Con la legge di conversione del d.l. n. 41/2021 (cd. “decreto Sostegni”) è stato aggiunto all’art. 182-bis l. fall., che disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo comma con cui viene stabilito che, qualora dopo l’omologazione degli accordi si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore può apportare a quest’ultimo le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi che – sulla base di quel piano – ha stipulato con i suoi creditori. In tal caso, deve richiedere all’attestatore indipendente il rinnovo della propria relazione, che, unitamente al piano modificato, deve pubblicare nel registro delle imprese, dandone avviso ai creditori, i quali, entro trenta giorni, possono presentare opposizione avanti al tribunale.
Mediante tale norma è stata anticipata l’entrata in vigore di una parte dell’art. 58 del Codice della crisi e dell’insolvenza, il quale disciplina gli effetti degli scostamenti (dovuti a fattori sopravvenuti e imprevedibili) emersi tra le previsioni del piano di ristrutturazione e i risultati realmente conseguiti o in corso di conseguimento da parte dell’impresa debitrice, consentendone la modifica attraverso l’introduzione delle necessarie misure correttive con riguardo a due differenti situazioni: la prima, regolamentata al comma 1, costituita dalla rilevazione degli scostamenti già anteriormente alla omologazione degli accordi e la seconda, disciplinata al comma 2, rappresentata dall’emersione degli scostamenti dopo la omologazione.
Nel primo caso, posto che gli accordi non sono stati ancora omologati, il menzionato art. 58 prevede la possibilità di rinegoziarli e, previo rinnovo dell’attestazione precedentemente rilasciata, di chiederne poi la omologazione al tribunale, resa possibile dalle modifiche apportate al piano e agli accordi, per porre rimedio alla sopravvenuta inattitudine dello stesso a consentire il rispetto delle obbligazioni discendenti dagli accordi precedentemente sottoscritti con i creditori. Nel secondo caso, posto che l’omologazione è già stata disposta, la norma permette al debitore solo di apportare al piano le modifiche necessarie per rispettare gli accordi omologati, rendendone possibile l’adempimento anche quando sono sopravvenuti eventi economici di per sé atti a impedirne il rispetto in assenza dell’introduzione di nuove misure e azioni.
La disposizione aggiunta all’art. 182-bis riguarda esclusivamente questo secondo caso e, come si è rilevato, stabilisce che delle modifiche apportate al piano deve essere data comunicazione ai creditori ai fini della loro eventuale opposizione, ma non specifica a quali creditori, vale a dire se a quelli esistenti alla data di pubblicazione del nuovo piano, ovvero a quelli esistenti alla data di omologazione dell’accordo; non specifica, inoltre, se deve essere comunicata ai soli creditori aderenti o anche a quelli non aderenti. Da un lato si potrebbe essere indotti a estendere tale obbligo di comunicazione a tutti i creditori esistenti al momento della pubblicazione, atteso che anche quelli intervenuti successivamente alla omologazione possono subire gli effetti delle modifiche apportate al piano e hanno dunque interesse a conoscerle e, nel caso, ad opporvisi; tuttavia pare preferibile limitare la comunicazione ai creditori – aderenti e non aderenti – esistenti alla data della omologazione degli accordi, poiché quelli che lo sono divenuti successivamente sono rimasti del tutto estranei rispetto a tali atti e hanno acquisito il loro titolo giuridico prescindendo da essi e dal piano su cui essi si fondano.
Quello previsto dalla norma di cui trattasi costituisce per il debitore, più che una facoltà, un onere, in assenza del quale gli effetti dell’art. 182-bis vengono meno: pertanto, a seguito dell’emersione di scostamenti non fronteggiata da adeguate modifiche del piano e del conseguente inadempimento delle obbligazioni discendenti dagli accordi, ogni creditore può chiedere la risoluzione dell’accordo che lo riguarda e gli atti, i pagamenti e le operazioni posti in essere non beneficiano più dell’esenzione dalla revocatoria né dal reato di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice.
L’applicazione della norma introdotta nell’art. 182-bis l.f. dal “decreto Sostegni” richiede il superamento di alcune criticità interpretative.
1. Occorre innanzitutto individuare quali sono le “modifiche sostanziali del piano” che costituiscono il presupposto attuativo della disposizione stessa. Pare ragionevole ritenere che debba trattarsi di modifiche la cui necessità è originata da scostamenti – tra fatti aziendali programmati e fatti aziendali accaduti – causati da eventi non previsti o prevedibili, che non abbiano trovato rimedio in correttivi già contenuti nel piano; deve trattarsi inoltre di modifiche “sostanziali”, intendendo per tali quelle in assenza delle quali la fattibilità economica e giuridica del piano verrebbe a mancare, a causa di scostamenti che rendono gli andamenti economici, finanziari e patrimoniali dell’impresa debitrice peggiori di quelli previsti e conseguentemente inidonei a consentire la regolare esecuzione degli accordi già sottoscritti.
