[*] SOMMARIO: Il contributo approfondisce il fenomeno delle cripto-attività sin dai primi tentativi di inquadramento delle valute virtuali in ambito finanziario. L’autore ripercorre il dibattito dottrinale e giurisprudenziale ed esamina le potenziali ripercussioni della disciplina UE sulla categoria giuridica domestica di prodotto finanziario. Con riferimento alle cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari, lo studio analizza ragioni, implicazioni e perimetro della nuova disciplina di forma e circolazione del regime digitale, introdotta dal Decreto Fintech, evidenziandone le criticità, nonché le analogie e le differenze con il regime cartolare e dematerializzato.
ABSTRACT: The paper focuses on the phenomenon of crypto-assets as from the early attempts to classify virtual currencies in the financial sector. The author retraces the doctrinal and jurisprudential debate and examines the potential repercussions of EU regulations on the domestic legal category of financial products. With reference to the crypto-assets qualifying as financial instruments, the essay analyses the reasons, implications and scope of the new regulation concerning the form and circulation of the digital regime, introduced by the Fintech Decree, by highlighting its critical aspects as well as the similarities and differences with the paper-based and dematerialized regime.
1. Il fenomeno e la difficoltà di una disciplina unitaria
Nel saggio “Dialogo su diritto e tecnica”, scritto nel 2001, Emanuele Severino e Natalino Irti si chiedevano se la tecnica potesse essere regolata o si facesse, essa stessa, regola del nostro mondo[1]. Questo dilemma è quanto mai attuale se si ha riguardo alle recenti evoluzioni della tecnica e dell’economia e, in particolare, al processo di tokenizzazione di beni in asset digitali[2].
La tokenizzazione costituisce una rappresentazione paradigmatica della tensione tra tecnica, economia e diritto. È un fenomeno che non riguarda la prestazione di un servizio, ma la conformazione giuridica dell’utilità economica potendo la tecnologia a registro distribuito incorporare qualsiasi diritto o valore in un’informazione digitale. Si tratta di un fenomeno del tutto nuovo di fronte al quale non soltanto le tradizionali categorie giuridiche faticano a ricevere applicazione, senza un tentativo di adeguamento ad opera dell’interprete[3], ma le prerogative fondanti delle istituzioni nazionali, come la sovranità monetaria e la salvaguardia della stabilità finanziaria, tendono ad essere messe in discussione[4].
Le cripto-attività non sono riconducibili ad una dimensione unitaria se non per la loro caratteristica di esistere unicamente all’interno di una tecnologia a registro distribuito o in una tecnologia similare. Come si vedrà infra, esse possono avere una veste giuridica propria (asset-referenced token, e-money token, utility token, non-fungible token, security token), assumere contemporaneamente sembianze diverse (hybrid token) oppure mutare la loro natura nel tempo, richiedendo all’interprete, di volta in volta, di individuarne lo statuto normativo[5].
Nella difficoltà di estendere l’applicazione di regole esistenti la tecnologia diviene essa stessa regola del diritto. Il principio di neutralità tecnologica (same activity, same risk, same rule)[6] viene abbandonato per introdurre regole per innovative modalità di circolazione della ricchezza che coinvolgono sia cripto-attività e servizi (ad es., trading platform for crypto-assets) sia soggetti (ad es., wallet custodial provider) e infrastrutture (ad es., per l’attività di mining)[7].
In ambito finanziario la tecnologia DLT non potrebbe essere impiegata senza un intervento normativo, che richiede la predisposizione di infrastrutture di mercato e di un regime di emissione e circolazione ad hoc: la declinazione giuridica delle cripto-attività non può avvenire mediante semplice adeguamento della disciplina vigente in materia cartolare o mobiliare[8].
In effetti, il fenomeno crypto, sebbene abbia caratteri somiglianti quanto alla digitalizzazione in sé di forme di ricchezza[9] con la tecnica di registrazione e movimentazione delle scritturazioni contabili a fondamento dei sistemi di gestione accentrata degli strumenti finanziari dematerializzati[10], presenta peculiari aspetti poiché la stessa tecnologia DLT, pur non alterando in sostanza la natura del bene giuridico incorporato, può incidere sia sulle modalità di circolazione sia sulla forma dell’attività[11].
Quanto alla negoziazione, l’acquisto di cripto-attività può avvenire direttamente tra investitori, senza un gestore centrale e senza l’intermediazione del middleman bancario o finanziario. In caso di cripto-attività a gestione accentrata, gli intermediari, ove esistenti, non esercitano una funzione di conservazione della documentazione cartacea ma di custodia delle chiavi crittografiche di accesso alle cripto-attività, per cui non possono essere equiparati agli intermediari finanziari tradizionali[12].
Quanto agli effetti sulla forma, le cripto-attività sono teoricamente frazionabili in più parti, le quali possono divenire oggetto autonomo di transazioni. Si tratta di una caratteristica comune alle valute legali ma non agli strumenti finanziari, per i quali il frazionamento delle azioni (cc.dd. “fractional shares”), sebbene abbia l’intento di aumentare l’accesso al mercato dei capitali, si ripercuote su uno dei caratteri tipici della nozione di partecipazione azionaria come l’indivisibilità (art. 2347 c.c.).
Questi due esempi dimostrano quanto la digitalizzazione della finanza non possa essere totalmente lasciata all’autonomia dei privati o non possa farsi regola delle trasformazioni della contemporaneità. In altri termini, in ambito finanziario, il ruolo di formante giuridico della tecnologia non dovrebbe considerarsi assoluto e, in particolare, i registri distribuiti, dal canto loro, non possono essere ritenuti totalmente neutrali rispetto alle categorie giuridiche esistenti. Il diritto, quindi, non dovrebbe abdicare alla funzione di regolazione della tecnologia ma provare a conformare, ove necessario, la stessa ai suoi postulati. In questa reciproca dialettica, sia la tecnologia sia il diritto costituiscono entrambe “forze”, nessuna delle quali titolare di un dominio incontrollato sull’altra.
2. Qualificazioni giurisprudenziali e ritorno alla causa negoziale
A causa dei ritardi nella normazione del fenomeno cryto, i comportamenti illeciti sono stati giudicati dalla giurisprudenza e dalle autorità di vigilanza cercando di qualificare attività e servizi digitali ricorrendo alle categorie giuridiche esistenti.
Una cripto-attività, sin dalla sua emissione, può costituire per sua natura un token di investimento[13] ed essere considerato uno strumento finanziario (“digitale”) qualora attribuisca diritti di partecipazione in iniziative economiche[14], ma non è escluso che non abbia una finanziarietà intrinseca e assuma tale carattere a causa delle condizioni di contesto nelle quali è scambiata.
Tra le cripto-attività l’attenzione è stata inizialmente concentrata sulle cc.dd. criptovalute che, tradizionalmente inquadrate tra i mezzi di scambio per l’acquisto di beni e servizi[15], anche da parte del legislatore nazionale[16] e UE[17], sono state esaminate sotto il profilo qualificatorio[18], una volta esclusa la loro possibilità di assolvere la funzione monetaria[19], per ricevere, con l’ultima definizione normativa, il riconoscimento di un loro eventuale impiego con finalità di investimento[20].
A quest’approdo è giunta dapprima la dottrina[21], alla quale ha fatto seguito un più recente indirizzo giurisprudenziale che tende a ricondurre le criptovalute in ambito finanziario ma con un iter argomentativo che non appare convincente[22].
Dopo un isolato intervento di una sentenza di merito che ha qualificato le criptovalute in termini di strumenti finanziari, da escludere tuttavia per la natura tassativa dell’elenco dell’Allegato 1 Sezione C della direttiva 2014/65/UE (Markets in financial instruments directive, c.d. MiFID II), riprodotto in maniera speculare nell’Allegato 1 Sezione C del Testo unico della finanza (D.Lgs. n. 58/1998, di seguito TUF)[23], è stata prospettata la loro finalità speculativa in ragione dell’estrema variabilità dei livelli di fluttuazione che le caratterizzano[24] e, poi, ventilata la loro riconducibilità nell’ambito della categoria dei prodotti finanziari qualora l’operazione sia caratterizzata da impiego di capitale, assunzione di un rischio connesso al suo impiego e aspettativa di un rendimento di natura finanziaria[25].
Dal canto suo, la Corte di Cassazione, con un trittico di sentenze[26], ha asserito l’applicabilità della normativa finanziaria alle criptovalute qualora esse siano offerte al pubblico con modalità che enfatizzano la possibilità per gli acquirenti di conseguire ritorni economici collegati all’acquisto e alla rivendita della criptovalute. È stato obiettato che non è la pubblicità dell’offerta di cripto-attività a costituire elemento idoneo ad integrare una causa di investimento del contratto e a qualificare le criptovalute quali prodotti finanziari[27]. È più verosimile infatti che l’offerta e la negoziazione delle criptovalute ricadano nella disciplina di offerta al pubblico di prodotti finanziari (rectius, di “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”), qualora la causa concreta del contratto assuma natura finanziaria, il che avviene – secondo consolidato orientamento – in presenza dei seguenti presupposti: (i) l’impiego del capitale; (ii) la promessa/aspettativa di rendimento di natura finanziaria; (iii) l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego del capitale[28].
In conclusione, tutte le volte che, in concreto, le criptovalute siano offerte nell’ambito di operazioni di emissione di offerte al pubblico (c.d. Initial Coin Offering), incorporanti diritti a ricevere rendimenti di natura finanziaria, potranno essere inquadrate nel novero dei prodotti finanziari[29]. Si tratta tuttavia di deduzioni che possono essere pacificamente estese a tutte le cripto-attività[30], come sembra sottintendere il Regolamento (UE) n. 2023/1114 (Market in crypto-asset regulation, c.d. Regolamento MiCA o MiCAR) relativamente ai «token collegati ad attività» (asset-referenced token, ART) e alle «cripto-attività diverse dai token collegati ad attività o dai token di moneta elettronica» (others token), per i quali viene richiesta, in occasione dell’emissione, un’espressa dichiarazione di non riconducibilità alla categoria più circoscritta degli strumenti finanziari[31].
3. MiCA, Pilot Regime e prodotti finanziari
Il Regolamento (UE) MiCA è destinato a regolare tutte le cripto-attività ad eccezione delle cripto-attività uniche e non fungibili[32] e delle cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari[33]. Queste ultime rientrano nell’ambito di applicazione della normativa in materia di servizi finanziari, nonché in quella predisposta ad hoc dal Regolamento (UE) n. 2022/858 relativa ad un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito (c.d. Pilot regime)[34]. Si tratta di un’impostazione che tende a distinguere le cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari da tutte le altre cripto-attività[35], le quali pure risultano assoggettate ad una regolamentazione parafinanziaria, ovvero ispirata alla disciplina relativa ai mercati di strumenti finanziari della direttiva n. 2014/65/UE (Markets in financial instruments directive, c.d. MiFID II), a quella di trasparenza prevista dal Regolamento (UE) n. 2017/1129 (Prospectus Regulation, c.d. Regolamento Prospetto) e a quella in materia di abusi di mercato prevista dal Regolamento (UE) n. 2014/596 (Market Abuse Regulation, c.d. MAR)[36].
