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Note

Mutuo «assicurato», morte del debitore e ritardo nei versamenti dell’assicurazione

6 Febbraio 2016

Ugo Malvagna

Abf Milano, 11 giugno 2015, n. 4753 – Pres. Lapertosa – Est. Santoro

Mutuo – Assicurazione sulla vita del mutuatario a beneficio della banca – Morte del mutuatario – Ignoranza degli eredi circa l’esistenza della polizza – Violazione dei doveri di buona fede e correttezza – Sussistenza

Il comportamento della banca mutuante, beneficiaria di un’assicurazione sulla vita del mutuatario, che alla morte di questo non avvisi dell’esistenza della polizza gli eredi, della stessa ignari, integra un comportamento contrario a buona fede, considerata la specifica professionalità della banca e, conseguentemente, il rigore con cui si debbono valutare i comportamenti della stessa con riguardo all’applicazione dei principi generali ex artt. 1175, 1176, 1375 c.c.

Mutuo – Assicurazione sulla vita del mutuatario a beneficio della banca – Morte del mutuatario – Ritardata erogazione dell’indennizzo – Pagamento delle rate da parte degli eredi nelle more – Diritto degli eredi alla integrale restituzione delle rate – Sussistenza

In un mutuo con annessa assicurazione sulla vita del mutuatario, gli eredi del medesimo hanno diritto all’integrale restituzione delle somme da essi pagate nel periodo intercorrente tra il verificarsi dell’evento assicurato e l’effettiva erogazione dell’indennizzo da parte dell’assicurazione.

***

Stipulati due mutui (rispettivamente nel novembre 2004 per 100.000 euro e nel maggio 2007 per 45.000), entrambi assistiti da assicurazione sulla vita del mutuatario a beneficio del finanziatore, nel mese di dicembre 2011 il debitore decedeva. Ignari dell’esistenza delle polizze – e nel silenzio della banca al riguardo – gli eredi prendevano a pagare regolarmente, secondo le originarie scadenze mensili, le rate residue del mutuo, che il finanziatore aveva nel frattempo «appoggiato» – come da istruzioni ricevute – sul conto corrente degli eredi stessi (presso una diversa banca).

A un anno dal decesso (e dal subentro nel rapporto di mutuo), gli eredi scoprivano – grazie all’assistenza di un CAF, cui si erano rivolti per la compilazione della dichiarazione dei redditi – della esistenza di una copertura assicurativa. Chiedevano quindi la liquidazione del dovuto all’assicurazione, che provvedeva in tal senso nel marzo 2013. Tra la morte del mutuatario e l’erogazione dell’indennizzo trascorrevano così 15 mesi, durante i quali erano stati effettuati, in favore della banca, versamenti per circa 19.000 euro.

Ricevuto l’indennizzo dall’assicurazione, la banca vi detraeva il debito residuo dei mutuatari alla data del pagamento (marzo 2013),nonché un’ulteriore somma corrispondente agli interessi asseritamente maturati durante una moratoria concessa al de cuius nel 2008 nell’ambito del c.d. Piano Famiglie Abi; somma che era stata ritenuta (dall’assicurazione, con l’acquiescenza della banca) esclusa dall’oggetto della copertura assicurativa. In definitiva, a fronte dei circa 19.000 euro pagati dagli eredi nei 15 mesi successivi al decesso del contraente originario, la banca offriva di restituirne poco più di 6.000. E cioè, volendo semplificare al massimo la controversia, pretendeva di trattenere per sé (oltre agli interessi di cui alla moratoria) gli interessi compensativi percepiti in quel lasso di tempo.

Con decisione dell’11 giugno 2015, n. 4753, l’Abf ha accolto il ricorso degli eredi, avente per oggetto la condanna dell’intermediario alla restituzione integrale delle somme ricevute successivamente al decesso del mutuatario. Il relativo percorso decisionale si compone di una premessa e due consequenziali passaggi argomentativi.

