediari finanziari abbiano in sé stessi interesse – un istituzionale interesse – a valutare attentamente il merito di credito dei loro (eventuali) affidati discende in via diretta dalla constatazione che l’esercizio del credito è attività di impresa; intrinsecamente connotata, perciò, dal requisito dell’economicità della relativa azione. Quella del credito, d’altro canto, è attività svolta da imprese selezionate a mezzo di apposita autorizzazione della Banca d’Italia: scelte, quindi, e in ragione di serietà e capacità peculiari; l’ulteriore constatazione non manca di assegnare enfasi particolare al profilo istituzionale del detto interesse[1].
Altro discorso è che le imprese bancarie siano anche tenute a valutare il merito di credito dei loro potenziali affidati (e poi a monitorarne le evoluzioni in corso di rapporto). Che tale comportamento risponda, cioè, non solo a un loro interesse istituzionale, ma pure (e ancor prima) a un preciso dovere imposto loro dall’ordinamento, come inteso a reprimere il comportamento per una o altra ragione deviante dall’istituzionale interesse. Il diritto vivente non manca, invero, di fornire plurime letture di questo proposito.
Sostanzialmente corrente appare, di per sé almeno, il riconoscimento che la mancata valutazione del merito di credito – come pure la valutazione fatta malamente – è idonea a portare, ove raggiunga un certo livello, responsabilità e sanzioni amministrative a livello d’impresa. Altrettanto parrebbe potersi dire per il punto della responsabilità risarcitoria dei gestori nei confronti dell’impresa interessata e dei creditori di questa: per quanto, poi, nel concreto questo profilo di mala gestio risulti spesso attenuato e sbiadito, quando non proprio vanificato, dal rilievo nei fatti assegnato alla (presunta) insindacabilità delle scelte di merito dell’organizzazione imprenditoriale. Ancor meno univoche e nette si manifestano le risposte che si trovano in punto di rilevanza della mancata, o errata, valutazione del merito di credito rispetto al singolo rapporto preso in specifica considerazione: sia nei diretti confronti dei creditori dell’affidato (specie, ove questi sia fallito), sia – e soprattutto – nei diretti e propri confronti dello stesso cliente affidato.
2.- Per il punto dei creditori dell’affidato, il tema dell’eventuale rilevanza – an e quomodo – della mancata, o errata, valutazione del merito di credito appare, oggi, consolidato nel contesto del diritto vivente italiano, ormai quasi tradizionale. Nei fatti, se ne parla sin dagli inizi dell’ultimo quarto del secolo scorso.
Parecchio più giovane, e meno frequentato, è invece quello dell’eventuale rilevanza nei diretti confronti del medesimo affidato. Per quest’ultimo profilo vale allora la pena far cenno dei passaggi di specifico riferimento normativo, che (al di là dei principi) si sono succeduti in questi anni.
3.- Alla fine del 2006, dunque, viene introdotta nel TUB – all’interno de titolo (VI) specificamente destinato alla «trasparenza delle condizioni contrattuali»[2] – la norma dell’art. 116bis («decisioni di rating»), per cui la «Banca d’Italia può disporre che le banche e gli intermediari finanziari illustrino alle imprese che ne facciano richiesta i principali fattori alla base dei rating che le riguardano. L’eventuale conseguente comunicazione non dà luogo a oneri per il cliente». Importante – al di là del suo incedere allusivo – sia in sé, sia per il contesto di riferimento, la disposizione rimane, peraltro, lettera morta (in tutti i sensi, direi). Nel 2010 viene eliminata.
E «sostituita» – se così si può dire, attesa l’evidente diversità prospettica – dall’attuale art. 124 bis, dettato in materia di credito al consumo e rubricato «verifica del merito creditizio» (: «… il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate …»). La disposizione solleva, per la verità, un certo dibattito dottrinale; tuttavia, non riceve (per quanto mi consta, almeno) riscontri di ordine giurisprudenziale. In chiave critica più commentatori segnalano, d’altra parte, che la normativa europea – che fa da base alla regolamentazione interna del credito al consumo – lascia al legislatore nazionale il compito di stabilire le sanzioni da applicare per il caso di violazione, da parte dell’intermediario, del dovere in discorso. Una carta bianca, forse[3].