La normativa MiCA è quindi in linea di principio una disciplina onnicomprensiva: essa distingue i cc.dd. «token collegati ad attività» (asset-referenced token, ART) e i «token di moneta elettronica» (e-money token, EMT)[37] ma regola altresì tutte le altre cripto-attività, quale categoria residuale della quale fanno parte anche gli utility token. Questa opzione di fondo non rimane neutrale rispetto alle categorie domestiche, in particolare a quella di prodotto finanziario, comprensiva di “strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” (art. 1, comma 1, lett. u, TUF)[38].
L’ordinamento nazionale, infatti, distingue obblighi di trasparenza a seconda che il prodotto finanziario sia qualificato come “strumento finanziario” o come “altra forma di investimento finanziario”. Nel primo caso trova applicazione la disciplina finanziaria di trasparenza del Regolamento Prospetto (art. 94 TUF), nel secondo caso invece la disciplina interna di emissione e offerta di prodotti finanziari diversi dai titoli e dalle quote o azioni di OICR aperti prevista dall’art. 94-bis TUF. Quando sarà applicabile il Regolamento MiCA[39] le cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari rimarranno assoggettate alla disciplina finanziaria[40], mentre le cripto-attività riconducibili ai prodotti finanziari atipici non saranno presumibilmente più sottoposte all’obbligo di pubblicazione del prospetto ma all’obbligo di pubblicazione del white paper previsto dall’art. 4 MiCA[41]. Sul piano sostanziale ciò che la disciplina UE realizza è la generalizzazione degli obblighi di trasparenza per le cripto-attività non qualificabili come strumenti finanziari: la normativa MiCA riceverà applicazione per le cripto-attività qualificabili come prodotti finanziari atipici, finora assoggettati alla normativa nazionale, e per tutte le altre cripto-attività non finanziarie[42].
Fuori dall’ambito di applicazione della disciplina MiCA ci sono invece i cc.dd. non-fungible token (in acronimo, NFT)[43], i quali – come gli other crypto-assets – possono assumere comunque causa finanziaria qualora, in cambio della partecipazione ad un progetto imprenditoriale, l’investitore riceva diritti sull’unico NFT, con la promessa/aspettativa di un rendimento futuro[44]. In tale caso, il token avrebbe la forma di prodotto finanziario, sub species di «ogni altra forma di investimento finanziario»[45], con applicazione della disciplina domestica in materia di appello al pubblico risparmio, limitata a precetti di mera trasparenza (art. 94 e ss. TUF)[46], con esclusione delle regole sulla prestazione dei servizi di investimento (ad esempio, profilatura, adeguatezza e appropriatezza) che si ricollegano, sul piano oggettivo, alla categoria chiusa degli strumenti finanziari[47].
4. Il perimetro di applicazione del Decreto Fintech
Con il D.L. 17 marzo 2023, n. 25, coordinato con le modifiche introdotte dalla legge di conversione 10 maggio 2023, n. 52, (c.d. Decreto Fintech) è stata introdotta una disciplina generale di emissione e circolazione degli strumenti finanziari digitali[48], in attuazione anche dell’art. 18 del Regolamento (UE) n. 2022/858 del 30 maggio 2022 relativo a un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito (c.d. Pilot regime)[49].
Senza questa novella normativa era assai controversa la facoltà delle società emittenti di utilizzare tecniche di legittimazione e circolazione delle partecipazioni sociali differenti da quelle espressamente previste dal codice civile o dalle leggi speciali. A favore dell’autonomia sociale sembrerebbe deporre il tenore dell’art. 2346 c.c., in forza del quale sarebbe ammessa la dematerializzazione facoltativa[50] e tecniche innominate di legittimazione e circolazione[51]. Un orientamento autorevole, tuttavia, esclude che lo statuto di una società emittente possa consentire l’adozione di tecniche di legittimazione e di circolazione diverse da quelle previste dal codice civile o dalle leggi speciali, sulla base della ratio della disposizione dell’art. 2346 c.c. La Relazione alla riforma del diritto societario del 2003[52] infatti ridimensiona la valenza della formula utilizzata dal legislatore e sembrerebbe consentire soltanto la dematerializzazione facoltativa, unicamente a seguito di una previsione statutaria[53].
Con l’intervento legislativo è stato introdotto un regime ad hoc di emissione e circolazione di determinati strumenti finanziari ed è stata ampliata la facoltà delle società emittenti di avvalersi della tecnologia a registro distribuito oltre il perimetro definito dal regime pilota. Il regime pilota è infatti limitato agli strumenti finanziari caratterizzati da minore liquidità, negoziati in un mercato di capitali riconducibile ad una sede di negoziazione[54], mentre il Decreto Fintech, dal canto suo, può trovare applicazione anche per le emissioni e la circolazione su infrastrutture DLT che non siano sedi di negoziazione[55].
A legislazione vigente il regime di emissione e circolazione, introdotto dal Decreto Fintech, non sembrerebbe però suscettibile di avere un’applicazione universale. Esso incontra un limite insuperabile derivante dall’art. 3 del Regolamento (UE) n. 909/2014 (Central Securities Depositary Regulation – c.d. CSDR) e dall’art. 83-bis del TUF, benché una parte della dottrina abbia adombrato, prima[56] e dopo[57] l’adozione del Decreto Fintech, l’eliminazione del monopolio della gestione scritturale per i valori mobiliari negoziati in mercati regolamentati. Quest’ultima ricostruzione, avvalorata da un’interpretazione letterale dell’art. 3, par. 1, Regolamento (UE) n. 909/2014, che fa genericamente riferimento alla “forma dematerializzata”, e dall’art. 83-bis del TUF (vigente e applicabile dal 1° gennaio 2023 ai valori mobiliari emessi dopo tale data e a decorrere dal 1° gennaio 2025 a tutti i valori mobiliari), che elimina l’obbligo di rappresentazione scritturale dei valori mobiliari[58], non sembra accoglibile[59]. Come è stato puntualizzato «(i)l Regolamento sui depositari centrali (…) – pur ammettendo che vi possano essere, ab origine, forme alternative di smaterializzazione (art. 3, comma 1 CSDR) – richiede la centralizzazione in un CSD, laddove questi strumenti siano scambiati su una trading venue. Il superamento di questo vincolo sembra presupporre un intervento di riforma strutturale da parte del legislatore europeo»[60].
Un ulteriore profilo di attenzione riguarda le implicazioni in materia finanziaria del Decreto Fintech. L’ambito di applicazione della disciplina nazionale sembrerebbe ben più ampio non soltanto di quello del regime pilota ma anche di quello della direttiva MiFID, per la quale il tratto comune di tutti gli strumenti finanziari va individuato nella idoneità dello strumento a formare oggetto di negoziazione sul mercato dei capitali[61].
Ci si chiede pertanto quale sia la disciplina applicabile agli strumenti finanziari ricompresi nell’ambito del Decreto Fintech ma esclusi dalla sperimentazione del regime pilota, in quanto non suscettibili di essere registrati e negoziati in un mercato regolamentato, quale un’infrastruttura di mercato DLT (TSS DLT o SS DLT). Rimane fermo, infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del Decreto Fintech, quanto previsto dall’art. 3 del Regolamento (UE) n. 2022/858, che individua le limitazioni agli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o registrati su un’infrastruttura di mercato DLT, consentendo di ammettere a negoziare gli strumenti finanziari DLT soltanto a specifiche condizioni.
È stata ventilata la possibilità di una negoziazione degli strumenti finanziari digitali, esclusi dall’art. 3, par. 1, del Regolamento relativo ad un regime pilota, in una sede di negoziazione tradizionale, ovvero in un MTF non DLT, dovendo i limiti riferirsi unicamente alle sedi di negoziazione DLT[62] ma a ciò si può indubbiamente obiettare che le cripto-attività possono essere unicamente trasferite e memorizzate digitalmente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia analoga, a meno di non volere qualificare un token – qualora negoziato su una trading venues centralizzata – come strumento derivato su merci[63].
Sotto altro aspetto, vi sarebbe comunque una non perfetta sovrapponibilità della nozione di strumento finanziario nazionale ed eurounitaria a causa del numero esiguo delle cripto-attività negoziate in mercati regolamentati, che potrebbe incidere sulla sussistenza dell’elemento della negoziabilità. In conseguenza, ciò che il Decreto Fintech qualifica come strumento finanziario digitale potrebbe tutt’al più essere considerato prodotto finanziario atipico, con relativa applicazione della disciplina MiCA, quale normativa generale e residuale, a quei titoli non negoziabili in un’infrastruttura di mercato DLT[64].
Invero, gli strumenti finanziari digitali, non negoziati in un mercato regolamentato, saranno comunque qualificati strumenti finanziari ex MiFID qualora siano negoziabili in un mercato di capitali, requisito per la cui sussistenza è sufficiente – secondo quanto affermato dalla Commissione europea[65] – che vi sia un luogo in cui domanda e offerta si incontrano, non essendo necessario che questi avvengano su mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione[66].
5. Decreto Fintech e quote di s.r.l.
L’ambito di applicazione del Decreto Fintech potrebbe essere ampliato a strumenti finanziari non previsti dall’art. 2. L’art. 28, comma 2, lett. b) affida alla Consob il potere di individuare con regolamento ulteriori strumenti finanziari da assoggettare alla normativa, «anche in deroga alle disposizioni vigenti relative al regime di forma e circolazione di tali strumenti, ivi comprese le disposizioni di cui agli articoli 2468, primo comma, 2470, commi dal primo al terzo, e 2471 del codice civile».
La disposizione fa esplicito riferimento alle partecipazioni di s.r.l. senza chiarire se l’adozione della disciplina secondaria abbia l’effetto di delineare un nuovo strumento finanziario rappresentativo delle quote di s.r.l. oppure di derogare semplicemente al divieto dell’art. 2468 c.c. e consentire la rappresentazione delle quote di s.r.l. in azioni[67]. Si potrebbe optare più semplicemente per la seconda interpretazione sia perché le quote di s.r.l. non rientrerebbero nell’ambito dei titoli negoziabili in un’infrastruttura di mercato DLT, previsti dal regime pilota, sia perché la nozione di strumento finanziario è “chiusa”, in quanto la direttiva MiFID e il TUF formulano un elenco chiuso di strumenti finanziari[68], salvo volere fare rientrare le medesime nell’ambito della nozione di valore mobiliare, idonea in quanto tale a ricomprendere una pluralità di titoli negoziabili in mercati regolamentati non previamente individuati[69].
Una gestione digitalizzata dell’emissione e della circolazione delle quote di s.r.l. è poi ontologicamente incompatibile con la struttura tradizionalmente chiusa della sua compagine sociale per un duplice ordine di ragioni.
Innanzitutto, la disposizione in oggetto, riconoscendo la facoltà di migrazione delle s.r.l. dal registro delle imprese al registro DLT, potrebbe favorire, più di quanto ha fatto l’introduzione della disciplina delle s.r.l. p.m.i.[70], la raccolta di capitali[71]. Una tale apertura al mercato potrebbe ripercuotersi sul diritto societario e sul diritto dei mercati finanziari, rispettivamente in termini di organizzazione e funzionamento della società, di meccanismi di trasparenza e di efficienza del mercato, rispetto alle quali la disciplina vigente non sembra poter rispondere senza interventi di riforma strutturale che alterino la natura stessa delle s.r.l.[72]
In secondo luogo, l’innovazione costituirebbe strumento di delegificazione della normativa primaria, con deroga alla disciplina codicistica di ordine pubblico del registro delle imprese esercitata per il tramite del potere regolamentare della Consob, impedendo tanto l’esercizio delle funzioni di controllo del conservatore quanto quelle del giudice del registro, con potenziali rischi di stabilità del capitale sociale delle singole società emittenti e del sistema finanziario complessivo[73].
