Sommario: 1. Premessa: I principi sanciti dalla Corte Suprema – 2. La corretta interpretazione del Collegio di Coordinamento con la decisione n. 5866/2015 – 3. Il meccanismo della “doppia conversione” – 4. La vessatorietà della doppia clausola di conversione. – 5. La nullità della clausola di rivalutazione al franco svizzero del capitale in caso di estinzione anticipata del mutuo. – 6. I profili di invalidità della detta clausola individuati dalla Suprema Corte. – 7. Cenni conclusivi.
1. Premessa: I principi sanciti dalla Corte Suprema
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23655 del 31 agosto del 2021 ha statuito i seguenti principi di diritto: i) in tema di contratti conclusi fra professionista e consumatore, le clausole redatte in modo non chiaro e comprensibile possono essere qualificate vessatorie o abusive e pertanto affette da nullità, se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e ciò anche ove esse concernano la stessa determinazione dell’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, se tali elementi non sono individuati in modo chiaro e comprensibile;” ii) in tema di contratti fra professionista e consumatore, allorché si controverta in sede civile sulla chiarezza e comprensibilità delle clausole contrattuali, anche nella prospettiva dell’accertamento di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto determino a carico del consumatore, opera una presunzione legale, suscettibile di prova contraria, non sancita espressamente dalla legge e scaturente dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement, che genera un dovere di motivazione di specifica confutazione in capo al giudice ordinario adito ai sensi dell’art. 37bis, comma 4, del Codice del consumo e chiamato ad occuparsi dello stesso regolamento contrattuale oggetto dal provvedimento amministrativo e giudicato non chiaro e comprensibile dall’autorità Garante per la concorrenza ed il mercato;” iii) se nel giudizio di rinvio le clausole contrattuali, in esito al rinnovato vaglio di chiarezza e comprensibilità e di validità,…… dovessero essere ritenute non solo non chiare e comprensibili ma anche ambigue, seppur non produttive di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti, si porrebbe la necessità residuale di una loro interpretazione orientata a favore del consumatore non predisponente ai sensi dell’art.35 del Codice del Consumo, secondo il quale <<in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore>> e dell’art.1370 cod.civ.,secondo il quale “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto e in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro”.
2. La corretta interpretazione del Collegio di Coordinamento con la decisione n. 5866/2015
In tempi non sospetti il Collegio di Coordinamento con la decisione n. 5866/2015, aveva già osservato che la clausola inerente l’indicizzazione del mutuo in franchi svizzeri non esponeva in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera, nonché il rapporto tra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole relative all’erogazione del mutuo, cosicché essa, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione nella sentenza del 30.04.2014, n. 26, si pone in contrasto con l’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE (ovvero con l’art. 34, 2° comma, Cod. Cons.). Infatti, la clausola contrattuale si limita a prospettare che gli importi già restituiti o ancora dovuti dal mutuatario siano dapprima convertiti in Franchi Svizzeri al “tasso di cambio convenzionale”, e l’importo, così ottenuto, sia poi riconvertito in Euro al tasso di cambio corrente, ma, di fatto, non espone le operazioni aritmetiche che debbano essere eseguite al fine di realizzare tale duplice conversione da una valuta all’altra (e viceversa).
Considerato quanto già statuito dalla Corte di giustizia con la sentenza citata, la violazione del principio di trasparenza di cui all’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE fa sì che questa clausola vada qualificata come abusiva ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della direttiva, laddove determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Com’è noto, l’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE è stato attuato nell’ordinamento giuridico italiano mediante l’art. 33, 1° comma, Cod. Cons. La clausola contrattuale di cui si tratta è pertanto suscettibile di essere dichiarata ex officio nulla, ai sensi dell’art. 36 Cod. Cons. (corrispondente all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CE). Allo stesso modo, secondo il menzionato orientamento della Corte Suprema la violazione della fondamentale regola della trasparenza comporta la nullità della clausola. Tra l’altro, si osserva che l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato con il Provvedimento n. 27214, pubblicato sul Bollettino n. 26 del 9 luglio 2018, esaminato il medesimo contratto di mutuo dell’intermediario convenuto, ha già rilevato la vessatorietà degli art. 8 e 9 del contratto, ritenendoli contrari all’art. 35, comma 1 del Codice del Consumo.
