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Modello Rubik: firmato l’Accordo tra Svizzera e Austria concernente la collaborazione in ambito fiscale

18 Aprile 2012

Avv. Sebastiano Garufi – Redazione Diritto Bancario

L’Accordo bilaterale firmato il 13 aprile scorso tra la Svizzera e l’Austria è, dopo quelli siglati con la Germania e il Regno Unito, il terzo dei Trattati elvetici basati sul modello Rubik. Dalle informazioni in circolazione dovrebbe presto essere seguito da un’intesa con la Grecia.

La neo-siglata Convenzione è largamente ispirata alle due precedenti in materia di collaborazione in ambito fiscale e intende consolidare le relazioni politiche finanziarie già esistenti tra l’Austria e la Confederazione. Essa prevede l’applicazione da parte degli agenti pagatori svizzeri di un prelievo liberatorio sui fondi custoditi su conti e depositi elvetici la cui aliquota è fissata tra il 15% e il 38%, in dipendenza della durata delle relazioni bancarie e dell’ammontare del patrimonio. Si ricorderà che il Trattato concluso con la Germania fissa la misura del prelievo in questione in un intervallo compreso tra il 21% e il 41%, mentre quello con il Regno Unito tra il 19% e il 34%. I contribuenti austriaci potranno così regolarizzare le proprie violazioni fiscali pregresse beneficiando dell’anonimato e gli eventuali reati commessi non saranno perseguiti. Il fisco svizzero, che avrà ricevuto il gettito dagli agenti pagatori, provvederà, a sua volta, a trasferirlo alle autorità austriache.

In alternativa all’imposta liberatoria, i contribuenti austriaci potranno optare per lo scambio di informazioni, autorizzando per iscritto gli agenti pagatori elvetici a rilevare e comunicare alle autorità i dati relativi all’identità dei clienti, il numero e il saldo del conto. Nei casi di voluntary disclosure, l’Accordo autorizza le autorità austriache a richiedere informazioni aggiuntive e a punire eventuali reati, atteso che la dichiarazione dei clienti ha valore di denuncia spontanea.

Nei casi in cui i contribuenti si oppongano a tale regolarizzazione, sia essa per mezzo del prelievo liberatorio o dello scambio di informazioni, le relazioni finanziarie dovranno essere terminate.

L’Accordo prevede, inoltre, che per i redditi finanziari futuri (dividendi, interessi, plusvalenze e redditi simili), la Svizzera applichi un prelievo ad aliquota unica del 25%, pari all’imposta austriaca su tali redditi, e riversi il gettito all’altro Stato contraente, salvo che il contribuente, ancora una volta, non opti per lo scambio di informazioni. L’Accordo con la Germania fissa tale prelievo nella misura del 26,375% (pari all’imposta del 25% applicabile in Germania più un contributo di solidarietà), mentre quello con il Regno Unito – che non prevede l’applicazione dell’imposta liberatoria – stabilisce un intervallo compreso tra il 28% e il 48% in base alla categoria del rendimento del capitale. Resta immutata la facoltà della Confederazione di applicare su tali redditi le imposte previste dal proprio diritto interno.

Diversamente dalle due Convenzioni precedenti, l’Accordo austro-svizzero non prevede alcun pagamento in via anticipata da parte delle banche elvetiche, né un prelievo sulle successioni, non essendovi in Austria alcuna imposta di tal genere (fissata invece nella misura del 50% nel Trattato Svizzera-Germania e del 40% in quello Svizzera-Regno Unito). Non sono state convenute ulteriori possibilità di richiesta di informazioni, atteso che secondo i due Stati contraenti le procedure di assistenza amministrativa oggi vigenti sono sufficienti.

Per l’entrata in vigore della Convenzione occorrerà attendere la ratifica dei Parlamenti di entrambi gli Stati e lo scambio delle ratifiche, ma è attesa all’inizio del 2013.

Dall’Unione europea arrivano segnali contrastanti le iniziative bilaterali in questione, poiché la risposta al problema dell’evasione fiscale sarebbe di competenza comunitaria, non già dei singoli Stati membri. In aggiunta, l’avversione europea sarebbe riconducibile alla politica in materia di trasparenza e di scambio di informazioni propugnata dal Global Forum dell’OCSE a cui si è allineata l’Unione, secondo cui il segreto bancario elvetico sarebbe di fatto incompatibile con le esigenze di accertamento e riscossione degli Stati.

Il segreto bancario svizzero, osteggiato dai Paesi più ricchi e di fatto tutelato in questi Trattati, non offre in realtà protezione nelle ipotesi di reato quali, ad esempio, terrorismo, crimine organizzato, riciclaggio di denaro o frode fiscale. In questi casi esso può essere derogato dalle autorità elvetiche potendo le stesse accedere alle informazioni detenute da banche e altre istituzioni. A tale proposito si evidenzia che il diritto elvetico distingue la fattispecie della “sottrazione di imposta” (ossia l’omessa dichiarazione di redditi o patrimoni al fisco, che ha soltanto rilevanza di tipo amministrativo e per cui la deroga al segreto bancario non è ammessa), dalla “frode fiscale” (ossia il doloso utilizzo di documenti falsi, alterati o dal contenuto inesatto quali, ad esempio, libri contabili, certificati e fatture volti a commettere una sottrazione di imposta, che ha rilevanza penale).

Il Consiglio federale elvetico ha già dichiarato che la Confederazione non accetta fondi non tassati provenienti dall’estero e si è impegnato a implementare la strategia dei fondi puliti. Malgrado le critiche mosse, è indubbio che la Svizzera stia assecondando le esigenze di reperimento frenetico di risorse finanziarie degli altri Stati in periodo di crisi.


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