6. La forma digitale
Il Decreto Fintech, disciplinando i cc.dd. strumenti finanziari digitali, suscita ulteriori considerazioni di carattere generale.
Anzitutto, una prima questione di natura qualificatoria riguarda la c.d. “forma digitale”, ovvero se essa pertenga alla nozione di strumento finanziario o unicamente all’emissione e alla circolazione degli strumenti finanziari.
Un’interpretazione sistematica dell’ordinamento suggerisce di cogliere nella digitalizzazione degli strumenti finanziari un’ulteriore tappa di un processo di astrazione mediante l’adeguamento della metafora dell’incorporazione del rapporto obbligatorio al sistema digitale. In altri termini, la tecnologia DLT avrebbe accresciuto la tassonomia degli strumenti finanziari di una nuova forma, quella digitale, che si affianca a quella cartolare e a quella della dematerializzazione. A favore di questa ricostruzione depone la stessa nozione di “forma digitale”, prevista dal Decreto Fintech, che riconosce l’alternatività dei sistemi di gestione degli strumenti finanziari rispetto ai “titoli cartacei” e rispetto alle “registrazioni contabili”, sancendo l’unicità della categoria degli strumenti finanziari nella molteplicità delle forme di gestione (art. 1, comma 1, lett. a), Decreto Fintech)[74].
Nella loro alternatività, tuttavia, le forme di gestione rispondono a differenti esigenze di tutela. In passato, mentre il sistema cartolare ha inteso superare problemi micro-giuridici per facilitare la circolazione della ricchezza nelle dinamiche di rapporti bilaterali[75], il regime di dematerializzazione ha inteso presidiare gli interessi collettivi del risparmio e della provvista di capitale delle imprese, nonché degli intermediari finanziari[76]. Attualmente, il processo di digitalizzazione degli strumenti finanziari amplia la platea degli investitori, nell’ambito di operazioni rivolte alla raccolta di capitali sul mercato da parte di un emittente (Initial Coin Offering, ICOs), e consente una mobilitazione della ricchezza più rapida, facendo emergere inedite esigenze di tutela di fronte alle quali i presidi tradizionali appaiono inadeguati per l’emersione di innovative modalità di intermediazione e di compromissione di interessi[77].
D’altro canto, le forme di gestione non sono riconducibili entro una categoria unitaria, quella dei titoli di credito, per quanto presentino caratteri somiglianti. La replicazione delle regole cartolari, prima nel regime di dematerializzazione e poi in quello digitale, per la risoluzione di similari conflitti giuridici, non giustifica la loro ricostruzione entro una categoria concettuale unitaria sia in punto di fatto sia in punto di diritto[78].
7. Legittimazione e circolazione degli strumenti finanziari digitali
Un profilo di attenzione riguarda infatti la compatibilità dei differenti sistemi di gestione. Le caratteristiche e le modalità di funzionamento non consentono la loro speculare sovrapposizione e ostacolano la fattibilità di un’interpretazione evolutiva o di un intervento meramente correttivo delle disposizioni del Codice civile e del TUF[79].
Si possono individuare sommariamente alcuni caratteri discriminanti.
Nel regime cartolare il trasferimento del titolo nominativo cartolare può avvenire mediante: (i) girata autenticata da un notaio o da un agente di cambio (artt. 2023 e 2055, comma 2, c.c.), (ii) autenticazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel registro dell’emittente o col rilascio di un nuovo titolo intestato al nuovo titolare. Entrambe le modalità di circolazione richiedono l’esistenza fisica di un documento, incompatibile con le movimentazioni digitali su DLT, sulla quale vi è esclusivamente la connessione dei nodi/server che si scambiano in maniera diffusa e generalizzata le informazioni sulle operazioni concluse (art. 3 Decreto Fintech).
Parimenti, il regime DLT non è sempre in linea con il sistema di dematerializzazione che richiede necessariamente: a) l’esistenza di depositario centrale, b) la duplice scritturazione contabile dello strumento finanziario presso il conto dell’intermediario e presso il conto dell’intermediario presso il depositario centrale. L’art. 4, par. 2, del Reg. UE sul regime pilota stabilisce infatti che l’autorità competente possa autorizzare il gestore di un MFT DLT ad ammettere persone fisiche a negoziare per conto proprio in qualità di membri o partecipanti purché tali persone soddisfino determinati requisiti[80]. Nel medesimo senso, l’art. 17 Decreto Fintech dispone che i mezzi di accesso agli strumenti finanziari digitali possano essere controllati esclusivamente dal titolare dello strumento finanziario digitale, ovvero senza il ricorso ad un intermediario che si frapponga tra investitore e registro.
Queste differenti tecniche di gestione si ripercuotono sulla legittimazione all’esercizio dei diritti per i titolari degli strumenti finanziari digitali tanto da prefigurare il superamento della neutralità dei sistemi di gestione, ovvero dell’equivalenza funzionale delle tecniche di gestione esistenti con le regole proprie della tecnologia a registro distribuito[81].
Fino ad ora i meccanismi di legittimazione dei sistemi di gestione sono stati pressoché equivalenti, sempre mediati dalla documentazione cartacea. Nel regime cartolare è prevista la consegna della chartula e la dimostrazione di una girata autenticata nel regime cartolare (art. 2355, comma 3, c.c.), mentre nel regime dematerializzato è prevista l’attestazione dell’esibizione delle certificazioni e delle comunicazioni all’emittente, rispettivamente rilasciate o effettuate dagli intermediari, nel regime di dematerializzazione (artt. 83-quinquies e sexies TUF)[82].
I registri distribuiti sembrerebbero superare definitivamente la mediazione dei meccanismi di legittimazione cartacea. Con le registrazioni digitali, il titolare riceve un’immediata legittimazione all’esercizio di tutti i diritti collegati alla titolarità di security tokens senza alcuna intermediazione di altri operatori e senza esibizione di certificazioni (art. 5 Decreto Fintech). Ciò avviene perché i registri digitali identificano in qualsiasi momento i soggetti in favore dei quali sono effettuate le scritturazioni, la specie e il numero degli strumenti finanziari digitali da ciascuno detenuti (art. 4 del Decreto Fintech). Tale identificabilità consente di ritenere compatibile il sistema di gestione DLT con il divieto normativo che esclude, con riferimento alle azioni, l’emissione di titoli al portatore (art. 1, comma 1, r.d.l. n. 1148/1941) assicurando la nominatività delle registrazioni[83].
Le movimentazioni digitali nel registro distribuito offrono una rappresentazione simultanea delle vicende organizzative riguardanti la compagine sociale a differenza di quanto accade con il meccanismo del c.d. record-date per le società quotate, in forza delle quali la legittimazione all’intervento e all’esercizio del diritto di voto sarebbero cristallizzate «al termine della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea» (art. 83-sexies, comma 2, TUF)[84]. Con il Decreto Fintech, la legittimazione all’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali è determinata con riferimento alle registrazioni rilevate al termine della giornata contabile individuata dallo statuto dell’emittente (art 7 Decreto Fintech), così da limitare le situazioni nelle quali si verifica una dissociazione tra titolarità e esercizio del diritto di intervento e di voto.
8. Conclusioni
La regolamentazione UE porta con sé molte perplessità: (i) non disciplina la finanza decentralizzata (bitcoin et similia); ii) non ha contorni ben definiti.
Con riferimento alla prima questione è auspicabile un intervento del legislatore eurounitario di regolamentazione della finanza decentralizzata, per la quale non sono ancora stati ideati appropriati strumenti di controllo e di tutela, considerata l’inadeguatezza degli schemi tradizionali della regolazione finanziaria. In mancanza di una normativa ad hoc, esclusa esplicitamente l’applicazione del Regolamento (UE) MiCA quando non sia individuabile un emittente da identificare e sottoporre a regolamentazione, dovranno continuare ad essere applicate, ove possibile, le disposizioni esistenti riconducendo il fenomeno bitcoin ora nell’ambito della prestazione dei servizi di pagamento ora nell’ambito della prestazione dei servizi finanziari.
Quanto alla seconda questione, anzitutto, vi è la difficoltà di delineare una chiara linea di demarcazione tra le cripto-attività riconducibili nell’ambito del Regolamento (UE) MiCA, della direttiva MiFID II e della direttiva 2015/2366/UE (Payment Services in the internal market – PSD2). Ma le questioni si moltiplicano qualora gli others crypto-asset abbiano come sottostante un asset non riconducibile a quelli di carattere monetario (ART e EMT) ed assumano le caratteristiche di investimento finanziario. L’attrazione delle cripto-attività in ambito finanziario può avvenire o mediante la loro qualificazione nell’ambito della categoria degli strumenti finanziari per il tramite della nozione elastica di valori mobiliari o per il tramite della loro riconduzione nell’ambito dei prodotti finanziari atipici. Mentre nel primo caso troverebbe applicazione la disciplina MiFID, nel secondo caso, in mancanza di ulteriori interventi correttivi, potrebbero sorgere controversie in merito all’individuazione del regime giuridico, per le notevoli analogie, prima fattuali e ora normative, tra la disciplina del mercato finanziario (TUF) e quella dei crypto-asset (MiCA).
Anche per gli strumenti finanziari digitali si dischiude, invero, un doppio binario normativo: gli strumenti finanziari digitali negoziati in infrastrutture di mercato DLT e gli strumenti finanziari digitali disciplinati esclusivamente dalla più recente normativa nazionale. I primi sono sottoposti ad un regime sperimentale provvisorio che, una volta consolidato, potrebbe non essere più adeguato rispetto all’evoluzione della tecnologica; i secondi sono suscettibili di essere dilatati a dismisura a seguito dell’esercizio del potere regolamentare, senza un disegno organico di riforma di istituti di diritto societario e diritto dei mercati finanziari ideati in un differente contesto socioeconomico.
In ambito nazionale poi la creazione di un regime di emissione e di circolazione degli strumenti finanziari digitali ha allineato l’ordinamento italiano a quello di Stati UE ed extraUE ma ha lasciato impregiudicata l’esigenza dell’adozione di regole di diritto internazionale privato che definiscano la legge applicabile qualora le transazioni assumano carattere transnazionale, considerata la natura globale del fenomeno crypto. È necessaria quindi la predisposizione di regole di conflitto che determinino la legge applicabile agli atti di disposizione e di costituzione di garanzie degli strumenti finanziari digitali, in assenza delle quali è inevitabile il rischio di controversie.
[*] Le opinioni espresse sono imputabili esclusivamente alla responsabilità dell’autore e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.
[1] E. Severino – N. Irti, Dialogo su diritto e tecnica, Roma-Bari, 2001. I due studiosi giungevano a conclusioni diametralmente opposte: Emanuele Severino asseriva che la tecnica dominasse il mondo, manipolasse la natura e gli uomini, ritenendo che la stessa generasse una propria normatività che sovrasta qualsiasi regola positiva degli Stati; Natalino Irti da parte sua, invece, nell’ottica del giurista, individuava una pluralità di forze nel mondo, tra le quali il diritto, in grado di frenare o rallentare gli strumenti tecnici.