3 Il meccanismo della “doppia conversione”
Il contratto su cui verte la pronuncia della Suprema Corte, riguarda un mutuo in euro indicizzato al franco svizzero, ossia di un mutuo la cui erogazione e le cui rate di rimborso sono regolate in euro ma la cui valuta di riferimento ai fini del calcolo delle rate è il franco svizzero. Esso si caratterizza per il fatto che l’indicizzazione delle rate di rimborso dipende, oltre che dall’andamento del tasso di interesse convenzionale, anche dal tasso di cambio franco svizzero/euro. Nell’alea del contratto rientrano quindi sia il rischio della fluttuazione del tasso di interesse (tipico di tutti i contratti di mutuo) sia quello connesso alla fluttuazione del citato tasso di cambio. Il meccanismo di indicizzazione previsto nel contratto di mutuo, cioè le modalità con le quali le variazioni dei tassi incidono sull’ammontare delle rate del mutuo, prevede “conguagli semestrali”. In particolare, mentre le rate mensili (in euro) rimangono costanti per tutto il periodo di ammortamento del prestito, in applicazione di tale meccanismo alla fine di ogni semestre viene calcolato il differenziale fra i tassi; l’importo (“positivo” o “negativo”) così rilevato genera un addebito o un accredito su un conto di deposito fruttifero.
Il procedimento previsto per il calcolo del capitale da rimborsare nel caso di estinzione anticipata del mutuo è agganciato alla sola variabile del tasso di cambio che viene applicato al capitale residuo. Il calcolo si articola in due fasi e precisamente: in un primo momento, si converte in franchi svizzeri il capitale residuo, applicando il tasso di cambio convenzionale adottato al momento della stipula del contratto; in un secondo momento, per calcolare la somma che il mutuatario deve in concreto corrispondere alla banca (somma che, evidentemente, viene corrisposta in euro), si deve riconvertire in euro il capitale residuo, come sopra calcolato, adottando il tasso di cambio esistente al momento dell’estinzione (c.d. “tasso di periodo”[1]. In tal modo il cliente dovrebbe subire la doppia alea della duplice conversione del capitale residuo, prima in Franchi Svizzeri al tasso convenzionale e poi in Euro al tasso di periodo.
4. La vessatorietà della doppia clausola di conversione
Secondo orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità[2] e confermato dalla recente sentenza della Suprema Corte, le clausole contrattuali e i comportamenti delle parti contraenti debbano essere conformi alle regole di correttezza, buona fede[3], trasparenza ed equità[4]. La violazione dei suddetti principi comporta la nullità delle clausole contrattuali che non risultano ad essi conformi. Ebbene, dunque ritenere che la clausola contrattuale del mutuo indicizzato al franco svizzero non esponga in maniera trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera, nonché il rapporto tra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole relative all’erogazione del mutuo, cosicché essa, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia dell’Unione, sembra porsi in contrasto con l’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE (ovvero con l’art. 34, 2° comma, cod. cons.), oltre che contro il predetto orientamento della Corte di Cassazione. Infatti, come supra affermato, detta clausola contrattuale si limita a prospettare che gli importi già restituiti o ancora dovuti dal mutuatario siano dapprima convertiti in franchi svizzeri al “tasso di cambio convenzionale”, e l’importo così ottenuto sia poi riconvertito in euro al tasso di cambio corrente, ma non espone affatto le operazioni aritmetiche che debbano essere eseguite al fine di realizzare tale duplice conversione da una valuta all’altra (e viceversa).