Segue, nel 2012, l’introduzione di una disposizione (art. 27 bis legge n. 62/2012) che abilita il prefetto a chiedere, su istanza del cliente, chiarimenti alla banca sulla meritevolezza del relativo credito e pure, nel caso di insoddisfacente risposta, a «segnalare» la fattispecie all’ABF. Nel 2016, recependo la direttiva sul credito immobiliare ai consumatori, poi, l’art. 120 undecies viene a ribadire – con formula normativa di più intenso dettaglio – quanto già disposto dalla norma dell’art. 124 bis del testo unico.
Più di recente, la legge n. 176/2020 (artt. 12 comma 3 bis e 12 bis comma 1) stabilisce – con riguardo alle procedure di sovraindebitamento – che il creditore, «che ha volato i principi di cui all’art. 124 bis TUB», o comunque «determinato la situazione di indebitamento» del debitore o il suo «aggravamento», «non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, né fare valere cause di inammissibilità che non derivino da comportamenti dolosi del debitore»[4].
Fermati questi passaggi, rimane ancora da segnalare – ora per allora, viene da dire – la disposizione dell’art. 18 della Proposta del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai crediti al consumo, 2021/0171 (COD). Intestata «obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore», la norma stabilisce, in particolare, che gli «Stati membri dispongono che … il creditore … svolga una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore», con la rilevante segnalazione che «tale valutazione avviene» (anche) «nell’interesse del consumatore, per evitare pratiche irresponsabili in materia di concessione di prestiti e sovraindebitamento e tiene adeguatamente conto dei fattori pertinenti al fini della verifica della prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito» (comma 1); e con la prescrizione, altresì, che gli Stati «assicurano che il creditore … eroghi il credito al consumatore solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto di credito … saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte dal contratto in questione» (comma 4)[5].
Neanche questa Proposta stabilisce, peraltro, le sanzioni conseguenti al mancato rispetto dell’indicato dovere da parte dell’intermediario; neppure indica – secondo quanto sarebbe stato, a me pare, ragionevole attendersi – il range sanzionatorio all’interno del quale i singoli Stati membri dovrebbero indirizzare la loro azione per questo proposito.
4.- Oggi, peraltro, la questione della diretta rilevanza della mancata o errata valutazione del merito di credito rispetto al rapporto concretamente considerato appare in sé (in principio, cioè) risolta dalla pronuncia di Cass., 30 giugno 2021, n. 18610[6], che la ha ritenuta sussistente: sulla base di un’argomentazione sviluppata sulla scorta dei principi immanenti del vigente sistema (generale come pure bancario) e sul filo, tra l’altro, di un ragionamento che nel suo nucleo di base è unitario per il fronte dei creditori dell’affidato e pure nei confronti di quest’ultimi.
L’erogazione del credito effettuata a colui che «si palesa come non in grado di adempiere le proprie obbligazioni» – ha ritenuto dunque questa decisione – «può integrare anche l’illecito del finanziatore per il danno cagionato al patrimonio del soggetto finanziato, per essere venuto meno ai suoi doversi primari di una prudente gestione aziendale, previsti a tutele del mercato e del terzi in genere, ma idonei a proteggere anche ciascun soggetto impropriamente finanziato e a comportare la responsabilità del finanziatore, ove al patrimonio di quello sia derivato un danno».
4.1.- «L’attività di concessione del credito da parte degli istituti bancari» – viene precisato in questa direzione – «non costituisce mero “affare privato”». Il sistema vigente «richiede che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio». In proposito, «accanto alla regola generale … relativa all’esecuzione diligente della prestazione professionale ex art. 1176 c.c.», rilievo primario assumono pure la disciplina «primaria e secondaria di settore e gli accordi internazionali».
Il finanziatore, perciò, è «tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e prudente gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate»: «dal sistema normativo nel suo complesso emerge la rilevanza primaria per l’ordinamento dell’obbligo di valutare con prudenza, da parte dell’istituto bancario, la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare ove in difficoltà economica». In ragione dello «status» che a tutto ciò consegue, sul finanziatore «gravano, in tal modo, obblighi di comportamento più specifici di quello comune del neminem laedere».
4.2.- E’ peraltro vero – ha aggiunto poi la pronuncia – che «numerosi sono i momenti in cui l’ordinamento positivo mostra di tutelare e favorire il finanziamento alle imprese in crisi, articolando le previsioni in relazione allo strumento di risoluzione della crisi prescelto e alla funzione svolta dal finanziamento». «Si tratta», tuttavia, «di norme speciali che introducono meccanismi procedimentalizzati e fondato su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale e non, piuttosto, fattori di mero aumento del dissesto».