[2] R. De Caria, Il diritto di fronte alla tokenizzazione dell’economia, in Il diritto dell’economia, n. 1, 2020, pp. 855 ss.
[3] M. Giuliano, Le risorse digitali nel paradigma dell’art. 810 cod. civ. ai tempi della blockchain, in Nuova giur. civ. comm., n. 6, 2021, p. 1459.
[4] P. Rubechini, Criptoattività e blockchain, in Gior. dir. amm., n. 2, 2023, p. 272.
[5] Fa riferimento ad una polifunzionalità non solo orizzontale (cioè tra cripto-attività diverse) ma anche verticale, riferita al cambio di destinazione d’uso tipica nel tempo M. Cian, Noterelle su finanziarietà e non finanziarietà nei crypto-assets: la Suprema Corte sulla natura del servizio di exchange, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2023, p. 7.
[6] Sull’argomento, affrontato anche dalla Corte di giustizia UE, sentenza del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Tax c. Uber Systems SpainSL, C-434/15, EU:C:2017:981, sulla quale si vedano i commenti di E. Mostacci – A. Somma, Il caso Uber: la sharing economy nel confronto tra common law e civil law, 2016; G. Resta, Uber di fronte alle corti europee, in Dir. inf., n. 2, 2017, pp. 330 ss., le istituzioni europee avevano predicato l’applicazione delle medesime regole indipendentemente dal soggetto giuridico che esercita una determinata attività (European Parliament, Committee on Economic and Monetary Affairs, Report on FinTech: the influence of tehnology on the future of the financial sector, (2016/2243(INI)), 28.4.2017, pp. 4-6). In tema vedere anche E. Corapi, Regulatory sandbox nel Fintech?, in E. Corapi – R. Lener, I diversi settori del Fintech, Milano, 2019, p. 17, che si sofferma sull’impatto che la questione sollevata con il caso Uber ha avuto sulla regolamentazione della tecnologia nei mercati finanziari.
[7] Sulle trasformazioni del settore finanziario derivanti dalla digitalizzazione si vedano G. Alpa, Fintech: un laboratorio per i giuristi, in Contr. impr., n. 2, 2019, pp. 377 ss.; V. Falce – G. Finocchiaro, La digital revolution nel settore finanziario, in Analisi giur. econ., n. 1, 2019, pp. 313 ss. Nella dottrina straniera si veda R.P. Buckley – D.W. Arner – D.A. Zetzsche – E. Selga, The Dark Side of Digital Financial Transformation: The new Risks of FinTech and the Rise of RegTech, in EBI (European Banking Institute), Working Paper Series, n. 54, 2019, pp. 1 ss.
[8] E. La Sala, L’applicazione della Distributed Ledger Technology all’emissione di strumenti finanziari di debito, in Soc., n. 6, 2019, pp. 715 ss., e E. Rulli, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, in Orizz. dir. comm. (orizzontideldirittocommerciale.it), n. 1, 2019, pp. 121 ss.
[9] Più esattamente le cripto-attività potrebbero essere incluse nell’ambito della categoria delle forme di circolazione della c.d. “ricchezza assente”, sulla quale, con riferimento al regime di circolazione dei titoli di credito, si vedano P. Spada, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del Millennio (riflessioni sistematiche sulla dematerializzazione dei titoli di massa), in Banca borsa tit. cred., n. 4, 1999, pp. 407 ss., e M. Cossu – P. Spada, Dalla ricchezza assente alla ricchezza inesistente – Divagazioni del giurista sul mercato finanziario, in Banca borsa tit. cred., n. 4, 2010, pp. 401 ss.
[10] Così M. Cian, La criptovaluta – Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, in Banca borsa tit. cred., n. 3, 2019, p. 330.
[11] G. Schneider, La partecipazione alla società nei mercati finanziari tokenizzati tra prospettive di regolazione e di governance, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 4, 2022, pp. 286-287.
[12] M. Bellino, I rischi legati al nuovo sistema bitcoin: i nuovi intermediari, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 4, 2018, pp. 83 ss.
[13] I token di investimento (i.e., investment token) sono cripto-attività che attribuiscono ai titolari diritti di natura amministrativa (diritto di voto), diritti di natura patrimoniale (diritto agli utili) e diritti a contenuto complesso amministrativo e patrimoniale (diritto di opzione) della società emittente. In dottrina (R. Lener, Criptoattività e criptovalute alla luce degli ultimi orientamenti comunitari, in Giur. comm., n. 3, 2023, p. 378) questa categoria è ulteriormente suddivisa in: equity token qualora ai titolari spettano diritti analoghi a quelli attribuiti agli azionisti; token di debito equivalenti alle obbligazioni; security token, categoria residuale comprensiva di tutti gli altri token che sono comunemente offerti al pubblico.
[14] Sugli elementi caratteristici (finanziarietà, serialità e negoziabilità) degli strumenti finanziari si veda M. Cian, La nozione di criptoattività nella prospettiva del MiCAR. Dallo strumento finanziario al token, e ritorno, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, pp. 61-65.
[15] Si veda Corte Giustizia UE, sentenza del 22 ottobre 2015, Skatteverket c. David Hedqvist, C-264/14, ECLI:EU:C:2015:718, Foro it., n. 11, 2015, IV, pp. 513 ss., con nota di G. Palumbo, Il trattamento tributario dei «bitcoin», in Dir. prat. trib., n. 1, 2016, pp. 279 ss., che ha inquadrato le criptovalute nell’ambito dei mezzi di pagamento ed ha sostenuto l’irrilevanza della qualificazione in termini di valuta legale ai fini dell’esclusione dell’applicazione dell’IVA alle operazioni di cessione di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale «bitcoin» e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra, da una parte, il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e, dall’altra, il prezzo al quale le vende ai suoi clienti. Nel medesimo senso, Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 72/E, 2 settembre 2016. In senso contrario, si veda Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 30/E, 27 ottobre 2023, per la quale i chiarimenti della Risoluzione n. 72/E non risultano più attuali a seguito delle novità introdotte dal regime di tassazione delle cripto-attività introdotto dall’art. 1, commi da 126 a 147, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023), che ha disciplinato il regime di tassazione delle “cripto-attività” introducendo una nuova categoria di redditi diversi soggetti a tassazione con aliquota del 26%. Si tratta di un’aliquota applicabile alle attività finanziarie per plusvalenze da cripto-attività per le persone fisiche purché tale reddito non venga conseguito nell’esercizio di attività d’impresa, arti o professioni o in qualità di lavoratore dipendente.
[16] Il legislatore nazionale, con il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90, (a recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva (UE) n. 2015/849), ha introdotto la lett. qq) nell’art. 1, comma 2, del D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, una definizione del seguente tenore letterale: «rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente». Su questa definizione si veda M. Passaretta, Il primo intervento del legislatore italiano in materia di “valute virtuali”, in Le nuove leggi civ. comm., n. 5, 2018, pp. 1171 ss., e M. Rubino De Ritis, Bitcoin: una moneta senza frontiere e senza padrone? Il recente intervento del legislatore italiano, in giustiziacivile.com, editoriale del 20 marzo 2018, pp. 3 ss.
[17] La direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE) ha introdotto una prima nozione di «valute virtuali» come «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Questa definizione è, tuttavia, corredata da una precisazione, contenuta nel Considerando 10 della V direttiva AML, là dove si precisa che «(s)ebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online. L’obiettivo della presente direttiva è coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali».
[18] Si vedano ex multis M.C. di Martino, Soluzioni e prospettive sulla “natura giuridica” delle valute virtuali, in G. Cassano – F. Di Ciommo – M. Rubino De Ritis (a cura di), Banche, intermediari e fintech, Nuovi strumenti digitali in ambito finanziario, Milano, 2021, pp. 299-300; R. Bocchini, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Riv. inf., n. 1, 2017, pp. 27 ss.
[19] La dottrina ha valutato negativamente la possibilità di fare rientrare le criptovalute nella definizione di moneta. Si veda V. De Stasio, Verso un concetto europeo di moneta legale: valute virtuali, monete complementari e regole di adempimento, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2018, pp. 747 ss.; M. Rubino De Ritis, La moneta digitale complementare: modelli convenzionali di adempimento in criptomonete e prospettive, in F. Fimmanò – G. Falcone, Fintech, Napoli, 2019, pp. 543 ss.
[20] L’iniziale nozione è stata modificata dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 (di attuazione della direttiva antiriciclaggio UE 2018/843) in questi termini: «rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente».
[21] Si vedano in dottrina ex multis A. Pisani Massamormile, Noterelle pessimistiche sui bitcoin, in Banca borsa tit. cred., n. 3, 2020, pp. 465 ss, spec. pp. 469-470; G.L. Greco, Valute virtuali e valute complementari, tra sviluppo tecnologico e incertezze regolamentari, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 1, 2019, pp. 61 ss., spec. pp. 81-83; P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra innovazione e tradizione, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 1, 2019, pp. 117, spec. pp. 154-168; E. Girino, Criptovalute: un problema di legalità funzionale, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 4, 2018, pp. 733 ss., spec. p. 763; G. Rinaldi, Approcci normativi e qualificazione giuridica delle criptomonete, in Contr. impr., n. 1, 2019, pp. 257 ss.; D. Masi, Le cripto-attività: proposte di qualificazione giuridica e primi approcci regolatori, in Banca impresa società, n. 2, 2021, pp. 241 ss., spec. p. 255; M. Palazzo, Blockchain e cripto-attività, in R. Giordano – A. Panzarola- A. Police – S. Preziosi – M. Proto (a cura di), Il diritto nell’era digitale, Milano, 2022, pp. 211 ss, spec. pp. 222-225. In senso contrario v. N. Vardi, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica dei bitcoin, in Dir. inf., n. 3, 2015, pp. 443 ss., spec. pp. 448 ss.
[22] Si veda A. Livi, Le criptovalute nella giurisprudenza, in E. Corapi – R. Lener (a cura di), I diversi settori del Fintech, Padova, 2019, pp. 111 ss.
[23] Si veda Tribunale Verona, Sez. II civ., 24 gennaio 2017, n. 195, in Banca borsa tit. cred., n. 4, 2017, pp.467 ss., con nota di M. Passaretta, Bitcoin: il leading case italiano, ivi, pp. 471 ss., che ha qualificato l’operazione di cambio di valuta tradizionale con unità di valuta virtuale in termini di «prestazione di servizi a titolo oneroso» muovendo dalla premessa che le criptovalute rappresentano uno strumento finanziari.
[24] Si vedano le decisioni del Tribunale di Firenze 19 dicembre 2018, in i Contratti, n. 6 2019, pp. 661 ss., con nota di D. Fauceglia, Il deposito e la restituzione delle criptovalute, ivi, pp. 669 ss., e Tribunale di Firenze 21 gennaio 2019, in Banca borsa tit. cred., n. 3, 2021, pp. 385 ss. con nota di V. De Stasio, Prestazione di servizi di portafoglio digitale relativi alla valuta virtuale “Nanocoin” e qualificazione del rapporto tra prestatore e utente, ivi, pp. 399 ss., nelle quali viene asserito che la criptovaluta si presta ad essere utilizzata, oltre che come mezzo di scambio, ad altri scopi, come quello speculativo in ragione dell’estrema variabilità dei livelli di fluttuazione che la caratterizzano.