La Corte di giustizia[5] è concorde nel ritenere che, la violazione del principio di trasparenza di cui all’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE fa sì che la clausola di cui si tratta possa essere valutata come abusiva ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1. della medesima direttiva, laddove «malgrado il requisito della buona fede, [determini] un significativo squilibrio[6] dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». Com’è noto, l’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE è stato attuato nell’ordinamento giuridico italiano mediante l’art. 33, 1° comma, cod. cons., la cui differente formulazione letterale non è significativa ai fini del presente giudizio. In quanto abusiva, la clausola contrattuale di cui si tratta è pertanto suscettibile di essere dichiarata ex officio nulla, ai sensi dell’art. 36 cod. cons. (corrispondente all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CE). Parimenti, secondo il menzionato orientamento della Corte Suprema la violazione della fondamentale regola della trasparenza[7], quindi della obiettivamente agevole comprensibilità, comporta la nullità della clausola[8], avendo determinato a danno del consumatore, un significativo squilibrio, da riscontrarsi nella disparità tra i diritti e gli obblighi delle parti. Tuttavia, tale nullità non travolge l’intero contratto[9], ma si riverbera sulla determinazione del capitale residuo, che è pari alla differenza tra la somma mutata e l’ammontare complessive delle quote capitale già restituite.
5. La nullità della clausola di rivalutazione al franco svizzero del capitale in caso di estinzione anticipata del mutuo
Ai sensi delle disposizioni del Comitato Interministeriale per il Credito e Risparmio e della Banca d’Italia, che costituisce ai sensi degli artt. 115, ss. Testo unico bancario informativa precontrattuale al fine della trasparenza e pubblicità delle condizioni dei contratti bancari, era infatti contenuta una sufficiente indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.
Tali mutui erano però profondamente diversi da operazioni di finanziamento in valuta diversa da quella avente corso legale in Italia che in passato erano state particolarmente svantaggiose per i finanziati a seguito del crollo del rapporto di cambio e che la nostra giurisprudenza ha riconosciuto perfettamente valide sul presupposto che è nel rischio normale del creditore e del debitore di prestiti in valuta estera il verificarsi del ben noto e relativamente frequente fenomeno di oscillazioni anche ampie del rapporto di cambio[10].
La diversità, sostanziale, consisteva nel fatto che questi nuovi mutui non erano espressi in valuta straniera, nella specie franchi svizzeri, ma in Euro e solo ai fini del calcolo degli interessi era pubblicizzato e convenuto un meccanismo di calcolo indicizzato al franco svizzero.
Continuando il rapporto fino alla scadenza contrattuale non c’era quindi alcuna conversione e rivalutazione in senso tecnico del capitale che continuava ad essere in Euro.
In altre parole non si trattava di finanziamenti, pur astrattamente possibili, in franchi svizzeri da convertirsi in Euro al momento dell’erogazione e da restituirsi in franchi svizzeri, rectius anche ai sensi dell’art. 1278 c.c. in euro al corso del cambio nel giorno della scadenza.
Per la diversa ipotesi di estinzione anticipata del mutuo il documento di sintesi si limitava a prevedere che il mutuatario “ha facoltà di estinguere anticipatamente il mutuo, in tutto in parte, dando preavviso di 60 giorni”, senza accenno ad alcuna rivalutazione.
Quindi nessun preventivo avviso di un rischio di cambio in tale ipotesi particolare e soprattutto eventuale. Nei contratti stipulati per atto pubblico era però inserita all’interno dell’articolo riguardante l’estinzione anticipata la seguente clausola: “Ai fini del rimborso anticipato il capitale restituito, nonché gli eventuali arretrati che fossero dovuti, verranno calcolati in Franchi Svizzeri in base al tasso di cambio convenzionale, e successivamente verranno convertiti in Euro in base alla quotazione del tasso di cambio Franco Svizzero/Euro rilevato sulla pagina FXBK del circuito Reuter e pubblicato sul Il Sole 24 Ore del giorno dell’operazione di rimborso”. In concreto dopo che l’euro si era svalutato nei confronti del franco svizzero e che molti mutuatari, vistisi aumentare le rate per il meccanismo di indicizzazione o avendo reperito sul mercato migliori condizioni di finanziamento, avrebbero voluto estinguere anticipatamente il mutuo, la banca mutuante si è avvalsa di tale clausola pretendendo, in caso di estinzione anticipata, aumenti fino ad oltre il 30% del capitale residuo. È evidente che ciò rendeva difficile ed antieconomico ai mutuatari estinguere anticipatamente il mutuo, e ciò anche in sede di surrogazione qualora la concorrenza avesse fatto offerte migliori sugli interessi.