Vero è pure che, «di fronte alla richiesta di una proroga e reiterazione di finanziamento, la scelta del “buon banchiere” si presenta come particolarmente complessa», tra il rischio «di mancato recupero dell’importo in precedenza finanziato» e quello della «responsabilità da incauta concessione di credito». Tuttavia, «è richiesto che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio». In proposito, il centro discretivo dell’operato del finanziatore consiste nella ragionevole prospettazione che il sostegno del credito ponga «sostanziale rimedio» alle difficoltà finanziarie del [cliente] beneficiario».
4.3.- In ogni caso, la concessione di credito, che non sia frutto rispettoso di una corretta valutazione del merito di credito è fonte di responsabilità per il «pregiudizio diretto» che viene «causato al patrimonio» del finanziato appunto «dall’attività di finanziamento».
Si tratta, più in particolare, di «un danno al patrimonio dell’impresa, con al conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’art. 2740 c.c., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attività e aumentando il dissesto».
Nel caso del fallimento del cliente finanziato, al curatore «appartiene sia la legittimazione attiva a richiedere al finanziatore c.d. abusivo il risarcimento per i danno diretti cagionati [al soggetto finanziato], sia quella per i danni indiretti alla massa dei creditori»: «in entrambi i casi, il curatore non fa altro che agire a reintegrazione del patrimonio [del debitore} pregiudicato dall’abusiva concessione del credito»[7].
5.1.- Gli enunciati sopra riportati (in particolare, quelli di cui al n. 4.1.) mostrano, prima di tutto, che le norme, che si occupano del tema della corretta valutazione del merito del credito del cliente in una prospettiva di (potenziale) rilevanza nei rapporti tra privati (sopra, nel n. 3), si pongono oggettivamente[8] non come espressione di normative extravaganti, ovvero meramente programmatiche, bensì come regole di sistema, appartenenti alla fisiologia di questo e di cui costituiscono espressione propria[9].
Al centro – è da osservare, pure in via di sviluppo degli assunti della richiamata decisione – sta la regola di «sana e prudente gestione» (artt. 5 e 127 TUB): da intendere, oggi, non più come pura regola di governo dell’attività di impresa e della sua efficienza (secondo quanto concepita in origine), ma altresì nei termini di «clausola generale», quale medio specificativo di principi generali in via diretta intesi a regolare i rapporti correnti tra privati (l’arresto lega la clausola di «sana e prudente gestione» al principio del nemimen laedere, ma non diverso discorso può essere ripetuto per il canone della buona fede oggettiva e dei doveri di protezione che ne derivano, secondo il cenno esplicitato nel paragrafo precedente). Col che – va per altro verso anche segnalato –, lo stesso rapporto in essere tra i privati viene, a sua volta, a manifestarsi pure come strumento di controllo (mediato e ulteriore rispetto a quello, diretto, che è compito della Vigilanza) della correttezza ed efficienza dell’attività di impresa esercitata dal finanziatore[10].
5.2.- Un secondo aspetto – che preme qui sottolineare – attiene al profilo di sostanziale «omogeneità», che l’ordinanza ravvisa sussistere tra la posizione del debitore e la posizione dei suoi (altri) creditori di fronte all’erogazione non rispettosa dei canoni di corretta valutazione del merito creditizio (cfr. n. 4.3.). Nei fatti, per questo specifico riguardo le due posizioni vengono a disporsi lungo un’unica linea ideale: di là dalla constatazione che solo una di esse si inscrive all’interno di una vicenda di ordine negoziale[11].
Si tratta di un «accostamento» diffuso in letteratura. Intuitivo, si potrebbe anche definirlo: posto che occorre pur sempre prendere in considerazione l’unico comportamento del finanziatore, che nel fare credito si è reso negligente nel valutare il merito di credito dell’affidato. Spesso, tuttavia, l’accostamento rimane confinato nei limiti della mera descrizione fenomenologica. In realtà, ad assumere il tema nella logica dei rapporti tra privati, che è quella qui rilevante, il punto davvero fondamentale risulta rappresentato dal fatto che – oltre al comportamento negligente del finanziatore – unica è pure la lesione (la «perdita», per così dire) che tale comportamento viene a comportare: come per l’appunto costituita da ciò che il finanziamento tende propriamente a «condurre (non a un miglioramento, ma) a un sostanziale deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore»[12].