[25] Si veda T.A.R. Lazio, 27 gennaio 2020, n. 1077, in Soc., n. 5, 2020, pp. 566 ss., con nota di N. de Luca – M. Passaretta, Le valute virtuali: tra nuovi strumenti di pagamento e forme alternative d’investimento, ivi, pp. 571 ss., nella quale è ventilata l’astratta riconducibilità delle criptovalute ai prodotti finanziari qualora l’operazione sia caratterizzata da impiego di capitale, assunzione di un rischio connesso al suo impiego e aspettativa di un rendimento di natura finanziaria.
[26] Cass. pen., Sez. II, 17 settembre 2020 n. 26807, in Giur. comm., n. 4, 2022, pp. 928-929, con nota di F. Consulich, Il diritto penale nell’età del cripto-oro. Gli elementi normativi della fattispecie di abusivismo finanziario tra monete virtuali e investimenti reali, ivi, pp. 929 ss., e con nota di F. Dalaiti, Cripto-valute e abusivismo finanziario: cripto-analogia o interpretazione estensiva. Nota a Cass., Sez. II, sent. 17 settembre 2020 (dep. 25 settembre 2020), n. 26807, in Sistema Penale (sistemapenale.it), n. 1, 2021, pp. 37 ss., in part. pp. 59 ss.; Cass. pen., Sez. II, 10 novembre 2021, n. 44337, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2023, pp. 1-3, con nota di M. Cian, Noterelle su finanziarietà e non finanziarietà nei crypto-assets: la Suprema Corte sulla natura del servizio di exchange, ivi, pp. 3 ss., M. Guastadisegni, Criptovaluta e prodotto finanziario: l’eterno ritorno alla causa negoziale, in Danno e resp., n. 4, 2022, pp. 494 ss., e A. Quattrocchi, La natura proteiforme delle criptovalute al crocevia della tutela penale del mercato finanziario, in Giur it., n. 5, 2022, pp. 1214 ss.; da ultimo, Cass. pen., Sez. II, 22 novembre 2022, n. 44378, con nota di F. Cascinelli – F. Della Scala, Crypto assets: prime considerazioni sulla più recente sentenza della Cassazione, in dirittobancario.it, 25 novembre 2022.
[27] In tal senso si esprime M. Cian, Noterelle su finanziarietà e non finanziarietà nei crypto-assets: la Suprema Corte sulla natura del servizio di exchange, cit., p. 7, per il quale le cripto-attività assumono funzione finanziaria in quanto vengano collocate in (o destinati a) un contesto di mercato tale da attribuire alla loro offerta e negoziazione carattere eminentemente speculativo. Si veda nel medesimo A., La criptovaluta – Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, cit., p. 328, e La nozione di criptoattività nella prospettiva del MiCAR. Dallo strumento finanziario al token, e ritorno, cit., p. 63.
[28] Gli investimenti di natura finanziaria rappresentano forme di investimento «atipiche» che non ricadono nell’elenco degli strumenti finanziari di cui all’art. 1 del TUF. Il medesimo articolo definisce «prodotti finanziari» gli «strumenti finanziari [forme di investimento tipizzate] e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria». Gli elementi di «finanziarietà» di un’operazione sono da ricercare nelle oggettive pattuizioni/meccanismi contrattuali, non nella intenzione/motivo soggettivo che spinge l’acquirente a impiegare il proprio denaro in una operazione, posto che l’obiettivo di conseguire un lucro è presente sia nelle operazioni finanziarie propriamente dette sia nelle operazioni di natura eminentemente commerciale. I contratti di investimento hanno, quindi, una causa finanziaria. Come statuito dalla Corte di Cassazione «La causa negoziale è finanziaria allorquando la ragione giustificativa del contratto, e non il suo semplice motivo interno privo di rilevanza qualificante, consiste proprio nell’investimento del capitale (il «blocco» dei risparmi) con la prospettiva dell’accrescimento delle disponibilità investite, senza l’apporto di prestazioni da parte dell’investitore diverse da quella di dare una somma di denaro» (Cass. civ., Sez. II, sentenza 5 febbraio 2013, n. 2736, in Giust. civ., 2013).
[29] Si esprime in tale senso P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, cit., pp. 154 ss. In particolare, l’A. osserva che «tutte le volte in cui ai modelli operativi e agli schemi negoziali di base (acquisto/vendita) che possono riscontrarsi sulle piattaforme di criptovalute, anche di tipo “monetario” o “utility” […] vengano associati più complessi o articolati schemi negoziali, quali tipicamente promesse di rendimento, obblighi di riacquisto, promesse di realizzazione di profitti ovvero vincoli al godimento del bene, potrà allora aversi un “prodotto finanziario”».
[30] In argomento, con riferimento agli utility token, si veda in dottrina C. Sandei, L’offerta iniziale di cripto-attività, Torino, 2022, pp. 39 ss., spec. pp. 48-50, la quale asserisce che, come la vendita di beni materiali [certificati di vini en primeur (sui quali Consob, Comunicazione n. 98082979 del 22 ottobre 1998), e offerta di diamanti (sulla quale Consob, Comunicazione n. DTC/13038246 del 6 maggio 2013)], anche la vendita di utility token può assumere le caratteristiche del prodotto finanziario atipico, «dovendosi (…) guardare all’esistenza in capo al proponente di un (ulteriore) obbligo contrattuale, volto in qualche modo ad assicurare all’oblato la facoltà di rivendere il bene, vuoi in favore dello stesso emittente, vuoi al mercato. Solo se ricorre questa condizione aggiuntiva, ovvero questa relazione, in effetti, si può dire che l’atteso incremento di valore del capitale impiegato – per quanto scaturente da un successivo atto individuale (di rivendita) – in realtà rappresenta (già) un elemento intrinseco all’offerta, idoneo come tale a connotarla sul piano causale. Ciò che non si potrebbe invece sostenere (…) solo facendo leva sull’esistenza, di per sé, di un mercato a valle». In questa prospettiva, gli utility token assumono carattere speculativo piuttosto che una funzione di godimento dell’utilità secondo un criterio di prevalenza dell’operazione, sul quale si veda l’orientamento della Corte Suprema statunitense che ha creato il c.d. “Howey test”, risalente al leading case del 1948 (caso SEC v. W.J. Howey Co), riconducendo una fattispecie concreta nell’ambito della nozione di “contratto di investimento”, a prescindere dalla qualificazione concordata tra le parti, qualora sia stato realizzato un «investimento di denaro in un’impresa con la ragionevole aspettativa di profitti derivanti da sforzi manageriali o imprenditoriali di altri». Sull’orientamento statunitense si veda la prima sentenza americana che sottopone l’offerta e la vendita di token derivanti da ICO alla disciplina dell’offerta al pubblico di strumenti finanziari: Corte Suprema USA, Eatern District of New York – United States of America c. Zaslavskiy, 27 ottobre 2017, in Soc., n. 1, 2019, pp. 55 ss., con nota di P. Giudici, ICO e diritto dei mercati finanziari: la prima sentenza americana, ivi, pp. 61 ss. Si rinvia altresì sugli utility token a S.L. Furnari – R.A. Lener, Contributo alla qualificazione giuridica dell’offerta al pubblico di Utility Token (anche) alla luce della proposta di Regolamento Europeo sulle cripto-attività, in Bocconi Legal Papers, n. 16, 2021, pp. 63 ss., spec. pp. 96-97; E.M. Incutti, «Initial Coin Offerings» ed il mercato delle cripto-attività: l’ambiguità degli «utility tokens», in Riv. dir. priv., n. 1, 2022, pp. 71 ss., spec. pp. 87 ss.
[31] L’art. 8, par. 4, del Regolamento (UE) MiCA prevede che gli emittenti di cripto-attività diverse dagli asset referenced tokens e dagli eletronic money tokens debbono presentare, unitamente alla notificazione del white paper anche una dichiarazione relativa al fatto che la cripto-attività offerta non può essere considerata una cripto-attività non disciplinata dalla presente regolamentazione, un token di moneta elettronica o un token collegato ad attività. L’art. 18, par. 2, lett. e), del Regolamento (UE) MiCA stabilisce che la domanda di autorizzazione degli emittenti asset referenced tokens debba essere corredata da un parere giuridico che escluda l’assimilabilità dei medesimi nell’ambito delle cripto-attività non disciplinate dalla presente regolamentazione e dei token di moneta elettronica. In senso critico si veda M. Cian, La nozione di criptoattività nella prospettiva del MiCAR. Dallo strumento finanziario al token, e ritorno, cit., p. 60, per il quale la necessità di argomentare le ragioni per cui una cripto-attività non dovrebbe considerarsi security è «indice dell’insufficienza del quadro definitorio normativo e della labilità dei contorni della fattispecie che esso traccia».
[32] Art. 2, par. 3, Regolamento (UE) MiCA: «Il presente regolamento non si applica alle cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività».
[33] Art. 2, par. 3, Regolamento (UE) MiCA: «Il presente regolamento non si applica alle cripto-attività che rientrano in una o più delle definizioni seguenti: a) strumenti finanziari; b) depositi, compresi i depositi strutturati; c) fondi, eccetto ove siano qualificabili come token di moneta elettronica; d) posizioni inerenti a cartolarizzazione nel contesto di una cartolarizzazione ai sensi dell’articolo 2, punto 1, del regolamento (UE) 2017/2402; e) prodotti assicurativi non vita o vita che rientrano nelle classi di assicurazione elencati negli allegati I e II della direttiva n. 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio o contratti di riassicurazione e retrocessione di cui alla stessa direttiva; f) i prodotti pensionistici che, ai sensi del diritto nazionale, sono riconosciuti come aventi lo scopo principale di offrire all’investitore un reddito durante la pensione e che consentono all’investitore di godere di determinati vantaggi; g) gli schemi pensionistici aziendali o professionali riconosciuti ufficialmente che ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva (UE) 2016/2341 del Parlamento europeo e del Consiglio o della direttiva 2009/138/CE; h) i singoli prodotti pensionistici per i quali il diritto nazionale richiede un contributo finanziario del datore di lavoro e nei quali il lavoratore o il datore di lavoro non può scegliere il fornitore o il prodotto pensionistico; i) un prodotto pensionistico individuale paneuropeo come definito all’articolo 2, punto 2), del regolamento (UE) 2019/1238 del Parlamento europeo e del Consiglio; j) regimi di sicurezza sociale contemplati dal regolamento (CE) n. 883/2004 e (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio».