6. I profili di invalidità della detta clausola individuati dalla Suprema Corte
I profili di invalidità riscontrati dalla Suprema Corte sono duplici. Innanzitutto ai sensi degli artt. 116 T.u.b. che prescrive che le banche devono rendere note in modo chiaro e previamente le condizioni contrattuali (è questa appunto la funzione del documento di sintesi) e dell’art. 117 T.u.b. che prevede che sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati. E nella specie detto documento di sintesi, consegnato ai mutuatari per pubblicizzare le condizioni e determinante la loro volontà di contrarre, faceva appunto riferimento al franco svizzero solo per il calcolo degli interessi. Poi, trattandosi di mutui fondiari conclusi con consumatori e quindi soggetti alla disciplina degli artt. 33 ss. del codice del consumo (d.lgs 6 settembre 2005 n. 206) che sanciscono la nullità delle clausole vessatorie (rectius abusive) che il professionista predispone producendo un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi che derivano dal contratto, la valutazione di tale vessatorietà passa anche attraverso la chiarezza e comprensibilità della clausola (secondo comma art. 34 e art. 35 codice consumo). La clausola contrattuale del mutuo indicizzato in franchi svizzeri risulta ambigua, poco chiara e squilibra, nell’interpretazione del mutuante, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi delle parti. Il contratto di mutuo, così come impostato, faceva sì che i mutuatari (e nulla nell’informativa precontrattuale poteva far loro pensare il contrario) ritenevano che la facoltà di estinzione anticipata prevista dalla legge (art. 40 e 120 ter T.u.b.) con sanzioni tali da impedire una onerosità superiore alla restituzione del capitale residuo, trovasse piana applicazione e senza problemi e la dizione letterale “capitale restituito” invece che “capitale residuo da restituire” non era sicuramente atta a far scattare alcun campanello di allarme. Il capitale restituito è infatti letteralmente quello già restituito dal mutuatario al momento dell’estinzione anticipata del mutuo e non già certo quello ancora da restituire. Tra l’altro se per assurdo tale clausola fosse valida e si dovesse porre un dubbio interpretativo rispetto al suo tenore letterale, prevarrebbe comunque l’interpretazione più favorevole al mutuatario consumatore ai sensi del secondo comma dell’art. 35 codice del consumo e più in generale ai sensi dell’art. 1370 c.c. In tale caso, apprezzandosi il franco svizzero, il mutuatario vedrebbe riconosciuto uno “sconto” posto che il capitale restituito sarebbe rivalutato e quindi comporterebbe una diminuzione di quello da restituire. Quello che poteva anche essere un semplice errore in tale formulazione era però imputabile alla banca ed a prescindere dalla sua eventuale riconoscibilità, produceva comunque il risultato di non insospettire il consumatore che nessun avviso aveva prima ricevuto di un rischio di cambio in tale ipotesi.
La declaratoria di nullità delle clausole inerenti il mutuo indicizzato al franco svizzero importa l’applicazione, ai capitali mutuati, del tasso d’interesse legale disciplinato all’art. 1284 c.c., in luogo del tasso d’interesse indicizzato al Franco Svizzero, con un conseguente notevole risparmio monetario del mutuatario. Le clausole relative ai meccanismi della doppia indicizzazione, viola, tra le altre norme, il principio di trasparenza (art. 35, comma 1, del Codice del Consumo), in quanto non redatte in maniera chiara e comprensibile; esse infatti non esporrebbero in maniera intellegibile il funzionamento delle clausole de quibus, e non indicherebbero le operazioni aritmetiche alla base di tale duplice indicizzazione, non permettendo al mutuatario consumatore di conoscere l’effettivo costo del finanziamento ricevuto.
