Con sentenza n. 23401 del 15 giugno 2022, la Cassazione Penale si è espressa in materia di adozione dei modelli 231 redatti secondo le Linee Guida delle Associazioni di categoria.
Il fondamento della responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001 è costituito dalla “colpa di organizzazione“, essendo tale deficit organizzativo quello che consente la piana ed agevole imputazione all’ente dell’illecito penale.
Rileva, a tal fine, l’adeguatezza del modello di organizzazione e di gestione a configurare un sistema di prevenzione che non possa essere aggirato se non fraudolentemente.
Nel giudicare dell’idoneità del modello organizzativo, particolare rilevanza assume la circostanza per cui il modello sia stato adottato sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti.
L’art. 6, comma 4, d.lgs. 231/2001, nel prevedere la possibilità per le associazioni di categoria di adottare codici di comportamento che vengono comunicati al Ministero della Giustizia, per eventuali osservazioni di concerto con i Ministeri competenti, esprime la necessità di prevedere un meccanismo che determini dei parametri orientativi per le imprese e le società, per limitare il rischio di interpretazioni disomogenee ed attuativo della valutazione giudiziale dei modelli.
L’approvazione dei codici di comportamento da parte del Ministero della Giustizia dovrebbe, dunque, assicurare una certa omogeneità nell’ambito del territorio nazionale circa le caratteristiche fondamentali dei modelli per le diverse categorie d’imprese, rappresentando, per i giudici, un fondamentale parametro di riferimento, anche se non vincolante.
Le linee-guida elaborate dagli enti rappresentativi di categoria non possono rappresentare la regola organizzativa esclusiva ed esaustiva.
L’art. 6, comma 4, d.lgs. 231/2001, prevede un procedimento funzionale, almeno nelle intenzioni del legislatore, da un lato, a fissare, attraverso le c.d. linee guida, parametri orientativi per le imprese nella costruzione del “modello organizzativo”; dall’altro, a temperare la discrezionalità del giudice nella valutazione dell’idoneità del modello stesso.
Tuttavia, è necessario prendere atto che le modalità di progettazione ed implementazione del modello da parte delle imprese nasce da un percorso di auto-normazione, in cui è l’impresa stessa, che tenendo conto delle indicazioni delle associazioni di categoria, individua le cautele da adottare per ridurre il rischio di commissione dei reati.
Vi è, quindi, la necessità che il modello sia quanto più caratteristico possibile, perché, soltanto se calibrato sulle specifiche caratteristiche dell’impresa (dimensioni, tipo di attività), esso può ritenersi realmente idoneo allo scopo di prevenzione affidatogli dalla legge.
Di contro, in presenza di un modello organizzativo conforme a quei codici di comportamento, il giudice sarà tenuto specificamente a motivare le ragioni per le quali possa ciò nonostante ravvisarsi la “colpa di organizzazione” dell’ente, individuando la specifica disciplina di settore, anche di rango secondario, che ritenga violata o, in mancanza, le prescrizioni della migliore scienza ed esperienza dello specifico ambito produttivo interessato, dalle quali i codici di comportamento ed il modello con essi congruente si siano discostati, in tal modo rendendo possibile la commissione del reato.