5.3.- Meno limpida, per la verità, si manifesta l’ordinanza là dove, scendendo verso il concreto, intende discriminare tra «finanziamento abusivo» e «finanziamento meritevole» all’impresa in crisi (sopra, n. 4.2.). In effetti, dopo aver richiamato la peculiare importanza per questo proposito della valutazione del merito di credito, essa viene ad aggiungere che «in sostanza, il confine … si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale» (nel contempo, richiamando le disposizioni dell’art. 67 comma 3 legge fall. E 56 e 284 d.lgs. n. 14/2019). Per poi concludere che, «in ipotesi di procedura formalizzata e sottoposta a controlli esterni, i margini della responsabilità» dell’intermediario «saranno, in concreto, alquanto ristretti».
Nel contesto motivazione dell’ordinanza, i rapporti tra valutazione del merito creditizio compiuta dalla banca e piano attestato da un professionista indipendente si manifestano, in sostanza, parecchio nebulosi.
Sembra allora opportuno puntualizzare che, nella contemplazione del comportamento professionale dell’impresa del credito, il piano attestato dal professionista non può – in sé stesso – sostituire una assente, o deficitaria, valutazione del merito del credito, né quest’ultima di certo potrebbe ridursi in una piatta, acritica, adesione dei contenuti di un piano attestato.
D’altra parte, pure è da osservare, con notazione di taglio diverso, che a contare in proposito è, in modo particolare, la funzione di coerenza e funzionalità che il «nuovo credito» venga a proporre rispetto al prefissato obiettivo recuperatorio.
6.- Molte volte (quasi sempre) risolvere un problema, e così chiuderlo, vuol dire in buona sostanza aprirne una serie di altri. Così avviene, naturalmente, anche per il caso in esame.
Chiudendo in modo positivo (e definitivo, a me pare) il problema della diretta rilevanza (della corretta valutazione) del merito di credito nei confronti dell’affidato e dei suoi creditori, nei fatti l’ordinanza della Cassazione porta pure alla ribalta (spalanca la porta all’esame di) tutta una serie di temi ulteriori. Basta qui fare cenno di quelli più immediati ed evidenti (indipendentemente dal fatto che – debbo riconoscere – lo stesso modo di formulare un problema può costituire indice forte per la soluzione dello stesso).
La decisione considera in modo espresso solo il caso del credito concesso al debitore che, già in quel momento, sia insolvente. Viene dunque da chiedersi – come macro-tema – se la stessa positiva soluzione possa valere anche nell’ipotesi in cui la situazione dell’affidato non abbia ancora raggiunto detto livello: quando, cioè, l’intervento del finanziatore non risulta aggravare una insolvenza già in essere[13], venendo bensì a produrla.
Come pure è da chiedersi che misura di «danno alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.» occorra (sia per la responsabilità nei confronti dei creditori, sia pure e soprattutto nei confronti dell’affidato). Se dunque sia proprio necessaria una vera e propria incapienza o basti una maggior difficoltà di realizzo o rilevi (per l’affidato) persino la produzione di un semplice danno di ordine patrimoniale.
Altro macro-tema, che non può più sfuggire all’attenzione, è quello attinente al giudizio sulla correttezza, o meno, della valutazione del merito di credito che l’intermediario abbia nel concreto posto in essere. Si apre, a me pare, uno spazio tematico davvero ampio.
Si pensi, così, alla conformazione strutturale della valutazione del merito. Per dire: il richiamo alla raccolta di «informazioni adeguate», che compare in più norme (cfr. sopra, nel n. 3) appare, in sé insufficiente; e per più ragioni. L’adeguatezza delle informazioni raccolte è nozione che si misura volta a volta sui termini specifici della fattispecie concreta: rispetto a situazioni sostanzialmente seriali (credito retail), il suo mero richiamo si manifesta, perciò, troppo vago e generico. La valutazione del merito creditizio, inoltre, non si arresta certo al punto della raccolta di informazioni: centrale, in realtà, è il punto attinente ai metodi valutativi delle informazioni raccolte. Per sua natura, d’altro canto, la valutazione del merito di credito è valutazione prognostica: con tutto il corredo degli «scenari probabilistici», che ne viene a conseguere.
Non può non sorgere il dubbio – è, da ultimo, ancora da segnalare – se quello risarcitorio sia l’unico rimedio disponibile nei confronti del negozio di credito, che sia basato su un’assente, o malfatta, valutazione del merito di credito, secondo la prospettiva che si è trovata a seguire la decisione della Cassazione (il complesso motivazionale della quale, del resto, non lascia trasparire alcuna linea alternativa). Non sembrerebbe infatti da escludere l’eventualità che – con riferimento ai casi di più grave ed evidente violazione del dovere di valutazione del merito creditizio – lo stesso contratto di credito sia da considerare nullo per difetto di causa concreta[14].