7. Cenni conclusivi
Come noto, il difetto di trasparenza di una clausola determina uno squilibrio sostanziale delle posizioni contrattuali a danno del consumatore, esponendolo al rischio di un abuso della controparte[11]. In questo senso, il Collegio di Coordinamento, con la richiamata decisione del 20 maggio 2015[12], e con le importanti pronunce del 29 luglio 2015[13], ha ritenuto che la clausola di cui all’art. 7 del contratto di mutuo si presti ad un giudizio di abusività, ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della direttiva CE n. 93/13, per cui una clausola può definirsi abusiva laddove, malgrado il requisito della buona fede, determini un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto[14]. Quanto già ampiamente statuito dall’Arbitro Bancario Finanziario, è stato dunque confermato – mettendo quindi una pietra tombale sulla questione dei mutui con indicizzazione al franco svizzero – dalla Suprema Corte con la sentenza n. 23655 del 31 agosto 2021. Per accertare se lo squilibrio sia creato “malgrado il requisito della buona fede”[15], occorre verificare se il professionista qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse alla clausola in oggetto in seguito a negoziato individuale[16]. Il tema della ragionevolezza, infatti, rileva proprio come criterio posto a presidio dell’equilibrio contrattuale[17]. Alla luce di quanto esposto, la controversa clausola risulta possedere i connotati propri dell’abusività[18] , avendo determinato a danno del consumatore, un significativo squilibrio, da riscontrarsi nella disparità tra i diritti e gli obblighi delle parti. La premessa da cui partire è quella per cui, nell’ordinamento giuridico italiano, la buona fede non può essere unicamente intesa come criterio di valutazione del comportamento delle parti del contratto, ma anche come strumento valutativo dell’esercizio dei diritti e delle situazioni soggettive in generale, vale a dire come buona fede nell’esercizio di un diritto. In questa seconda accezione, infatti, essa assume una funzione nel complesso sindacato di abusività e viene a coincidere con la nozione di ragionevolezza[19]. Da quanto argomentato, è funzionale al riequilibrio sostanziale delle posizioni contrattuali, la sanzione comminata dall’ordinamento, nei confronti della clausola contenuta nell’art. 7, non può che inverarsi nella nullità, a protezione del contraente debole[20], ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. n. 206/2005[21]. Segnatamente, la sanzione opera solo a vantaggio del consumatore, anche se è rilevabile d’ufficio dal giudice, ed è una nullità parziale necessaria: il contratto, infatti, in deroga al disposto di cui all’art. 1419, comma 1 c.c., resta valido per il resto. La scelta del conditor legum si giustifica per il fatto che si operi nell’ambito di un contesto normativo orientato verso la tutela della posizione del (cliente) debitore[22] e, naturalmente, di conservazione del contratto. La conclusione consente di affermare che il capitale residuo che il consumatore dovrà restituire, in caso di estinzione anticipata, sarà pari alla differenza tra la somma mutuata e l’ammontare complessivo delle quote di capitale già restituite, calcolate secondo la contrattuale indicizzazione al Franco Svizzero, senza praticare la duplice conversione indicata dalla clausola di cui all’art. 7, di cui è stata dichiarata la nullità per abusività.
[1] ABF, Coll. di Roma, decisione n. 7313/2018
[2] Ex plurimis Cass. Sez. III, 8 agosto 2011, n. 17351
[3] Cfr. Cass. civ., 15 marzo 2004, n. 5240, in Giust. civ., 3, 2002, che, in merito, ha rilevato come “la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore che del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto (art. 1375 c.c.), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto degli effetti del contratto. Detto principio di correttezza e buona fede (…) richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore, operando, quindi, come criterio di reciprocità, una volta collocato nel quadro dei valori, introdotto dalla Carta costituzionale, deve essere inteso come specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 Cost.”
[4] Cfr. F. Greco, Profili del contratto del consumatore, Napoli, 2005, 81 ss.
[5] Corte di Giustizia, 30 aprile 2014, n. 26, in Contratti, 2014, 10, 853 ss., con nota di S. Pagliantini, L’equilibrio soggettivo dello scambio (e l’integrazione) tra Corte di Giustizia, Corte costituzionale ed ABF: il “mondo di ieri” o un trompe l’oeil concettuale?
[6] Cfr. G. Alpa, Le clausole abusive nei contratti dei consumatori, in Corr. giur., 1993, 641.