Di taglio essenzialmente negativo è la premessa, la quale è volta alla negazione di eventuali profili di responsabilità degli eredi del de cuius per la ritardata attivazione della copertura assicurativa. L’assunto fa perno sulla sussistenza di un obbligo di protezione a contenuto informativo – e avente per oggetto specifico la comunicazione dell’esistenza della polizza assicurativa – in capo all’intermediario. Obbligo che, in particolare, discende dalla «specifica professionalità della banca» e dal conseguente «rigore con cui si devono valutare i comportamenti della stessa con riguardo all’applicazione dei principi generali di correttezza e buona fede». E i cui profili di contrarietà a buona fede sono aggravati dal «notevole lasso di tempo» trascorso «dopo che la banca ha conosciuto della morte del mutuatario senza che tale avviso fosse dato agli eredi»; nonché dal fatto che «la banca è beneficiaria delle polizze e, quindi, avrebbe dovuto informare anche a protezione di un interesse proprio»[1].

I passaggi argomentativi seguenti del provvedimento s’allontanano tuttavia dai profili della buona fede in executivis dell’intermediario, e di quelli risarcitoria ciò naturalmente connessi, per spostarsi sulle diverse – e invero alternative – linee concettuali della ripetizione dell’indebito. Il ragionamento è il seguente. Per il fatto di essere beneficiaria del contratto d’assicurazione, la banca «ottiene copertura del rischio di insolvenza del proprio debitore» dal momento in cui la morte si verifica: al «debito residuo» a quella data esistente, infatti, la polizza assicurativa parametra l’indennizzo. Per l’effetto, «la banca non è – in linea di principio – legittimata a operare ulteriori addebiti sul conto dei mutuatari dopo il decesso». Ma, chiosa la decisione (non senza margini di ambiguità),«anche laddove tali addebiti potessero ritenersi legittimi nelle more della liquidazione dell’importo dovuto da parte dell’impresa assicurativa, si tratta di importi che devono essere successivamente restituiti, non avendo l’intermediario alcun titolo per trattenerli».

Certamente condivisibile quanto al merito della soluzione concretamente adottata, dal punto di vista ricostruttivo va per contro rilevato chela decisione appena sunteggiata si arresta – ciò che pure è comprensibile, stante la funzione propria dell’Arbitro – sulle linee esterne dell’inquadramento della questione affrontata. Pare quindi opportuno tentare di svolgere il medesimo con un po’ di maggior precisione.

In particolare, non pare idonea a giustificare la natura indebita dei pagamenti degli eredi l’affermazione secondo cui la banca «ottiene copertura del rischio» per il decesso e la conseguente (possibile) insolvenza del mutuatario. In effetti, se si analizza la fattispecie sul piano strutturale, il puro e semplice verificarsi dell’evento demografico di cui alla polizza è, in quanto tale, irrilevante sul piano del rapporto obbligatorio generato dal contratto di mutuo; la cui estinzione non può che dipendere dall’effettivo pagamento del dovuto nelle mani del creditore. Resta poi irrilevante, a questi fini, che il pagamento provenga dal creditore, ovvero da un terzo (che sia l’assicurazione o chiunque altro).

È dunque sicuro che, fino all’erogazione dell’indennizzo, gli interessi compensativi maturati e pagati successivamente al decesso del contraente originario non sono in sé privi di giustificazione: ché comunque il debitore gode del differimento promesso ex mutuo.

Piuttosto, il corretto inquadramento del problema posto dalla fattispecie in discorso si coglie valorizzando la dimensione unitaria che il prodotto «mutuo con annessa assicurazione» assume, tanto al livello della sua pianificazione imprenditoriale, quanto a quello della sua commercializzazione e presentazione alla clientela[2]. La stipulazione di una siffatta polizza assicurativa non è stata, infatti, scelta autonoma e, per così dire, solipsistica del cliente, cui la banca è rimasta estranea. Al contrario, la stessa è stata, se non pretesa, quantomeno suggerita dal finanziatore (che infatti – a quanto appare dal testo della decisione – ha intermediato il suo collocamento[3]), in una logica unitaria di gestione del rischio di credito[4].

