I Principi[1](cfr. contenuti correlati) sono stati elaborati da un gruppo di lavoro incardinato presso quattro tra le maggiori istituzioni rappresentative della vita professionale ed economica del Paese (CNDCEC[2], CNF[3], ABI[4], Confindustria)[5], a dimostrazione che quella dei modelli 231 ovverosia, come si dovrebbe dire utilizzando una terminologia tecnicamente più precisa, il sistema della responsabilità per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica facente capo al d.lgs. 231/2001 è materia interdisciplinare che riveste evidente interesse per vari settori di attività. D’altronde – ed è chiaro a chiunque abbia avuto modo di occuparsene per ragioni di studio o di pratica – quando si parla di modelli organizzativi e di colpa di organizzazione ci si riferisce ad uno strumentario giuridico ed economico trasversale identificabile a pieno titolo in un “sistema complesso” laddove per tale si intende un insieme risultante dall’interazione tra le sue diverse componenti che non vengono a costituire solo una somma di parti ma operano come un tutto organico[6].
È da qui che occorre partire. Senza avviare un discorso dogmatico che porterebbe troppo lontano rispetto all’intento di esporre delle semplici riflessioni a prima lettura, vale comunque evidenziare che forse è proprio la complessità del sistema nel senso appena sopra indicato ad aver impedito che nell’esperienza di corti e tribunali – e per certi versi nella prassi degli affari – l’impianto dei modelli organizzativi riuscisse ad assumere una reale utilità vuoi quale strumento di prevenzione della criminalità di impresa vuoi quale meccanismo esimente o scriminante. Come se, in altri termini, la stretta interazione tra istituti, interessi, valori, competenze e quant’altro si possa immaginare implicato nel funzionamento della 231 sia stato all’origine del gap di effettività che si è sempre avvertito in questa materia.
Non a caso anche i Principi parlano di complessità sia, ed in primo luogo, nel descrivere il metodo attraverso il quale si costruiscono i modelli[7] sia con riguardo ad aspetti più specifici tra i quali spiccano la declinazione del concetto di efficienza da avere di mira nell’elaborazione dei modelli[8], nonché l’impiego dei modelli organizzativi e l’introduzione del ruolo di OdV nelle società a partecipazione pubblica[9]. E non a caso, poi, la complessità può ritenersi riflessa, oltre che nel contenuto dei Principi, negli obiettivi che si è inteso perseguire per loro tramite resi già evidenti nel titolo del documento, da cui traspare in modo espresso che i Principi devono guidare l’elaborazione dei modelli e l’attività dell’OdV e si inseriscono in una prospettiva di revisione della disciplina sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti[10]. Le esigenze di revisione a loro volta si associano a vari profili di criticità, profili individuati nel documento e che sembrerebbero avere come tratto unificante l’aspirazione a rimediare allo stato di fatto attraversato da quel problema di effettività a cui già sopra s’è fatto cenno[11].
Peraltro, la complessità ontologica del sistema non è “solo” trasposta nell’articolato descrittivo dei Principi, ma è direttamente rappresentata dalla visione di insieme con cui gli stessi sono stati elaborati e che emerge dai riferimenti a ben precisi – altri – sistemi normativi con i quali la disciplina dei modelli organizzativi finisce inevitabilmente per impattare.
Senza pretesa di esaustività occorre almeno far cenno al settore bancario ed alla normativa pubblicistica relativa, soprattutto, ad anticorruzione e società partecipate.
Non sorprende che uno dei principali sistemi normativi con cui i Principi si interfacciano sia quello della vigilanza bancaria che viene richiamato soprattutto con riguardo alla circolare 285/2013 della Banca d’Italia ed ai successivi aggiornamenti della stessa[12]. Il tema fondamentale, in proposito, è quello della sinergia tra le varie funzioni aziendali che devono essere messe in grado di comunicare tra loro e di operare con un’azione combinata[13]. Ciò per la semplice ragione che tutti gli ingranaggi dell’organizzazione concorrono al funzionamento dei modelli organizzativi e devono quindi procedere in modo coerente e concertato tra loro. Ulteriore esempio, questo, di come la complessità connaturata al sistema 231 – volendo, nella specifica dimensione che fa delle parti un tutto organico per tornare alle osservazioni fatte in apertura a queste riflessioni – finisca per condizionare la possibilità concreta di dare attuazione all’impianto. La linea è sempre quella della ricerca di una soluzione al problema dell’effettività, qui incentrata sull’azione complessiva dell’organizzazione anche nelle sue diverse componenti, altrove rivolta al piano più specifico dei controlli[14], aspetto anche questo di rilievo primario per il settore.
Come si diceva, l’altro principale apparato normativo considerato dai Principi è il sistema di prevenzione e di repressione dei fenomeni corruttivi che viene delineato essenzialmente nella l. 190/2012 e completato, poi, da ulteriori normative più specifiche[15]. Nel richiamo a questa disciplina si avverte la consapevolezza del crescente risalto che gli istituti della 231 (in primis, modelli e OdV) sono venuti assumendo anche in contesti che non appartengono agli ambiti tradizionali nei quali gli stessi operano. Emblematico, al riguardo, lo spazio che i Principi dedicano alle precisazioni sugli intrecci tra piani anticorruzione e modelli organizzativi, i quali sono stati evidenziati a più riprese anche dall’Autorità Anticorruzione. È in questo spazio che si inserisce pure tutta la trattazione[16] relativa all’applicabilità del paradigma normativo dei modelli anche alle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni sospese, per definizione, in una terra di confine tra il diritto societario comune (essendo enti di diritto privato come qualsiasi società di capitali) e il diritto amministrativo (data la natura pubblica del socio o dei soci che esprimono in tutto o in parte l’assetto proprietario).