[7] Sul punto, P. Sirena, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di credito al consumo, in Banca, borsa e tit. cred., 1997, 3, 354 ss.
[8] In questi termini, A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi, La facoltà di “estinzione anticipata” nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, 5, 523 ss. Sul tema cfr. P. L. Fausti, Mutui e clausole vessatorie, in Not., 2007, 5, 509 ss. che, sulla natura della nullità ha affermato che “ritenendo che l’ambito di riferimento della norma sia quello dei contratti con i consumatori, seppur nel senso più ampio già visto, dovrebbe inferirsene la relatività”.
[9] S. Polidori, Nullità di protezione e sistematica delle invalidità negoziali, in Collana della facoltà di giurisprudenza-università del Salento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2016, p.4, 10, 26ss.
[10] Da ultimo Cass. 22 luglio 2015, n. 15370, in relazione ad un finanziamento bancario in yen effettuato poco prima dell’uscita dall’Italia dallo S.m.e., che ha confermato la precedente giurisprudenza formatasi in parte con la vicenda dei mutui fondiari espressi in Ecu.
[11] Cfr. P. Sirena, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di credito al consumo, in Banca, borsa e tit. cred., 1997, 3, 354 ss.
[12] ABF, Collegio di Coordinamento, 20 maggio 2015, n. 4135, cit
[13] ABF, Collegio di Coordinamento, 29 luglio 2015, nn. 5855, 5866, 5874, cit.
[14] 4 Cfr. art. 33, D.Lgs. n. 206/2005. Sul tema, si rinvia all’ampia ricostruzione di A. Musio, La buona fede nei contratti dei consumatori, cit., 206 ss.; Id, Il giudizio di abusività tra buona fede e ragionevolezza (Nota a Corte di Giustizia, sez. I, 14 marzo 2013), in www.comparazionedirittocivile.it, 2013
[15] Al fine di non contrastare con il disposto di cui all’art. 12 delle Preleggi, che prescrive di assegnare alle parole il significato loro proprio, risultava, già dai primi commenti in dottrina, preferibile interpretare l’inciso “malgrado”, non come se significasse “in contrasto”, piuttosto come “nonostante” “benchè”. Cfr., in tal senso, V. Roppo, La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti fra imprese e consumatori, in Riv. dir. civ., 1994, 285; N. Salanitro, La direttiva comunitaria sulle “clausole abusive” e la disciplina dei contratti bancari, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, 549. Auspicava, invece, un intervento correttivo da parte del legislatore che, dunque, sostituisse all’imprecisa formula della direttiva “malgrado la buona fede”, un più consono “in contrasto con la buona fede”, V. Rizzo, Le clausole “abusive”: realtà e prospettive. La direttiva Cee del 5 aprile 1993, in Rass. dir. civ., 1993, 590. In questo senso anche G. De Nova, Le clausole vessatorie. Art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, Milano, 1996, 16; V. Carbone, L’individuazione delle clausole vessatorie tra criteri generali ed elencazioni statistiche, in Corr. giur., 1996, 1305; S. Patti, Le condizioni generali di contratto e i contratti del consumatore, in Tratt. dei contratti, diretto da P. Rescigno, I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, I, Torino, 1999, 344; E. Gabrielli, A. Orestano, Contratti del consumatore, in Dig. disc. priv. sez. civ., Aggiornamento, IV, Milano, 2000, 408.
[16] Cfr. A. Musio, Il giudizio di abusività tra buona fede e ragionevolezza (Nota a Corte di Giustizia, sez. I, 14 marzo 2013), cit., 18.
[17] 7 Cfr. S. Troiano, “Ragionevolezza” e concetti affini: il confronto con diligenza, buona fede ed equità, in Obbl. e contr., 2006, 679. Sul punto, A. Musio, Il giudizio di abusività tra buona fede e ragionevolezza (Nota a Corte di Giustizia, sez. I, 14 marzo 2013), cit., 20 specifica che proprio la materia relativa ai consumatori fa spesso ricorso alla nozione di ragionevolezza e sottolinea che nel codice di consumo, numerosi sono ad essa i richiami (artt. 3, 18, 20, 22, 23, 26, 27, 33, 103, 104, 105, 116, 117, 129, 130). Cfr., in questo senso S. Patti, La ragionevolezza nel diritto civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1, 1 ss.