Accolta una siffatta prospettiva,risultano perciò inammissibili soluzioni applicative che conducano a esiti obiettivamente inadeguati rispetto alla funzione che è programmaticamente attribuita al prodotto[5]. Ed è senz’altro palesemente inadeguato rispetto alla funzione che la polizza svolge (: protezione degli eredi del de cuius – assieme con il creditore – dal rischio di insolvenza conseguente al decesso) il fatto che la banca possa continuare a pretendere il pagamento del debito ex mutuo nei termini di cui al contratto, proprio nel momento in cui massimamente acuta – almeno nella valutazione di chi la polizza propone, e di chi sottoscrive – è l’esigenza di protezione del debitore (recte di chi al debitore succede).

Deve allora escludersi che le lentezze e/o gli opportunismi nel pagamento dell’indennizzo da parte dell’assicurazione possano ridondare in danno del cliente, sub specie dei maggiori oneri per gli interessi compensativi maturati a causa di quel ritardo. E anche, a ben vedere, sotto ogni altro profilo inerente al rapporto di mutuo. Così, ad esempio, se gli eredi del de cuius non avessero proseguito nei pagamenti, sarebbe stata discutibile la legittimità della pretesa della banca di addebitare interessi di mora o altre penali; oppure di eventuali decadenze intimate; o, ancora, dell’avvio di azioni esecutive. E ciò non tanto perché il debito sia da ritenersi estinto al momento del verificarsi dell’evento assicurato, o per altre ritenute ragioni di carenza di «causa legittimante» del pagamento (così testualmente l’ultimo periodo della decisione). Ma, diversamente, perché l’esigere quelle somme realizza un comportamento che – nel contesto specifico di un prodotto complesso creditizio-assicurativo, conformato e collocato sul mercato dalla stessa banca mutuante – contrasta frontalmente con la regola di correttezza del creditore ex art. 1175 c.c. È quindi sotto il profilo delle regole di attuazione del rapporto obbligatorio, declinate in relazione alla specifica dimensione normativa connotante la contrattazione d’impresa, che trova adeguata copertura sistematica la soluzione favorevole al cliente.

 

[1] Vale poi ulteriormente riportare che l’Arbitro ha ritenuto irrilevante l’argomento, proposto dall’intermediario, in base al quale una qualche documentazione delle polizze dovesse essere in possesso degli eredi, ché altrimenti gli addetti del CAF non si sarebbero accorti dell’esistenza delle medesime. Il rifiuto (quanto mai opportuno) di una simile obiezione può intendersi come l’esito di una valutazione comparativa circa la posizione di relativa vicinanza/lontananza delle parti rispetto alla documentazione contrattuale: altro è, infatti, la condizione del cliente che rinviene tra gli incartamenti una qualche prova della polizza (e che percepisce come tale solo a seguito dell’intervento di un professionista – il CAF); altro quella della banca, che la documentazione relativa ai propri rapporti (compresi quelli nei confronti della compagnia di assicurazione) è tenuta a conservare. Su questi profili v. Dolmetta e Malvagna, Vicinanza della prova e prodotti d’impresa del comparto finanziario, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, 659.

[2] Dimensione unitaria che anche la Corte di Giustizia europea è venuta a valorizzare in una recente sentenza (23 aprile 2015, causa C-96/14, rinvenibile su Dirittobancario.it), là dove – nel condurre un vaglio di abusività di una clausola della polizza assicurativa per inabilità a servizio di un mutuo, la quale escludeva la copertura nell’ipotesi in cui l’assicurato inabile potesse «riprendere una qualunque attività retribuita o meno», anche a tempo parziale (così come era poi stato accertato nel caso di specie dal medico del’assicurazione, che aveva perciò cessato l’erogazione dell’indennizzo – ha affermato che, nel contesto di polizze abbinate a mutui, «potrebbe essere altresì pertinente la circostanza che il contratto [di assicurazione] si inserisce in un insieme contrattuale più vasto e connesso ai contratti di mutuo. Infatti, non si può pretendere dal consumatore, al momento della stipulazione di contratti connessi, la stessa vigilanza circa l’estensione dei rischi coperti da tale contratto di assicurazione che si potrebbe pretendere se egli avesse stipulato separatamente il suddetto contratto e i contratti di mutuo». Come dire, cioè, che il consumatore deve poter fare affidamento sul fatto che i profili dell’adeguato coordinamento tra sopravvenienze che incidono sulla capacità patrimoniale del mutuatario e attivazione della copertura assicurativa rientrano tra i doveri del professionista.