L’apertura alla disciplina pubblicistica suggerisce un’ulteriore osservazione che può valere come conclusione di questa breve nota. I Principi non sono stati congegnati come un esercizio teorico, e aspirano semmai a divenire strumento di reale implementazione di un sistema che finora non è riuscito a mettere in atto tutte le sue concrete potenzialità. È per questo che l’attenzione all’intero panorama delle normative rilevanti, comprese quelle che sembrerebbero distanti e difficilmente incanalabili sui binari della 231, assume un’importanza davvero centrale nell’impostazione di fondo dei Principi. La sola presa d’atto della sempre maggior frequenza con cui le Amministrazioni rivolgono ai propri interlocutori-operatori economici la richiesta di dotarsi di modelli organizzativi rispondenti ai paradigmi della normativa sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti è un segnale della cura con cui si è guardato alla “vita reale”[17]. Altrettanto è a dirsi per il consapevole richiamo ad alcuni concetti – rating di impresa e rating di legalità[18] – che, fatti propri da taluni rami del diritto amministrativo e del diritto pubblico dell’economia, a cominciare dalla disciplina articolata nel Codice dei contratti pubblici, sono divenuti un canale per trasfondere in tali ambiti il tessuto assiologico che fa tipicamente da sostrato al sistema della 231.
Resterebbe da dire di un altro problema fondamentale. Ci si riferisce alla qualificazione giuridica della responsabilità degli enti configurata nel sistema 231. Aspetto di diritto puro su cui i Principi si soffermano nell’affrontare il tema dei concetti indeterminati e dei margini interpretativi lasciati alla giurisprudenza, teoricamente inconciliabili con il principio di legalità che governa la materia della responsabilità penale alla quale la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato si approssima[19] e che viene espressamente enunciato anche nel d.lgs. 231/2001. Probabilmente, siffatta insoluta questione di identità – che è anch’essa una manifestazione della complessità del sistema – è ciò da cui davvero dipende la scarsa effettività dalla quale si vorrebbe difendere l’impianto dei modelli organizzativi.
[1] Nel testo verrà utilizzato il termine “Principi” per riferirsi in modo sintetico al documento “Principi consolidati per la redazione dei modelli organizzativi e l’attività dell’organismo di vigilanza e prospettive di revisione del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231” redatto a cura del Gruppo di Lavoro multidisciplinare – costituito da CNDCEC, ABI, CNF e Confindustria – sulla normativa relativa all’organismo di vigilanza e diffuso dal CNDCEC con informativa 13/2019.
[2] Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
[3] Il Consiglio Nazionale Forense.
[4] L’Associazione Bancaria Italiana.
[5] L’elaborazione dei Principi si inserisce in un progetto di collaborazione più ampio formalizzato in una serie di Protocolli d’intesa tra CNDCEC, CNF, ABI e Confindustria e finalizzato all’analisi ed al confronto su temi di interesse comune. Sul punto si rinvia al paragrafo introduttivo dei Principi, pag. 7 testo e nota 4.
[6] Sulla teoria della complessità si rinvia a A. Falzea, Complessità giuridica, in Enc. del Dir., Annali I, 2007, pag. 201-218.
[7] Si veda il paragrafo sugli elementi metodologici nella costruzione del modello a pag. 9 del documento.
[8] Si veda il paragrafo sui principi generali per l’elaborazione del modello a pag. 15 del documento.
[9] Si veda il paragrafo relativo all’OdV nelle società a partecipazione pubblica a pag. 41 del documento.
[10] Si veda il paragrafo introduttivo che illustra motivazioni ed obiettivi ed in particolare le osservazioni a pag. 7 del documento.
[11] Il tema dell’effettività è trattato in diversi punti del documento. Si rinvia in particolare al paragrafo nel quale vengono esposti gli obiettivi normativi e regolamentari a pag. 44 del documento.
[12] Per il quadro complessivo degli aggiornamenti si veda il testo integrale del 26° aggiornamento del 5 marzo 2019 pubblicato sul sito istituzionale della Banca d’Italia.
[13] Si veda il paragrafo sui principi specifici per l’elaborazione del modello, in particolare alle pagine da 18 a 20 del documento.
[14] Si veda il paragrafo su composizione ottimale e inquadramento organizzativo dell’OdV a pag. 37 del documento.
[15] Tra le quali spiccano, anzitutto, le previsioni in materia di trasparenza (di cui al d.lgs. 33/2013) e quelle in materia di incompatibilità ed inconferibilità di incarichi (di cui al d.lgs. 39/2013). Non va dimenticato che il quadro complessivo della l. 190/2012 va ricostruito anche in combinato disposto con la disciplina del Codice dei contatti pubblici (di cui al d.lgs. 50/2016) e con quella delle società a partecipazione pubblica (di cui al d.lgs. 175/2016). Fermo restando, poi, che la rassegna delle normative rilevanti potrebbe proseguire tendenzialmente all’infinito tante sono le sfaccettature che l’anticorruzione può assumere. A ciò va aggiunto che si tratta di una materia nella quale appare assai rilevante anche la produzione normativa secondaria e di soft law soprattutto ad opera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
[16] Si rinvia al paragrafo sull’adozione del modello nelle società a partecipazione pubblica ed al paragrafo relativo all’OdV nelle società a partecipazione pubblica, rispettivamente alle pagine da 26 a 30 e da 41 a 43 del documento.
[17] Si veda il paragrafo introduttivo in particolare a pag. 5 del documento.
[18] Si veda il paragrafo che tratta degli obiettivi normativi e regolamentari a pag. 43 del documento.
[19] Si veda il paragrafo sugli aspetti di rilevanza penale e processuale alle pagine da 44 a 48 del documento.