[18] Potrebbero essere offerti altri esempi di clausole contrattuali, sospette di essere lesive, inserite in contratti stipulati con il consumatore ed attenzionate sempre dall’Arbitro Bancario e Finanziario. Sul tema, cfr. P Sirena, La disciplina delle clausole contrattuali abusive nell’interpretazione della giurisprudenza e dell’Arbitro Bancario Finanziario, in AA.VV., Le clausole vessatorie a vent’anni dalla direttiva 93/13, Napoli, 2013, 78 ss. Cfr. F. Greco, La violazione della regola della trasparenza nel mutuo con tasso floor ed il problema della scommessa razionale nel derivato implicito, cit., 1 ss., che riflette sul caso del contratto di mutuo a tasso variabile, che si accompagna spesso ad una clausola floor, affermando che “il floor fissa (…) la soglia sotto la quale il tasso corrispettivo applicato al finanziamento mai potrà scendere nonostante il decremento del correlato indice di base (citando l’esempio del tasso Euribor)”. L’Autore pone l’accento sulla circostanza per cui sussista l’obbligo per l’intermediario di spiegare al cliente il funzionamento in concreto di questa clausola tale da fargli intendere, sulla base di parametri, precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche. Di modo che, affinché sussista trasparenza, il mutuatario possa conoscere, sia pure sotto un profilo di probabilità, il sacrificio economico che discenderebbe dal contratto sottoscritto. Sul tema, interessante è anche la decisione di ABF Napoli, 5 maggio 2014, n. 2735, in www.arbitrobancariofinanziario.it, relativa ad un caso in cui il ricorrente contestava l’inserimento della clausola floor nel contratto di mutuo concluso con l’intermediario, assumendo che tale previsione avrebbe generato uno squilibrio economico, comprovato dal fatto che ne sarebbero derivati vantaggi solo a favore dell’intermediario. Si è posto il problema di valutare se il predetto squilibrio superi o meno il vaglio di legittimità, F. Sartori, Sulla clausola floor nei contratti di mutuo, cit., 698 ss.
[19] Cfr. A. Musio, Il giudizio di abusività tra buona fede e ragionevolezza (Nota a Corte di Giustizia, sez. I, 14 marzo 2013), cit., 16.
[20] Sulle nullità di protezione, cfr., tra gli altri, G. D’Amico, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contratti, 2009, 740 ss.; F. Di Marzio, Codice del consumo, nullità di protezione e contratti del consumatore, in Riv. dir. priv., 2005, 4, 837 ss.; R. Quadri, “Nullità” e tutela del “contraente debole”, in Contr. e impr., 2001, 1143 ss.; G. Gioia, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, ivi, 1999, 3, 1344 ss.; Id., Nullità di protezione tra esigenza del mercato e nuova cultura del contratto conformato, in Corr. giur., 1999, 608; P.M. Putti, L’invalidità nei contratti del consumatore, in AA. VV., Diritto privato europeo, cit., 691; G. Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995, passim
[21] Tra gli innumerevoli commenti al codice del consumo, si rinvia a E. Cesaro (a cura di), I contratti del consumatore. Commentario al Codice del Consumo, Padova, 2007, passim; G. Vettori (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova, 2007, passim; V. Cuffaro (a cura di), Codice del consumo, Milano, 2006, passim; P. Stanzione-G. Sciancalepore (a cura di), Commentario al codice del consumo, Milano, 2006, passim; G. Alpa, L. Rossi Carleo (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Napoli, 2005, passim.
[22] 3 In questi termini, A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi, La facoltà di “estinzione anticipata” nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, 5, 523 ss. Sul tema cfr. P. L. Fausti, Mutui e clausole vessatorie, in Not., 2007, 5, 509 ss. che, sulla natura della nullità ha affermato che “ritenendo che l’ambito di riferimento della norma sia quello dei contratti con i consumatori, seppur nel senso più ampio già visto, dovrebbe inferirsene la relatività”