La pronuncia del Tribunale di Treviso assume un rilievo particolarmente significativo, poiché ritiene applicabile al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012, n. 3) il disposto dell’art. 18, comma 15, l.f., in virtù del quale “se il fallimento è revocato, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura”, ossia, in senso più ampio, gli effetti della sentenza che dichiara il fallimento restano salvi, dopo la sua revoca, nelle more del ricorso per Cassazione avverso la revoca medesima[1].
La questione del momento della perdita di efficacia del decreto di omologa in seguito alla revoca è, per il vero, già nota e dibattuta con riguardo al concordato preventivo[2].
Vi è, da un lato, chi sostiene che il provvedimento di revoca non sia efficace fino alla definizione del ricorso per Cassazione[3] perché, mentre l’art. 180 comma 5 l.f. stabilisce espressamente la provvisoria esecutività del decreto di omologa, manca analoga previsione per il decreto di revoca ad opera dell’art. 183 l.f. Dunque, in tale ricostruzione, è dato rilievo preminente alla disciplina fallimentare.
L’opposta teoria, per cui il decreto di revoca avrebbe efficacia immediata[4] muove al contrario dall’art. 336 c.p.c. – “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata e cassata”; il successivo venir meno della revoca per l’accoglimento del ricorso per Cassazione non potrebbe farne cessare gli effetti, poiché questi discendevano da un provvedimento – l’omologa – che ha ormai cessato di esistere ed è stato “rimosso dal mondo giuridico”. Sembra chiara, in tale ottica, la supremazia della disciplina del processo civile.
Al Tribunale di Treviso viene sottoposta identica questione, tuttavia con riguardo al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento: il debitore aveva ottenuto decreto di omologa dell’accordo di composizione della crisi; il decreto era quindi stato reclamato e il giudice del reclamo, in accoglimento del medesimo, aveva dichiarato inammissibile la proposta, con ciò dandosi il via all’azione esecutiva dei creditori. Il debitore ricorreva per Cassazione avverso il decreto che di fatto aveva revocato l’omologa e proponeva avanti il Tribunale opposizione all’esecuzione nonché ricorso cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere l’inibitoria di ogni azione esecutiva “efficace per tutto il tempo necessario alla definizione del giudizio di Cassazione”; quest’ultimo veniva respinto dal giudice di prime cure, tra l’altro (sic!) proprio sulla base del richiamo operato dall’art. 12 della l. 2012 n. 3 agli artt. 737 ss. c.p.c., 741 in ispecie, già interpretato dalla Cassazione[5] – si badi, tuttavia, in materia di divorzio – nel senso dell’immediata esecutività del decreto di accoglimento del reclamo, nonché per il mancato richiamo dell’art. 18, comma 15, l.f. nella disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Il Tribunale, nell’accogliere il reclamo avverso il rigetto del provvedimento cautelare, mostra innanzitutto come il disposto dell’art. 741 c.p.c. – “i decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo” – sia evidentemente valevole solo per i decreti avverso cui non siano previsti ulteriori mezzi di gravame, quale è appunto quello emesso nella procedura di revisione delle condizioni di divorzio, oggetto del caso sottoposto al vaglio della Cassazione, ma non abbia per sé significato ove ulteriori mezzi di gravame vi siano (o meglio abbia proprio il significato opposto).
Quanto poi all’operatività dell’art. 18 l.f., da taluni ritenuta norma eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica (così il giudice di prime cure), si osserva come esso non solo sia fatto salvo dalla citata giurisprudenza di merito in materia di concordato preventivo, ma soprattutto che le Sezioni Unite della Cassazione[6] hanno affermato che l’art. 18 l.f. consacra un “principio di conservazione della procedura" il quale, “fondandosi su esigenze di certezza giuridica comuni a tutte le procedure concorsuali, deve ritenersi applicabile – nei limiti di compatibilità – anche alla procedura di liquidazione coatta amministrativa”. E secondo l’orientamento dominante, cui il Tribunale di Treviso correttamente aderisce, la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento deve senz’altro ritenersi compresa tra le procedure concorsuali, quantomeno a seguito delle modifiche apportate alla l. 2012 n. 3 ad opera del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179. Ciò sarebbe vero in tutte le varianti strutturali contemplate in tale disciplina: “l’accordo del debitore”, avente struttura concordataria, stante la previsione del pagamento proporzionale dei creditori a prescindere dalla loro adesione, la ristrutturazione dei debiti insieme alla soddisfazione dei crediti e la suddivisione dei creditori in classi; il “piano del consumatore”, procedura di carattere concorsuale che si fonda su una proposta formulata dal debitore articolata su un piano di composizione del debito il quale, una volta omologato, sprigiona effetti nei confronti di tutti; la “liquidazione del patrimonio”, procedura avente natura concorsuale e collettiva sviluppata nelle fasi tipiche della procedura fallimentare[7].