[1] Ciò non toglie – è bene da subito evidenziare – che le considerazioni, che vengono a svolgersi nel corso di questo lavoro, siano riferibili pure al caso dell’impresa che fa credito pur non essendo autorizzata a farlo: ché l’esigenza di un ordinato e «professionale» svolgimento del mercato del credito (come espressa, tra l’altro, sia dalla prescrizione dell’autorizzazione all’esercizio, sia dalla clausola generale di sana e prudente gestione) e la parità di trattamento delle imprese comunque operative impongono senz’altro una conclusione di questo tipo.
[2] Come allora denominato. L’aggiunta «… e dei rapporti con i clienti» appartiene alla riforma del 2010.
Il d.l. 27 dicembre 2006 n. 297 è stato convertito con legge 276 febbraio 2007, n. 15.
[3] In questa prospettiva viene di solito ricordata, però, pure la decisione della Corte di Giustizia 27 marzo 2014, causa-565/12, per sottolineare come, in proposito, le sanzioni debbano essere «efficaci, proporzionate e dissuasive».
[4] Da ricordare (almeno in via incidentale) in proposito è anche la versione della norma dell’art. 41 bis legge n. 2019, n. 159, che è stata introdotta a mezzo dell’art. 40 bis legge n. 69/2021. Con tale disposizione, infatti, si stabilisce il dovere del finanziatore – che, in presenza di una articolata serie di presupposti, ha ricevuto una proposta di rinegoziazione del debito – di svolgere «una valutazione del merito di credito» in relazione alla proposta così ricevuta, «nel rispetto di quanto previsto nella disciplina di vigilanza prudenziale a esso applicabile».
Su questa disposizione v. ora DIDONE, Note minime sull’art. 40 ter decreto Sostegni (“proroga delle disposizioni in materia di ristrutturazione di mutui ipotecari per immobili già oggetto di procedura esecutiva”): prime applicazioni di una nuova esdebitazione, in Il Fallimentarista, 2021.
[5] Sulla Proposta v. pure il Parere del Garante europeo della protezione dei dati (GEPD), in questa Rivista, news, 3 settembre 2021.
[6] Per un primo commetto dell’ordinanza v. LANDINI, Sovraindebitamento del finanziato: quando è responsabile la banca?, in Il quotidiano giuridico, 13 luglio 2021.
[7] Aggiunge altresì la pronuncia che la norma dell’art. 1227, comma 1, c.c. – che in presenza di certe circostanze (ad esempio di «reiterata richiesta di ordinario credito in luogo del ricorso a soluzioni alternative di risoluzione della crisi») potrebbe essere invocato dal finanziatore nei confronti del debitore (secondo valutazione da compiere comunque «caso per caso») – «non lo è», invece, «quando il curatore agisca per la massa».
[8] Al di là, cioè, del fatto che l’ordinanza della Cassazione neppure fa cenno alla norma dell’art. 124 bis (lo stesso, del resto, per quelle relative al credito immobiliare e al sovraindebitamento).
[9] Nei primi due sottoparagrafi di questo n. 5 riporto talune delle considerazioni svolte in «Merito del credito» e procedure di sovraindebitamento (in Il Fallimento, 2021, n. 10), anche riprendendo una serie di osservazioni già espresse in Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 131 ss.
[10] Sul punto v. ora il mio Disciplina di trasparenza e principio di trasparenza in AA.VV., L’Arbitro bancario finanziario a cura di Conte, Milano, 2021, p. 193 ss.. La connotazione ausiliatrice del controllo pubblicistico di efficienza dell’impresa, che è propria della rilevanza anche negoziale della regola di sana e prudente gestione, è colta da QUARTA,Il credito ai consumatori tra contratto e mercato, Napoli, 2020, p. 104.
[11] Sul carattere recessivo del «consenso» del cliente v. Trasparenza, 132.
Per la citata pronuncia di Cass., n. 18610/2021, la responsabilità del finanziatore nei confronti del cliente assume, a seconda dei casi, natura precontrattuale o contrattuale.
[12] Cfr. Trasparenza, cit., p. 137.
[13] Nessuna esitazione può aversi, invece, per la rilevanza anche nel caso di crisi del debitore non dichiarata in termini formali. L’ordinanza, del resto, è sostanzialmente esplicita su questo punto.
[14] Sul punto cfr. «Merito del credito», cit., nota 6.