[3] Ciò che attualmente integrerebbe una pratica contra legem, stante l’attuale tenore dell’art. 48, co. 1-bis, del Regolamento Isvap 5/2006 (come modificato dal provvedimento Isvap del 6 dicembre 2011, n. 2946), secondo cui «Gli intermediari comunque si astengono dall’assumere, direttamente o indirettamente… la contemporanea qualifica di beneficiario o di vincolatario delle prestazioni assicurative e quella di intermediario del relativo contratto in forma individuale o collettiva». Il provvedimento è commentato, tra gli altri, da Frignani e Paschetta, Le polizze vita abbinate ai mutui immobiliari ed al credito al consumo, in Diritto e fiscalità dell’assicurazione, 2012, I, 413.

[4] La prassi operativa di abbinamento di mutui e assicurazioni «a garanzia» che nell’ultimo decennio ha visto una notevole diffusione; al contempo generando numerose esigenze di intervento eteronomo. Per una ricognizione dello stato normativo attuale, v. da ultimo Fausti, Assicurazioni del debitore «a garanzia» dei mutui ipotecari: considerazioni sulla recente disciplina, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, 614; per un quadro generale del fenomeno dell’integrazione produttiva tra credito e assicurazione v. Cerini, Assicurazione e garanzia del credito, Milano, 2003.

[5] Secondo una linea generale di approccio all’interpretazione e lettura del contratto/rapporto che si raccorda al piano normativo nazionale in tema di imprese del comparto finanziario, e quindi pure dell’attività assicurativa (con previsione di vertice fissatanell’art. 183 cod.ass.: «nell’offerta e nell’esecuzione dei contratti le imprese e gli intermediari devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati; b) acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in modo che siano sempre adeguatamente informati»; e il cui principale risvolto nella normativa secondaria si rinviene nell’art. 52 Reg. Isvap 5/2006: «in ogni caso, gli intermediari sono tenuti a proporre o consigliare contratti adeguati in relazione alle esigenze di copertura assicurativa e previdenziale del contraente»); e che, nei tempi più recenti, comincia a permeare anche nel concreto l’attività dei Regolatori (cfr. la lettera al mercato Ivass del 17 dicembre 2013, in tema di valutazione di adeguatezza nel collocamento delle polizze Payment Protection Insurance stipulate in forma collettiva; e soprattutto la recentissima lettera congiunta Ivass-Banca d’Italia del 26 agosto 2015, sempre in tema di PPI, in cui l’affermazione che «il conseguimento dei benefici derivanti dalla stipulazione di polizze assicurative a copertura dei rischi di mancato rimborso dei finanziamenti presuppone che le caratteristiche delle garanzie rispondano alle reali esigenze di copertura dei rischi e che la distribuzione dei prodotti sia improntata a canoni di correttezza sostanziale»).

In giurisprudenza, rileva che «il dovere … di proporre al contraente polizze assicurative realmente utili per le esigenze dell’assicurato» costituisce, insieme con quello di assicurare «una informazione esaustiva, chiara e completa», «dover[e] primari[o] dell’assicuratore e dei suoi intermediari o promotori» Cass. 24 aprile 2015, n. 8412, in Foro it., 2015, I, 2378, in cui l’ulteriore affermazione che tali doveri «hanno portata generale, ed in quanto dettati da norme di legge,prevalgono sulle norme regolamentari, quali i regolamenti dell’autorità di vigilanza, ed a fortiori sulle indicazioni contenute in atti addirittura privi di potere normativo, quali le circolari dell’autorità amministrativa».

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