[34] Il Regolamento (UE) 2022/858 modifica altresì i regolamenti (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 909/2014 e la direttiva 2014/65/UE, ampliando la nozione di strumento finanziario. In particolare, l’art. 2, par. 1, n. 11, introduce la nozione di «strumento finanziario DLT», quale «strumento finanziario emesso, registrato e trasferito e stoccato mediante la tecnologia a registro distribuito». A tale fine, è operato un intervento correttivo sulla direttiva MiFID II: l’art. 18, par. 1, n. 1, modifica l’art. 4, par. 1, punto 15, con l’intenzione di incorporare nella nozione di strumento finanziario «qualsiasi strumento riportato nella sezione C dell’allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia di registro distribuito» e, quindi, determinare l’applicazione della normativa in materia di intermediazione finanziaria. Sul regime pilota si vedano nella dottrina straniera i commenti di D.A. Zetszsche – J. Woxholth, The DLT Sandbox under the Pilot-Regulation, in EBI – Working Paper Series, n. 92, 2021, 29.4.2021, e R. Priem, A DLT pilot regime: introducing a new type of financial market infrastructure, in Journal of Financial Regulation and Compliance, Vol. 30, n. 3, pp. 371 ss., mentre in quella italiana di G. Amato – R. Benvenuto, Regolamento DLT: il regime pilota UE sulle nuove infrastrutture di mercato, in dirittobancario.it, 8 luglio 2022.
[35] Sull’impostazione riguardante la distinzione tra cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari e tutte le altre cripto-attività si vedano i commenti di F. Annunziata, Verso una disciplina europea delle cripto-attività. Riflessioni a margine della recente proposta della Commissione UE, in dirittobancario.it, ottobre 2020, pp. 10 ss. Prima dell’entrata in vigore della disciplina si vedano, ex multis, i commenti in dottrina di M. De Mari, Prime ipotesi per una disciplina italiana delle Initial Token Offerings (ITOs): token crowdfunding e sistemi di scambio di crypto-asset, in Orizz. dir. comm. (Orizzontideldirittocommerciale.it), n. 2, 1019, pp. 267 ss.; G. Gitti – M. Maugeri – C. Ferrari, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività, in Oss. dir. civ. comm., n. 1, 2019, pp. 95 ss.; R. Lener – S.L. Furnari, Cripto-attività: prime riflessioni sulla proposta della commissione europea. Nasce una nuova disciplina dei servizi finanziari “crittografati”?, in dirittobancario.it, ottobre 2020; P. Carrière, Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, in dirittobancario.it, 5 ottobre 2020; V. Ferrari, The regulation of crypto-assets in the EU – investment and payment tokens under the radar, in Maastricht Journal and Comparative Law, n. 27 (3), 2020, pp. 325 ss.; D.A. Zetzsche – F. Annunziata – D.W. Arner – R.P. Buckley, The Markets in Crypto-Assets Regulation (MICA) and the EU Digital Finance Strategy, in EBI (European Banking Institute), Working Paper Series, n. 77, 2020, pp. 1 ss.; F. Mattassoglio, Le proposte europee in tema di crypto-asset e DLT. Prime prove di regolazione del mondo crypto o tentativo di tokenizzazione del mercato finanziario (ignorando bitcoin?), in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 2, 2021, pp. 413 ss.
[36] Sull’individuazione di una certa omogeneità di fondo della disciplina MiCA rispetto a quella finanziaria in materia di abusi di mercato si veda M. Maugeri, Cripto-attività e abusi di mercato, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, p.425, nonché in Riv. dir. comm., n. 1, 2023, p. 46. Individua invece analogie e differenze tra la disciplina finanziaria in materia di trasparenza e quella MiCA A. Vicari, Il white paper nella proposta di regolamento sulle cripto-attività (MiCAR), in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, pp. 249 ss., e S. Casarrubea, Il ruolo del white paper sulle offerte al pubblico di cripto-attività alla luce della proposta MiCA, in Orizz. dir. comm. (Orizzontideldirittocommerciale.it), 2022, 249 ss. Su un’affinità di fondo tra regime dei servizi di investimento tradizionali e custodia, negoziazione e regolamento di cripto-attività N. Ciocca, Servizi di custodia, negoziazione e regolamento di cripto-attività, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, pp. 79 ss., la quale individua le peculiarità della disciplina MiCA determinate dalla tecnologia impiegata.
[37] Queste due fattispecie di cripto-attività possono essere ricondotte nell’ambito della categoria degli asset linked stablecoins, ovvero le cripto-attività garantite da attività sottostanti (es. valute ufficiali, crediti, merci, etc.) che mirano a mantenere un valore stabile rispetto a una valuta fiat (es. euro o dollari), un bene specifico o un pool o paniere di attività, in contrapposizione alle cc.dd. unbacked crypto-assets, cripto-attività prive di un meccanismo di stabilizzazione che ne ancori il valore a un’attività di riferimento (es. Bitcoin, ma potrebbero essere ricomprese anche le cosiddette “stablecoins algoritmiche”, il cui meccanismo di stabilizzazione è basato appunto su un algoritmo che ne condiziona la domanda e l’offerta sul mercato). In tale senso la Comunicazione della Banca d’Italia in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività, 15 giugno 2022, p. 8, in bancaditalia.it. Sugli e-money token si veda F. Ciraolo, La disciplina degli e-money tokens tra proposta di Regolamento MiCA e normativa sui servizi di pagamento. Problematiche regolatorie e possibili soluzioni, in Riv. reg. mer., n. 1, 2022, pp. 239 ss.
[38] Secondo il consolidato orientamento della Consob, avallato dalla già citata giurisprudenza, l’investimento è da qualificarsi alla stregua di prodotto finanziario, sub specie di “altra forma di investimento di natura finanziaria”, in presenza dei seguenti presupposti: a) l’impiego del capitale; b) la promessa/aspettativa di natura finanziaria; c) l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego del capitale (si veda la Comunicazione DTC/13038246 del 6 maggio 2013). Non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari. Sulla nozione di strumento finanziario e di prodotto finanziario si veda E. Righini, Strumenti e prodotti finanziari, in Enc. dir., Annali IV, Milano, pp. 1162 ss.
[39] Il Regolamento MiCA è entrato in vigore il ventunesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 9 giugno 2023. Esso sarà applicabile dal 30 dicembre 2024.
[40] Una parte della dottrina non esclude che gli utility token, parte degli other crypto-asset, siano qualificabili come strumenti finanziari. Secondo un indirizzo [D. Boreiko – G. Ferrarini – P. Giudici, Blockchain Startups and Prospectus Regulation, in European Business Organization Law Review, dicembre 2019, vol. 20 (4), pp. 665 ss., spec. pp. 680-682] gli utility token negoziati in un mercato di capitali e aventi le caratteristiche della standardizzazione e della trasferibilità rientrerebbero nella nozione di valore mobiliare e, quindi, di strumento finanziario. Secondo altra dottrina [F. Annunziata, Parlate, se potete! Che cosa siete? Una proposta per la qualificazione di token e Initial Coin Offerings (ICOs), in G. Falce (a cura di), Financial Innovation tra disintermediazione e mercato, Torino, 2021, 91 ss., spec. pp. 109-110] gli utility token potrebbero verosimilmente essere attratti nella categoria dei contratti finanziari derivati e, in particolare, in quella dei derivati su commodity qualora: (i) il token abbia un “sottostante”; (ii) se il valore del token varia in funzione di tale “sottostante”; (iii) se il token è regolabile in denaro oppure se sia negoziato su una trading venue.
[41] Nella versione finale del Regolamento MiCA l’art. 4, par. 3, prevede alcune esenzioni dall’applicazione dell’obbligo di pubblicazione del white paper: a) la cripto-attività è offerta gratuitamente; b) la cripto-attività è creata automaticamente a titolo di ricompensa per il mantenimento del registro distribuito o la convalida delle operazioni; c) l’offerta riguarda un utility token che fornisce accesso a un bene o servizio esistente o in gestione; d) il possessore della cripto-attività ha il diritto di utilizzarla solo in cambio di beni e servizi in una rete limitata di esercenti con accordi contrattuali con l’offerente.
[42] C. Frigeni, Il mercato primario delle cripto-attività. Offerta al pubblico e regime di trasparenza nella proposta di Regolamento MiCA, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, pp. 32-33.
[43] L’art. 2, par. 3, MiCAR esclude dal suo ambito di applicazione le cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività.
[44] Sugli NFT si vedano i contributi di G. Nava, I non-fungible token, in R. Giordano – A. Panzarola- A. Police – S. Preziosi – M. Proto (a cura di), Il diritto nell’era digitale, cit., pp. 237 ss.; A. Guaccero – G. Sandrelli, Non-Fungible Tokens (NFTs), in Banca borsa tit. cred., n. 6, 2022, pp. 824 ss.; P. Carrière, La “cripto-arte” e i non-fungible tokens (NFTs): tentativi di inquadramento giuridico, in dirittobancario.it, agosto 2021, pp. 1 ss.; D. Masi, Non-Fungible Tokens (NFTs): riflessioni sulla natura giuridica e disciplina applicabile, in Riv. giur. eur., n. 1, 2022, pp. 83 ss.
[45] Non è escluso che un NFT possa essere qualificato strumento finanziario, come depone letteralmente il Cons. 11 del Regolamento (UE) MiCA. Ciò potrebbe accadere qualora in cambio della partecipazione finanziaria ad un progetto viene offerto agli investitori di sottoscrivere una pluralità di NFTs (cc.dd. Fractional NFTs), con il dubbio di potere individuare un vero e proprio NFT e di considerare le diverse frazioni di NFT quali security token, ai quali applicare la disciplina MiFID. Così A. Guaccero – G. Sandrelli, op. cit., pp. 859-861.
[46] Dall’applicazione universale della normativa MiCA dovrebbe essere esclusa la criptovaluta più conosciuta, bitcoin, poiché non sarebbe individuabile un soggetto emittente da identificare e sottoporre a regolamentazione, con conseguente applicazione della normativa interna di cui agli artt. 91 e ss. TUF. A favore di questa ricostruzione depone l’art. 4, par. 3, del Regolamento MiCA, che, tra le esenzioni dalla pubblicazione di un white paper, fa rientrare il caso in cui la cripto-attività è creata automaticamente a titolo di ricompensa per il mantenimento del registro distribuito o la convalida delle operazioni. Si prefigura, tuttavia, l’applicazione delle disposizioni MiCA sulla prestazione dei servizi che riguardino i Bitcoin (ad es. consulenza, gestione di portafogli).
[47] In argomento, sulla delimitazione delle regole da applicare ai prodotti finanziari tipici e a quelli atipici si veda S. Giuliani, Mercati delle cripto-attività e paradigmi normativi di tutela dell’investitore, in Riv. trim. dir. econ. (fondazionecapriglione.luiss.it), Suppl. al n. 2, 2023, pp. 31 ss., spec. p. 41.
[48] Sul Decreto Fintech si vedano i primi commenti di U. Malvagna, Digital securities: prime note sul decreto di attuazione del DLT Pilot, in dirittobancario.it, 20 marzo 2023; V. Lemma, DLT Pilot: verso il mercato degli strumenti finanziari digitali. Note a margine del d.l. 17 marzo 2023, n. 25, e del Regolamento (UE) 2022/858, in dirittobancario.it, maggio 2023; P. Carrière, Decreto Fintech e MICAR: il quadro normativo sulle cripto-attività, in dirittobancario.it, maggio 2023.
[49] L’art. 18 del Regolamento (UE) n. 2022/858 indica la data del 23 marzo 2023 quale termine ultimo per l’adozione di una disciplina nazionale di emissione e circolazione degli strumenti finanziari digitali.
[50] La dematerializzazione facoltativa è espressamente consentita dall’art. 2354, comma 7, c.c. che riconosce all’autonomia statutaria la facoltà di assoggettare le azioni alla disciplina prevista dalle leggi speciali in tema di strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nelle sedi di negoziazione.
