La Cassazione conferma il proprio orientamento in tema di presupposti applicativi del sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 20 d.lgs. n. 159/2011, ribadendo che esso “può avere ad oggetto anche le somme depositate su un conto corrente che, a prescindere dall’eventuale origine formalmente lecita dovuta alla gestione dei beni aziendali, diventano anch’esse illecite dato che il conto viene così alimentato dall’impiego di beni dell’impresa inquinata in radice dai vantaggi illeciti basati su una pregressa attività delittuosa” (cfr., ex multis, Sez. V, 31 gennaio 2018, n. 32688; Sez. V, 30 ottobre 2020, n. 32904).
Lo stesso art. 20 d.lgs. n. 159 del 2011 infatti chiarisce che la misura ablatoria non è limitata ai soli beni che discendono in maniera diretta dalle attività delittuose, estendendosi invece anche a tutti quei beni che, pur se formalmente acquistati in maniera lecita, possono tuttavia considerarsi pertinenziali al patrimonio illecito, come risultato del reimpiego di beni acquistati con l’immissione di capitali illeciti.
Dette conclusioni rimangono inoltre valide anche qualora il conto sia stato aperto dai curatori fallimentari nell’ambito di una procedura concorsuale, non essendo possibile invocare la necessità di tutelare i terzi creditori della fallita al fine di disporre il dissequestro delle somme ivi depositate, ostando a tale proposito il principio della prevalenza del procedimento di prevenzione rispetto alle procedure concorsuali, desumibile dall’art. 64 c. 7 d.lgs. n. 159 del 2011 (per approfondimenti, M. Bontempelli, R. Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca, in Pen. Cont., 2/2019, 123; F. Menditto, Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, Milano, 2015).