2. La nuova norma consente al debitore, come si è rilevato, di modificare unilateralmente il piano di risanamento senza la necessità dell’espressa approvazione dei creditori, essendo sufficiente che questi ultimi non vi si oppongano. Tuttavia, pare da escludersi che essa permetta, oltre a una rettifica unilaterale del piano, anche una modifica unilaterale degli accordi: sia perché la modifica del piano deve essere strumentale all’esecuzione degli accordi già omologati, sia perché ne deriverebbe una ingiustificata compressione dei diritti dei creditori, che non risulterebbero sufficientemente tutelati dal diritto all’opposizione a questi attribuito.
3. La disposizione richiede “il rinnovo della relazione” (di attestazione). Se ne dovrebbe quindi dedurre che tale incarico debba essere conferito al medesimo professionista che ha redatto la originaria attestazione. Tale soluzione costituisce anche quella più logica e pratica, non foss’altro perché costui (o costei) conosce già la situazione dell’impresa debitrice, e certamente non può rinvenirsi nell’esecuzione della prima attestazione una causa di decadenza dell’indipendenza di detto soggetto, come risulta dagli stessi principi di attestazione statuiti dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti; tuttavia non è da ritenersi esclusa la possibilità di ricorrere a tal fine a un diverso professionista, magari sulla scorta di un’adeguata motivazione, per evitare maliziose interpretazioni circa la sostituzione operata.
4. Occorre inoltre stabilire qual è l’effetto del provvedimento che il tribunale deve assumere nel caso in cui ritenga fondata l’opposizione presentata da uno o più creditori. Non può essere costituito dal diniego della omologazione degli accordi, perché questa è già stata disposta e può essere revocata solo dalla Corte di appello; dovrebbe pertanto trattarsi della sopravvenuta inefficacia degli accordi omologati, seppure solo con riguardo ai creditori opponenti, ferma restando la possibilità del creditore opponente di richiedere il fallimento dell’impresa debitrice.
5. Infine, pur in assenza di una modifica dell’art. 182-ter, è da ritenersi che la nuova disposizione trovi applicazione anche con riguardo ai piani connessi alle transazioni fiscali e contributive, costituendo i relativi atti parte degli accordi di ristrutturazione soggetti a omologazione. Peraltro, in merito alla possibilità di modificare l’accordo di ristrutturazione del debito fiscale, la Divisione Contribuenti dell’Agenzia delle Entrate ha sin dal 2019 fornite specifiche istruzioni ai competenti uffici provinciali e regionali, distinguendo tra due diverse situazioni, a seconda dell’incidenza della proposta di modifica sul complessivo accordo transattivo che ha già superato il vaglio del Tribunale con l’omologazione, allo scopo di verificare se si renda necessaria la stipula di un nuovo atto da sottoporre all’Autorità Giudiziaria o se sia sufficiente un negozio integrativo di quello precedentemente sottoscritto, che rilevi semplicemente le modifiche pattuite:
- nel caso in cui la modifica del piano riguardi modalità e condizioni di pagamento (termini e garanzie) – che si realizza, ad esempio, qualora sopravvengano in capo all’impresa debitrice temporanee difficoltà ad adempiere le obbligazioni assunte con l’atto di transazione o qualora sia necessario sostituire le garanzie prestate con altre garanzie – secondo l’Agenzia le modifiche necessarie possono essere liberamente negoziate con il contribuente ed esse, pur dovendo essere formalizzate in un atto integrativo dell’accordo precedentemente omologato corredato da un’integrazione della originaria relazione di attestazione, non devono essere sottoposte a una nuova omologazione. La novella legislativa conferma che la modifica del piano strumentale rispetto a queste modifiche può essere attuata senza la necessità di una ulteriore omologazione, di cui non si può invece fare a meno in presenza di variazioni che incidono sulla misura dei pagamenti offerti con la proposta di transazione. Peraltro, a ben vedere, i margini di correzione consentiti dall’indicata prassi dell’Amministrazione finanziaria sono (di per sé) già più ampi di quelli discendenti dalla nuova disposizione, posto che comprendono la modifica non solo del piano di risanamento, ma anche dello stesso accordo senza la necessità di una ulteriore omologazione, sebbene a condizione che la modifica riguardi “solo” le modalità e le condizioni di pagamento nonché le garanzie di adempimento delle obbligazioni assunte;
- nel caso in cui la modifica del piano comporti una rideterminazione del debito fiscale convenuto mediante l’accordo da cui derivi un’ulteriore riduzione dello stesso o una rimodulazione dei tempi di pagamento tale da modificare il giudizio di fattibilità del piano oggetto di attestazione, invece, secondo l’Agenzia delle Entrate è necessario dar corso sia alla presentazione di un nuovo piano di risanamento e all’eventuale coinvolgimento di altri creditori, sia all’avvio di un nuovo procedimento di omologazione della transazione che abbia a oggetto il debito originariamente certificato, al netto dei pagamenti eventualmente eseguiti in adempimento del precedente accordo. Relativamente a questo secondo caso la prassi dell’Agenzia pare conforme alla disciplina discendente dalla novella legislativa.