[51] P. Spada, Introduzione al diritto dei titoli di credito. Documenti circolanti, circolazione intermediata e password, III ed., Torino, 2012, pp. 53 ss., spec. p. 140, e più recentemente, M. Cian, I titoli di credito cartacei ed elettronici, in Manuale di diritto commerciale, IV ed., Torino, 2021, p. 179.
[52] La Relazione alla riforma del diritto societario del 2003 prevede testualmente che il diritto del socio a ricevere titoli cartacei «può peraltro essere escluso dallo statuto oppure da leggi speciali, come soprattutto avviene per le società sottoposte al regime di dematerializzazione obbligatoria degli strumenti finanziari da esse emessi».
[53] F. Martorano, Titoli di credito dematerializzati, Milano, 2020, p. 58.
[54] L’art. 3 del Regolamento (UE) n. 2022/858 relativo ad un regime pilota limita il suo ambito di operatività alle: a) azioni di emittenti con capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro; b) obbligazioni, altre forme di debito cartolarizzato, comprese le ricevute di deposito in relazione a tali titoli, o strumenti del mercato monetario con emissione complessiva minore di 1 miliardo di euro, esclusi quelli che incorporano uno strumento derivato o che incorporano una struttura che rende difficile per il cliente comprendere il rischio correlato; c) quote di organismi di investimento collettivo di cui all’art. 25, par. 4, lett. a), punto iv), della direttiva 2014/65 MiFID II, il cui valore di mercato delle attività gestite è inferiore a 500 milioni di euro.
[55] La Sezione II del Decreto Fintech, infatti, riguarda gli strumenti finanziari non scritturati presso un TSS DLT o un SS DLT.
[56] P. Carrière, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca Impresa Società, n. 3, 2020, pp. 497-498.
[57] U. Malvagna, Digital securities: prime note sul decreto di attuazione del DLT Pilot, cit., p. 8.
[58] L’art. 83-bis, comma 1, TUF infatti elimina espressamente l’obbligo di rappresentazione in forma scritturale. La disposizione attualmente vigente ha il seguente tenore letterale: «L’obbligo di rappresentazione in forma scritturale previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 909/2014 può essere assolto tramite emissione diretta, o immissione, in regime di dematerializzazione, presso un depositario centrale di titoli stabilito nel territorio della Repubblica, o presso un depositario centrale di titoli autorizzato alla prestazione transfrontaliera dei servizi nel territorio della Repubblica, ai sensi dell’articolo 23 del medesimo regolamento».
[59] In dottrina non mancano posizioni che auspicano un intervento comunitario che consenta il superamento degli ostacoli normativi che impediscono l’emissione sul mercato primario di strumenti finanziari basati su tecnologia DLT. Si ritiene altresì che possa essere sufficiente un intervento sul quadro giuridico nazionale dal momento che all’art. 3 del Regolamento (UE) CSDR non dà una definizione di scrittura contabile, lasciandone impregiudicata la qualificazione al legislatore nazionale. Così P. Leocani – U. Malvagna – A. Sciarrone Alibrandi – A. Tranquillini, Tecnologie di registro distribuito (distribuited ledger technologies – blockchain) per la rappresentazione digitale di strumenti finanziari (security token): tra diritto cartolare e disciplina delle infrastrutture di mercato, in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 2, 2022, p. 87, e A. Tina, Mercati centralizzati, decentralizzati. Prospettive di inquadramento della DeFi nell’attuale orizzonte MiFID, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, pp. 45-46.
[60] In questi termini N. Abriani, Rappresentazione e circolazione di partecipazioni di società di capitali mediante la tecnologia DLT, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, p. 369, il quale asserisce che sia «(u)n intervento, peraltro, quanto mai delicato, giacché imporrebbe un ripensamento di tutto il sistema del settlement e della compensazione, del clearing e delle operazioni sui mercati regolamentati. Inoltre una (eventuale) apertura del varco ad alternative alla struttura centralizzata, imperniata sul depositario e sugli intermediari quali figure di presidio (e «custodia») del buon funzionamento del mercato (dispiegantesi su un sistema scritturale), richiederebbe in via preliminare l’individuazione e l’elaborazione di nuove garanzie e responsabilità: non solo per sanare le tradizionali lacune di un sistema basato sugli scambi orizzontali «tra pari» (che il sistema centralizzato intende appunto colmare e correggere), ma anche per mitigare gli inediti rischi sottesi ad un sistema «tra pari», che si sviluppa in una realtà tecnologica complessa e potenzialmente foriera di nuove insidie».
[61] In argomento si vedano F. Annunziata, La disciplina del mercato dei capitali, Torino, 2015, pp. 92-93, M. Onza – L. Salomone, Prodotti, strumenti finanziari, valori mobiliari, in Banca borsa tit. cred., n. 5, 2009, pp. 575 ss., V.V. Chionna, Strumenti finanziari e prodotti finanziari nel diritto italiano, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2011, pp. 1 ss., e S. Patriarca, Prodotti e strumenti finanziari, in M. Cera – G. Presti (a cura di), Il Testo Unico Finanziario, Bologna, 2020, pp. 72 ss. Con riferimento alla qualificazione dei security token come strumenti finanziari si veda F. Annunziata, La disciplina delle trading venues nell’era delle rivoluzioni tecnologiche: dalle criptovalute alla distributed ledger technology, in Orizz. dir. comm. (Orizzontideldirittocommerciale.it), n. 3, 2018, p. 15, per il quale non sarebbe sufficiente la circostanza che una cripto-attività sia scambiata su una piattaforma per considerarlo uno strumento finanziario (derivato), a meno che la piattaforma sia un sistema di negoziazione ai sensi della direttiva MiFID.
[62] Cfr. A. Tina, Mercati centralizzati, decentralizzati. Prospettive di inquadramento della DeFi nell’attuale orizzonte MiFID, in Oss. dir. civ. comm., n. speciale-2022, p. 48, per il quale gli strumenti finanziari DLT, esclusi dall’art. 3, par. 1, del Regolamento relativo ad un regime pilota, possano essere comunque ammessi in un MTF tradizionale non DLT, dovendo riferirsi i limiti unicamente alle sedi di negoziazione DLT. L’A. cita a favore di questa ricostruzione il cons. n. 2 del Regolamento (UE) sul regime pilota che delinea una categoria di cripto-attività qualificabili come strumenti finanziari ex MiFID e quindi non circoscritta ai limiti dimensionali dell’art. 3. A ciò aggiunge che il cons. n. 7 del Regolamento (UE) sul regime pilota non esclude l’impiego di infrastrutture di mercato non DLT per la negoziazione delle cripto-attività.
[63] Si tratta dell’opinione di F. Annunziata, La disciplina delle trading venues nell’era delle rivoluzioni tecnologiche: dalle criptovalute alla distributed ledger technology, cit., p. 11, il quale invita ad un approccio dinamico (c.d. “top-down”) che prenda in considerazione le trading venues nelle quali i token sono scambiati dal momento che le regole disciplinanti le piattaforme di negoziazione possono influire sulla qualificazione del fenomeno delle cripto-attività in generale; in conseguenza, indipendentemente dalla tassonomia di payment token, utility token e investment token (o security token) derivante dall’approccio bottom-up, dal quale può derivare la sussunzione degli investment token nell’ambito delle categorie dei valori mobiliari o delle quote di OICR, se un token è negoziato su trading venues centralizzate dovrebbe essere qualificato, di per sé, nella categoria di strumento derivato su merci e, quindi, di strumento finanziario, dalla cui qualificazione deriverebbe altresì l’applicazione della disciplina giuridica della direttiva MiFID II. Questa ricostruzione si basa tuttavia su un presupposto dibattuto: la qualificazione del token come “merce” in base ad una concezione anodina di “merci” in grado di ricomprendere qualsiasi bene, attività, parametro, indice che sia impiegato quale sottostante di uno strumento derivato è abbastanza dibattuta, sebbene si possa registrare la posizione assunta in tale senso dalla Commodity Futures Trading Commission. Si veda M. Passaretta, Valute virtuali: prodotti e strumenti finanziari, in G. Cassano – F. Di Ciommo – M. Rubino De Ritis (a cura di), Banche, intermediari e fintech, cit., pp. 412-413. Critica questa ricostruzione C. Sandei, Le Initial Coin Offering nel prisma dell’ordinamento finanziario, in Riv. dir. civ., n. 2, 2020, pp. 391 ss., spec. pp. 405 ss., sulla base di due ragioni. In primo luogo, l’osservazione dinamica, come quella statica, non è sufficiente per individuare la causa negoziale delle cripto-attività, dovendo coniugarsi una visione unitaria delle due impostazioni. In secondo luogo, la distinzione, basata sul modello di business adottato dall’exchange, cioè tra modelli regolamentati e non regolamentati, per l’applicazione della disciplina in materia di strumenti finanziari, appare estremamente complicata e potrebbe poi pregiudicare gli investitori perché la scelta di mercati decentralizzati potrebbe costituire un incentivo per sottrarsi alla vigilanza delle istituzioni di settore.
[64] Ciò che distingue gli strumenti finanziari dai prodotti finanziari è proprio la potenziale negoziabilità nel mercato dei capitali. La qualificazione in termini di strumento finanziario deriva da una valutazione prospettica condotta preventivamente, al momento della loro emissione, sulla potenziale negoziabilità nel mercato dei capitali, dalla quale deriva l’applicazione della disciplina in materia di servizi di investimento. Così G. Gitti, Emissione e circolazione di criptoattività tra tipicità e atipicità nei nuovi mercati finanziari, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2020, pp. 31-32.
[65] Commissione UE, Q&As published by the Commission on MiFID Directive 2004/39/CE (accessibile al link https://finance.ec.europa.eu/system/files/2020-01/mifid-2004-0039-commission-questions-answers_en_0.pdf).
[66] S.L. Furnari, La finanza decentralizzata. Cripto-attività, protocolli, questioni giuridiche aperte, Stablecomp, 2023, pp. 127-128.
[67] Solleva la questione V. Lemma, DLT Pilot: verso il mercato degli strumenti finanziari digitali. Note a margine del d.l. 17 marzo 2023, n. 25, e del Regolamento (UE) 2022/858, cit., p. 32.
[68] Invero, l’elenco è solo apparentemente chiuso per due ordini di ragioni: in primo luogo, il legislatore UE e il legislatore nazionale non definiscono la nozione di valore mobiliare, idonea in quanto tale a ricomprendere una pluralità di titoli negoziabili in mercati regolamentati non previamente individuati; in secondo luogo, l’art. 18, comma 5, TUF attribuisce al Ministro dell’economia e delle finanze il potere di individuare, con regolamento adottato sentite Banca d’Italia e Consob, nuove categorie di strumenti finanziari al fine di tenere conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie.
[69] E. Cusa, Le quote di s.r.l. possono essere valori mobiliari, in Riv. soc., n. 4, 2019, pp. 675 ss.
[70] Sul tema P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della nuovissima s.r.l., in Riv. dir. soc., 2019, pp. 632 ss., e M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, pp. 819 ss., e Id., Dalle S.r.l. a base personalistica alle quote “finanziarie” e alla destinazione ai mercati: tante S.r.l.?, in Studium iuris, n. 12, 2019, pp. 1421 ss.