L’opposta tesi, per cui il decreto di revoca acquisterebbe efficacia immediata e non al momento del suo passaggio in giudicato[8], non convince poiché argomentata sulla generale e incondizionata applicabilità dei principi e delle regole del processo civile pure all’interno del sistema delle procedure concorsuali. Tuttavia, la sentenza dichiarativa del fallimento – come l’omologa del concordato preventivo – “dà vita ad un procedimento (la procedura fallimentare), cioè ad un fenomeno giuridico, che si caratterizza per avere un fisiologico sviluppo temporale; per porsi come fonte e svolgimento di poteri e doveri processuali reciprocamente concatenati; per costituire una serie ordinata e complessa di atti volti alla realizzazione di un certo risultato, che si ha solo alla conclusione del procedimento (la liquidazione del patrimonio dell'imprenditore in funzione del soddisfacimento dei creditori)… E' certo che rinviare al passaggio in giudicato della revoca la caducazione degli effetti della sentenza di fallimento sacrifica, per un certo tempo, le ragioni di chi, all'esito del processo, risulterà averla fondatamente impugnata; ma il legislatore ritiene inaccettabile lo scenario che si determinerebbe qualora, attribuita efficacia immediata alla sentenza di revoca, questa fosse annullata e confermata la dichiarazione di fallimento”[9]. Ciò porterebbe, infatti, da un lato all’immediato realizzarsi degli effetti restitutori per il solo fatto della revoca, ma dall’altro all’impossibilità fattuale di ripristinare gli effetti dell’omologa in caso di accoglimento del ricorso per Cassazione, com’è evidente nello scenario caratterizzante il caso deciso dal Tribunale di Treviso.
Analoghe considerazioni, allora, devono valere per la revoca dell’omologa dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, poiché le sottese esigenze di certezza e funzionalità sono le stesse del fallimento, del concordato preventivo, della liquidazione coatta amministrativa; sono cioè quelle che caratterizzano tutte le procedure concorsuali e il loro particolare microsistema.
La sentenza in esame è allora degna di particolare interesse non solo per i principi generali – e condivisibili – che contiene, ma segnatamente perché ne fa per la prima volta applicazione alla disciplina di cui alla l. 2012 n. 3, a conferma della piena inclusione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento nel novero delle procedure concorsuali. Ancora, ciò avviene nell’ambito di una decisione sul reclamo avverso il rigetto del provvedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nella particolare ipotesi in cui esso sia richiesto al fine di ottenere l’inibitoria di azioni esecutive già avviate[10].
[1] Cfr. Cass., 4 novembre 2003, n. 16505, in Not., 2004, 5, 485, con nota di Domenicali; Cass., 9 settembre 2003, n. 10792, in Fall., 2004, 1, 73, con nota di Fabiani; in dottrina cecchella, La dichiarazione di fallimento: legittimazione, competenza, istruttoria, pronuncia e controlli, in Tratt. del fallimento e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, Torino, 2014, II, 155; cavalli, La dichiarazione di fallimento, in Il fallimento, a cura di Ambrosini, Cavalli e Jorio, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, XI, Padova, 2009, 211.
[2] Ved., amplius, motto, Gli effetti del provvedimento di revoca della corte d’appello sul decreto di omologazione del concordato preventivo (un’analisi alla luce dei principi generali), in Nuove leggi civ. comm., 2016, 1, 129.
[3] Trib. Milano, decr. 14 luglio 2008, in Dir. fall., 2009, 1, 2, 107, con nota di Brenca; Trib. Rovereto, 17 luglio 2015, inedita; in dottrina, nardone, Reclamo, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2014, 531; nardecchia, Gli effetti del concordato preventivo per i creditori, Milano, 2011, 164.
[4] App. Genova, ordinanza 12 marzo 2014, inedita.
[5] Cass., 26 febbraio 1988, n. 2050, in Pluris.
[6] Cass., 24 dicembre 2009, n. 27346, in Fall., 2010, 7, 869.
[7] Ved. piccinini, Il sovraindebitamento del debitore civile (Il fallimento del consumatore), in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, Torino, 2016, III, 3799; sabatelli, Un nuovo procedimento concorsuale: la composizione della crisi del sovraindebitamentodel consumatore, in Scritti in onore di Ermanno Bocchini, Padova, 2016, 1047; in generale sul procedimento di composizione della crisi cfr. anche lo cascio, La composizione delle crisi da sovra indebitamento (Introduzione), in Fall., 2012, 1021; macario, La nuova disciplina del sovra-indebitamento e dell’accordo di ristrutturazione per i debitori non fallibili, in Contr., 2012, 4, 231.
[8] App. Genova, cit.
[9] Così, testuale, il Tribunale di Treviso.
[10] In senso favorevole cfr. Cass., 22 marzo 2001, n. 4107, in Foro it., 2002, 1, 3451; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2051, in Pluris.