[71] Invero la differenziazione tra i due tipi sociali, s.p.a. e s.r.l., già parzialmente incrinata dalla disciplina delle s.r.l. p.m.i., verrebbe a scomparire con la soppressione del divieto di rappresentazione delle quote in azioni. In effetti, con il complesso di norme di favore, introdotto con la disciplina delle s.r.l. start-up innovative e PMI innovative, sono state già notevolmente ridotte le differenze tra le società per azioni e le società a responsabilità limitata, prevedendo per quest’ultime la possibilità di creare categorie di quote fornite di diritti diversi (art. 26, comma 2, D.L. n. 179/2012), di creare categorie di quote senza diritto di voto (art. 26, comma 3, D.L. n. 179/2012) e, infine, di emettere strumenti finanziari (art. 26, comma 7, D.L. n. 179/2012). Con l’art. 100 TUF, che reca la disciplina dell’equity crowdfunding, sono state espressamente ammesse le offerte al pubblico tramite portali per la raccolta di capitali aventi ad oggetto quote rappresentative di start-up innovative e di PMI innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata. Manca, tuttavia, la facoltà di incorporare le quote di s.r.l. in un titolo destinato alla circolazione; è previsto unicamente l’obbligo degli intermediari di rilasciare, a richiesta del sottoscrittore o del successivo acquirente, una certificazione comprovante la titolarità delle quote. Si veda sulla disciplina dell’equity based crowdfunding e sulla presunta dematerializzazione delle quote di s.r.l. I. Capelli, L’equity based crowdfunding e la c.d. dematerializzazione delle quote di s.r.l., in Oss. dir. civ. comm., n. 2, 2016, pp. 537 ss., che individua molte similitudini tra la disciplina delle quote delle start-up innovative e di PMI innovative e quella in materia di dematerializzazione delle azioni prevista dalla sezione II del capo II del TUF sia con riferimento all’alienazione delle azioni mediante scritturazioni contabili sia con riferimento alla legittimazione all’esercizio dei diritti sociali. Con questa disciplina non vi sarebbe in realtà una dematerializzazione strettamente intesa: essa riguarderebbe esclusivamente il complesso delle formalità dell’art. 2470 c.c. ma non il documento che manca nella disciplina tradizionale delle s.r.l. In questa prospettiva, più di recente, il disegno di legge a sostegno della competitività dei capitali (c.d. ddl capitali) sembra aprire alla dematerializzazione delle quote di s.r.l., prevedendo la facoltà delle PMI-s.r.l. di accedere, su base volontaria, al regime di dematerializzazione di cui all’art. 83-bis e ss. TUF, con conseguente applicazione della disciplina della sezione I del capo IV del titolo II-bis della parte III del TUF in materia di gestione accentrata in regime di dematerializzazione.
[72] Si vedano le analoghe considerazioni svolte da E. Ginevra, Le società di capitali “aperte”, tra codice civile e T.U.F., in Banca borsa tit. cred., n. 6, 2022, pp. 868 ss., spec. pp. 892 e 895, sull’esigenza di puntuali interventi normativi per le s.r.l. p.m.i., incompatibili con l’organizzazione personalistica delle s.r.l. prevista dal codice civile.
[73] N. de Luca, Documentazione crittografica e circolazione della ricchezza assente, in Riv. dir. civ., n. 1, 2020, pp. 119-120, e Id., Circolazione di azioni e quote e blockchain, in V. Donativi (a cura di), Trattato delle società, Tomo I, 2022, pp. 1152-1156.
[74] In questo senso G. Gitti, Emissione e circolazione di criptoattività tra tipicità e atipicità nei nuovi mercati finanziari, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2020, pp. 13 ss., secondo cui «non si deve commettere l’errore di considerare i token e le distributed ledger technology (DLT) come fenomeni eversivi degli istituti giuridici consolidati; il profilo di novità che lo sviluppo di tali tecnologie offre consiste semmai in una inedita forma di rappresentazione e circolazione di posizioni giuridiche soggettive note»; in altri termini, «il token altro non è che un veicolo digitale che consente l’incorporazione di determinati diritti, permettendone la circolazione semplificata e garantita tramite l’infrastruttura blockchain».
[75] P. Spada, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del Millennio, cit., p. 408; M. Cossu – P. Spada, Dalla ricchezza assente alla ricchezza inesistente, cit., p. 408.
[76] M. Cian, Strumenti finanziari dematerializzati, diritto cartolare e diritto societario, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2005, pp. 11 ss.
[77] L. Picardi, Nuove prospettive nella raccolta del risparmio e ordine del mercato, in Riv. trim. dir. econ. (fondazionecapriglione.luiss.it), Suppl. 3 al n. 1, 2022, p. 40.
[78] Con riferimento al regime scritturale, introdotto con il d.lgs. 25 giugno 1998, n. 213, e all’impossibilità di qualificare il titolo azionario dematerializzato come titolo di credito si veda G. Guizzi, Il titolo azionario come strumento di legittimazione. La circolazione delle azioni tra diritto cartolare, diritto comune e diritto del mercato finanziario, Milano, 2000, pp. 70-96, spec. pp. 89-90.
[79] In argomento, v. N. de Luca, Documentazione crittografica e circolazione della ricchezza assente, cit., pp. 101 ss. spec., pp. 109-113, e Id., Circolazione di azioni e quote e blockchain, cit., pp. 1147 ss., spec. pp. 1149-1152. Si veda anche D. Masi, Il “security token”: profili finanziari e prospettive societarie, in Riv. dir. comm., n. 3, 2022, pp. 383 ss.
[80] La disposizione citata richiede che i partecipanti: «a) godano di sufficiente buona reputazione; b) dispongano di un livello sufficiente di capacità, competenza ed esperienza di negoziazione, compresa la conoscenza del funzionamento della tecnologia a registro distribuito; c) non siano market maker nell’MTF DLT; d) non utilizzino una tecnica di negoziazione algoritmica ad alta frequenza nell’MTF DLT; e) non forniscano ad altre persone l’accesso elettronico diretto all’MTF DLT; f) non negozino per proprio conto quando eseguono ordini dei clienti sull’infrastruttura di mercato DLT; e g) abbiano dato un consenso informato alla negoziazione nell’MTF DLT in qualità di membri o partecipanti e siano stati informati dall’MTF DLT dei potenziali rischi connessi all’utilizzo dei suoi sistemi per negoziare strumenti finanziari DLT. In tali ipotesi l’autorità competente può richiedere al gestore di predisporre misure supplementari di protezione degli investitori non professionali, proporzionate al profilo di rischio dei membri o dei partecipanti».
[81] Sul concetto di neutralità in virtù del quale i meccanismi di legittimazione del sistema di gestione accentrata sono funzionalmente equivalenti rispetto a quelli di legittimazione cartolare si vedano R. Lener, La «dematerializzazione» dei titoli azionari e il sistema Monte Titoli, Milano, 1989, pp. 89 ss.; C. Angelici, La legittimazione dell’azionista nel sistema Monte Titoli, in Riv. dir. civ., n. 1, 1988, pp. 254 ss.; M. Sangiorgio, Problemi e prospettive della dematerializzazione, in Riv. dir. impr., 1991, pp. 74 ss.; F. Martorano, voce Titoli credito: g) titoli di gestione accentrata (Monte Titoli), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, pp. 651 ss.; M. Gargantini, Identificazione dell’azionista e legittimazione all’esercizio del voto nelle s.p.a. quotate, Torino, 2012, pp. 155 ss.
[82] Invero, già con il regime di dematerializzazione il legislatore avrebbe potuto superare la mediazione della documentazione cartacea. Si veda G. Trovatore, Sulla neutralità del sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari, in Riv. dir. civ., n. 3, 2001, pp. 353-354, il quale si chiede per quale motivo non sia stato disposto, nel regime della dematerializzazione, insieme con la decartolarizzazione del titolo azionario, anche la sostituzione con entità informatica del documento di legittimazione dell’esercizio dei diritti corporativi dal momento che la certificazione costituisce pur sempre un’entità materiale cartacea nella circolazione degli strumenti finanziari. Tuttavia, l’A. riconosce che la sostituzione della certificazione cartacea con un equivalente informatico avrebbe determinato nuovi costi a carico di emittenti e intermediari e non avrebbe fornito benefici ai soggetti interessati poiché non avrebbe potuto formare oggetto di atti di disposizione. Ad ogni modo, l’A. ritiene che il principio di neutralità del sistema di gestione accentrata rispetto al sistema di gestione cartolare sia stato messo in discussione per due ragioni: in primo luogo, con la dematerializzazione è venuta meno la funzione legittimante dell’intestazione nel libro dei soci; in secondo luogo, l’introduzione di norme regolamentari, con la previsione di segnalazione periodica all’emittente dei nominativi dei titolari di strumenti finanziari registrati nel conto dell’intermediario, a prescindere dall’esercizio effettivo dei diritti, sembra costituire un distinto obbligo informativo indipendente dalla legittimazione all’esercizio dei diritti corporativi. In argomento, si rinvia altresì a F. Luzzi, Azioni: gestione accentrata o dematerializzazione; partecipazione all’assemblea, in Riv. soc., n. 2-3, 2002, pp. 488 ss., che giunge alla conclusione che il legislatore avrebbe perseguito, con l’introduzione del sistema di gestione accentrata, l’obiettivo della neutralità che, però, non avrebbe raggiunto. L’A. asserisce che il dato fondamentale dal quale può arguirsi che la neutralità del sistema di dematerializzazione sia stata scalfita è l’art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 213/98 in base al quale «il titolare del conto ha legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari in esso registrati»: la formula legislativa adottata conferisce la legittimazione in base alla registrazione, nonché alla disciplina propria di ciascuno degli strumenti finanziari, evidenziando pertanto una cesura in termini di legittimazione tra sistema cartolare e sistema in regime di dematerializzazione.
[83] L’art. 1, comma 1, r.d.l. n. 1148/1941 infatti rende di fatto inattuale la disposizione dell’art. 2354 c.c. che, pur ammettendo in linea generale l’emissione di titoli al portatore oltre che di titoli nominativi, fa salvo quanto stabilito dalle leggi speciali. Le uniche eccezioni all’emissione di azioni al portatore, attualmente previste, riguardano le azioni emesse dalle SICAV (art. 45, comma 4, TUF) e le azioni di risparmio (art. 145 e ss. TUF). Sulla capacità della tecnologia DLT di soddisfare le condizioni necessaria affinché possa essere trapiantata in questo nuovo ambiente la nominatività obbligatoria dei titoli azionari si veda A. Laudonio, Distributed ledger technology e ICOs (una favola giuridica sisifea sul diritto dei mercati finanziari e l’innovazione), in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), n. 1, 2023, p. 112.
[84] Sull’empty voting si vedano i contributi di N. De Luca, Titolarità vs. legittimazione: a proposito di record date, empty voting e “proprietà nascosta” di azioni, in Riv. dir. soc., n. 2, 2010, pp. 312 ss., spec. pp. 332-333, e M. Erede, L’esercizio del diritto di intervento e voto in assemblea di società con titoli quotati: alcune riflessioni in tema di legittimazione e titolarità in seguito all’introduzione della record date, in Banca borsa tit. cred., n. 1, 2012, pp. 59 ss.